4
vero e proprio shock. L’obiettivo di tali tattiche è di ridurre al minimo l’incertezza,
elemento che maggiormente destabilizza il novizio.
Entrambi questi elementi, e cioè la figura del mentore e l’uso di tattiche precise,
permettono la socializzazione del nuovo arrivato al contesto organizzativo,
riducono il turnover, aumentano la soddisfazione sul lavoro, aumentano la
sicurezza nelle proprie abilità, creano un maggiore senso di appartenenza
all’azienda in cui si viene inseriti.
Tali vantaggi hanno grande rilevanza nel panorama nazionale ed internazionale
della professione infermieristica, caratterizzato da un elevato tasso di turnover
nell’ambito clinico, nonché da un aumento dell’abbandono professionale.
Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare come viene pianificato,
implementato e gestito l’inserimento lavorativo del neofita infermiere nello
specifico della realtà milanese. Si è deciso di fare un focus sulla realtà dell’area
critica, al fine di limitare la variabilità di contesto. La complessità di tale area
lavorativa inoltre, fa presumere una maggiore tutela del percorso di inserimento
e un’implementazione di percorsi più codificati.
La ricerca bibliografica è stata condotta usando diverse banche dati come
Blackwell Synergy, Cinahl, Medscape. Alcuni articoli di difficile reperimento,
sono stati richiesti alla British Library, di Londra. Le parole chiave utilizzate
sono state: “mentor, mentoring, nurse, socialization tactics, newcomers, novice,
ICU, turnover”, usate in differenti associazioni.
Nel primo capitolo è stata fatta una revisione della letteratura manageriale ed
infermieristica, in relazione alla figura del mentore.
5
Dopo una prima descrizione di cosa è un mentore, è stato fatto un confronto
con le altre figure educative quali il tutor, il coach, il counselor, i pari ed i
preceptors, in quanto in letteratura vi è una certa confusione e sovrapposizione
tra i diversi tipi di formatore. Sono stati quindi declinati nel dettaglio i vantaggi
che comporta l’implementazione di un programma di mentoring per il neofita,
per l’organizzazione e per il mentore stesso. Da ultimo sono state definite le
difficoltà che possono insorgere nella relazione tra mentore e neofita.
Il secondo capitolo riguarda invece il processo di socializzazione del neofita
all’interno dell’organizzazione. In primo luogo è stato analizzato nella letteratura
infermieristica come viene implementato il percorso di inserimento del nuovo
arrivato. Successivamente sono state presentate le tattiche di inserimento
individuate nella letteratura manageriale, e si è definito il concetto di
competenza e di sviluppo da novizio ad esperto. Nel quarto paragrafo si è poi
delineato più nello specifico il processo di socializzazione del neofita, in area
critica. L’ultima parte di questo capitolo riporta gli standard Joint Commission on
Accreditation of Healthcare Organization (JCAHO) relativi alla gestione delle
risorse umane: questo approfondimento è stato inserito in quanto la regione
Lombardia pone molta enfasi al concetto di qualità, tanto che molte aziende
sanitarie ed ospedaliere lombarde si stanno accreditando all’eccellenza. Per
tale ragione, a parere di che scrive, era importante sottolineare le specificità
relative agli standard di gestione delle risorse umane, della JCAHO.
Il terzo ed ultimo capitolo riguarda invece un’indagine svolta su 10 aziende
sanitarie milanesi (7 pubbliche e tre del privato convenzionato), in relazione al
percorso di inserimento del neofita in area critica.
6
La ricerca si è svolta in due fasi. Nella prima fase di tipo descrittivo, è stato
inviato un questionario ai Servizi Infermieristici Tecnici Riabilitativi Aziendali
(SITRA) delle aziende reclutate per lo studio, in cui si chiedevano notizie
relative al percorso di inserimento, al numero di inserimenti avvenuti nelle
diverse aree critiche presenti nella propria realtà, all’età professionale dei
neoassunti al momento dell’inserimento in area critica, ai criteri con cui
venivano scelti gli infermieri esperti che si occupano dell’inserimento.
La seconda fase della ricerca è stata invece di tipo fenomenologico: attraverso
interviste semi-strutturate si è cercato di indagare i vissuti dell’infermiere novizio
e dell’infermiere esperto che lo “ha seguito”, in relazione al percorso di
inserimento e alla relazione tra loro instauratasi. Le interviste sono state
condotte nei tre poli universitari milanesi della facoltà di medicina e chirurgia. Il
numero di interviste è stato di 11 soggetti per gli infermieri novizi e di 11
soggetti per gli infermieri esperti, ed è stato determinato dal raggiungimento
della saturazione dei dati. Al termine delle interviste, è stato anche testato come
studio pilota, uno strumento di valutazione delle potenzialità del mentore,
Measuring Mentoring Potential (MMP), ideato da Darling. Ciò è stato fatto in
quanto è intenzione di chi scrive implementare in futuro una terza fase della
ricerca, in cui si cercherà di verificare alcune ipotesi, derivate dall’analisi delle
interviste. Era pertanto necessario individuare uno strumento adatto a testare la
relazione di mentorato tra novizio e esperto, nello specifico del contesto italiano
7
CAPITOLO 1
IL PROCESSO DI MENTORING: UNA REVISIONE
DELLA LETTERATURA
8
1.1 IL MENTORE E IL PROCESSO DI MENTORING
Il termine mentore ha ormai più di tremila anni e prende origine dalla mitologia
greca, con Atena dea della saggezza.
Atena, travestita da uomo e facendosi chiamare mentore, si occupò della
crescita di Telemaco, figlio di Ulisse.
Ulisse infatti incaricò Atena/ Mentore di educare il figlio Telemaco, mentre egli
stava affrontando la guerra contro la città di Troia, per prepararlo a diventare re
di Itaca e suo successore
1,2
.
Il ruolo di Mentore era di educare attraverso la guida e l’incoraggiamento.
Da questa figura mitologica traspare una prima immagine di mentore da cui
emergono alcune caratteristiche: infatti egli era più anziano e saggio di
Telemaco, e il suo ruolo era soprattutto di esempio e modello, piuttosto che di
semplice insegnante. Difatti egli fu per Telemaco una guida, un maestro, un
tutore e ricoprì in parte anche un ruolo genitoriale, ma non nel senso generativo
del termine, quanto piuttosto come colui che trasformò un ragazzo in un uomo,
in grado di prendersi le proprie responsabilità ed affrontare la vita
3,4
.
Questo termine vecchio di tremila anni non ha perso il sua valore per i contesti
organizzativi moderni. Infatti molta letteratura manageriale afferma che il
mentoring può essere visto come il modo più adeguato per accompagnare un
novizio nelle fasi di sviluppo della sua carriera lavorativa e crescita
complessiva
5
.
A tal proposito Cortese afferma che: “…il sostegno al processo di
apprendimento, la diffusione della cultura organizzativa e la facilitazione del
percorso di iniziazione che consente all’individuo di riconoscersi e di essere
9
riconosciuto membro dell’organizzazione, costituiscono le tre principali funzioni
attribuibili al mentoring”
6
.
Nello studio del 2005 Hayes ha effettuato una revisione della letteratura relativa
alla figura di mentore, nelle discipline della scienza infermieristica,
dell’economia e della scienza dell’educazione; da questa revisione ed analisi
egli ha definito il mentoring come “ una relazione volontaria, intensa, impegnata,
estesa, dinamica, interattiva, di supporto e fiducia tra un esperto e un nuovo
assunto, caratterizzata dalla mutualità”
1
.
Lo scopo del mentoring è di “promuovere lo sviluppo personale, l’educazione, lo
sviluppo di carriera del nuovo arrivato”
1
.
Dovendo parlare di mentoring non possiamo però non citare lo straordinario e
pionieristico lavoro svolto da Kram, all’inizio degli anni ottanta. Ella studiò
attraverso delle interviste in profondità, le peculiarità che caratterizzano la
relazione tra neofita e mentore, delineando alcune requisiti che un buon
mentore deve possedere, per svolgere appieno il suo ruolo.
Raggruppò queste caratteristiche in due macrocategorie che chiamò:
• Funzioni psicosociali;
• Funzioni di carriera.
All’interno di queste macrocategorie, individuò nove funzioni di seguito riportate:
FUNZIONI PSICOSOCIALI:
• Modello di ruolo;
• Accettazione e conferma;
• Counseling;
• Amicizia.
10
FUNZIONI DI CARRIERA
• Sponsorizzazione;
• Esposizione/ visibilità;
• Coaching;
• Protezione;
• Assegnazione di sfide/ mete/ traguardi.
Secondo Kram, più il mentore implementerà queste funzioni, più la relazione ne
trarrà beneficio.
Secondo l’autrice quindi, le funzioni di carriera aiutano il neofita a stabilire il suo
ruolo all’interno dell’organizzazione e ad interiorizzare la filosofia della realtà
lavorativa in cui si trova ad operare. Tali funzioni hanno inoltre un’importanza
fondamentale nel rendere il nuovo inserito più cosciente del suo potenziale e di
come può giocarlo all’interno dell’organizzazione.
Le funzioni psicosociali invece, aiutano il neofita a sviluppare il senso di
autonomia e sicurezza nelle proprie capacità, nonché l’identità professionale e
la competenza
7
.
In uno studio condotto nel 2005, nel contesto Australiano, Fowler e O’ Gorman
sono andati ad analizzare la percezione all’interno delle coppie mentore e
neofita, riguardo alla relazione tra loro instauratasi.
Gli autori hanno individuato anch’essi otto funzioni che il mentore deve avere
per essere efficace. Rifacendosi al lavoro svolto da Kram, hanno ribadito
l’attualità di molti aspetti in esso contenuti, trovando parecchie analogie con
quanto da loro individuato.
Le funzioni trovate dagli autori sono le seguenti:
11
• Guida personale ed emotiva;
• Coaching;
• Difensore;
• Facilitatore dello sviluppo di carriera;
• Modello di ruolo;
• Facilitatore dell’apprendimento;
• Amico;
• Segnalatore di possibili sistemi strategici.
Come si può vedere alcune funzioni sono sovrapponibili a quelle emerse nel
lavoro di Kram. Per esempio la funzione Guida personale ed emotiva richiama
molto le funzioni psicosociali individuate da Kram come accettazione e
conferma, counseling. Anche la funzione di Difensore trovata dagli autori può
essere ricondotta alla funzione individuata da Kram, come sponsorship. Altre
analogie le possiamo trovare nelle funzioni di modello di ruolo, riportante in
entrambi gli studi, in cui il mentore diventa uno standard da emulare per il
neofita e nel concetto di facilitatore dell’apprendimento, che Kram descrive
come la funzione di coaching, nel senso che il mentore da un feedback al
neofita durante compiti di particolare difficoltà, rielaborando poi l’esperienza.
Diversamente da Kram gli autori non hanno individuato la funzione di
protezione. Essi fanno risalire questa differenza dal mutamento dei contesti
organizzativi e lavorativi attuali, rispetto a quelli degli anni ottanta. Gli autori
fanno notare inoltre come il campione usato da Kram contenesse una
prevalenza di mentore e neofiti di sesso maschile (solo un mentore era donna).
12
Viene sottolineato tra l’altro che, nei contesti organizzativi moderni, il fatto di
essere “protetti” può essere visto come un segno di debolezza e diventare un
fattore sfavorevole nello sviluppo di carriera
8
.
Altri studi sono stati fatti sulle caratteristiche del mentore. In un recente studio
svolto da Andrews e Chilton, viene descritto uno strumento che Darling elaborò
per valutare le potenzialità del mentore, sia come valutazione da parte del
neofita sia come auto-valutazione da parte del mentore. Tale strumento derivò
da interviste in profondità che ella condusse con 50 infermieri, 20 medici e 80
operatori sanitari di diverso genere. Da tali interviste l’autrice sviluppo il
Measuring Mentoring Potential (MMP). Darling evidenziò che il mentore deve
avere tre requisiti assoluti, tre ruoli di base e nove azioni di ruolo.
I requisiti assoluti per una relazione di mentoring efficace secondo l’autrice
sono: attrazione (mutuale), azione (spendere tempo e energia) e affetto (mutua
fiducia e rispetto). Da esse si evidenziano 14 ruoli, di cui tre sono basilari per il
mentore: ispiratore (attrazione), investitore (azione) e supporto (affetto).
Darling inserì il MMP in un questionario che chiedeva di valutare all’esperto se
stesso come mentore e ai neofiti di valutare invece il proprio mentore . Veniva
usata una scala di Likert da uno (basso) a cinque (alto), in relazione al grado di
possedimento di una determinata caratteristica.
13
Ecco riportati i quattordici ruoli valutati nel MMP:
1. Modello;
2. Che mi ispira; Ruolo di ispiratore;
3. Che da energia;
4. Investitore; Ruolo di investitore
5. Supporto; Ruolo di supporto
6. Che propone alti standard;
7. Insegnante, coach;
8. Che da feedback;
9. Che apre gli occhi;
10. Che apre porte;
11. Generatore di idee
12. Che risolve problemi;
13. Che da consigli sulla carriera;
14. Promotore di sfide.
Secondo l’autrice un buon mentore deve ricevere delle valutazioni di almeno 4-
5 nei primi 5 item in quanto, come detto in precedenza, considera essere tali
caratteristiche irrinunciabili
9, 10
.
Da quanto affermato sino ad ora possiamo delineare alcune qualità che il
mentore deve avere: innanzi tutto deve avere abilità di insegnamento e amare
insegnare. Deve essere aperto alla comunicazione e all’amicizia.
È importante che abbia un bagaglio eperienziale elevato e che sia competente.
Altre caratteristiche di un buon mentore sono la capacità di offrire feedback e
14
celebrare i successi, essere disponibile a investire tempo e risorse e creare un
ambiente che incoraggi la crescita dagli errori.
Paziente, gentile, deve valorizzare l’esperienza passata del neofita ed essere
una guida per la carriera e un competente modello di ruolo.
Come si può intuire la relazione che si instaura tra mentore e neofita sarà una
relazione che ha uno scopo ben preciso, ossia l’accompagnamento del neofita
verso l’autonomia: possiamo comprendere perciò che, se pure sarà una
relazione di lunga durata, arriverà un momento in cui terminerà.
Ciò emerge anche dal, già citato, lavoro di Kram. L’autrice infatti definì a seguito
del suo lavoro di ricerca, quattro fasi che descrivono tale relazione:
• Fase iniziale;
• Fase della coltivazione;
• Fase della separazione;
• Fase della ridefinizione.
Fase iniziale
In questa fase ha inizio la relazione che diventa via via più importante sia per il
mentore che per il neofita. Il mentore inizia a mettere in atto tutte le funzioni,
come il coaching, il proporre sfide, e favorire la visibilità del nuovo collega.
Il neofita dal canto suo si affida al mentore, rendendosi disponibile a farsi
guidare, con un atteggiamento di fiducia e rispetto.
15
Fase della coltivazione
Nella fase della coltivazione vengono messe in gioco dal mentore tutte le
funzioni sia psicosociali che di carriera, per favorire lo sviluppo del nuovo
collega. È il periodo in cui la relazione si consolida e sia il mentore che il neofita
traggono beneficio da essa.
Aumentano le occasioni di interazione e l’intimità tra neofita e mentore.
Fase della separazione
È un periodo in cui vi è un considerevole cambiamento nella relazione, sia dal
punto di vista del ruolo delle due figure, sia dal punto di vista emozionale.
In questa fase diminuisce il desiderio del neofita di farsi guidare, e aumenta la
volontà di maggiore autonomia. Il mentore riesce perciò ad implementare meno
le funzioni psicosociali e di carriera.
Potrebbe essere che il neofita abbia ricevuto promozioni e che quindi le
occasioni di incontro tra i due diminuiscano.
Fase della ridefinizione
È un periodo, di durata indefinita dopo la separazione, in cui la relazione di
mentoring è finita e ha assunto altre caratteristiche, assomigliando sempre più a
una relazione tra pari. In questa fase diminuisce lo stress dovuto alla
separazione, e una nuova relazione si consolida. In essa vi sono sentimenti di
gratitudine e apprezzamento reciproco
7
.
16
Un nodo critico del dibattito presente in letteratura è quello relativo al carattere
informale e formale che la relazione di mentoring deve avere.
Tradizionalmente infatti la relazione di mentoring ha un carattere informale e
presuppone una auto-selezione, che sviluppa una specie di protettorato tra
mentore e neofita, portando quest’ultimo a lavorare sotto la supervisione del
mentore.
È perciò una relazione educativa che nasce sotto il segno della casualità, che fa
si che i soggetti coinvolti, si conoscano, si scelgano e si educhino
vicendevolmente
11
.
Alcuni sostengono che, non rispettare questa spontaneità, inficia le potenzialità
insite nella relazione, che nasce spontaneamente da una mutua attrazione e
sintonia.
Una consistente parte della letteratura, invece, sostiene che formalizzare il
processo di mentoring, risulta essere una strategia estremamente efficace e
produttiva per il neofita, per l’organizzazione e anche per il mentore.
A parere di chi scrive, l’attenzione che deve avere il manager che presidia tale
processo, è piuttosto relativa alla accurata individuazione di coloro che hanno le
potenzialità per svolgere il ruolo di mentore, alla loro formazione sulle
caratteristiche dell’apprendimento dell’adulto, nonché all’attenta assegnazione
delle coppi
Come vedremo meglio in seguito, in letteratura viene infatti affermato che
possono esistere mentori che non hanno le potenzialità per svolgere appieno il
loro ruolo, i quali possono essere addirittura controproducenti, ai fini
dell’inserimento lavorativo.
17
A tal proposito possiamo citare un recente studio, che andava a determinare
appunto quali strategie dovevano attuare i manager per individuare coloro che
potevano svolgere il ruolo di mentore e formare perciò le coppie più
appropriate.
Da tale studio è emerso che, se mentore e neofita si assomigliavano dal punto
di vista cognitivo, nella modalità di approccio al lavoro e in altri aspetti, la
relazione di mentoring sembra essere più efficace
3
.
Questo potrebbe essere un criterio da utilizzare, nel momento in cui dobbiamo
affiancare un neofita ad un esperto.
Tornando alla questione della formalizzazione o meno del processo di
mentoring, a parere di chi scrive, è opportuno andare sempre di più verso una
sua maggiore codificazione, per non lasciare il processo di sviluppo del
professionista, soprattutto in un momento delicato come quello iniziale, in
mano alla buona volontà dei protagonisti coinvolti e al caso.
Certo è da riconoscere la potenzialità e la forza che una relazione informale
determina: è però vero il fatto che, se sufficientemente presidiata e guidata,
anche una relazione forzata può essere efficace, soprattutto se si lascia la
libertà sia al neofita che al mentore di poter sospendere la loro interazione per
iniziarne un’altra con chi vi è un maggiore feeling.