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L’oggetto di studio: i concerti di massa
Per vari motivi sono sempre stato attratto da grandi fenomeni di
massa quali le manifestazioni politiche, gli avvenimenti culturali di rilievo,
tra cui i concerti, ma anche da tutta quella serie di avvenimenti che vedono
la partecipazione di un grande pubblico: manifestazioni sportive, spettacoli
in piazza, ecc.
I festival rock di grandi dimensioni nascono alla fine degli anni '60
da analoghe manifestazioni di jazz e blues, diventando presto "raduni di
massa", rassegne spettacolari dove si andava per ascoltare musica ma anche
per stare insieme, sfuggire alla routine quotidiana e fare nuove conoscenze.
Generalmente questi festival erano organizzati in coincidenza con le
vacanze estive, il che permetteva l’estendersi per più giorni delle attività
musicali e ricreative (musica e bellezze naturali). Col passare degli anni,
oltre all’aspetto culturale, si fa spazio un sempre più vasto business, legato
soprattutto alla crescente offerta dei media e dell’industria discografica.
Questi raduni rappresentano forme di espressione non solo musicale
o di divertimento: dal palco e dal pubblico prendono corpo anche messaggi
significativi di solidarietà o a carattere umanitario. Basti ricordare, a tale
proposito, il concerto Live Aid for Africa, svolto in contemporanea in
Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1985, il cui incasso fu devoluto alle
popolazioni africane. Questo aspetto non è sempre ricordato dall’opinione
pubblica, che preferisce spesso soffermarsi su problemi, disordini e morti,
aspetti purtroppo comuni a tutti gli avvenimenti di massa che coinvolgono
una folla.
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Due tragedie durante concerti di grandi dimensioni
Spesso l’opinione pubblica vede i fenomeni di massa, quali anche i
concerti, in maniera negativa. La causa di questo risiede probabilmente nel
ricordo di alcune tragedie occorse nel passato; tali tragedie, comunque,
purtroppo si verificano anche ai giorni nostri.
Tra tutti i tragici fatti legati ai concerti abbiamo scelto il più recente
(il concerto dei Pearl Jam a Roskilde 2000) e quello che nel passato è
rimasto più impresso nella memoria collettiva (il concerto degli Who a
Cincinnati nel 1979).
Cincinnati 1979
Il 3 dicembre 1979 circa 18000 persone si radunarono davanti alle
entrate del Cincinnati Riverfront Colisseum per assistere al concerto del
gruppo britannico Who, che, acclamatissimi, tornavano sulle scene dopo
cinque anni di assenza. Vista l’enorme importanza dell’evento e la voglia
di trovare un posto il più vicino possibile al palco, i fans della band si
misero in attesa fin dalle prime ore della giornata.
A poche ore dall’inizio del concerto scoppiò la tragedia.
Dopo la lunga attesa, quando finalmente alcune porte del Colisseum,
vennero aperte, la folla cominciò a spingere per entrare senza accorgersi di
coloro che cadevano e venivano calpestati. Morirono così 11 persone .
Dopo la tragedia la città di Cincinnati promosse un comitato di
cittadini per indagare sulle cause reali dell’accaduto. Dalle interviste ai
testimoni oculari emerge principalmente un problema di organizzazione
della sicurezza: i fan non erano stati incanalati, le porte di entrata non erano
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state tutte aperte e quelle aperte venivano chiuse e riaperte in continuazione
senza nessun criterio e senza che nessuno lo sapesse; infine, non c’era
nessuno che soccorresse i ragazzi caduti sopraffatti dalla spinta di quelli
nelle retroguardie.
Per offrire un’idea dell’orrore di quel giorno citiamo la testimonianza
di Ron Duristch, un sopravvissuto alla tragedia:
“Un’onda mi spinse verso sinistra e quando riguadagnai
l’equilibrio mi sembrava di essere in piedi sopra qualcuno.
L’impossibilità di agire e la frustrazione di questo momento mi
mandarono nel panico. Urlai con tutta la mia forza che ero in
piedi sopra a qualcuno. Non mi potevo muovere. Potevo
solamente urlare. Venne un’altra onda e mi spinse ancora di
più a sinistra verso la porta. Sentii la mia gamba tirata verso
destra, la folla si divise nuovamente, mi abbassai e raggiunsi
un braccio attaccato alla mia gamba. Lottai per un po’ e alla
fine raccolsi una ragazzina che aveva anche un ragazzino che
aggrappato ai suoi fianchi. Erano entrambi semicoscienti e
avevano gli occhi pieni di lacrime .”
L’assemblea dei cittadini della città di Cincinnati, dopo aver rilevato
che la tragedia era stata causata dalla mancanza di organizzazione nella
sicurezza, istituisce la “Task Force on Crowd Control and Safety”. Questa
task force doveva trovare la maniera di rendere più sicuri i futuri concerti al
Riverfront Coliseum e nelle altre città. Nel 1980 pubblicarono un
documento con delle direttive per quanto riguarda il controllo della massa e
alcuni dei suggerimenti forniti dalla task force sono oggi incorporati nella
legislazione e pianificazione delle assemblee pubbliche degli Stati Uniti
d’America.
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Nonostante l’attenzione per la sicurezza sia diventata una causa
importante per gli organizzatori di concerti, però, i fan continuano a morire.
• 28 dicembre 1991 al City College di New York al concerto dei rappers
Sean “Puffy” Combs e Havy Dwight “Havy D” Mayers si ha il tutto
esaurito e i fan rimasti senza biglietto fanno irruzione causando 9 morti
e 29 feriti.
• 8 novembre 1997 a Santos prima del concerto della band popolare “Os
Raimundos” un’impalcatura crolla provocando la morte di 8 ragazzi e
ferendone altri 55.
• 30 maggio 1999 a Minsk (Bielorussia) muoiono 54 persone schiacciate
dalla calca di persone che cercava un riparo dal temporale durante il
concerto del gruppo russo “Mango Mango”.
Roskilde 2000
A Roskilde, nelle campagne della Danimarca, da anni ormai ha
trovato spazio il grande Festival Rock, il più famoso dei mega raduni
europei, che per anni è stato l’evento più importante grazie anche alle
misure di sicurezza (nel ’97 gli organizzatori hanno preferito abbassare il
numero di ospiti da 100.000 a 80.000) (vedi Offeddu, 2000; Videtti, 2000).
Nonostante ciò, il 30 giugno 2000, davanti agli occhi del gruppo
americano Pearl Jam, otto persone muoiono schiacciate dalla folla; un’altra
morirà qualche giorno dopo in ospedale.
Davanti a quel palco, in mezzo al fango e sotto la pioggia ci sono
circa 60.000 persone; ad un tratto nelle prime file si scorge un spazio libero
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e i fan, per vedere meglio il gruppo che suona, cominciano a spingere. I
ragazzi che sono davanti vengono spinti contro le transenne (che sono state
sistemate così proprio per evitare problemi) per poi scivolare nella melma e
venire schiacciati da chi li segue. Gli unici che si rendono veramente conto
di ciò che sta succedendo sono i membri del gruppo; sul palco Eddie
Vedder (il cantante) interrompe una canzone per chiedere a tutti di fare tre
passi indietro, ma tra tutte quelle persone quasi nessuno capisce veramente
quello che sta succedendo. Alla fine il gruppo interrompe il concerto e
abbandona il palco in lacrime. Per quei ragazzi non era più possibile fare
nulla. Il Festival rock però nei giorni seguenti continua, anche se alcuni
gruppi rifiutano di esibirsi.
Qualcuno dei ragazzi che si trovavano nelle prime file è riuscito a
venirne fuori, ma l’orrore di quei momenti è rimasto per sempre impresso
nella sua mente:
Johanna “volevo raggiungere le prime file, ma sono
scivolata insieme ad altri, sentivo gente che mi calpestava, non
respiravo più ed ero terrorizzata, poi sono riuscita ad alzarmi e
ho aiutato qualcun altro a farlo, mi sono trascinata fino al bar
di fianco al palco urlando che dei ragazzi erano rimasti là
sotto…”
DanielM71 “giovedì sera ero in prima fila al concerto
dei Nine Inch Nails. Tutto tranquillo. Venerdì ero allo stesso
posto ma eravamo dieci volte di più. Troppi. Il servizio di
sicurezza avrebbe dovuto farlo presente, invece ha lasciato che
tutto andasse avanti. I Pearl Jam sono entrati in scena e già
dopo l’esecuzione di Corduroy faticavo a stare in piedi. I
ragazzi del servizio d’ordine inizialmente hanno cercato di
aiutarci, poi si sono stancati e hanno lasciato perdere.
Nell’intervallo delle canzoni cercavo di urlare a Vedder che la
situazione era critica, che avevamo bisogno di essere aiutati.
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Ma c’era troppo rumore perché lui sentisse. Dopo MFC è
arrivata un’ondata violenta che ha spinto un sacco di gente
proprio nel punto in cui altri erano caduti. Sono caduto
anch’io. La mia gamba destra è rimasta immobilizzata, avevo
4, 7 persone addosso e ho pensato, ce la farò o morirò? Dopo
due o tre canzoni, qualcuno è arrivato e mi ha tolto la gente di
dosso. Sono stato sollevato da un ragazzone. Al quale
probabilmente devo la mia vita(…)”
Sverre “era da almeno tre ore che aspettavamo i Pearl
Jam e quando sono arrivati abbiamo cercato di farci sotto il
palco. Aveva appena smesso di piovere dopo tre giorni di
diluvio, così eravamo tutti in un mare di fango. C’era
tantissima gente, ho sentito che cominciavano a spingere come
matti. Prima di arrivare sotto il palco ci sono quelle tre –
quattro transenne a serpentina e i ragazzi davanti si sono
ammucchiati lì. La musica era altissima come adesso, non ci
siamo accorti di nulla. Io ho dato un paio di gomitate, sono
riuscito a respirare un poco. Poi ho alzato gli occhi e ho visto i
“Pearl” che gesticolavano dal palco. Non suonavano più, con
le mani facevano cenno di andare indietro. Pensavamo che
scherzassero, poi abbiamo visto le loro facce spaventate nei
maxi-schermi a fianco del palco e abbiamo capito che era
successo qualcosa di grave. -sono caduti!- ha gridato una
ragazza vicino a me. Poi si è fatto un silenzio incredibile. E la
folla si è aperta. Ho visto un ragazzo steso, tutto ricoperto di
fango e un vigilante con il grembiule arancione che gli faceva
il massaggio al cuore. Meno male che la davanti non c’ero io,
ho pensato.”
Il 1979 e il 2000 sono purtroppo due date indicative di una triste lista
di eventi drammatici verificatisi in relazione al mondo dei concerti. Molto
spesso, morti e feriti sono dovuti all’organizzazione degli eventi (che non
sempre riesce ad assicurare un tranquillo svolgimento dello spettacolo)
all’inadeguatezza degli spazi, a fenomeni di caos tra il pubblico dovuti ad
esempio a black out o temporali improvvisi..
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Queste tragedie però sono spesso interpretate dai media e di riflesso
dall’opinione pubblica come l’ennesima prova della brutalità della massa.
Spesso si dimentica che i bilanci di queste tragedie sarebbero stati ben
peggiori senza il soccorso reciproco e la solidarietà che sorgono
spontaneamente da situazioni di questo tipo. La massa viene cioè vista
unicamente in modo negativo, senza far riferimento all’aiuto reciproco che
regolarmente emerge durante queste tragedie.
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Capitolo 2.
Teorie classiche sulla massa
Lo studio delle masse nasce nel secolo scorso, quando il fenomeno
delle grandi masse urbane e suburbane assume dimensioni eccezionali.
Le grandi masse considerate sono quelle dei manifestanti e degli
operai in lotta contro la propria precaria situazione economica; lo scenario
è quello della grande industrializzazione tra il XIX e il XX secolo, degli
inurbamenti e degli accesi conflitti sociali in Europa e in Nord America.
Il comportamento delle folle non era visto però come il prodotto di
una situazione da storicizzare, ma diventava un qualcosa di reale che
poteva esser alternativamente attribuito alla natura individuale o ad una
mente collettiva.
Possiamo classificare gli studi precedenti la teoria della
categorizzazione di sé in tre gruppi: 1) i pre-sperimentalisti (Le Bon
,McDougall e Freud), 2) i sostenitori dell’individualismo (maggior
esponente fu Floyd Allport) e 3) gli psicologi sociali cognitivi (Sherif,
Asch e Lewin).
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Le Bon, McDougall e Freud: le origini
Le Bon, con “The crowd-a study of the popular mind” [La folla-uno
studio della mentalità popolare] (1895) svolse una grande opera di
divulgazione dello studio delle folle.
Quello di Le Bon non era uno studio disinteressato: egli infatti, era
fortemente impegnato sul piano politico a fronteggiare l’attivismo delle
masse popolari e socialiste. Significativo su questo piano è
l’apprezzamento per le sue teorie da parte di Göbbels e Mussolini; per
quest’ultimo le idee di Le Bon furono utili per la creazione dello stato
fascista in Italia.
Secondo il pensiero di Le Bon i membri della folla perdono la loro
personalità quando si assemblano in massa e regrediscono a uno stato di
inconscio razziale primitivo. Gli individui che entrano a far parte di una
folla scendono diversi gradi sul piano della civilizzazione e il
comportamento della massa, come risultato, ha carattere distruttivo,
irrazionale e impulsivo. Con questa teoria si pone una netta distinzione tra
l’individuo singolo razionale e l’individuo appartenente a una massa, visto
come impulsivo, inaffidabile e violento, totalmente “immerso” nella folla,
in balia delle emozioni della moltitudine, a quella “plebaglia” tanto temuta
dalle classi dominanti.
Gli eventi che Le Bon prende in analisi sono prima di tutto scontri tra
gruppi, masse di scioperanti o fazioni politiche, e le forze dell’ordine. Egli
tuttavia, tende a decontestualizzare la massa e ad analizzarla in una
condizione di vuoto sociale. In questo modo, solleva da ogni responsabilità
lo sfondo sociale generale e le azioni immediate delle forze dell’ordine.
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Secondo questa visione dei fatti la folla è l’unica responsabile della
violenza, e l’unica risposta appropriata è la repressione dato che la violenza
è una caratteristica intrinseca della massa.
Una successiva ricerca storica più approfondita ha invece dimostrato
come, nella maggioranza dei casi, gli scontri ebbero inizio proprio a causa
dell’intervento delle forze dell’ordine. Se l’outgroup, ovvero le forze
dell’ordine, non compare nell’analisi dei disordini, resta l’idea della folla
come violenta e in preda ad una patologia distruttiva; di conseguenza, sul
lato pratico, si nega l’ascolto alle masse popolari, e l’unico intervento da
parte delle autorità resta la repressione. La folla, secondo questo punto di
vista, è un’entità che manterrà sempre le medesime caratteristiche in
qualsiasi contesto, non solo quando protesta.
Questi fenomeni erano teorizzati da Le Bon in base alla legge
dell’unità mentale delle folle, secondo la quale la psicologia delle folle è
qualitativamente diversa dalla psicologia degli individui che la
compongono. La mente di gruppo esprimerebbe le qualità inconsce della
razza.
Questo avverrebbe mediante tre processi:
- il processo di “deindividuazione”: la perdita dell’identità
individuale, accompagnata dalla diffusione di responsabilità;
all’individuo persa la sua identità, non restano più freni inibitori e
l’unica espressione possibile resta quella legata ai comportamenti più
bassi legati all’istintualità.
- Il “contagio”, che riguarda il diffondersi tra gli elementi della
folla di azioni ed emozioni mediante imitazione reciproca, arrivando ad
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un’uniformità che trascende ed è funzionale alla soddisfazione di
bisogni collettivi.
- La “suggestione”, il processo che sta alla base del contagio, è
l’accettazione irrazionale di influenze esterne all’individuo, quasi una
perdita di volontà mediante ipnosi o fenomeni “mesmerici”.
La folla, sulle basi di quanto detto, non agirà secondo logica, ma farà
riferimento a immagini e a slogan ripetuti; infine secondo Le Bon resta il
concetto che la mente collettiva della massa esprimerà i valori più o meno
alti della nazione, civiltà o razza di cui è espressione.
Secondo McDougall (1921), di cui ricordiamo l’opera principale
“The group mind” [La mente di gruppo], è importante risolvere il
paradosso che nasce dal fatto che le folle possono essere migliori o
peggiori degli individui che le compongono. Egli nota come la folla possa
essere brutale a causa di un abbassamento qualitativo delle capacità mentali
e di una aumentata impulsività; eppure, le più alte espressioni etiche,
artistiche e scientifiche sono il prodotto dell’essere sociale dell’uomo. La
spiegazione di questa controversia è che la società, per McDougall, è
costituita dal sistema di relazioni esistente tra le menti individuali, relazioni
che in base al loro grado di organizzazione possono dare una mente
collettiva più o meno sviluppata.