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Capitolo 1
Introduzione
1.1 Cenni generali
Il brusone del riso, in inglesericeblastdisease, è una malattia il cui agente eziologico,
Pyriculariaoryzae, può colpire anche molte altre graminacee, tra cui orzo e frumento.
Il brusone è presente in oltre 80 paesi nel mondo e provoca ogni anno perdite che
vanno dal 10 al 30% della produzione di riso a livello mondiale; non sono da trascu-
rare anche i costi legati alla ricerca e alla protezione delle colture, che, nei paesi
sviluppati, possono arrivare a superare le perdite. (Talbot, 2003)
Su scala globale è previsto un raddoppio nella richiesta di riso entro l’anno 2050.
Considerato che questo cereale rappresenta la principale fonte alimentare per molti
paesi in via di sviluppo e che la produzione media per ettaro è quasi il doppio
rispetto a quella del grano, sarà indispensabile trovare nuove strategie per incre-
mentare la produzione e contenere le perdite, gran parte delle quali sono dovute al
brusone (EnteRisi, 2018b). Per fare un esempio concreto e recente, uno studio con-
dotto dall’University of Arkansas ha dimostrato come la risoluzione del problema
del brusone nelmid-west americano porterebbe quasi 70 milioni di dollari in più agli
agricoltori e una diminuzione delle perdite tale da poter sfamare un milione di per-
sone in più (Nalley et al., 2016). Da questi pochi elementi si può certamente cogliere
l’importanza della ricerca su questo patogeno.
La malattia in questione può colpire ogni parte aerea della pianta: colletto, culmo,
pannocchia e cariossidi (in alcuni casi il patogeno può penetrare anche attraverso
l’apparato radicale). I sintomi a livello di foglie e culmo sono necrosi a forma ellittica,
allungata, che si estendono seguendo la nervatura, di norma di lunghezza massima
compresa tra 1 e 2cm. Verso il centro, la macchia necrotica assume una colorazione
grigiastra, mentre sui bordi è solitamente di color marrone-rossastro. L’attacco pre-
coce a livello del culmo, inoltre, può far disseccare l’intera pianta. Nel caso di attacco
tardivo, le perdite possono essere comunque ingenti per il disseccamento della pan-
nocchia e la conseguente mancata maturazione, fenomeno comunemente chiamato
“mal del collo”.
2 Capitolo 1. Introduzione
1.2 Il patogeno
Il microorganismo responsabile del brusone del riso è il fungo ascomicetePyricularia
oryzae (sin. Magnaportheoryzae).
Il comportamento parassitario di questo organismo è di tipo emibiotrofico; ciò
significa che nel momento successivo all’infezione esso si comporta da biotrofo, sop-
primendo il sistema immunitario della pianta, per poi passare alla fase necrotrofica,
caratterizzata dall’iperproduzione di ROS, morte cellulare e formazione delle strut-
ture riproduttive del patogeno.
Una caratteristica fondamentale ai fini dello studio di questo patogeno è la sua
capacità di crescere in vitro. In questo modo diversi ceppi possono essere caratter-
izzati anche morfologicamente e possono essere effettuati test di crescita in diverse
condizioni; il tutto senza la necessità di inoculare il patogeno nella pianta.
1.2.1 Ciclo biologico
L’agente del brusone si riproduce e si diffonde prevalentemente per via asessuata;
la diffusione avviene spesso per azione dell’acqua libera o del vento e le strutture
coinvolte in tale processo sono i conidi. I conidi sono piriformi o clavati, di norma
composti da tre cellule (trisettati)(Talbot, 2003). Essi svernano nei residui colturali
dell’anno precedente, non possedendo strutture abbastanza resistenti per svernare
altrove.
P. oryzae è un patogeno policiclico e per questa caratteristica il patogeno è peri-
coloso non tanto all’inizio del ciclo, quando la quantità di inoculo solitamente è mod-
esta, quanto nel momento in cui il riso è in piena stagione vegetativa. Le condizioni
ambientali ideali affinchèP.oryzae avvii il processo infettivo possono essere così ria-
sunte (Nalley et al., 2016)(Rajput et al., 2017):
• Temperature comprese tra 14°C e 28°C (T minima di vegetazione = 10°C, T
ottimale di crescita=28°C);
• umidità relativa superiore all’80%;
• Presenza di acqua libera per 12-14 ore continuative.
Considerato ciò, le condizioni ottimali per la diffusione della malattia, nei nostri
ambienti, si verificano quindi tra luglio e settembre, dalla levata alla maturazione,
quando alte temperature, vento e piogge estive favoriscono il rilascio, la diffusione
e la germinazione delle spore.
1.2.2 Il processo d’infezione
Per iniziare il processo infettivo, le spore di Pyricularia devono trovarsi su una su-
perificie altamente idrofobica, rappresentata usualmente dalla cuticola cerosa della
lamina fogliare. Una volta riconosciuta la superficie, in presenza di acqua libera,
1.2. Il patogeno 3
dall’apice conidiale viene rilasciato un insieme di sostanze collose chiamato “spore
tip mucilage”, che consente al conidio di saldarsi fermamente al tessuto e, succes-
sivamente, permette la crescita del tubulo germinativo. È stato dimostrato (Yan
and Talbot, 2016) che la sostanza collosa secreta dalla spora in fase di germinazione
possiede una struttura disordinata pseudo-amiloide e che essa si forma tramite l’interazione
di idrofobine (a struttura fibrillare) e cutinasi.
FIG. 1.1: CiclobiologicoeprocessodiinfezionediPyriculariaoryzae
WilsonandTalbot,2009
Una volta formatosi il tubulo germinativo, esso cresce sino a quando stimoli
fisici, come durezza e idrofobicità della superficie, fanno sì che venga sviluppato
l’appressorio. Al contempo, per ottenere nutrimenti, il conidio viene “svuotato”
tramite un processo autofagico. L’appressorio è una struttura fondamentale all’intero
processo infettivo; mutanti per geni che codificano proteine essenziali allo sviluppo
funzionale dell’appressorio non riescono a perforare la membrana dell’ospite, per
cui perdono la loro virulenza. Esso consiste in una cellula avente la forma di una
cupola; alla base la membrana è più sottile, specialmente in corrispondenza del poro
che costituirà la porta d’ingresso del patogeno nell’ospite. Lungo la parte semisfer-
ica, invece, la membrana possiede uno spesso strato di melanina (nel lato interno
alla cellula), il quale non permette l’efflusso di soluti. La sua utilità risiede nella
necessità dell’appressorio di aumentare la propria pressione interna mediante un
processo osmotico durante il quale grandi quantità di glicerolo (soluto), vengono
accumulate all’interno della membrana, in modo tale da consentire l’ingresso di ac-
qua (solvente). Al termine di tale processo la pressione interna giunge sino a 8MPa
(circa 80atm) (Foster et al., 2017) e dal poro alla base dell’appressorio un’ifa atta
alla penetrazione(chiamata “stiletto di penetrazione”), sfruttando la forza generata,
rompe i tessuti sottostanti e invade la prima cellula dell’ospite.
Dopo che il fungo è entrato nella prima cellula epiteliale della pianta di riso, esso
sviluppa un micelio bulboso e ramificato in grado di invaginare la membrana cellu-
lare; da qui inizia il processo biotrofico durante il quale P .oryzae colonizza i tessuti
4 Capitolo 1. Introduzione
dell’ospite, nutrendosi a spese della pianta senza danneggiare i tessuti, ma modifi-
cando il metabolismo e comunicazione cellulare attraverso la secrezione di proteine
effettrici. La superficie di scambio tra pianta e fungo è costituita da una membrana
vegetale modificata, chiamata biotrophic interfacial complex o “BIC” (Yan and Talbot,
2016). Successivamente, la crescita delle ife fungine per la propagazione da cellula a
cellula avviene attraverso i plasmodemi. La formazione della macchia necrotica in
corrispondenza del sito di attacco ha inizio mentre ai margini della lesione il fungo
è ancora in attiva crescita, ed è causata dalla secrezione di tossine (Tsurushima et al.,
2010). In corrispondenza della macchia avviene la sporulazione, con la produzione
di ife conidiofore portanti sino a 20 conidi ciascuna. In ogni caso, la produzione
dei conidi avviene per la maggior parte in presenza delle condizioni adatte, ovvero
alta umidità e bassa presenza di luce. Il processo può durare molte ore (TeBeest and
Ditmore, 2007). la diffusione, che avviene solitamente dalle prime ore della giornata
sino a mezzogiorno, è svolta principalmente dal vento (TeBeest and Ditmore, 2007).
Normalmente, dopo 15 giorni, ogni lesione è in grado di produrre dalle 2000 alle
6000 spore al giorno (Suzuki, 1969).
1.3 Mezzi di lotta
1.3.1 Pratiche agronomiche per il contenimento del brusone
Alcuni accorgimenti preventivi possono ridurre l’incidenza della malattia in campo
(Allen Wrather, 2009):
• Come già detto in precedenza, i conidi svernano sui residui delle colture prece-
denti; rimuovere, interrare o sminuzzare i residui colturali è un’operazione
utile a contenere l’inoculo per la coltura successiva. Anche le rotazioni coltur-
ali sono utili allo stesso scopo;
• La semina anticipata o scalare può essere utile per evitare i periodi di massimo
rischio;
• Carenze o eccessi di azoto aumentano la suscettibilità della pianta; al contempo
la produttività del riso è altamente influenzata dalla quantità di azoto disponi-
bile, per questo è importante una scelta calibrata della dose;
• Altri accorgimenti utili a ridurre l’incidenza del brusone sono una corretta den-
sità di semina, il controllo delle acque in risaia e l’uso di varietà resistenti.
1.3.2 Mezzi chimici
Le possibili tecniche di applicazione di fungicidi per la lotta al brusone sono tenden-
zialmente di due tipi: la prima consiste nella concia dei semi per prevenire attacchi