5
D’altra parte il vantaggio mutualistico, quando realmente esiste, non sempre
deriva direttamente dal rapporto di società o dallo status di socio (ad es. le
cooperative spurie). Ciò ha un significato proprio in tema di aziende bancarie dove
il diritto al credito risponde a criteri ferrei di rischio, in parte codificati dalle Istruzioni
di vigilanza della Banca d'Italia. Inoltre la struttura cooperativa ben si concilia con
le nuove forme della democrazia capitalistica, consistenti in un azionariato diffuso e
non asservito al capitale di comando, perseguita grazie a tetti partecipativi.
Le banche popolari rappresentano una realtà rilevante del sistema bancario
italiano soprattutto per la loro distribuzione sul territorio nazionale che si riverbera nel
loro peso per lo sviluppo delle economie locali.
Questo lavoro persegue l’obiettivo di fornire un quadro complessivo dell’attuale
disciplina delle banche popolari e delle possibili evoluzioni che la forma giuridico-
istituzionale potrebbe assumere in conseguenza di importanti provvedimenti
legislativi.
Il lavoro si sviluppa su quattro capitoli in cui si è cercato di esaurire tutti gli
aspetti più discussi e più rilevanti della disciplina delle banche popolari.
Il primo capitolo funge da breve introduzione sull’origine della cooperazione di
credito e delle banche popolari, sulla loro specifica natura di banche locali e sulle
specificità che si riconoscono al modello “banca popolare”. Con questo si intende che
il modello di proprietà e controllo della banca popolare rappresenta un interessante
caso di società di persone, impegnata in un’attività economica peculiare, quella
bancaria, che deve raccogliere quote crescenti di capitale di rischio. In tal modo, si
giunge a una fisionomia evoluta della cooperativa bancaria, in cui alla semplice
organizzazione aziendale dominata dalla figura unica del socio lavoratore-cliente
subentra un’impresa nella quale l’assetto della proprietà e del controllo è di tipo
composito, dovendo regolare - sulla base rimasta inalterata del principio del voto
capitario - l’interazione di almeno quattro soggetti economici diversi
2
, anche se
accomunati dal comune status di socio: i controllanti, i dipendenti, i finanziatori, gli
2
Situazione definita “quadrato magico”, cfr. Masciandaro, “La specificità delle banche popolari”, Quali banche in
Italia, a cura di Riolo e Masciandaro, Secondo rapporto sul Sistema Finanziario italiano, Milano, Edibank, 1996.
6
utenti.
Il secondo capitolo è strutturato seguendo l’articolazione delle norme che hanno
regolato e che regolano la disciplina delle banche popolari. Si è cercato di esaminare
le radici costituzionali della disciplina delle banche popolari, analizzando con
attenzione il dettato dell’articolo 45 della carta fondamentale dello Stato. In
particolare si è data molta rilevanza al carattere del mutualismo che ha inevitabilmente
condizionato l’operato dei legislatori e che, tuttavia, oggi è decisamente assente dagli
statuti di molte delle banche popolari operanti, soprattutto quelle quotate.
In seguito sono stati analizzati i fondamenti civilistici della disciplina in
questione, osservando che - in quanto società cooperative esercenti il credito - le
norme del codice civile sono state in molti casi non applicate e integrate da quelle
dettate dal Testo unico bancario del 1993. Al Testo unico bancario è stata dedicata
molta attenzione, soprattutto con riferimento agli aspetti peculiari della disciplina delle
popolari quali il voto capitario, il limite al possesso azionario, il limite alla raccolta
delle deleghe di voto e il principio del capitale variabile.
Il capitolo si chiude con un paragrafo relativo ai cambiamenti che saranno
apportati dalla riforma del diritto societario, in vigore dall’inizio dell’anno 2004, e agli
effetti che questi avranno sulla disciplina delle banche popolari e delle società
cooperative in genere.
Il terzo capitolo è quello che più compiutamente risponde agli obiettivi
prefissati grazie all’analisi dei progetti di legge allo studio di Camera e Senato, delle
dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia e delle iniziative dell’Associazioni
degli azionisti delle banche popolari. Il punto di partenza dell’analisi è fornito
dall’esigenza di garantire continuità a questi istituti senza che vengano sopraffatti da
processi di concentrazione troppo aggressivi, che li portino a una completa
spersonalizzazione e alla perdita del contatto con l’economia locale.
Contemporaneamente si avvertono da più fronti anche esigenze di maggiore
capitalizzazione e di coordinamento tra le norme attuali e le esigenze delle popolari
quotate. Per attuare queste duplici richieste sono state prospettate diverse soluzioni di
7
cui si sono analizzati gli aspetti positivi e negativi. Viene riportato anche un estratto
del testo della petizione rivolta al Parlamento Europeo d’iniziativa dell’Associazione
degli azionisti delle banche popolari (Asnapop) e le relative motivazioni.
Infine la trattazione si conclude al quarto capitolo con lo studio della corporate
governance delle banche popolari. In primo luogo si è cercato di fornire una
spiegazione dei meccanismi di corporate governance delle imprese in generale e delle
aziende di credito in particolare. Inoltre è stato esaminato uno studio sui possibili
modelli di integrazione fra le categorie di soci delle banche popolari: si è dimostrato
che la separazione tra proprietà e controllo che si realizza nel modello di banca
popolare e la fisiologica eterogeneità delle figure di socio propongono la questione
del trade-off tra certezza e correttezza del controllo della banca. I soci controllanti si
trovano dinnanzi un sistema di relazioni societarie e di interessi eterogenei talvolta
incompatibili, svolgendo nel contempo un’attività di offerta di servizi sui mercati
bancari e creditizi, in cui la pressione competitiva sarà funzione del grado di
concorrenzialità dei mercati stessi. La certezza del controllo verrà a dipendere dal
livello di consenso ottenibile dai controllanti; il consenso, a sua volta, dipenderà da
come le scelte strategiche potranno soddisfare i seguenti requisiti strutturali: il livello
di redditività pro-capite e il livello di coincidenza tra le diverse figure di socio
(utente, finanziatore, lavoratore).
Le due condizioni - redditività e composizione eterogenea ma non polarizzata
del corpo sociale - appaiono contemporaneamente necessarie e dalla loro
soddisfazione dipende la stabilità del gruppo di controllo.
8
CAPITOLO 1
LE BANCHE POPOLARI
1.1 L’industria bancaria italiana
Nel corso degli anni ottanta il sistema bancario italiano è stato definito una
“foresta pietrificata”
1
. In effetti per anni il nostro sistema bancario è stato
condizionato da una legislazione fortemente statica che ne ha impedito lo sviluppo.
Le cose sono cambiate all’inizio degli anni ’90 quando da un sistema composto
prevalentemente da soggetti pubblici, segmentato in specializzazioni rigide sul piano
temporale e funzionale, non avvezzo alla concorrenza, si è passati ad un sistema di
imprese ridotto nel numero per effetto di aggregazioni, quasi interamente
privatizzato, reso efficiente e redditizio da ristrutturazioni ed espansioni delle reti
commerciali in un vivace regime di concorrenza.
Contemporaneamente, negli ultimi vent’anni, il sistema economico mondiale è
stato caratterizzato da una grande molteplicità di cambiamenti che ne hanno
profondamente modificato tanto la struttura quanto il funzionamento. Tali evoluzioni
sono generalmente note con la denominazione di “globalizzazione economica”.
Concretamente con l’espressione “economia globale” si intende la crescente
interdipendenza e integrazione economica tra le nazioni di tutto il pianeta attraverso
l’aumento del volume e della varietà nelle transazioni di capitali, beni, servizi, e la
multipolarizzazione del sistema produttivo dovuta a una più rapida e ampia diffusione
della tecnologia
2
.
Il sistema finanziario, in virtù della progressiva deregolamentazione normativa
e dei concomitanti sviluppi tecnologici nel campo dell’informatica e delle
comunicazioni, è probabilmente il settore economico che maggiormente sta
caratterizzando e definendo gli attuali mercati globali. La liberalizzazione dei
movimenti di capitali e la capacità degli stessi di fare astrazione dalla dimensione
1
Messori, Oltre la foresta pietrificata, Milano, Il sole 24 ore, 2000.
2
Stornello, La banca tra mercato ed etica, Torino, Utet, 2001.
9
territoriale ha infatti esponenzialmente accresciuto le dimensioni, gli impatti e il
potere dei mercati finanziari, sottoponendo però, nello stesso tempo, gli operatori del
comparto a un intenso processo di ristrutturazione e ricomposizione
3
.
In particolare, per quanto riguarda le evoluzioni che hanno coinvolto il sistema
bancario internazionale e nazionale, la principale dinamica operata dalle forze della
globalizzazione è quella che sta conducendo a una riduzione del numero dei soggetti
che sono in grado di stare sul mercato, comportando una sempre maggiore
concentrazione all’interno del sistema creditizio. Tutto ciò ha come impulso
generatore l’aumento della concorrenza che esercita un meccanismo di selezione
naturale.
Concentrando l’attenzione sul sistema bancario italiano possiamo osservare che
anche in questo contesto, si assiste a un radicale processo di ristrutturazione e
ricomposizione. Nell’ultimo quinquennio del secolo scorso le fusioni e le acquisizioni
tra banche hanno rappresentato quasi il quaranta per cento dell’intero valore di queste
operazioni in ogni campo di attività. I gruppi creditizi italiani sono aumentati nello
stesso periodo, in numero e dimensioni.
Analizzando l’aspetto e la composizione dell’industria bancaria italiana, dal
punto di vista di quelle che sono le maggiori imprese per dimensioni e per
reputazione internazionale, emerge che le banche in questione sono giganti in
un’ottica nazionale, nani rispetto a una prospettiva europea
4
.
Questa circostanza può essere il riflesso che il quadro legislativo, cui sono state
sottoposte per anni le imprese bancarie italiane, ha prodotto sull’organizzazione e il
funzionamento del sistema.
La Legge bancaria del 1936, emanata con l’intento di rimediare al grave
dissesto che si era creato nel nostro sistema bancario nel corso degli anni trenta, ha
perseguito obiettivi di stabilità piuttosto che di efficienza. Il comparto bancario è
stato allora sottoposto a una regolamentazione che ha privilegiato le esigenze
3
Masciandaro, La banca invisibile, Milano, Il sole 24 ore, 2001.
4
Masciandaro, La banca invisibile, 2001, op. cit.
10
macroeconomiche piuttosto che l’efficienza gestionale e allocativa delle singole
banche.
Nell’ambito del diritto bancario negli ultimi quindici anni si è assistito ad
un’attività legislativa molto intensa. Sono entrati in vigore un’ottantina di
provvedimenti. Questi provvedimenti sono stati raccolti nella nuova legge bancaria,
entrata in vigore il 1° gennaio del 1994. Le principali modifiche che la nuova legge
ha apportato possono essere così sintetizzate:
à l’attività bancaria ha carattere d’impresa e come tale deve sottostare alle
regole della concorrenza. Il Testo unico affianca alla cultura della stabilità, la
cultura della concorrenza sempre anteponendo, tuttavia, la tutela del
risparmio, cardine assoluto dell’ordinamento;
à si introduce una nuova filosofia della vigilanza e della regolazione basata su
controlli prudenziali;
à si attua la privatizzazione del sistema bancario.
Da un sistema rigidamente governato al centro si è passati ad un sistema più
libero e concorrenziale, in cui spetta alle forze di mercato auto-organizzarsi e
scegliere la propria missione. Una concezione del sistema bancario meccanicistica è
stata sostituita da un’impostazione evoluzionistica e dinamica
5
.
Coerentemente con l’obiettivo di incentivare lo sviluppo delle cosiddette
“banche universali”, che sono in grado di offrire una gamma completa di servizi e di
prodotti, e di superare la “specializzazione istituzionale”, dettata dalla normativa del
1936, si è proceduto a una drastica riduzione delle categorie giuridiche in cui erano
precedentemente suddivisi i vari istituti bancari e da cui discendevano le peculiari
capacità operative.
In pratica si è riordinato il sistema bancario sostanzialmente sotto due
principali categorie giuridiche, sulla base del loro assetto proprietario: le società per
azioni e le cooperative per azioni a responsabilità limitata. Nella seconda specie
5
Affinito - Reviglio, Banche d’Italia, Milano, Il sole 24 ore, 1998.
11
confluiscono le banche popolari e quelle di credito cooperativo, che continuano a
essere soggette a vincoli in materia di struttura, operatività e competenza territoriale,
confermandone il tradizionale carattere mutualistico e la connotazione locale
6
.
Il processo di ristrutturazione e concentrazione del sistema con il conseguente
aumento della concorrenza e le nuove modalità di offerta che si avvalgono delle
nuove tecnologie, rappresentano due facce della stessa moneta; se l’una tende ad
eliminare agenti capaci di stare sul mercato, l’altra può rappresentare un fattore di
successo anche per le banche più piccole con tendenze al localismo.
Secondo l’opinione di autorevoli autori, le possibilità offerte dagli innesti della
nuova economia sul tessuto produttivo e distributivo nazionale rappresenteranno
un’occasione enorme per le imprese, e quindi per l’Italia, per compiere progressi
rilevanti in termini di creazione di valore
7
. Se tale è la prospettiva ci si chiede quale
possa essere il ruolo delle banche, e in particolare delle banche locali.
Lo sviluppo dell’economia italiana non può prescindere da una crescita solida e
sostenibile del tessuto delle piccole e medie imprese. E sono proprio le banche locali,
identificate in larga parte con le banche popolari, le maggiori interlocutrici delle pmi
8
.
Per questo motivo negli ultimi anni la categoria delle banche popolari è stata oggetto
di numerosi dibattiti e di progetti di legge che cercano di favorirne e garantirne lo
sviluppo e la continuità imprenditoriale.
1.2 Breve storia delle Banche Popolari
La cooperazione di credito, fenomeno propulsore della nascita delle banche
popolari, ha origine nel corso del 1800 in Germania, come meccanismo di contrasto
dell’usura e come strumento di accesso al credito anche da parte dei meno abbienti.
Le banche popolari e le casse rurali e artigiane, oggi banche di credito
cooperativo, traggono la loro origine dagli studi e dalle azioni di giuristi e uomini
6
Stornello, La banca tra mercato ed etica, 2001, op. cit.
7
Masciandaro, La banca invisibile, 2001, op. cit.
8
Pmi = piccole medie imprese.
12
politici, rispettivamente Franz Herman Schulze e F. Wilhelm Raiffeisen, nel periodo
compreso tra il 1849 e il 1850. Come ricordato, i motivi per cui si sono creati questi
organismi sono sostanzialmente due: combattere l’usura che colpiva soprattutto le
classi più povere e dare la possibilità anche alle più modeste categorie economiche
produttive di avvalersi di validi organismi di erogazione del credito
9
.
Proprio per questo viene scelta la forma associativa della cooperazione di
credito, ritenuta la più adatta a raccogliere i modesti mezzi finanziari degli associati, a
consentire una migliore remunerazione ai piccoli risparmiatori e a procurare il
capitale ai piccoli imprenditori alle condizioni più favorevoli, escludendo perciò le
categorie che potevano ottenere capitale monetario da altre banche.
Le banche cooperative nascono quindi secondo due diversi schemi, quello delle
casse rurali e quello delle banche popolari, che trovano campi diversi di applicazione
e appaiono subito fortemente diversificati.
Le banche popolari secondo il progetto originale di Schulze avevano un
capitale proprio formato da azioni di grosso taglio che i soci non abbienti potevano
pagare a rate; erano soci i sottoscrittori di almeno una azione e solo a questi la banca
poteva concedere prestiti.
Il capitale doveva costituire il primo fondo di esercizio, ma la banca avrebbe
potuto raccogliere depositi anche dai non soci corrispondendo su di essi un interesse,
purché tali depositi non superassero il triplo o il quadruplo del capitale sociale
10
.
I prestiti sarebbero stati concessi ad un interesse basso, per somme limitate e
verso garanzia esclusivamente personale. Lo Schulze raccomandò assolutamente il
principio della responsabilità illimitata, affinché i vecchi soci fossero cauti
nell’ammetterne di nuovi. Infine, gli utili avrebbero dovuto essere per la massima
parte accantonati a titolo di riserva
11
.
Presto le banche popolari si estesero anche nel resto dell’Europa, in America e
in Asia, modificandosi ovunque per adattarsi alle diverse realtà locali. Si
9
Fantini, “Le banche popolari nel sistema creditizio italiano”, Bancaria, 1950, n. 1, p. 51.
10
Rodino, Codice delle società cooperative, Firenze, Barbera, 1893.
11
Aa. Vv. , Mediolanum, Milano, F. Vallardi, 1881.
13
svilupparono soprattutto all’interno dei centri urbani e diventarono le banche di
commercianti, artigiani, professionisti, a differenza delle casse rurali che si diffusero
nei centri agricoli, operando quasi esclusivamente con clienti agricoltori.
In Italia, la prima banca popolare a sorgere è la Banca Popolare di Lodi nel
1864 grazie alla propaganda e all’iniziativa di Luigi Luzzati, che già in giovanissima
età, con il saggio “La diffusione del credito e le banche popolari”
12
, fu sostenitore
delle idee dello Schulze.
L’adattamento della popolare di Lodi al carattere e alle condizioni della
popolazione, portò alla modifica di alcune caratteristiche rispetto al modello base
delle popolari estere. In primo luogo si scelse il principio della responsabilità limitata;
si sostituirono le azioni di grosso taglio con azioni di piccolo taglio, in modo da
rendere lo status di socio accessibile al maggior numero di piccoli risparmiatori e
infine si assegnò al capitale la semplice funzione di fondo di garanzia.
Nel 1878 operavano in Italia centoventidue istituti in buona parte localizzati al
nord e al centro della penisola. Il loro numero continuò ad aumentare fino agli anni
’50, durante i quali la loro crescita si arrestò. La necessità di concentrazione da parte
di piccole aziende della stessa categoria, imposta dall’adattamento alla vita
economica in continua evoluzione, provocò una diminuzione delle banche popolari
esistenti in Italia pur non intaccandone la validità del modello.
Anche in Italia le banche popolari si caratterizzarono per il loro essere banche
di modesta dimensione, legate al territorio di competenza e all’imprenditoria locale.
L’impresa cooperativa è stata nel tempo considerata nient’altro che una delle
possibili forme dell’attività imprenditoriale e per questo è tuttora utilizzata anche per
l’esercizio del credito.
12
Padova, 1863, da Pecorari, La diffusione del credito e le banche popolari/ Luigi Luzzati, Venezia, Istituto veneto di
scienze lettere ed arti, 1999.
14
1.3 Banche popolari e localismo
Tra gli operatori creditizi a vocazione principalmente regionale o locale, un
ruolo rilevante è rivestito, tradizionalmente, dalle casse di risparmio e dalle banche
popolari.
Le banche popolari si svilupparono all’interno di contesti urbani costituendo
una risposta alla domanda di finanziamenti che proveniva da piccoli imprenditori e
dai piccoli artigiani, i quali in questo modo riuscivano a difendersi dal pericolo di
essere espulsi dal mercato dalle maggiori imprese manifatturiere, data la loro
migliore organizzazione e maggiore concentrazione. In questo senso gli istituti di
credito popolare si distinsero rispetto alle preesistenti casse di risparmio che invece
inizialmente perseguivano il fine di combattere il pauperismo e di educare i meno
abbienti al risparmio.
In secondo luogo le popolari assunsero la struttura di società a responsabilità
limitata. Peculiarità che consentì loro di raggiungere maggiori dimensioni rispetto
alle casse che adottavano il regime di responsabilità illimitata, che rappresentava un
vincolo al loro sviluppo dimensionale e geografico. La maggiore disponibilità di
capitali e il più ampio raggio d’azione delle banche popolari ha indotto le stesse a
offrire i propri servizi anche a clienti non soci, attenuando in tal modo il carattere
mutualistico di questi istituti.
Sebbene le banche popolari costituiscano una categoria estremamente
eterogenea, comprendente sia istituti di grosse dimensioni che operatori di piccola
taglia è tuttavia rintracciabile, nella quasi totalità di esse, il persistere di una forte
vocazione al localismo.
Un efficiente funzionamento del sistema bancario locale può avere benefiche
ricadute sullo sviluppo economico territoriale e come si vedrà nel prosieguo, è questa
una delle tesi che difendono coloro che non vogliono sia snaturato il modello di
“banca popolare”.
15
Sin dal principio, la nascita delle banche popolari ha avuto come obiettivo,
rispetto alle altre forme di erogazione del credito, istanze più strettamente
economiche, vale a dire la dinamica economica che mobilita le attività di
trasformazione nelle città e che richiede disponibilità di capitali. Possidenti, artigiani
e piccoli imprenditori in molte città d’Italia mettono assieme parte dei propri risparmi
con i quali costituire la Banca Popolare. Le popolari diventano subito l’istituto di
credito di riferimento per una collettività locale, capace di offrire quella disponibilità
di fondi utili ad acquistare materie prime da trasformare, a pagare gli stipendi e i
salari ai dipendenti nella fase di transizione dalla produzione alla vendita dei prodotti,
a disporre di capitale per investimenti nelle proprie attività
13
.
Da subito dunque le banche popolari rappresentano un punto di riferimento per
lo sviluppo dell’economia locale, e per questo si caratterizzano come banche locali.
La tendenza alla concentrazione e alla creazione di gruppi bancari ha
progressivamente allontanato dai mercati finanziari le piccole banche locali, che si
sono ritagliate ruoli di nicchia all’interno del panorama finanziario.
Con il recepimento della seconda direttiva Europea, le banche cooperative
restano le uniche banche locali. Nel leggere le norme del Testo unico bancario si
rinviene la definizione del localismo solo per quanto riguarda le banche di credito
cooperativo, dove si individua uno stretto legame tra i soci dell’istituto, la loro
residenza su un determinato territorio che è quello di competenza della banca e il
legame preferenziale che la banca nella sua concreta operatività deve avere con i
propri soci
14
. È questo l’unico riferimento al criterio del localismo nell’ambito delle
norme del Testo unico, che sottolineano come la specialità della disciplina delle
banche di credito cooperativo sia proprio da ricercarsi nel localismo.
Secondo la dottrina prevalente, e secondo la normativa di vigilanza della Banca
d’Italia in ordine all’autorizzazione alla costituzione di nuove banche, si può
considerare che esista un legame tra attività d’impresa e settore geografico non solo
13
Fanfani, “Etica e bisogno economico: dai Monti di Pietà alla banca moderna”, Alle origini della banca: etica e
sviluppo economico, a cura di Fanfani, Roma, Bancaria Editrice, 2002.
14
Artt. 34, 2° comma e 35, Testo unico bancario.
16
per le banche di credito cooperativo ma anche per le banche popolari
15
. In tal caso il
localismo non è da intendersi quale caratteristica della specialità dell’impresa
bancaria, come per le banche di credito cooperativo, ma solo come indicazione
dell’operatività del nuovo ente e dei legami che questo deve intrattenere con la
clientela residente nell’area territoriale di riferimento.
Nelle società per azioni bancarie, il fenomeno del localismo resta confinato
nella mera operatività, in un’ottica di concorrenza tra enti bancari, mentre per le
banche popolari continua a caratterizzare ampiamente anche i rapporti con la
clientela.
Il merito e il successo del modello “banca popolare” va individuato nella
funzione di condivisione e di sostegno che questi istituti hanno saputo apportare alla
parte più vitale e creativa del panorama economico locale del paese: quella
dell’imprenditoria legata al territorio
16
.
1.4 La specificità delle banche popolari
La specificità delle banche popolari può essere colta partendo dall'analisi del
modello di proprietà e controllo che caratterizza tali imprese bancarie. In generale
l’attenzione all'importanza del modello proprietario nella spiegazione delle
performance e dello sviluppo, positivo o negativo, della vita delle imprese è
relativamente recente, soprattutto in Italia
17
. L’intuizione di fondo di tale attenzione
è immediata: l’efficienza di una azienda dipende, a parità di altre condizioni, da chi
e come gestisce tale unità produttiva; la fisionomia dell’imprenditore e le sue
possibilità di azione, a loro volta sono, nel medio-lungo periodo, determinate dalle
regole del gioco relative ai diritti di proprietà e alle possibilità di esercitare il
controllo. Se la banca è “impresa”, l’importanza delle regole relative alla proprietà e
al controllo emergerà sempre più anche in questa industria, al di là delle sue specificità
15
Fauceglia, “Esiste ancora il localismo delle banche popolari?”, Bancaria, 1995, n. 11, p. 66.
16
Vigorelli, “Una vita da banchiere. Popolare”, Il Mondo, 2002, giugno.
17
Barca, Imprese in cerca di padrone. Proprietà e controllo nel capitalismo italiano, Bari, Laterza, 1994.
17
rispetto ai comparti industriali e commerciali
18
.
La banca popolare in Italia è uno specifico modello di allocazione della
proprietà e del controllo nel settore del credito e del risparmio.
Per analizzarlo con chiarezza e completezza l’analisi parte da un modello
generale di banca cooperativa di credito, aggiungendo via via ipotesi più articolate,
fino ad arrivare al modello specifico di banca popolare
19
.
L’impresa cooperativa di credito in generale può essere identificata attraverso
i connotati distintivi riguardanti rispettivamente l’assetto proprietario - la
cooperativa – e l’attività svolta - fornitura di servizi per il risparmio e il credito.
Possiamo cioè ipotizzare che 1’archetipo logico della cooperativa di credito da cui
si parte, sia costituito da un gruppo di soci lavoratori che si associano
conferendo ciascuno una quota uguale - contrattualmente definita - di lavoro e
capitale, non cedibile all'esterno, e organizzando la gestione secondo il principio
democratico del voto capitario (una testa un voto), al duplice scopo di fruire dei
servizi prodotti e degli eventuali profitti pro capite. La regola del voto capitario
diviene il primo fondamentale strumento extraproprietario per definire l’assetto della
proprietà e del controllo.
I soggetti che costituiscono la cooperativa bancaria sono soggetti economici,
ciascuno caratterizzato da un patrimonio umano e finanziario peculiare,
indispensabile alla costituzione della banca, ma di per sé insufficiente a tale scopo, se
non in unione con altri soggetti simili. La cooperativa diviene il modo in cui si
uniscono individui cruciali per la produzione di servizi bancari e creditizi.
I soci hanno interesse a costituire la cooperativa in quanto, da un lato,
potranno fruire, anche se non in via esclusiva ma verosimilmente a condizioni
vantaggiose, dei servizi per la gestione del risparmio e l’erogazione del credito -
oggetto della produzione della cooperativa - e dall’altro percepire il compenso sia
per il lavoro erogato che per il capitale fornito.
18
Masciandaro, “Le banche popolari italiane”, Quaderno di Ricerca, ANBP, 1997.
19
Masciandaro, “Le banche popolari italiane”, 1997, op.cit.
18
Si coglie così la differenza di partenza tra una cooperativa bancaria e una
società bancaria, intesa come impresa organizzata sotto forma di società per azioni
impegnata nell’attività bancaria. Nella cooperativa bancaria, tutti i titolari dei
diritti di proprietà dell’impresa intrattengono con l’impresa stessa rapporti di lavoro e
di fruizione di servizi che in generale non sono necessari per la costituzione di una
società bancaria.
Dal punto di vista della funzione obiettivo, la società di credito è finalizzata a
massimizzare la remunerazione del capitale, mentre la cooperativa di credito
massimizza la remunerazione pro capite dei proprietari lavoratori
20
.
Quello che si desidera mettere in evidenza è la differenza tra quella che viene
ritenuta la tipica impresa capitalistica, rappresentata dalla società bancaria, in cui la
finalità è costituita dalla massimizzazione del capitale conferito, che individua
l’interesse prioritario del socio, e la cooperativa bancaria, in cui l’interesse del socio
è composito: remunerazione del capitale, retribuzione del lavoro, fruizione
privilegiata del servizio.
La differenza tra la cooperativa e la società viene sancita dal fondamentale
strumento extraproprietario rappresentato dalla regola del voto capitario: il
principio del voto per testa, a prescindere da qualunque consistenza del capitale
conferito, rappresenta uno degli elementi caratterizzanti della cosiddetta
“democraticità” delle organizzazioni cooperative.
La minor rilevanza del capitale rispetto alla figura del socio nella cooperativa
bancaria può essere rafforzata dal principio del capitale variabile, per cui a
variazioni del numero dei soci, cui corrispondono variazioni nell’ammontare
del capitale sociale, non corrispondono modificazioni dell’atto costitutivo della
cooperativa stessa. Peraltro la centralità del singolo socio della cooperativa bancaria -
rispetto alla centralità del capitale nella società bancaria - viene sancita non solo dal
principio del voto capitario, ma anche nella non trasferibilità di tale qualifica.
20
Masciandaro, “Le banche popolari italiane”, 1997, op. cit.