8
Augusta, in cui sono detenuti esclusivamente uomini adulti, per un periodo breve, ma
intenso, da maggio a ottobre 2006.
Nel primo capitolo, dopo un breve excursus storico-giuridico sulla funzione della pena e
sulla sua evoluzione, è dedicata particolare attenzione, fra le fonti del diritto, alla
Costituzione e al Codice Penale, ma soprattutto alla Legge n. 354 del 26 luglio 1975
(e successive modifiche), recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” e al suo Regolamento di
Esecuzione, il D.P.R. n. 230 del 30 giugno 2000. Infine, sono richiamate alcune
Circolari Ministeriali. Un accenno viene fatto anche all’evoluzione della giustizia
minorile che, in seguito al riconoscimento della specificità della condizione dei minori,
ha portato la politica penale a costruire un sistema differenziato di norme che tutela i
loro diritti, primo fra tutti quello all’educazione.
Il secondo capitolo persegue l’intento di illustrare come gli avvenimenti storici e
l’evoluzione normativa hanno influenzato lo sviluppo della figura del volontario
penitenziario all’interno delle carceri italiane a partire dalla Costituzione del 1948. Si
parte dal volontariato carcerario degli anni Trenta, si passa alla figura del volontario
penitenziario emersa con la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario del 1975 e si arriva
alla situazione attuale in cui la figura ha assunto un ruolo importante nel processo che
dovrebbe condurre al pieno reinserimento nella vita sociale di chi, per ragioni diverse, è
stato privato della libertà.
9
Nel terzo capitolo si cerca di dare uno spaccato della situazione in cui versano le carceri
italiane, dal punto di vista strutturale, del personale impiegato e della tipologia di
soggetti che ospitano. Si prende in esame l’attuale tema dell’indulto. La metodologia di
lavoro utilizzata è di carattere eminentemente quantitativo: si tratta infatti di dati
statistici forniti dall’Amministrazione Penitenziaria.
Nel quarto capitolo si esaminano il concetto di educazione e di rieducazione in carcere e
i problemi del fare scuola in carcere, ma in special modo la tematica concernente le
mansioni e le competenze dell’educatore penitenziario. Uno sguardo è rivolto anche alla
professione dell’agente di Polizia Penitenziaria, per la peculiare relazione che intercorre
tra lui e il detenuto, lavoro a forte rischio di burn out, poiché il continuo e persistente
contatto, che gli agenti hanno con i detenuti e i loro problemi, può gravare sulle loro
capacità relazionali portandoli a forme di cinismo, distacco, spersonalizzazione ed
esaurimento emotivo.
Nel quinto capitolo sono riprese le tematiche proposte nei capitoli precedenti
attraverso, in particolar modo, le voci dei detenuti, sulla base di un lavoro svolto
da Monica
D’Onofrio e Flavia Pesetti di Radio Tre, che sono andate in giro per le carceri italiane a
raccoglierne le testimonianze dirette, cercando di capire cosa si può fare per rieducarli e
per formarli alla relazione e alla società che, una volta usciti dal carcere, si troveranno
di fronte.
10
Non si può ridurre la storia di un uomo alle azioni compiute o a quelle mancate, come
dice Don Luigi Ciotti: “Bisogna incontrare prima le persone e affrontare dopo i loro
problemi. Non viceversa.”
1
Bisogna imparare quindi a riconoscerle, in quella semplice, fragile e vulnerabile
umanità, che ci accomuna tutti.
1
Ciotti L., Persone non problemi. L’utopia concreta della strada, Torino, Gruppo Abele, 1994, p. 9
CAPITOLO PRIMO
L’istituzione carceraria tra storia e ordinamento
12
1.1 L’istituzione carceraria dalla nascita ai giorni nostri
Il carcere è un microcosmo che, al suo interno, riproduce il sistema sociale più vasto ed
è quindi il fulcro istituzionale nel quale le contraddizioni del contesto generale sono
maggiori e spesso esasperate.
1
Il carcere non si è comunque sempre presentato come l’edificio destinato a contenere sia
i condannati a una pena detentiva che gli accusati sottoposti a custodia cautelare; infatti
nella società feudale il carcere inteso come pena, nella forma della privazione della
libertà, non esiste, ma si fonda sulla categoria etico-giuridica della legge del taglione, a
cui si associa il concetto di espiatio, ossia di vendetta basata sul criterio di sanare i
danni causati dal reato. La crudeltà e la spettacolarità assolvevano la funzione di
deterrente nei confronti di coloro che intendevano trasgredire le regole imposte dal
signore. Allo stesso principio obbedivano i roghi dell’Inquisizione della Santa Romana
Chiesa. Il 2 marzo 1757 Robert-François Damiens veniva condannato per parricidio,
doveva fare confessione pubblica davanti alla Chiesa di Parigi dove era condotto, nudo,
dentro una carretta, teneva in mano una torcia di cera ardente e poi veniva innalzato sul
patibolo dove erano stati gettati piombo fuso, olio bollente, cera e zolfo liquefatti, il suo
corpo tirato e smembrato da quattro cavalli veniva quindi consumato dal fuoco e ridotto
in cenere, poi buttata al vento.
2
1
Ricci A., Salierno G., Il carcere in Italia, Torino, Einaudi, 1971
2
Foucault M., Sorvegliare e punire, tr. It., Torino, Einaudi, 1975
13
La privazione della libertà come sanzione penale si afferma solo con la Rivoluzione
Francese con la quale la punizione cessa di essere uno spettacolo e tutto ciò che poteva
costituire un’esibizione si troverà ad essere segnato da un indice negativo.
Allo stesso tempo si assiste ad un progressivo cambiamento del concetto di pena con il
pensiero penale pre-illuminista di cui sono già un esempio le House of correction o
workhouse nell’Inghilterra del 1557, caratterizzate dall’organizzazione rigida del tempo,
strutturato in gesti uguali e ripetitivi. Con la Rivoluzione Francese si afferma una nuova
struttura giuridico-normativa grazie alle teorie di alcuni riformatori inglesi tra cui
Jeremy Bentham, ideatore del Panopticon, basato sul principio ispettivo che i pochi
(carcerieri) possano controllare i molti (detenuti) e il controllo possa essere esercitato su
tutti gli atti del carcerato nell’arco della ventiquattro ore.
Il Panopticon è un luogo privilegiato, che rende possibile la sperimentazione sugli
uomini e consente di analizzare le trasformazioni che si possono operare su di essi. Può
anche costituire un sistema di controllo sui propri meccanismi; dalla torre centrale, il
direttore può spiare tutti gli impiegati che sono ai suoi ordini: infermieri, medici,
sorveglianti, istitutori, guardiani; potrà giudicarli, modificare la loro condotta e imporre
loro i metodi che giudica migliori, lui stesso, a sua volta, potrà essere osservato
facilmente.
3
Nasceva così la struttura architettonica del carcere moderno, fatta di bracci (o raggi) e
rotonde, costruito cioè in modo che i carcerieri stando fermi al posto di guardia situato
3
Ibidem
14
sulla rotonda possano avere la visuale su un intero braccio di celle o su più bracci
(struttura a raggiera). Allo stesso tempo ciascun detenuto sa che ogni suo movimento è
controllato con estrema facilità.
Sul piano pratico vengono introdotte, prima in Inghilterra e poi in tutta l’Europa, alcune
innovazioni, come la separazione tra i sessi, l’isolamento notturno e il lavoro diurno in
comune, ma la vita nelle carceri peggiora.
Nel 1811 in tutti i paesi italiani sottomessi alla dominazione napoleonica, viene
introdotto il “Codice Penale” francese del 1810 il cui nucleo fondamentale è
rappresentato dalla difesa della proprietà privata e dall’affermazione dell’autorità dello
Stato. Si diffondono anche i principi della pena detentiva e del lavoro forzato. Nel 1889
viene emanato il “Codice Penale Zanardelli”, che sostituisce il “Codice Sardo” del 1859
e con il quale viene abolita la pena di morte (sostituita con l’ergastolo), rimangono però
severissime le pene per i reati contro la proprietà .
Gli accordi stipulati tra il fascismo e la Chiesa Cattolica (Patti Lateranensi dell’11
febbraio 1929) ridanno alla pena le caratteristiche moralizzatrici che essa aveva secoli
addietro, considerando il reo un peccatore che deve compiere un percorso di espiazione
e di rimorso. Del 1930 è il “Codice Rocco” che si fonda sull’assunto che lo stato incarna
il bene comune ed è al centro della vita del cittadino, il delinquente perciò è un nemico
del popolo e quindi dello Stato, poiché offende la dignità dello stesso e si contrappone
ai sentimenti popolari e alle pubbliche virtù. La pena dunque deve avere una funzione
15
afflittivo-punitiva e il carcere di conseguenza sarà inflessibile e distruttivo nei confronti
degli incorreggibili, flessibile e meno gravoso per gli altri.
Nel 1945 viene emanato un decreto per rendere più rigido e severo il controllo nelle
carceri, viene inoltre investito di enorme importanza l’istituto del manicomio criminale
che altro non è che un prolungamento del carcere punitivo, ultimo stadio della
devastazione mentale e dell’annientamento dei comportamenti non compatibili.
16
1.2 L’evoluzione della giustizia minorile
In seguito al riconoscimento della specificità della condizione minorile, la politica
penale ha tentato di costruire un sistema differenziato di diritto penale che tutela i diritti
dei minori, primo fra tutti quello dell’educazione.
Fino all’Illuminismo
4
in assenza di teorizzazioni specifiche si rappresentava il
delinquente come un soggetto moralmente traviato e lo si sottoponeva a pene crudeli ed
arbitrarie: “Il problema si pose perciò, inizialmente, come ‘necessità di ricostruzione’ di
un’equa giustizia secondo parametri indicati da una ‘visione illuministica
dell’uomo’”.
5
L’impegno dei teorici illuministi fu proprio quello di porre precisi limiti al potere di
punire dei sovrani e all’arbitrarietà delle pene. Si sviluppò allora la Scuola Classica che
seguì le dottrine illuministiche di Cesare Beccarla:
6
sarà la gravità del reato a costituire
l’unico criterio in base al quale vengono stabilite le pene, che, pur nella loro durezza,
non possono essere attuate in condizioni disumane e mediante supplizi corporali,
essendo tese a redimere il reo, oltre che a punirlo. Le prime istituzioni specificatamente
minorili nacquero a partire dal XVII secolo e si proponevano di affrontare in primo
luogo il problema dell’aumento di minori abbandonati, vagabondi, incontrollati e
4
Ponti G.L., Compendio in criminologia, Milano, Raffaello Cortina, 1980
5
Milani L., Devianza minorile. Interazione tra giustizia e problematiche educative, Milano,Vita e
pensiero, 1995, p. 47
6
Beccaria C., Dei delitti e delle pene, Milano, Feltrinelli, 1993
17
incontrollabili per una società investita da rapide e profonde trasformazioni dovute
all’affermarsi, in tutta l’Europa, del capitalismo.
7
Fu proprio l’orientamento moralizzatrice di queste istituzioni a far tentare un intervento
specifico nei confronti dei minori che vennero separati e differenziati, sia fisicamente
che nei trattamenti, dagli adulti.
La prima “Casa di correzione” fu fondata a Firenze nel 1650 da Ippolito Francini, si
trattava di un istituto di recupero per ragazzi abbandonati o vagabondi, attraverso
l’azione educativa operata dalla scuola e dal lavoro.
8
Si giunse all’attuazione di un vero e proprio trattamento correzionale dei minori traviati
nel 1653, quando il sacerdote Filippo Franci dette vita allo “Spedale di S. Filippo Neri”,
che accoglieva ragazzi minori di sedici anni che non avevano una casa, con l’intento di
rivestirli, nutrirli, medicarli e istruirli nel santo timore di Dio.
9
In apposite cellette potevano essere rinchiusi anche i figli di famiglia ribelli verso
l’autorità paterna, infatti all’epoca i padri avevano il potere di far imprigionare i figli, a
loro discrezione, quando non riuscivano ad ottenere obbedienza da loro in altro modo.
Un istituto simile sorse nel 1703 a Roma presso l’ospizio di S. Michele in Ripa, per
volontà di Papa Clemente XI. Ma fu il Motu proprio a rappresentare il primo
documento ufficiale con il quale si delineò un trattamento differenziato per i minori e il
nome con cui nel testo l’istituto fu indicato, casa di correzione, ne indica la finalità
educativa e preventiva.
7
De Leo G., La giustizia dei minori, Torino, Einaudi, 1981
8
Greganti G., Ragazzi in prigione, Roma, Edizioni Paoline, 1979
9
Ibidem
18
Nel 1850 si assegnò alle scienze sociali il compito di interpretare la realtà carceraria e di
studiare e definire la natura del soggetto delinquente.
10
Tale fiducia portò Cesare Lombroso a ritenere che si potesse studiare chi delinque con
strumenti derivati da altre scienze dell’uomo, inaugurando l’antropologia criminale e
l’indirizzo individualistico dello studio della criminalità al cui centro venne posto il
soggetto deviante, ritenuto un malato, privo di responsabilità.
11
La pena assume così un carattere di prevenzione o comunque di cura, delineandosi
un’immagine di delinquente quale soggetto assolutamente condizionato da fattori interni
ed esterni, che teneva comportamenti anormali in relazione alla sua anormalità.
Nel 1899 fu istituita a Chicago la prima Juvenile Court del mondo, un tribunale per
minorenni con giudice specializzato che tutelava l’infanzia deviata attraverso
disposizioni correttive o anche solo meramente educative. Seguirono la Juvenile Court
di Birmingham, di Inghilterra, Scozia, Irlanda, Francia, Belgio, Olanda e Germania.
In Italia il Tribunale per i Minorenni fu costituito solo nel 1934 con il Regio Decreto
1404. Prima di allora alcune disposizioni erano contenute nel “Codice Sardo” del 1859
che stabiliva la piena responsabilità penale solo per i maggiorenni di ventuno anni,
mentre i soggetti con età compresa tra quattordici e ventuno anni usufruivano di una
riduzione della pena che, comunque, doveva essere scontata nelle carceri comuni. I
minori di quattordici anni, colpevoli di un reato, dovevano essere accolti in apposite
“Case di custodia” o in stabilimenti pubblici di lavoro, ai quali erano destinati anche i
10
Poggi S., Introduzione al positivismo, Bari, Laterza, 1987
11
Villa R., Il deviante e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell’antropologia criminale, Milano, Franco
Angeli, 1985
19
giovani mendicanti, vagabondi e oziosi, minori di sedici anni. Nel 1877, un nuovo
regolamento istituì le figure degli istitutori o dei censori in sostituzione delle guardie
carcerarie comuni e vennero previsti interventi differenziati per i minori sottoposti alla
custodia per condanna penale e i ricoverati per altre cause.
Nel 1890 il “Codice Penale Zanardelli” stabiliva i seguenti punti:
• l’ età minima per l’imputabilità venne fissata a nove anni;
• fra i nove e i quattordici anni il ragazzo era imputabile, ma solo nel caso in cui il
magistrato, che ne aveva espresso l’obbligo, ne accertasse il “discernimento”;
• dai quattordici ai diciotto anni il ragazzo era ugualmente imputabile, nel senso
che si partiva dalla presunzione di imputabilità. Qualora il minore fosse stato
ritenuto imputabile, veniva assoggettato a pene diminuite. Lo stesso regime era
previsto per il di ventuno anni. Per la prima fascia di età, il Presidente
del Tribunale civile, su richiesta del Pubblico Ministero, poteva ordinare che
il minore fosse rinchiuso in un istituto di educazione e di correzione oppure
affidato ai genitori sotto la loro responsabilità. Gli stessi provvedimenti poteva
prendere il Tribunale penale per la seconda categoria nei casi di non
imputabilità.
20
Il “Regolamento Carcerario” del 1891 opera delle differenze secondo l’età e le categorie
giuridiche. Si distinsero, così, le “Case di correzione” per minori sotto i diciotto anni,
gli “Istituti di educazione e di correzione” per i fanciulli con meno di nove anni, che
avevano commesso un delitto punibile con la reclusione o la detenzione non inferiore a
un anno e per i minori tra i nove e i quattordici anni, che avevano compiuto un reato
senza discernimento, gli “Istituti di educazione correzionale” per minorenni
infradiciottenni dediti all’oziosità, al vagabondaggio, alla mendicità e al meretricio,
infine gli “Istituti di correzione paterna” per giovani ricoverati.
Nel 1904 il “Regolamento per i riformatori governativi” introdusse cambiamenti come
quello relativo agli agenti di custodia cautelare, che vennero sostituiti dalla figura degli
istitutori, reclutati fra gli insegnanti elementari, ma soprattutto affrontò il problema
della delinquenza giovanile in termini non più di reclusione, ma di educazione e di
riabilitazione. Venne esplicitamente dichiarato che: “Occorreva adattare il trattamento
a questi principi tenendo presente, inoltre, l’età del minore e il tipo di reato
commesso”.
12
Con una circolare emanata dal Ministro Guardasigilli Orlando vennero create le
premesse perché potessero affermarsi, nell’ambito della giustizia minorile, i principi
della specializzazione del giudice, della non pubblicità del processo, che vedeva
coinvolto un minore e della necessità dell’indagine sulla personalità del minore,
12
Milani L., Devianza minorile. Interazione tra giustizia e problematiche educative, cit., p. 157
21
elementi che avviarono un importante progresso nel senso dell’individuazione del
trattamento.
Con il R.D. del 7 novembre 1909, la commissione presieduta dal senatore Quarta
approntò un progetto per una magistratura dei minorenni specializzata che avrebbe
avuto il compito di vigilare sugli ambiti dell’assistenza, della tutela, dell’istruzione e
della correzione del minore. Si pensò a un codice minorile unificato che escludesse
l’arresto o la carcerazione preventiva in fase di istruzione e prevedesse la possibilità di
giudicare soltanto i reati lievi, per cui erano applicabili misure simili alle recenti
sanzioni sostitutive. Per i reati gravi il giudizio passava al magistrato ordinario.
In caso di condanna si prevedevano le seguenti misure: ammonimento, detenzione in
casa propria per periodi da stabilirsi, affidamento familiare, assegnazione ad un istituto
di beneficenza, riformatorio. L’istituzione di una magistratura speciale veniva definita
una condizione necessaria per informare ad un concetto razionale e concreto il
trattamento della delinquenza dei minorenni.
Nei primi del novecento i temi dell’infanzia traviata furono sollevati dai numerosi
movimenti filantropici e riformisti impegnati nell’assistenza e nella difesa dei minori.
Tali organizzazioni favorirono la diffusione di nuovi atteggiamenti nei confronti delle
necessità e dei bisogni di fanciulli e di adolescenti, sollecitando una sperimentazione
nell’ambito degli interventi penali.