Solo le regioni costiere e montuose del nord ricevono acqua in
quantità sufficiente da permettere il sostentamento alle proprie
popolazioni.
E’ così che a fronte di un’ agricoltura sahariana premoderna, di
un aumento della temperatura e di un’ estensione delle aree
desertiche appare sempre più indispensabile un ricorso all’
irrigazione. La situazione potrebbe rivelarsi particolarmente critica
a seguito di un aumento demografico che avrebbe quale immediata
conseguenza un innalzamento della domanda di risorse idriche.
Il problema è trattato differentemente dai singoli paesi. In Libia
ad esempio è in via di completamento una grande rete idrica
(chiamata grande fiume artificiale) per convogliare l’acqua pompata
dal sottosuolo desertico alle zone costiere di Bengasi e della Sirte.
La Libia è inoltre impegnata in un processo di desalinizzazione
delle acque al fine di renderle potabili e dunque adatte al consumo
domestico. In Algeria e Tunisia invece, le risorse idriche vengono
prelevate da fiumi e sorgenti. Dal 1990 in questi paesi si registra
una palpabile penuria soprattutto nelle regioni meridionali. Il
Marocco beneficia anch’ esso di risorse superficiali, grazie alla
costruzione di 85 sbarramenti. La Mauritania è il solo paese della
regione a non avere preoccupazioni idriche in vista, per via di una
sistemazione idro-agricola del fiume Senegal, la cui realizzazione
ha visto un’ intensa partecipazione da parte della popolazione
2
.
I rimedi dunque, per far fronte alle carenze idriche sono tanti,
alcuni di essi possono essere definiti tradizionali, altri invece
innovativi.
2. Le informazioni relative alle diverse strategie approntate dai paesi nordafricani nel
settore della gestione idrica sono contenute nell’ articolo La question de l’ eau, pubblicato
sul sito dell’ IRMC - Institut de Recherche du Maghreb Contemporain -
http://www.irmcmaghreb.org/atlas/eau.htm
2
Fra le tecniche tradizionali si trovano tutti i sistemi di
contenimento idrico finalizzati a trattenere il flusso d’ acqua di un
fiume o di altre fonti di approvvigionamento, i vari metodi di
irrigazione economica o di razionamento dell’ acqua disponibile, il
risparmio d’ acqua mediante l’ impiego di coltivazioni particolari. I
metodi innovativi invece sono la stimolazione artificiale della
pioggia, la desalinizzazione, il riciclaggio di acque di scarico, la
salvaguardia delle falde sotterranee dall’ inquinamento, il
trasferimento di acqua in container (quest’ ultimo rimedio di fatto
assimila l’ acqua al petrolio).
Il caso del Maghreb ci mostra chiaramente come nonostante a
livello mondiale le risorse siano abbondanti, è a livello locale che le
offerte naturali sono molto variabili, incerte e sempre più limitate.
La carenza d’ acqua è indubbiamente un fattore limitante dello
sviluppo. Anche quando siano presenti capitale, manodopera e
risorse naturali, la scarsità d’ acqua non permetterebbe comunque
una vita urbana decente e moderna. D’ altra parte non si deve
pensare che tale scarsità dipenda unicamente da fattori naturali, i
comportamenti irresponsabili dell’ uomo hanno infatti, un ruolo
tutt’ altro che trascurabile nel processo di degradazione delle
risorse, generalmente dovuto alle modalità di gestione del territorio.
Basti pensare a come l’ eccessivo sfruttamento economico del
suolo - deforestazione, agricoltura intensiva, edificazione
imponente - possa provocare alterazioni e squilibri nel ciclo dell’
acqua: la riduzione di vegetazione infatti, comporta la diminuzione
delle precipitazioni e il conseguente aumento della richiesta di
acqua per l’ irrigazione e per le città. Ciò significa che l’ uomo sia
pur in modo inconsapevole può con le sue azioni essere causa di
variazioni climatiche.
3
Non dimentichiamo che la distruzione della copertura vegetale
assieme a pratiche agro-pastorali improprie è anche una delle
cause della desertificazione, vera e propria emergenza ambientale
in Africa.
Nel caso specifico del Maghreb iniziative per lo sviluppo socio-
economico hanno quale scopo quello di recuperare terre marginali
che mostrano una tendenza alla desertificazione, aiutando così le
comunità locali a sfruttare al meglio dei terreni che non sono
facilmente coltivabili e che d’ altronde sono adatti a ricevere una
serie di colture autoctone (quali leguminose, foraggiere, palme da
dattero e arbusti del genere acacia). L’ iniziativa intende
combattere la desertificazione e l’ erosione dei terreni aumentando
la produzione di biomassa verde, contribuendo così anche alla
limitazione di CO
2
nell’ atmosfera. Gli elementi naturali, una volta
impiantati, avranno quale scopo non solo quello di riforestare ma
anche di fungere da barriera di protezione antivento
3
. Nella stessa
direzione intendono muoversi anche altri progetti che mirano ad
impiantare in alcune regioni poste ai margini del Sahara, “cinture
vegetali” formate da schiere d’ alberi particolarmente resistenti al
fine di strappare alla desertificazione centinaia di ettari di terreno.
Nel Sahel, progetti di questo genere hanno permesso di salvare
molti villaggi
4
.
3. Il progetto lanciato dal Comitato Interpaese Italia-Maghreb e denominato Small scale
plant production, ha lo scopo principale classico del Rotary di sostenere un’ iniziativa per
lo sviluppo socio-economico e non di semplice assistenza. Il Rotary è un’ organizzazione di
esponenti delle più svariate attività economiche e professionali che lavorano assieme a
livello mondiale per rendere un servizio umanitario alla società.
http://www.rotary2040.it/distretto/cip.pdf
4. La desertificazione, articolo del 13 ottobre 2004 pubblicato sul sito del Settore Affari
Internazionali della Regione Piemonte, http://agora.regione.piemonte.it/informazione/mo
nografie/index.php?codice=43
4
L’ Algeria ad esempio, nel tentativo di arginare l’ avanzata del
deserto del Sahara ha lanciato nel dicembre del 2000 un piano che
prevede proprio la concentrazione di frutteti e vigneti nella parte
meridionale del paese
5
.
E’ dunque innegabile la connessione tra desertificazione, qualità
dell’ ambiente naturale e condizioni di vita delle popolazioni.
Milioni sono i “profughi ambientali”, vale a dire le persone che
sono costrette ad emigrare dalle loro terre che non riescono più ad
offrire sostentamento; quelle terre, abbandonate, rapidamente
isteriliscono del tutto, andando così ad ingrossare la superficie
desertificata. Si ritiene ormai, che questi profughi non possano più
essere contenuti entro i confini africani e che presto finiranno col
premere in massa per entrare in Europa
6
. Quello a cui assistiamo è
dunque un grande circolo vizioso: la desertificazione è infatti
conseguenza di un uso improprio del suolo ma allo stesso
tempo causa di altre crisi ambientali, quali la perdita della
biodiversità e il riscaldamento della temperatura a livello
planetario.
A questo proposito appare importante citare il programma d’
azione ambientale a breve e medio termine SMAP - Short and
medium-term Priority Environmental Action Program - nel quadro del
Partenariato Euromediterraneo. Tale programma è infatti
finalizzato a promuovere la cooperazione in campo ambientale tra
la Comunità Europea e i paesi del Maghreb (pur rivolgendosi tale
iniziativa anche ai paesi mediorientali).
5. Tratto dal capitolo 8 di Piano B. Una strategia di pronto soccorso per la Terra di Lester
R. Brown. Disponibile su Reteambiente, sito di Edizioni Ambiente.
http://www.reteambiente.it/ra/sostenibilita/catalogo/5756.htm
6. U. Leone, Nuove politiche per l’ ambiente, Carocci Editore, Roma 2002, p. 34.
5
L’ obiettivo è quello di sensibilizzare i governi sulle tematiche
ambientali e di vederli concretamente impegnati nella lotta al
degrado. La desertificazione in particolare, è un problema assai
cruciale perché strettamente legato alla gestione dei suoli, dell’
acqua e della copertura vegetale e perché l’ estensione delle aree
aride e iperaride nel Maghreb è in forte crescita. Nell’ ambito della
cooperazione euro-mediterranea l’ isterilirsi dei suoli si intende
combattere principalmente attraverso la promozione di un’
agricoltura sostenibile, che sappia, cioè, fare attenzione all’ uso dei
pesticidi ed utilizzare correttamente l’ irrigazione per evitare la
salinizzazione dei terreni. E’ poi importante incoraggiare le opere di
rimboschimento ed evitare che la popolazione locale abbandoni le
terre agricole
7
. Quest’ ultimo punto è estremamente importante,
perchè consentirebbe di porre gradualmente rimedio ad uno
squilibrio nell’ occupazione del territorio, che è già fortemente
presente in Nord-Africa e che è a tutto favore della costa, dove sono
localizzati gli stabilimenti industriali. D’ altra parte la ricchezza del
sottosuolo non poteva che incentivarne la formazione. Le terre del
Maghreb infatti, vantano risorse minerarie significative che
rappresentano per l’ Algeria il 23,7% del prodotto interno lordo
(PIL), l’ 11% per la Tunisia e il 5% per il Marocco
8
.
Il Sahara algerino è ricco di giacimenti di ferro, di manganese, di
uranio, di gas naturale e soprattutto di petrolio. Quest’ ultimo
7. Partenariat Euro-Méditerranéen, Programme d’ Actions Prioritaires à Court et Moyen
Termes pour l’ Environnement (SMAP), Commission Européenne. Documento disponibile
sul sito dell’ Unione Europea,http://europe.eu.int/comm/environment/smap/smapfr.pdf
8. Maghreb. Altra sponda dell’ Europa, ICEI - Istituto Cooperazione Economica
Internazionale - ong del Cocis, i fascicoli dell’ ICEI, n°2, gennaio 2002.
http://www.icei.it/Archiviopdf/Fascicoli_Maghreb.pdf
6
prodotto gioca un ruolo importante non solo in Algeria ma nel
Maghreb in generale e nel suo rapporto con il resto del mondo.
L’ Algeria così come la Libia, fa parte dell’ OPEC; la politica di tali
paesi (con l’ eccezione della Libia) persegue un modello di sviluppo
che genera spesso distorsioni: si tende infatti a sottrarre sempre
più terreni alle attività locali per spingere le società straniere alla
produzione di petrolio sul territorio. Le spese sono state
elevatissime per la creazione di porti, mezzi di trasporto, per la
dotazione di moderne strutture di estrazione del petrolio che hanno
subito innescato un processo di modernizzazione nella regione.
La presenza di industrie petrolifere (ad esempio a Marsa Braga,
Ras Lanuf e Ez Zauia, in Libia e ancora ad Algeri , Arzew, Bejaia,
Skikda e Hassi-Messaoud, in Algeria) e di oleodotti è stata però
anche causa di innumerevoli danni all’ ambiente. L’ inquinamento
del suolo deve la maggior parte delle volte ricondursi a fuoriuscite
nocive dagli impianti, per via di una loro cattiva progettazione,
gestione o manutenzione. Tale inquinamento ha di conseguenza
effetti dannosi sull’ acqua, laddove tali perdite di greggio vadano a
contaminare le falde acquifere. Non è un caso che il Mediterraneo
sia una delle zone al mondo più colpite dall’ inquinamento da
petrolio. Questo non è solo dovuto al riversarsi degli scarichi
industriali in mare ma dipende anche dal fatto che trattandosi di
un mare chiuso, le sue acque si rinnovano molto lentamente. Non
bisogna poi dimenticare i disastri ecologici provocati da petroliere
coinvolte in incidenti di navigazione
9
.
9. Secondo i dati raccolti dall’ Associazione Ambientalista Marevivo, il 50% dei traffici
marittimi nel Mediterraneo coinvolge merci pericolose; tali traffici, nel decennio 1990-
1999, sono stati responsabili di 250 incidenti fra i quali va annoverato quello che fra tutti
viene ancora ricordato come il più terribile degli incidenti mai verificatosi nel Mar
Mediterraneo: l’ esplosione nel Mar Ligure della superpetroliera greco- cipriota M/C
7
Ricordiamo che il petrolio è una risorsa esauribile e che le raffinate
ed efficienti tecnologie su cui oggi la ricerca può contare hanno l’
effetto di ridurre inesorabilmente i giacimenti. Pertanto alcuni
paesi del Maghreb tentano di diversificare la loro produzione
cercando di sviluppare i settori agro-alimentare e manifatturiero;
ma essendo assente ogni tipo di esperienza nell’ avvio di nuove
attività, questi tentativi sono talvolta destinati al fallimento. E’
questo il caso del ghassoul
10
, strada alternativa all’ utilizzo del
petrolio, ma che sembra non convincere del tutto le imprese
italiane e tedesche che non vi investono perché convinte di non
poter fare affidamento sull’ attività estrattiva continuativa del
ghassoul.
Il desiderio di avviare la crescita economica ha portato i paesi
nordafricani, all’ indomani dell’ indipendenza, a considerare poco
la dimensione ambientale e a darsi da fare soprattutto per
accrescere lo sviluppo umano e sociale. Questo ha portato senza
HAVEN (11 Aprile 1991). Già nel gennaio dello stesso anno, durante la Guerra del
Golfo, si erano riversati in mare l’ equivalente di undici milioni di barili di petrolio che
immediatamente avevano formato una chiazza lunga 100 miglia e larga 30. Non si
dimentichi poi il recente naufragio della petroliera Prestige (2002) lungo le coste spagnole.
Gli eventi incidentali, comunque, costituiscono pur sempre il 10% delle perdite mondiali
di petrolio. Il restante 90% (20 milioni di barili l’ anno nei mari di tutto il mondo e 1
milione solo nel Mediterraneo) è determinato da operazioni di routine, zavorramento e
lavaggio delle cisterne.
Fonti: G. Guerrieri, Il traffico marittimo: inquinamento e sicurezza, articolo disponibile sul
sito dell’ associazione ambientalista Marevivo, http://www.marevivo.it/approfondimenti/
approfondimenti17.php
Tutti i numeri del petrolio, articolo disponibile sul sito del WWF Italia http://www.wwf.it/
news/20112002_2594.asp
Petroliere, inquinamento di routine, in Altreconomia, n°22, novembre 2002
www.altreconomia.it/index.php?module=subjects&func=printpage&pageid=65&scope=all
10. argilla particolare, che interessa la produzione di detersivi, sciampi e saponi; e che
incoraggerebbe un uso più parco del petrolio e la ricerca di fonti alternative.
8
dubbio a dei risultati soddisfacenti, ma non ha tenuto conto del
danno che contemporaneamente si arrecava al territorio.
I progetti di sviluppo infatti, si basano molto spesso sulla
riduzione della superficie forestale: per l’ estensione di terreni
agricoli soprattutto di piantagione, per la costruzione di centrali
idro-elettriche, strade, autostrade e altri mezzi di comunicazione,
per l’ accesso alle risorse minerarie del sottosuolo. Nel caso
specifico del Maghreb oltre a questi fattori debbono aggiungersi
come cause della disboscamento anche il commercio del legname,
essendo quest’ ultimo una voce importante nelle esportazioni di
questi paesi e la costruzione di strutture alberghiere sempre più
all’ avanguardia.
Si giunge così ad un’ altra preoccupante problematica ambientale
che è la deforestazione. Per avere un’ idea delle sue vaste
dimensioni ci si può rifare ai dati raccolti dalla FAO, secondo i
quali la foresta africana primaria è stata depredata di circa 52
milioni di ettari nell’ arco di soli 5 anni (1990-1995). Un
disboscamento selvaggio che ha portato via il 70% delle foreste
millenarie dell’ Africa Occidentale
11
.
L’ area maghrebina deve dunque fare i conti con numerosi
problemi ambientali, alcuni non certo di facile soluzione.
Per quanto le Nazioni Unite riconoscano gli sforzi e i risultati
incoraggianti di Algeria, Marocco e Tunisia nel voler ad ogni costo
conseguire lo sviluppo economico, partendo innanzitutto da una
lotta alla povertà, questi paesi hanno ancora un lungo cammino da
compiere. Questo a voler dimostrare l’ infondatezza di quella
11. Christian Benna, I boss del legno, in Volontari per lo sviluppo, mensile edito da un
consorzio di 13 ong italiane, agosto-settembre 2004.
http://www.volontariperlosviluppo.it/2004_6/04_6_14.htm
9
equazione, che viene spesso spontanea, e che associa la presenza
di una industria e di un’ agricoltura avanzate all’ inquinamento. In
realtà il caso del Maghreb ci mostra chiaramente come l’
inquinamento del suolo, dell’ aria e dell’ acqua assieme a tutte le
altre forme di degrado ambientale, non sempre sia da considerarsi
il prezzo, per quanto non equo, pagato allo sviluppo economico.
10
Marocco
1. Introduzione
Il territorio del Marocco, morfologicamente assai vario, comprende una
fascia costiera; una zona montuosa rappresentata dai rilievi del Rif, del
Medio Atlante, dell’ Alto Atlante e dell’ Anti Atlante (che raggruppano i
monti più elevati dell’ Africa settentrionale); e le pianure e le vallate
meridionali che si estendono dalle pendici dell’ Atlante per lasciare poi il
posto al deserto. Il fiume principale è l’ Oum-er-Rbia che assieme al
Sebou, al Tensift e al Souss rende fertili le pianure che da nord a sud si
succedono lungo la costa atlantica; una fascia litoranea bassa ed
uniforme rispetto alla costa mediterranea più alta e frastagliata, che
presenta un’ unica pianura attraversata dal Moulouya.
I molti fiumi del paese, non adatti alla navigazione, sono utilizzati per
l’ irrigazione e per la produzione di energia elettrica.
Nelle regioni costiere il clima ha favorito lo sviluppo della macchia
mediterranea, pur essendo la steppa arbustiva (caratterizzata dalla
presenza di specie erbacee e graminacee) la forma di vegetazione
dominante in Marocco. Sui versanti dei rilievi, a quote elevate, crescono
boschi di pini, querce e, ad altitudini inferiori, querce da sughero.
Questa ricca vegetazione alimenta, nel paese nordafricano, l’ industria
della carta e del legname.
Sul territorio nazionale risiede una popolazione di 32.209.101 abitanti
(2004) con una densità media di 72 unità per km
2
. La percentuale di
popolazione urbana è del 57% (2003) e i principali insediamenti sono
situati lungo il litorale
12
. Così come si verifica per le altre regioni del
Maghreb anche qui si assiste ad uno squilibrio nell’ occupazione del
11
territorio, dal momento che a fronte di aree in cui è presente una forte
concentrazione urbana si affiancano aree del tutto spopolate. Ciò è
dovuto all’ estensione della regione desertica nella parte meridionale
dell’ area maghrebina, che spinge inevitabilmente le persone a spostarsi
in direzione nord. La popolazione marocchina è stata comunque,
sempre molto mobile, perché caratterizzata dalla presenza di gente
nomade o semi-nomade. Per quanto riguarda l’ esodo verso le città
bisogna dire che questo ha avuto inizio sin dalla fine della
colonizzazione, soprattutto a causa del declino della produzione
alimentare. L’ emigrazione non ha riguardato solo l’ abbandono delle
campagne per i grandi centri urbani ma si è indirizzata anche all’
estero, verso paesi quali la Francia, il Belgio e la Germania. Questi
spostamenti pur avendo un origine molto antica, si sono accentuati
negli anni Sessanta
13
. E’ evidente che nel Marocco, così come in tante
altri nazioni, queste migrazioni non possono che spiegarsi alla luce della
debole crescita economica che finisce col dare alla popolazione solo un
senso di instabilità e di insicurezza. Oggi l’ obiettivo di molti programmi
di sviluppo è proprio quello di incentivare gli agricoltori a non
abbandonare le proprie terre, per evitare fenomeni di congestionamento
in alcuni punti del paese e di spopolamento in altri
14
.
12. Marocco, Encarta Enciclopedia on line 2005,
http://it.encarta.msn.com/text_761572952_1/Marocco.html
13. Le informazioni sulla popolazione marocchina e sui fenomeni migratori sono tratte dalla
rubrica Regards sur le Maroc, disponibile sul sito dell’ Ambassade de France au Maroc,
http://www.ambafrance-ma.org/maroc/population.cfm
14. Il continuo aumento di popolazione nelle aree urbane presenta non pochi problemi: le
amministrazioni pubbliche infatti, debbono impegnarsi nella costruzione e nel miglioramento di
tutte quelle infrastrutture che garantiscano alla popolazione il massimo dell’ igiene e della
sicurezza anche da un punto di vista sociale. Purtroppo in Marocco circa 1,5 milioni di persone
vivono ancora nelle baracche e a niente serve spostarle dalle bidonville agli agglomerati di
cemento dal momento che questo non contribuisce né all’ integrazione sociale né più in generale
al processo di sviluppo. Casablanca ad esempio, la prima città e capitale economica del Regno
del Marocco ospita il 50% delle baracche dell’ intero paese. Tra l’ altro questa situazione
potrebbe favorire i movimenti estremisti come quelli associati ad Al Qaeda, come si è verificato
per i quartieri di Moulay Rachid ed Almassira, proprio a Casablanca. In quest’ ottica la tutela
12
Per quanto concerne l’ economia c’ è da dire che in Marocco ha un peso
rilevante l’ industria chimica e dei fertilizzanti che in larga parte si situa
lungo le coste, con tutti i problemi che ciò comporta in termini di
inquinamento e di conseguente compromissione della biodiversità
marina. Le raffinerie infatti, assieme agli stabilimenti chimici, della
gomma, di materie plastiche e dei fertilizzanti sono localizzate a Safi,
Jorf-Lasfar, Mohammedia, Kénitra, Rabat, Casablanca e Tétouan. Aree
che come è noto sono anche meta ogni anno di turisti, provenienti per lo
più dall’ Unione Europea. Ad ogni modo bisogna dire che le disponibilità
di combustibile sono scarse: il carbone di Djérada e il petrolio di Sidi
Kacem e Sidi Rhalem coprono soltanto in minima parte il fabbisogno
del paese; anche se sono stati individuati giacimenti di gas e di petrolio
nella zona di Essaouira e lungo le coste dell’ Oceano Atlantico.
Si è prima parlato di fertilizzanti, che in Marocco vanno ad
incrementare quella mole di esportazioni che si rivolgono soprattutto all’
Europa, pur avendo negli ultimi tempi il paese nordafricano stretto
accordi commerciali anche con le nazioni asiatiche, in particolar
modo con la Cina
15
.
dell’ ambiente appare indispensabile anche per frenare questo esodo e per spezzare il circolo
infernale della povertà, oltre che per realizzare un più armonioso equilibrio tra le aree del paese
maghrebino.
Abderrahim El Ouali, Dalle bidonville ai ghetti di cemento, 16 agosto 2005
Inter Press Service News Agency, agenzia giornalistica internazionale,
http://www.ipsnotizie.it/nota.php?idnews=410
15. La Cina è legata al Marocco dall’ Accord Commercial et Economique, siglato a Rabat il 28
marzo 1995 ed entrato in vigore il 28 ottobre 1999. Anche l’ India ha rapporti commerciali con il
paese maghrebino, essendo la nazione asiatica una grande importatrice di fosfati. In particolare,
sono le relazioni con la Cina ad essersi nel tempo sempre più intensificate: il paese asiatico
infatti ha sempre più bisogno di petrolio. Ed è proprio a fronte di questa necessità che la Cina
ha rapporti commerciali con la Mauritania, l’ Algeria e numerosi altri paesi del continente
africano. Ovviamente le ricchezze petrolifere africane non sono paragonabili a quelle russe o
mediorientali ma è pur sempre un vantaggio poterne usufruire.
Fonti: Samantha Agrò, L’ avanzata del drago, La Gazzetta politica, 6 agosto 2005.
http://www.gazzettapolitica.it/index.php?idArticolo=3673
13
Tali fertilizzanti e prodotti chimici di ogni sorta sono stati, come si
vedrà più avanti, causa di alti livelli di tossicità in alcuni prodotti
agricoli esportati dal Marocco. Il paese nordafricano è infatti il maggior
produttore di fosfati, un ruolo che si è andato rafforzando soprattutto
dopo l’ annessione del Sahara Occidentale
16
: i maggiori centri di
estrazione sono Khouribga Youssoufia, Benguerir, Sidi Hajjaj e
Meskala. Vi sono poi tanti altre zone in cui si estraggono ferro,
manganese, cobalto, piombo, zinco, stagno, rame antimonio e argento.
La Cina e la corsa alla conquista dell’ Africa, a cura dell’ International Institute for Strategic
Studies, centro di ricerca indipendente nel settore delle relazioni internazionali e degli studi
strategici. Disponibile sul sito dell’ Aspen Institute Italia, associazione apartitica, internazionale
e senza fini di lucro dedicata alla discussione e allo scambio di valori e informazioni.
http://www.aspeninstitute.it/icons/imgAspen/pdf/news/Africa/IISS_it.pdf
Répercussion de la montée en puissance de la Chine sur l’ économie internationale et nationale,
documento di lavoro n°100 della Direction de la Politique Economique Générale presso il
Ministero delle Finanze marocchino, a cura di Ikbel Sayeh, Said Moufti, Ahmed Sabi, maggio
2004,http://www.finances.gov.ma/dpeg/publications/en_catalogue/doctravail/doc_texte_integ
ral/dt100.pdf
Abdellah Chankou, La route de l’ Inde, in Maroc Hebdo International, semaine du 25 février au
02 mars 2000, http://www.maroc-hebdo.press.ma/MHinternet/Archives407/html.407/LaRout
eDeL’Inde.html
16. Il Sahara Occidentale racchiude in sé enormi ricchezze, dai giacimenti di fosfati, di
idrocarburi e uranio, all’ alta pescosità delle coste atlantiche. E’ stata proprio questa ricchezza
di risorse a segnare drammaticamente la storia di questo territorio, che nonostante tutto è
poverissimo e con una popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. E’ dal XIX secolo
che gli spagnoli ottengono il possesso di questa regione sotto forma di protettorato, fino a
quando, nel 1975, il Sahara Occidentale ottenuta l’ indipendenza dalla Spagna, viene occupato
dal Marocco. Quest’ ultimo ha così potuto concludere accordi di pesca con l’ UE includendo
nelle sue acque territoriali anche quelle pescosissime del Sahara Occidentale. Lo stesso si è
verificato per i giacimenti di fosfati dell’ ex-colonia spagnola che del Marocco ne hanno fatto il
primo esportatore.
Fonti: Giuliana Sgrena, L’ Italia annulla un terzo del debito marocchino, Il Manifesto, 13 aprile
2000. http://www.cestim.org/rassegna%20stampa/00.04/00.04.13/00.04.13_03re.htm
Piccole guerre, grandi conflitti. Le promesse mancate dell’ ONU. Il caso Saharawi non è risolto, a
cura del Comitato “Popolo saharawi-Lazio”, in Aprile, n. 114, marzo 2004.
http://www.aprileperlasinistra.it/aprilerivista/articolo.asp?n=114&ID=810
14
I ben noti rischi connessi all’ inquinamento non sono solo legati all’
utilizzo di pesticidi e anticrittogamici in agricoltura ma imputabili anche
all’ assenza di un buon sistema fognario e come si diceva prima, alla
presenza di industrie lungo il litorale. Si è soliti concentrare l’
attenzione sulle raffinerie o sull’ industria di trasformazione dei fosfati,
dimenticando che nel contesto marocchino particolarmente dannosi all’
ambiente sono i procedimenti industriali delle attività conciarie,
metallurgiche e olearie che non conoscono alcuna strategia che sappia
coniugare la produzione con il rispetto che si deve alla natura e alla
salute umana.
2. Problemi ambientali
I maggiori problemi ambientali del Marocco sono costituiti da un
notevole inquinamento del suolo e dell’ acqua, dalla desertificazione e
dalla mancanza di risorse idriche.
2.1 Utilizzo di prodotti chimici in agricoltura e abbandono di sostanze
pericolose sul territorio: due cause che concorrono al degrado del suolo.
La grande quantità di sostanze tossiche rilasciate dalle fabbriche e l’
uso di fertilizzanti, di pesticidi e anticrittogamici è causa di enormi
danni al suolo e alle acque sotterranee. Ciò significa che a risultarne
danneggiato non è il solo ambiente rurale o il solo territorio che ospita
gli impianti industriali ma interi ecosistemi e popolazioni a migliaia di
chilometri di distanza dai luoghi in cui l’ agricoltura e l’ industria
ricorrono all’ uso di composti chimici e di sostanze nocive di vario
genere. In particolare, gli agricoltori oggi più che preoccuparsi dell’
estensione dei terreni da mettere a coltura si impegnano nell’
15