Solo le regioni costiere e montuose del nord ricevono acqua in 
quantità sufficiente da permettere il sostentamento alle proprie 
popolazioni.  
   E’ così che a fronte di un’ agricoltura sahariana premoderna, di 
un aumento della temperatura e di un’ estensione delle aree 
desertiche appare sempre più indispensabile un ricorso all’ 
irrigazione. La situazione potrebbe rivelarsi particolarmente critica 
a seguito di un aumento demografico che avrebbe quale immediata 
conseguenza un innalzamento della domanda di risorse idriche. 
   Il problema è trattato differentemente dai singoli paesi. In Libia 
ad esempio è in via di completamento una grande rete idrica 
(chiamata grande fiume artificiale) per convogliare l’acqua pompata 
dal sottosuolo desertico alle zone costiere di Bengasi  e della Sirte. 
   La Libia è inoltre impegnata in un processo di desalinizzazione   
delle acque al fine di renderle potabili e dunque adatte al consumo 
domestico. In Algeria e Tunisia  invece, le risorse idriche vengono 
prelevate da fiumi e sorgenti. Dal 1990 in questi paesi si registra 
una palpabile penuria soprattutto nelle regioni meridionali. Il 
Marocco beneficia anch’ esso di risorse superficiali, grazie alla 
costruzione di 85 sbarramenti. La Mauritania è il solo paese della 
regione a non avere preoccupazioni idriche in vista, per via di una 
sistemazione idro-agricola del fiume Senegal, la cui realizzazione 
ha visto un’ intensa partecipazione da parte della popolazione
2
. 
   I rimedi dunque, per far fronte alle carenze idriche sono tanti, 
alcuni di essi possono essere definiti tradizionali, altri invece 
innovativi. 
 
2. Le informazioni relative alle diverse strategie approntate dai paesi nordafricani nel 
settore della gestione idrica sono contenute nell’ articolo La question de l’ eau, pubblicato 
sul sito dell’ IRMC  - Institut de Recherche du Maghreb Contemporain - 
http://www.irmcmaghreb.org/atlas/eau.htm  
 2
Fra le tecniche tradizionali si trovano tutti i sistemi di 
contenimento idrico finalizzati a trattenere il flusso d’ acqua di un 
fiume o di altre fonti di approvvigionamento, i vari metodi di 
irrigazione economica o di razionamento dell’ acqua disponibile, il 
risparmio d’ acqua mediante l’ impiego di coltivazioni particolari. I 
metodi innovativi invece sono la stimolazione artificiale della 
pioggia, la desalinizzazione, il riciclaggio di acque di scarico, la 
salvaguardia delle falde sotterranee dall’ inquinamento, il 
trasferimento di acqua in container (quest’ ultimo rimedio di fatto 
assimila l’ acqua al petrolio).
  
   
Il caso del Maghreb ci mostra chiaramente come nonostante a 
livello mondiale le risorse siano abbondanti, è a livello locale che le 
offerte naturali sono molto variabili, incerte e sempre più limitate. 
   La carenza d’ acqua è indubbiamente un fattore limitante dello 
sviluppo. Anche quando siano presenti capitale, manodopera e 
risorse naturali, la scarsità d’ acqua non permetterebbe comunque 
una vita urbana decente e moderna. D’ altra parte non si deve 
pensare che tale scarsità dipenda unicamente da fattori naturali, i 
comportamenti irresponsabili dell’ uomo hanno infatti, un ruolo 
tutt’ altro che trascurabile nel processo di degradazione delle 
risorse, generalmente dovuto alle modalità di gestione del territorio. 
   Basti pensare a come l’ eccessivo sfruttamento economico del 
suolo - deforestazione, agricoltura intensiva, edificazione 
imponente  -  possa provocare alterazioni e squilibri nel ciclo dell’ 
acqua: la riduzione di vegetazione infatti, comporta la diminuzione 
delle precipitazioni e il conseguente aumento della richiesta di 
acqua per l’ irrigazione e per le città. Ciò significa che l’ uomo sia 
pur in modo inconsapevole può con le sue azioni essere causa di 
variazioni climatiche. 
 3
Non dimentichiamo che la distruzione della copertura vegetale 
assieme a pratiche agro-pastorali improprie è anche una delle 
cause della desertificazione, vera e propria emergenza ambientale 
in Africa. 
   Nel caso specifico del Maghreb iniziative per lo sviluppo socio-
economico hanno quale scopo quello di recuperare terre marginali  
che mostrano una tendenza alla desertificazione, aiutando così le 
comunità locali a sfruttare al meglio dei terreni che non sono 
facilmente coltivabili e che d’ altronde sono adatti a ricevere una 
serie di colture autoctone (quali leguminose, foraggiere, palme da 
dattero e arbusti del genere acacia). L’ iniziativa intende 
combattere la desertificazione e l’ erosione dei terreni aumentando 
la produzione di biomassa verde, contribuendo così anche alla 
limitazione di CO
2
 nell’ atmosfera. Gli elementi naturali, una volta 
impiantati, avranno quale scopo non solo quello di riforestare ma 
anche di fungere da barriera di protezione antivento
3
.  Nella stessa 
direzione intendono muoversi anche altri progetti che mirano ad 
impiantare in alcune regioni poste ai margini del Sahara, “cinture 
vegetali” formate da schiere d’ alberi particolarmente resistenti al 
fine di strappare alla desertificazione centinaia di ettari di terreno. 
Nel Sahel, progetti di questo genere hanno permesso di salvare 
molti villaggi
4
. 
 
 
3. Il progetto lanciato dal Comitato Interpaese Italia-Maghreb e denominato Small scale 
plant production, ha lo scopo principale classico del Rotary di sostenere un’ iniziativa per 
lo sviluppo socio-economico e non di semplice assistenza. Il Rotary è un’ organizzazione di 
esponenti delle più svariate attività economiche e professionali che lavorano assieme a 
livello mondiale per rendere un servizio umanitario alla  società. 
http://www.rotary2040.it/distretto/cip.pdf 
4. La desertificazione, articolo del 13 ottobre 2004 pubblicato sul sito del Settore Affari 
Internazionali della Regione Piemonte, http://agora.regione.piemonte.it/informazione/mo 
nografie/index.php?codice=43 
 4
L’ Algeria ad esempio, nel tentativo di arginare l’ avanzata del 
deserto del Sahara ha lanciato nel dicembre del 2000 un piano che 
prevede proprio la concentrazione di frutteti e vigneti nella parte 
meridionale del paese
5
. 
   E’ dunque innegabile la connessione tra desertificazione, qualità 
dell’ ambiente naturale e condizioni di vita delle popolazioni. 
   Milioni sono i “profughi ambientali”, vale a dire le persone che 
sono costrette ad emigrare dalle loro terre che non riescono più ad 
offrire sostentamento; quelle terre, abbandonate, rapidamente 
isteriliscono del tutto, andando così ad ingrossare la superficie 
desertificata. Si ritiene ormai, che questi profughi non possano più 
essere contenuti entro i confini africani e che presto finiranno col 
premere in massa per entrare in Europa
6
. Quello a cui assistiamo è 
dunque un grande circolo vizioso: la desertificazione è infatti  
conseguenza   di   un   uso   improprio   del   suolo  ma  allo  stesso 
tempo   causa  di   altre  crisi    ambientali,  quali  la  perdita  della  
biodiversità e il riscaldamento della temperatura a livello 
planetario. 
   A questo proposito appare importante citare il programma d’ 
azione ambientale a breve e medio termine SMAP - Short  and 
medium-term Priority Environmental Action Program - nel quadro del 
Partenariato Euromediterraneo. Tale programma è infatti 
finalizzato a promuovere la cooperazione in campo ambientale tra 
la Comunità Europea e i paesi del Maghreb (pur rivolgendosi tale 
iniziativa anche ai paesi mediorientali). 
 
 
 
5. Tratto dal capitolo 8 di Piano B. Una strategia di pronto soccorso per la Terra  di Lester 
R. Brown. Disponibile su Reteambiente, sito di Edizioni Ambiente. 
http://www.reteambiente.it/ra/sostenibilita/catalogo/5756.htm 
6. U. Leone, Nuove politiche per l’ ambiente, Carocci Editore, Roma 2002, p. 34.  
 5
L’ obiettivo è quello di sensibilizzare i governi sulle tematiche 
ambientali e di vederli concretamente impegnati nella lotta al 
degrado. La desertificazione in particolare, è un problema assai  
cruciale perché strettamente legato alla gestione dei suoli, dell’ 
acqua e della copertura vegetale e perché l’ estensione delle aree 
aride e iperaride nel Maghreb è in forte crescita. Nell’ ambito della 
cooperazione euro-mediterranea l’ isterilirsi dei suoli si intende 
combattere principalmente attraverso la promozione di un’ 
agricoltura sostenibile, che sappia, cioè, fare attenzione all’ uso dei 
pesticidi ed utilizzare correttamente l’ irrigazione per evitare la 
salinizzazione dei terreni. E’ poi importante incoraggiare le opere di 
rimboschimento ed evitare che la popolazione locale abbandoni le 
terre agricole
7
. Quest’ ultimo punto è estremamente importante, 
perchè consentirebbe di porre gradualmente rimedio ad uno 
squilibrio nell’ occupazione del territorio, che è già fortemente 
presente in Nord-Africa e che è a tutto favore della costa, dove sono 
localizzati gli stabilimenti industriali. D’ altra parte la ricchezza del 
sottosuolo non poteva che incentivarne  la formazione. Le terre del 
Maghreb infatti, vantano risorse minerarie significative che 
rappresentano per l’ Algeria il 23,7% del prodotto interno lordo 
(PIL), l’ 11% per la Tunisia e il 5% per il Marocco
8
. 
   Il Sahara algerino è ricco di giacimenti di ferro, di  manganese, di 
uranio, di  gas  naturale  e  soprattutto   di   petrolio. Quest’ ultimo  
 
 
7. Partenariat Euro-Méditerranéen, Programme d’ Actions Prioritaires à Court et Moyen 
Termes pour l’ Environnement (SMAP), Commission Européenne. Documento disponibile 
sul sito dell’ Unione Europea,http://europe.eu.int/comm/environment/smap/smapfr.pdf  
8. Maghreb. Altra sponda dell’ Europa, ICEI - Istituto Cooperazione Economica 
Internazionale - ong del Cocis, i fascicoli dell’ ICEI, n°2, gennaio 2002. 
http://www.icei.it/Archiviopdf/Fascicoli_Maghreb.pdf   
 6
prodotto gioca un ruolo importante non solo in Algeria ma nel 
Maghreb in generale e nel suo rapporto con il resto del mondo. 
   L’ Algeria così come la Libia, fa parte dell’ OPEC; la politica di tali 
paesi (con l’ eccezione della Libia) persegue un modello di sviluppo 
che genera spesso distorsioni: si tende  infatti  a   sottrarre  sempre 
più terreni alle attività locali per spingere le società straniere alla 
produzione di petrolio sul territorio. Le spese sono state 
elevatissime per la creazione di porti, mezzi di trasporto, per la 
dotazione di moderne strutture di estrazione del petrolio che hanno 
subito innescato un processo di modernizzazione nella regione. 
   La presenza di industrie petrolifere (ad esempio a Marsa Braga, 
Ras Lanuf e Ez Zauia, in Libia e ancora ad Algeri , Arzew, Bejaia, 
Skikda e Hassi-Messaoud,  in Algeria)   e di oleodotti è stata però 
anche causa di innumerevoli danni all’ ambiente. L’ inquinamento 
del suolo deve la maggior parte delle volte ricondursi a fuoriuscite 
nocive dagli impianti, per via di una loro cattiva progettazione, 
gestione o manutenzione. Tale inquinamento ha di conseguenza 
effetti dannosi sull’ acqua, laddove tali perdite di greggio vadano a 
contaminare le falde acquifere. Non è un caso che il Mediterraneo 
sia una delle zone al mondo più colpite dall’ inquinamento da 
petrolio. Questo non è solo dovuto al riversarsi degli scarichi 
industriali in mare ma dipende anche dal fatto che trattandosi di 
un mare chiuso, le sue acque si rinnovano molto lentamente. Non 
bisogna poi dimenticare i  disastri ecologici provocati da petroliere 
coinvolte in incidenti di navigazione
9
. 
 
 
9. Secondo i dati raccolti dall’ Associazione Ambientalista Marevivo, il 50% dei traffici 
marittimi nel Mediterraneo coinvolge merci pericolose; tali traffici, nel decennio 1990-
1999, sono stati responsabili di 250 incidenti fra i quali va annoverato quello che fra tutti 
viene ancora ricordato come il più terribile degli incidenti mai verificatosi nel Mar 
Mediterraneo:  l’ esplosione   nel   Mar Ligure  della   superpetroliera  greco- cipriota  M/C 
 7
Ricordiamo che il petrolio è una risorsa esauribile e che le raffinate 
ed efficienti tecnologie su cui oggi la ricerca può contare hanno l’ 
effetto di ridurre inesorabilmente i giacimenti. Pertanto alcuni 
paesi del Maghreb tentano di diversificare la loro produzione 
cercando di sviluppare  i settori agro-alimentare e manifatturiero; 
ma essendo assente ogni tipo di esperienza nell’ avvio di nuove 
attività, questi tentativi sono talvolta destinati al fallimento. E’ 
questo il caso del ghassoul
10
, strada alternativa all’ utilizzo del 
petrolio, ma che sembra non convincere del tutto le imprese 
italiane e tedesche che non vi investono perché convinte di non 
poter fare affidamento sull’ attività estrattiva continuativa del 
ghassoul. 
   Il desiderio di avviare la crescita economica ha portato i paesi 
nordafricani, all’ indomani dell’ indipendenza, a considerare poco 
la dimensione ambientale e a darsi da fare soprattutto per 
accrescere lo sviluppo umano e  sociale. Questo  ha  portato  senza     
  
 
HAVEN (11 Aprile 1991). Già nel gennaio dello  stesso  anno, durante  la  Guerra  del  
Golfo,  si  erano   riversati  in  mare l’ equivalente di undici milioni di barili di petrolio che 
immediatamente avevano formato una chiazza lunga 100 miglia e larga 30. Non si 
dimentichi poi il recente naufragio della petroliera Prestige (2002) lungo le coste spagnole. 
Gli eventi incidentali, comunque, costituiscono pur sempre il 10% delle perdite mondiali 
di petrolio. Il restante 90% (20 milioni di barili l’ anno nei mari di tutto il mondo e 1 
milione solo nel Mediterraneo) è determinato da operazioni di routine, zavorramento e 
lavaggio delle cisterne. 
Fonti: G. Guerrieri, Il traffico marittimo: inquinamento e sicurezza, articolo disponibile sul 
sito dell’  associazione ambientalista Marevivo, http://www.marevivo.it/approfondimenti/ 
approfondimenti17.php 
Tutti i numeri del petrolio, articolo disponibile  sul sito del  WWF Italia http://www.wwf.it/ 
news/20112002_2594.asp  
Petroliere, inquinamento di routine, in Altreconomia, n°22, novembre 2002 
www.altreconomia.it/index.php?module=subjects&func=printpage&pageid=65&scope=all 
10. argilla particolare, che interessa la produzione di detersivi, sciampi e saponi; e che 
incoraggerebbe un uso più parco del petrolio e la ricerca di fonti alternative. 
 8
dubbio a dei risultati soddisfacenti, ma non ha tenuto conto del 
danno che contemporaneamente si arrecava al territorio.  
   I progetti di sviluppo infatti, si basano molto spesso sulla 
riduzione della superficie forestale: per l’ estensione di terreni 
agricoli soprattutto di piantagione, per la costruzione di centrali 
idro-elettriche, strade, autostrade e altri mezzi di comunicazione, 
per l’ accesso  alle risorse minerarie  del  sottosuolo. Nel  caso  
specifico  del  Maghreb oltre a questi fattori debbono aggiungersi   
come  cause  della disboscamento anche il commercio del legname, 
essendo quest’ ultimo una voce importante nelle esportazioni di 
questi paesi e la costruzione di strutture alberghiere sempre più 
all’ avanguardia.  
   Si giunge così ad un’ altra preoccupante problematica ambientale 
che è la deforestazione. Per avere un’ idea delle sue vaste 
dimensioni  ci si può rifare ai dati raccolti dalla FAO, secondo i 
quali la foresta africana primaria è stata depredata di circa 52 
milioni di ettari nell’ arco di soli 5 anni (1990-1995). Un 
disboscamento  selvaggio  che  ha  portato  via  il  70% delle foreste  
millenarie dell’ Africa Occidentale
11
.  
   L’ area maghrebina deve dunque fare i conti con numerosi 
problemi ambientali, alcuni non certo di facile soluzione. 
   Per quanto le Nazioni Unite riconoscano gli sforzi e i risultati 
incoraggianti di Algeria, Marocco e Tunisia nel voler ad ogni costo 
conseguire lo sviluppo economico, partendo innanzitutto da una 
lotta alla povertà, questi paesi hanno ancora un lungo cammino da 
compiere. Questo   a   voler  dimostrare   l’ infondatezza   di   quella   
 
 
11. Christian Benna, I boss del legno, in Volontari per lo sviluppo, mensile edito da un 
consorzio di 13 ong italiane, agosto-settembre 2004. 
http://www.volontariperlosviluppo.it/2004_6/04_6_14.htm 
 9
equazione, che viene spesso spontanea, e che associa la  presenza 
di una industria e di un’ agricoltura avanzate all’ inquinamento. In 
realtà il caso del Maghreb ci mostra chiaramente come l’ 
inquinamento del suolo, dell’ aria e dell’ acqua assieme a tutte le 
altre forme di degrado ambientale, non sempre sia da considerarsi 
il prezzo, per quanto non equo, pagato allo sviluppo economico.  
 
 
 
 
 
     
 10
                                             
                                                 Marocco 
 
 
 
 
 
1. Introduzione 
    
 
Il territorio del Marocco, morfologicamente assai vario, comprende una 
fascia costiera; una zona montuosa rappresentata dai rilievi del Rif, del 
Medio Atlante, dell’ Alto Atlante e dell’ Anti Atlante (che raggruppano i 
monti più elevati dell’ Africa settentrionale); e le pianure e le vallate 
meridionali che si estendono dalle pendici dell’ Atlante per lasciare poi il 
posto al deserto. Il fiume principale è l’ Oum-er-Rbia che assieme al  
Sebou, al Tensift e al Souss rende fertili le pianure che da nord a sud si 
succedono lungo la costa atlantica; una fascia litoranea bassa ed 
uniforme rispetto alla costa mediterranea più alta e frastagliata, che 
presenta un’ unica pianura attraversata dal Moulouya. 
   I molti fiumi del paese, non adatti alla navigazione, sono utilizzati per 
l’ irrigazione e per la produzione di energia elettrica. 
   Nelle regioni costiere il clima ha favorito lo sviluppo della macchia 
mediterranea, pur essendo la steppa arbustiva (caratterizzata dalla 
presenza di specie erbacee e graminacee)  la forma di vegetazione 
dominante in Marocco. Sui versanti dei rilievi, a quote elevate, crescono 
boschi di pini, querce e, ad altitudini inferiori, querce da sughero. 
   Questa ricca vegetazione alimenta, nel paese nordafricano, l’ industria 
della carta e del legname. 
   Sul territorio nazionale risiede una popolazione di 32.209.101 abitanti 
(2004) con una densità media di 72 unità per km
2
. La percentuale di 
popolazione urbana è del 57% (2003) e i principali insediamenti sono 
situati lungo il litorale
12
. Così come si verifica per  le  altre regioni del 
Maghreb anche  qui  si  assiste  ad uno  squilibrio  nell’ occupazione del  
 11
 territorio, dal momento che a fronte di aree in cui è presente una forte 
concentrazione urbana si affiancano  aree  del   tutto spopolate. Ciò  è 
dovuto all’ estensione della regione desertica nella parte meridionale 
dell’ area maghrebina, che spinge inevitabilmente le persone a spostarsi 
in direzione nord. La popolazione marocchina è stata comunque, 
sempre molto mobile, perché caratterizzata dalla presenza di gente 
nomade o semi-nomade. Per quanto riguarda l’ esodo verso le città 
bisogna dire che questo ha avuto inizio sin dalla fine della 
colonizzazione, soprattutto a causa del declino della produzione 
alimentare. L’ emigrazione non ha riguardato solo l’ abbandono delle 
campagne per i grandi centri urbani ma si è indirizzata anche all’ 
estero, verso paesi quali la Francia, il Belgio e la Germania. Questi 
spostamenti pur avendo un origine molto antica, si sono accentuati   
negli anni Sessanta
13
. E’ evidente che nel Marocco, così come in tante 
altri nazioni, queste migrazioni non possono che spiegarsi alla luce della 
debole crescita economica che finisce col dare alla popolazione solo un 
senso di instabilità e di insicurezza. Oggi l’ obiettivo di molti programmi 
di sviluppo è proprio quello di incentivare gli agricoltori a non 
abbandonare le proprie terre, per evitare fenomeni di congestionamento 
in alcuni punti del paese e di spopolamento in altri
14
.  
 
 
12. Marocco, Encarta Enciclopedia on line 2005, 
http://it.encarta.msn.com/text_761572952_1/Marocco.html 
13. Le informazioni sulla popolazione marocchina e sui fenomeni migratori sono tratte dalla 
rubrica Regards sur le Maroc, disponibile  sul  sito  dell’  Ambassade de France au Maroc, 
http://www.ambafrance-ma.org/maroc/population.cfm 
14. Il continuo aumento di popolazione nelle aree urbane presenta non pochi problemi: le 
amministrazioni pubbliche infatti, debbono impegnarsi nella costruzione e nel miglioramento di 
tutte quelle infrastrutture che garantiscano alla popolazione il massimo dell’ igiene e della 
sicurezza anche da un punto di vista sociale. Purtroppo in Marocco circa 1,5 milioni di persone 
vivono ancora nelle baracche e a niente serve spostarle dalle bidonville agli agglomerati di 
cemento dal momento che questo non contribuisce né all’ integrazione sociale né più in generale 
al processo di sviluppo. Casablanca ad esempio, la prima città e capitale economica del Regno 
del Marocco ospita il 50% delle baracche dell’ intero paese. Tra l’ altro questa situazione 
potrebbe favorire i movimenti estremisti come quelli associati ad Al Qaeda, come si è verificato 
per i quartieri di Moulay Rachid ed Almassira, proprio a Casablanca. In  quest’ ottica   la   tutela    
 12
 Per quanto concerne l’ economia c’ è da dire che in Marocco ha un peso 
rilevante l’ industria chimica e dei fertilizzanti che in larga parte si situa 
lungo le coste, con tutti i problemi che ciò comporta in termini di 
inquinamento e di conseguente compromissione della biodiversità 
marina. Le raffinerie infatti, assieme agli stabilimenti chimici, della 
gomma, di materie plastiche e dei fertilizzanti sono localizzate a Safi, 
Jorf-Lasfar, Mohammedia, Kénitra, Rabat, Casablanca e Tétouan. Aree 
che come è noto sono anche meta ogni anno di turisti, provenienti per lo 
più dall’ Unione Europea. Ad ogni modo bisogna dire che le disponibilità 
di combustibile sono scarse: il carbone di Djérada e il petrolio di Sidi 
Kacem e Sidi Rhalem coprono soltanto in minima parte  il fabbisogno 
del paese; anche se sono stati individuati giacimenti di gas e di petrolio 
nella zona di Essaouira e lungo le coste dell’ Oceano Atlantico. 
   Si è prima parlato di fertilizzanti, che in Marocco vanno ad 
incrementare quella mole di esportazioni che si rivolgono soprattutto all’    
Europa, pur  avendo negli ultimi  tempi  il  paese  nordafricano  stretto 
accordi  commerciali  anche con  le  nazioni asiatiche, in particolar 
modo con la Cina
15
.  
  
 
dell’ ambiente appare indispensabile anche per frenare questo esodo e per spezzare il circolo 
infernale della povertà, oltre che per realizzare un  più armonioso equilibrio tra le aree del paese 
maghrebino. 
Abderrahim El Ouali, Dalle bidonville ai ghetti di cemento, 16 agosto 2005 
Inter Press Service News Agency, agenzia giornalistica internazionale, 
http://www.ipsnotizie.it/nota.php?idnews=410     
15. La Cina è legata al Marocco  dall’ Accord Commercial et Economique, siglato a Rabat il 28 
marzo 1995 ed entrato in vigore il 28 ottobre 1999. Anche l’ India ha rapporti commerciali con il 
paese maghrebino, essendo la nazione asiatica una grande importatrice di fosfati. In particolare, 
sono le relazioni con la Cina ad essersi nel tempo sempre più intensificate: il paese asiatico 
infatti ha sempre più bisogno di petrolio. Ed è proprio a fronte di questa necessità che la Cina 
ha rapporti commerciali con la Mauritania, l’ Algeria e numerosi altri paesi del continente 
africano. Ovviamente le ricchezze petrolifere africane non sono paragonabili a quelle russe o 
mediorientali ma è pur sempre un vantaggio poterne usufruire.         
Fonti: Samantha Agrò, L’ avanzata del drago, La Gazzetta politica, 6 agosto 2005. 
http://www.gazzettapolitica.it/index.php?idArticolo=3673 
 
 13
 Tali fertilizzanti e prodotti chimici di ogni sorta  sono stati, come si 
vedrà più avanti, causa di alti livelli di tossicità in alcuni prodotti 
agricoli esportati dal Marocco. Il paese nordafricano è infatti il maggior 
produttore di fosfati, un ruolo che si è andato rafforzando soprattutto 
dopo l’ annessione del Sahara Occidentale
16
: i  maggiori  centri di 
estrazione  sono  Khouribga Youssoufia, Benguerir, Sidi Hajjaj e 
Meskala. Vi sono poi tanti altre zone in cui si estraggono ferro, 
manganese, cobalto, piombo, zinco, stagno, rame antimonio e argento. 
 
 
 
 
La Cina e la corsa alla conquista  dell’ Africa, a cura dell’ International Institute for Strategic 
Studies, centro di ricerca indipendente nel settore delle relazioni internazionali e degli studi 
strategici. Disponibile sul sito dell’ Aspen Institute Italia, associazione apartitica, internazionale 
e senza fini di lucro dedicata alla discussione e allo scambio di valori e informazioni. 
http://www.aspeninstitute.it/icons/imgAspen/pdf/news/Africa/IISS_it.pdf 
Répercussion de la montée en puissance de la Chine sur l’ économie internationale et nationale, 
documento di lavoro n°100 della Direction de la  Politique  Economique Générale presso il 
Ministero delle Finanze marocchino, a cura di Ikbel Sayeh, Said Moufti, Ahmed Sabi, maggio 
2004,http://www.finances.gov.ma/dpeg/publications/en_catalogue/doctravail/doc_texte_integ
ral/dt100.pdf 
Abdellah Chankou, La route de l’ Inde, in Maroc Hebdo International, semaine du 25 février au 
02 mars 2000,  http://www.maroc-hebdo.press.ma/MHinternet/Archives407/html.407/LaRout 
eDeL’Inde.html 
16. Il Sahara Occidentale racchiude in sé enormi ricchezze, dai giacimenti di fosfati, di 
idrocarburi  e uranio, all’ alta  pescosità delle coste atlantiche. E’ stata  proprio questa ricchezza   
di risorse a segnare drammaticamente la storia di questo territorio, che nonostante tutto è 
poverissimo e con una popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà. E’  dal  XIX  secolo   
che gli spagnoli ottengono il possesso di questa regione sotto forma di protettorato, fino a  
quando, nel 1975, il Sahara Occidentale ottenuta l’ indipendenza dalla Spagna, viene occupato 
dal Marocco. Quest’ ultimo ha così potuto concludere accordi  di pesca con l’  UE  includendo  
nelle sue acque territoriali  anche  quelle pescosissime del Sahara Occidentale. Lo stesso si è 
verificato per i giacimenti di fosfati dell’ ex-colonia spagnola che del Marocco ne hanno fatto il 
primo esportatore. 
Fonti: Giuliana Sgrena, L’ Italia annulla un terzo del debito marocchino, Il Manifesto, 13 aprile 
2000. http://www.cestim.org/rassegna%20stampa/00.04/00.04.13/00.04.13_03re.htm 
Piccole guerre, grandi conflitti. Le promesse mancate dell’ ONU. Il caso Saharawi non è risolto, a 
cura del Comitato “Popolo saharawi-Lazio”, in Aprile, n. 114, marzo 2004. 
http://www.aprileperlasinistra.it/aprilerivista/articolo.asp?n=114&ID=810 
 14
 I ben noti rischi connessi all’ inquinamento non sono solo legati all’ 
utilizzo di pesticidi e anticrittogamici in agricoltura ma imputabili anche 
all’ assenza di un buon sistema fognario e come si diceva prima, alla 
presenza di industrie lungo il litorale. Si è soliti concentrare l’ 
attenzione sulle raffinerie o sull’ industria di trasformazione dei fosfati, 
dimenticando che nel contesto marocchino particolarmente dannosi all’ 
ambiente sono i procedimenti industriali delle attività conciarie, 
metallurgiche e olearie che non conoscono alcuna strategia che sappia 
coniugare la produzione con il rispetto che si deve alla natura e alla 
salute umana.  
 
 
 
2. Problemi ambientali  
 
I maggiori problemi ambientali del Marocco sono costituiti  da un 
notevole inquinamento del suolo e dell’ acqua, dalla desertificazione e 
dalla mancanza di risorse idriche.  
 
 
2.1 Utilizzo di prodotti chimici in agricoltura e abbandono di sostanze 
pericolose sul territorio: due cause che concorrono al degrado del suolo.  
 
La grande quantità di sostanze tossiche rilasciate dalle fabbriche e l’ 
uso di fertilizzanti, di pesticidi e anticrittogamici è causa di enormi 
danni al suolo e alle acque sotterranee. Ciò significa che a risultarne 
danneggiato non è il solo ambiente rurale o il solo territorio che ospita 
gli impianti industriali ma interi ecosistemi e popolazioni a migliaia di 
chilometri di distanza dai luoghi in cui l’ agricoltura e l’ industria 
ricorrono all’ uso di composti chimici e di sostanze nocive di vario 
genere. In particolare, gli agricoltori oggi più che preoccuparsi dell’ 
estensione   dei   terreni   da   mettere   a   coltura   si   impegnano  nell’  
 
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