II
della crescita del Pil globale, tanto da essere considerato uno dei motori
trainanti della crescita mondiale. Anche il flusso sopranazionale di capitali
finanziari e investimenti diretti è più che raddoppiato nell’ultimo decennio
in rapporto al Pil mondiale. Tutto questo è stato possibile grazie alla
liberalizzazione del commercio e della finanza internazionale la quale,
insieme alla forte concorrenza internazionale, ha indotto le imprese ad
esportare beni e servizi per ottenere economie di scala nella produzione e ad
investire i capitali e le tecnologie all’estero (laddove i ricavi sono superiori)
per non perdere competitività e rapporti economici.
Questo fenomeno della globalizzazione economica comporta per il made in
Italy la necessità di dotarsi di una nuova strategia competitiva. In
particolare, le nostre imprese, in maggioranza di minori dimensioni, sono
destinate ad agire, produrre e crescere in un mercato senza più frontiere e
protezioni trovandosi, così, di fronte ad una sfida nuova, di immensa
portata: hanno tutte le potenzialità necessarie per vincerla ma debbono
giocare attentamente le loro carte migliori, sul piano dell'efficienza e
dell'innovazione, possibilmente sorrette e non penalizzate dalle regole e
dalle scelte effettuate “a monte” della loro discesa in campo.
Alla luce delle tali considerazioni, appare naturale che l’opzione strategica
dell’espansione estera non riguarda solo le aziende che hanno raggiunto una
dimensione produttiva e di mercato relativamente grande; essa è cruciale
anche per le imprese di piccole e medie dimensioni (PMI) le quali, per altri
versi, sembrerebbero tipicamente votate ad uno scenario competitivo
essenzialmente locale. Anche se naturalmente radicate nel proprio territorio
d’origine, questo tipo di imprese sono, infatti, coinvolte pienamente e senza
esclusioni nell’integrazione sovranazionale dei mercati e degli scenari
competitivi. Infatti, da un lato vedono progressivamente intensificarsi
l’esposizione del proprio mercato alla concorrenza estera, costituita
soprattutto dall’entrata di nuovi attori presenti in altre aree geografiche;
dall’altro, anche le aziende di dimensione minore si trovano con relativa
III
facilità nella condizione di poter riorganizzare a livello internazionale le
attività della propria catena del valore, e di sfruttare in nuovi contesti
geografici i fattori di vantaggio efficaci nel mercato locale. L’elevata
attenzione che oggi la letteratura rivolge alle PMI è motivata dall’importante
ruolo da queste svolto all’interno dell’economia italiana - della quale tra
l’altro esse costituiscono l’asse portante - nonché dai dibattiti più recenti che
vedono proprio in questa categoria di imprese, una possibile soluzione per il
recupero e il rafforzamento della posizione competitiva internazionale del
nostro paese. Oggi, nessuna azienda, di qualsiasi dimensione e settore di
attività, può ritenersi esente da un coinvolgimento nei processi di
internazionalizzazione, ma in questo processo sono le imprese di piccola e
media dimensione (PMI), rispetto alle imprese più grandi, a soffrire
maggiormente nel prendere decisioni a causa dei limiti manageriali,
finanziari, di informazione e di esperienza. Le loro risposte e soluzioni sono
spesso così inadeguate e/o approssimative che inevitabilmente accrescono il
rischio di insuccesso delle iniziative intraprese. Per questi motivi, negli
ultimi tempi si vedono proliferate le iniziative a sostegno delle PMI e, nello
specifico, del loro processo d’internazionalizzazione, affinché le imprese di
minori dimensioni possano affrontare nella maniera migliore il difficile e
inevitabile percorso dell’uscita dal mercato domestico.
Obiettivo del presente lavoro di tesi è l’analisi delle problematiche che le
PMI devono affrontare nel momento in cui decidono di intraprendere
un’iniziativa d’internazionalizzazione, rivolgendosi al mercato globale non
più attraverso relazioni occasionali bensì concentrandosi sulla strutturazione
di partnership a lungo termine.
Nel primo capitolo si affrontano, in generale, i temi della globalizzazione e
dell’internazionalizzazione, spiegando, attraverso i modelli teorici di
riferimento, i motivi che stimolano un’impresa ad internazionalizzarsi,
IV
proseguendo, poi, nell’analisi delle varie modalità e strategie attraverso le
quali oggi si può affrontare il mercato straniero.
Il ruolo che le piccole imprese rivestono oggi nello scenario competitivo
globale ed i tratti caratterizzanti il loro rapporto con altre imprese
appartenenti a paesi e mercati diversi, è l’argomento predominante del
secondo capitolo nel quale ci si è chiesti quanto, di fatto, la strategia
d’internazionalizzazione sia ancora un’opzione e quanto, invece, sia
divenuta una necessità imprescindibile per le PMI italiane.
Il nucleo centrale del lavoro è racchiuso nel terzo capitolo, dove viene
affrontato il tema dei limiti, interni ed esterni, con i quali una PMI deve fare
i conti prima della decisione di intraprendere la strada internazionale,
uscendo dal noto mercato domestico, e affrontare l’ignoto e spesso distante
mercato straniero; per tentare di ridurre al minimo i rischi che questo
comporta, si è cercato di proporre un percorso ragionato a varie fasi (frutto
di una voluta forzatura giacché consapevoli dell’impossibilità di ricondurre
tutto il complesso processo ad uno schema a tappe valido per tutte le
imprese), grazie alle quali rendere il processo d’internazionalizzazione il
frutto di una coerente pianificazione e non di una scelta contingente.
Infine, nel quarto capitolo si prendono in esame gli strumenti, finanziari e
non, che oggi una PMI dispone per meglio affrontare gli investimenti, i
rischi e le incertezze che un eventuale progetto d’internazionalizzazione può
generare. In particolare, si esaminano i ruoli dei vari soggetti attivi nel
campo del sostegno alle piccole imprese e, in conclusione si fornisce un
quadro sintetico delle normative inerenti lo stanziamento di fondi specifici,
finanziamenti agevolati ed altri provvedimenti per l’internazionalizzazione
delle PMI italiane.
1
CAPITOLO 1
INTERNAZIONALIZZAZIONE:
MODALITÀ E PROSPETTIVE EVOLUTIVE
1.1. Globalizzazione e internazionalizzazione
Il termine “GLOBALIZZAZIONE” fa parte, ormai da qualche tempo, del
linguaggio comune perché è associato ad un importante e complesso
processo di cambiamento che investe tutti gli ambiti della società: dalla
politica all’economia, dalle comunicazioni fino ai costumi sociali. Il
fenomeno è oggetto di molti studi e, data la sua complessità, esistono
differenti punti di vista sulle cause e, soprattutto, sui possibili effetti socio-
economici che potrebbe provocare. Gli studiosi non sono uniformi neanche
sul concetto stesso di “globalizzazione”; infatti, leggendo le numerosissime
pubblicazioni sull’argomento
1
, emergono pensieri differenti: alcuni
ritengono che la terminologia sia stata inventata dai giornalisti e poi ripresa
dai politici; altri, invece, - come ad esempio alcuni studiosi francesi - lo
reputano un termine inadeguato per la sua indeterminatezza e preferiscono
in alternativa la parola “MONDIALIZZAZIONE”
2
.
1
Secondo un aggiornato studio sulla globalizzazione nel suo sviluppo storico (Mac
Gillivray, 2006) sul fenomeno finora sono stati pubblicati più di 5.000 libri.
2
Altri autori, invece, ritengono che la mondializzazione sia “il grado finale della
globalizzazione, in cui tutti i mercati saranno integrati in un unico mercato” (Arrigoni,
2000); quindi un processo graduale a cui prossimamente andremo incontro (Grandinetti e
Rullani, 1996)
2
Volendo ad ogni modo inquadrare il fenomeno e darne una generale
definizione, si può affermare che, quando si parla di globalizzazione, si
vuole indicare un “cambiamento complesso che implica un’integrazione
funzionale e organizzativa della produzione, con risvolti sociali, politici e
culturali” (Dicken, 2003). La tendenza all’integrazione può essere distinta e
analizzata su più piani. Secondo il livello scelto per osservarla, possiamo
parlare di globalizzazione dell'economia mondiale, di un singolo paese, di
un settore, di una singola impresa (Fig. 1) ed anche di una particolare
business unit oppure di una funzione facente parte di un'impresa (la finanza,
ad esempio).
Lo scambio di idee tra gli studiosi diventa ancora più interessante quando si
parla di globalizzazione economica con la quale ci si riferisce
“all’interdipendenza economica che si viene a creare tra i vari paesi e tra i
sistemi economici mondiali” (Pellicelli, 1999). La discussione è incentrata
sui cambiamenti economico/sociali provocati dal fenomeno: si calcola che il
processo d’integrazione dell’economia internazionale, in corso da molto
tempo, abbia subito un’importante accelerazione dalla seconda guerra
mondiale dopo la quale si è assistito, oltre che alla riduzione delle distanze,
alla crescente connessione di quasi tutte le economie della terra; inoltre,
l’interdipendenza dei mercati mondiali ha comportato la realizzazione di
catene globali di produzione e di fornitura e l’adozione di strategie
universali da parte delle maggiori aziende transnazionali, le quali hanno
innescato e sviluppato la fase più recente della globalizzazione (Beck,
1999). In realtà l’apertura economica e la successiva “globalizzazione” non
fanno parte della storia recente, poiché un processo d’integrazione delle
principali aree economiche del mondo avvenne già durante tutto il corso del
XIX secolo accentuandosi verso la fine dell’800.
3
Figura 1: I livelli di definizione di globalizzazione
Fonte: adattato da AA.W., 1998
ECONOMIA MONDIALE. Globalizzazione sta per forte interdipendenza tra
paesi derivante dal crescente scambio (tra un paese e l'altro) di merci,
servizi, capitali e tecnologie.
SINGOLO PAESE. In questo caso la globalizzazione riguarda la misura in
cui l’economia di un paese è legata al resto del mondo. Non tutti i paesi
sono ugualmente integrati e la misura dell’integrazione è riassunta nella
quota dell'import-export sul Prodotto Interno Lordo, nel flusso degli
investimenti in entrata e in uscita e dai trasferimenti di tecnologie.
SINGOLO SETTORE. La globalizzazione riguarda la misura in cui la
posizione competitiva di un'impresa all'interno del settore in un dato
paese è interdipendente rispetto a quello di un altro paese. Tanto più
globale è un settore, tanto maggiori sono i vantaggi che un'impresa può
ottenere da economie di scala ed economie di scopo nelle tecnologie,
nella produzione, nell'uso di una marca globale e nel trasferimento di
capitali attraverso i confini di più paesi. I settori globalizzati” tendono ad
essere dominati in ogni mercato dallo stesso gruppo di imprese.
L'esempio più noto è quello delle calzature sportive, dominate ovunque
da Nike, Reebok e Adidas. I principali indici della globalizzazione di un
settore sono il rapporto tra export-import e totale della produzione
mondiale, il rapporto tra gli investimenti al di fuori dei confini nazionali e
il totale degli investimenti nel settore.
SINGOLA IMPRESA. La globalizzazione riguarda la misura in cui
un'impresa ha esteso ricavi, investimenti, flussi di capitali, prodotti,
servizi e tecnologie attraverso i confini del paese di origine.
4
Esso riguardava non solo le economie europee e gli stati coloniali delle
potenze dell'epoca, come il Regno Unito, la Francia e la Germania, ma altre
parti del mondo come le due Americhe, il Giappone, l'India, il Medio
Oriente e, ovviamente, il resto dell'Europa. Questo percorso è proseguito
negli anni grazie anche alle politiche di liberalizzazione dei mercati che hanno
contributo, nel XX secolo, ad una grande e generalizzata espansione
dell'attività economica internazionale. In particolare, i cambiamenti più
rilevanti sono avvenuti, così coma già accennato, con la fine della Seconda
Guerra mondiale quando, la nascita di istituzioni sovranazionali in grado di
imporre regole e leggi agli stati membri sia a livello politico che a livello
economico, ha causato la crisi del concetto di STATO-NAZIONE. Si sono così
costituiti dei blocchi regionali che, ancora oggi, sono alla base del
funzionamento dell’economia mondiale. I principali sono:
¾ L’Unione Europea (UE), originariamente nata con la CEE
3
(trattati
di Roma del 25 marzo 1957) e istituita con il Trattato di Maastricht
del 7 febbraio 1992, per la realizzazione di un “mercato comune”
attraverso il libero scambio di merci ma anche di persone e di capitali
tra gli stati membri. I trattati e le istituzioni più importanti ai quali
l’UE ha dato vita sono: l’Unione Economica Monetaria europea
(UEM), nata nel 1999; la Banca Centrale Europea (BCE) con sede a
Francoforte; gli accordi di Schengen
4
per la libera circolazione dei
cittadini europei; l’Euro, la moneta unica entrata in vigore il 1°
gennaio 2002;
3
Inizialmente aderirono alla CEE solo 6 paesi, già membri della CECA: Italia, Francia,
Germania, Lussemburgo, Belgio, Olanda.
4
Accordo firmato nel 1985 tra Germania, Francia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi per
la progressiva soppressione dei controlli sulle persone alle frontiere comuni. Con il
Trattato di Amsterdam (1997) il sistema Schengen è stato inserito nella struttura
dell'Unione europea. Oggi non esistono più controlli doganali e di documenti alle
frontiere fra Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e Spagna.
5
¾ il NAFTA (North American Free Trade Agreement), un accordo di
libero scambio stipulato nel 1994 tra Stati Uniti, Canada e Messico
per la progressiva eliminazione delle barriere tariffarie tra gli stati
membri;
¾ il MERCOSUR (Mercado Comun del Sur), area di libero scambio
costituita nel 1995 tra i paesi dell’America Latina: Brasile, Argentina,
Uruguay, Paraguay;
¾ l’ASEAN (Association of South-East Asian Nations), associazione di
cooperazione politica ed economica fondata nel 1967 a Bangkok con
il duplice scopo di accelerare la crescita economica del Sud Est
asiatico e di promuovere la pace e la stabilità regionale tra i principali
paesi dell’area del sud-est asiatico: Myanmar (ex Birmania), Laos,
Thailandia, Cambogia, Vietnam, Filippine, Malesia, Sultanato del
Brunei, Singapore e Indonesia.
L'evoluzione del sistema economico/industriale sviluppatosi in questo
contesto è stata segnata da una rapida crescita dei commerci e dal legame tra
diversi sistemi economici. Le variabili, causa di questa crescente
integrazione, possono essere così riassunte:
♦ il commercio internazionale;
♦ gli investimenti all'estero, con ampi flussi di capitali tra un
paese e l'altro;
♦ i flussi migratori tra paesi e lo spostamento di molti lavoratori e
delle loro famiglie;
♦ il trasferimento di tecnologie da paesi più evoluti a quelli
emergenti;
♦ La diffusione internazionale dei servizi e la loro facile
trasferibilità tra i paesi.
6
Queste variabili, unite alla nota rivoluzione tecnologica degli anni '90, vale a
dire la diffusione dell'Ict (International and Communication Technology)
- e, nello specifico, di Internet -, all’apertura dei mercati, alla generale
crescita delle competenze tecniche ed al miglioramento dei trasporti a basso
costo, hanno fatto sì che si sviluppasse uno scenario in cui “il mercato è il
mondo”, cioè IL VILLAGGIO GLOBALE
5
. In questo nuovo ambiente globale,
entrano in contatto diretto luoghi che la distanza fisica ha tradizionalmente
mantenuto lontani e separati; questo, dal punto di vista economico, vuol dire
che si creano interdipendenze non solo tra le diverse e lontane nazioni, ma
anche, e soprattutto, tra le imprese; queste ultime, infatti, si trovano a
competere in un mercato molto più vasto di quello domestico, il mercato
mondiale. In estrema sintesi, la globalizzazione economica ha comportato:
1) un enorme sviluppo dei mercati finanziari, interconnessi a livello
internazionale e operanti in regime di totale libertà di movimento dei
capitali;
2) una diffusa tendenza alla «internazionalizzazione» dell'economia basata,
oltre che sull'aumento del commercio internazionale e dell'interscambio
di servizi, sul forte incremento degli investimenti diretti all'estero;
3) il conseguente aumento del grado d’interdipendenza e d’integrazione
dell'economia mondiale nell'ambito della ridistribuzione internazionale
del lavoro determinata dall'apertura dei mercati;
4) un ampio processo di privatizzazione, soprattutto di banche e “public
utilities” ma anche di importanti industrie manifatturiere, anch'esso
avviato nel Regno Unito dall'inizio degli anni Ottanta e attuato poi dagli
altri principali paesi tra cui, con particolare enfasi, l'Italia;
5
Il termine global village era già utilizzato in Vaccà, Zanfei (1987): “un global village dove
le varietà stanno direttamente a contatto l’una con l’altra, e le contaminazioni, così come
le occasioni per la specializzazione e l’evoluzione, diventano dunque massime”. Il
termine viene utilizzato successivamente anche in Grandinetti-Rullani (1996).