Problematiche di integrazione funzionale a livello HR di una multinazionale americana in Italia. Il caso General Electric
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INTRODUZIONE
Le multinazionali possono essere viste come network globali che tagliano
trasversalmente non solo i confini nazionali ma anche i vari settori economico-
sociali.
Il processo di offerta di prodotti e servizi è spesso suddiviso in piccole parti,
ognuna collocata dove le condizioni necessarie risultino essere le migliori.
L’integrazione di queste componenti divise geograficamente richiede una forte
struttura organizzativa che permetta al management di rispondere con
flessibilità a situazioni complesse e a sviluppi inaspettati. Allo stesso tempo tali
strutture dovrebbero favorire gli specifici obiettivi strategici delle aziende.
Come si vuol sottolineare nella Parte Prima del Capitolo Primo, dato l’attuale
clima economico molte aziende vedono le operazioni internazionali come un
passo logico e inevitabile nello sviluppo del proprio potenziale. La gestione della
complessità associata ad una tale fase non dovrebbe comunque risultare
dannosa per la flessibilità e manovrabilità dell’organizzazione.
Nella Parte Seconda del Capitolo Primo si cerca di evidenziare alcune
situazioni connesse con la gestione delle Risorse Umane e di mostrare come
un’analisi sistematica di tutte le procedure possa portare notevoli miglioramenti
per lo sviluppo strategico e organizzativo dell’azienda. Infatti tutte le
multinazionali, oggigiorno, devono imparare a confrontarsi con eventi e
circostanze imprevedibili, a volte paradossali. In questa fase del lavoro è stata
mia intenzione analizzare tali situazioni e valutare alcuni strumenti tra quelli
maggiormente utilizzati che consentono una efficace gestione del fattore umano
e un processo di integrazione, innanzitutto funzionale e in seguito aziendale, di
successo. In questa analisi sia la prospettiva nazionale sia quella internazionale
hanno un ruolo importante.
Il Capitolo Secondo illustra brevemente la metodologia utilizzata per la presente
analisi, quella dell’intervista qualitativa libera semistrutturata, oltre che la
domanda di ricerca alla base del lavoro, cioè come è possibile, all’interno di
un’organizzazione multinazionale, affrontare le problematiche che a livello
funzionale derivano dall’applicazione di norme aziendali generali a contesti
nazionali specifici.
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Infine, nel Capitolo Terzo si trova la descrizione di come opera realmente una
multinazionale come General Electric nell’affrontare le problematiche dello
Human Resource Management, con particolare riferimento alla criticità del
processo di integrazione funzionale a livello di HR.
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CAPITOLO PRIMO: REVISION DELLA LETTERATURA
PARTE PRIMA: DIVERSIFICAZIONE E PROBLEMATICHE
GENERICHE DI INTEGRAZIONE
La diversificazione come fonte di vantaggio competitivo per le
multinazionali statunitensi
Uno studio dell’Università dell’Illinois su un campione di cento aziende
multinazionali e diversificate statunitensi dal 1990 al 1999 ha testato l’esistenza
di una relazione stabile tra i profitti e, appunto, la strategia di diversificazione.
Questaèasuavoltacorrelataconlastrutturadivisionale, la dimensione e
l’integrazione verticale dell’organizzazione.
Secondo una definizione fornita da Rumelt nel 1974, la diversificazione è una
strategia misurabile sulla base di tre indicatori.
Primo indicatore: il tasso di specializzazione
Il tasso di specializzazione, all’interno di un’organizzazione multinazionale che
adotta una strategia di diversificazione, si misura come la porzione dei ricavi
attribuibile al business più importante.
Come si vedrà in seguito nel corso dell’analisi qualitativa proposta, il tasso di
specializzazione all’interno di General Electric è piuttosto alto e,
contestualmente alla diversificazione non correlata, è uno dei due elementi
caratterizzanti la strategia di fondo dell’organizzazione. Si dovrà notare tuttavia
come non sia facilmente quantificabile, data la sua presenza in tutti e sei i
business che fanno parte della multinazionale.
Secondo indicatore: il tasso di correlazione
Il tasso di correlazione della diversificazione si misura invece con la porzione
dei ricavi attribuibile al gruppo di business che in qualche modo sono collegati
tra loro in termini di gamma di prodotti o servizi.
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In GE questa misura è piuttosto bassa se non praticamente inesistente, dato
che la strategia adottata dalla multinazionale è quella della diversificazione non
correlata che, condotta attraverso una serie continua di acquisizioni, permette
all’organizzazione di essere presente sul mercato con sei divisioni
completamente diverse tra loro in termini di prodotti e servizi offerti.
Terzo indicatore: il tasso di verticalizzazione
Infine, il tasso di verticalizzazione si misura come la porzione dei ricavi
attribuibile alla sequenza verticale integrata di operazioni di manifattura che
portano al prodotto finito.
Nella multinazionale americana oggetto della presente analisi, la misura è
particolarmente accentuata, non solo con riguardo al ciclo produttivo ma anche
e soprattutto con riferimento alla struttura aziendale e alla consuetudine di non
creare singole entità all’interno di ogni paese ma di verticalizzare tutte le policy
e le pratiche utilizzate a livello di Corporate.
Investimenti Diretti Esteri e integrazione
L’accelerazione del processo di integrazione economica avvenuta in Europa
negli anni Novanta ha favorito l’arrivo di un flusso internazionale di investimenti,
sia dall’interno dell’Europa stessa che da fuori, soprattutto da parte di
organizzazioni multinazionali. In quegli anni infatti, oltre il 40% del flusso totale
di Investimenti Diretti Esteri ha avuto come obiettivo l’Europa, che è diventata
progressivamente il continente più adatto a ricevere l’attività di entità
multinazionali.
L’approccio dell’Europa oggi deve essere quello di un territorio capace di
affrontare i problemi derivanti dalle differenze culturali, grazie non solo ai
trasferimenti di risorse da uno Stato all’altro ma anche e soprattutto alla
creazione di condizioni ambientali favorevoli a far sì che gli investimenti esteri
divengano un’opportunità e un punto di forza sul quale crescere.
Si deve dire tuttavia che non tutti i paesi hanno le caratteristiche strutturali per
favorire la creazione di un simile ambiente. In particolare, secondo una ricerca
condotta nel 2003 dall’Università degli Studi di Urbino riferita a otto paesi
europei nel periodo 1991-1999, l’Italia sarebbe una delle entità meno adatte a
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favorire un processo di questo tipo. Dati forniti nel 2004 dall’Istituto Nazionale
USA per il Commercio Estero confermano questa tesi, spiegando tuttavia che
da qualche anno tale tendenza è in fase di radicale cambiamento.
In Italia infatti, solo dalla fine degli anni Novanta è stata avviata una concreta
politica di attrazione degli investimenti esteri, abbinata alla rimozione degli
ostacoli alla movimentazione dei capitali, alla dismissione dei monopoli pubblici
alle privatizzazioni e alla maggiore integrazione nei mercati europei. I risultati di
tale politica “di apertura” sono evidenziati dai dati relativi al periodo 1995-2003,
in base ai quali l’Italia vede quasi quadruplicare da 4,8 a 16,4 miliardi di dollari
l’afflusso di IDE. In particolare se ne sottolinea la crescita media in termini
nominali (circa +11%) nell’ultimo triennio, molto significativa dato il contesto di
netta decrescita a livello mondiale (circa -25%).
Secondo dati aggiornati al 2003, le imprese americane attive in Italia sono 870
(1.582 se si prendono in considerazione tutte le imprese italiane partecipate da
case madri statunitensi), il fatturato e il numero totale di dipendenti sarebbero
rispettivamente 115 miliardi e 330.000 unità.
Gli Usa sono di gran lunga il principale paese investitore nell'industria
manifatturiera in Italia, con un peso del 26,1% sul totale degli investimenti esteri
nel comparto; ma l'incidenza sale al 30,6% in termini di numero di addetti e al
33,2% in termini di fatturato.
Tra le più importanti aziende statunitensi presenti in Italia, si ricordano: General
Motors, Motorola, Cisco Systems, Ford, Lucent Technologies, Procter &
Gamble, Johnson & Johnson, Honeywell, Hewlett Packard e, appunto, General
Electric.
Come dirigere le organizzazioni multiculturali
La distanza gerarchica
La storia dell’umanità insegna che la disuguaglianza culturale tra gli individui è
una costante di ogni epoca, regione e civiltà. Dal punto di vista strettamente
biologico, lo studio dei comportamenti della specie umana mostra che ogni
soggetto ha attitudini e tratti di personalità differenti.
Si può dire che quale è la specie umana tale è, nel suo piccolo, l’impresa.
Diversi stili di gestione e di leadership caratterizzano le organizzazioni di tutto il
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mondo, talvolta costruite sulla base dell’accentramento del potere, talvolta sulla
base di una decentralizzazione del processo decisionale.
Il grado di accentramento del potere che caratterizza un’impresa è altresì detto
“distanza gerarchica”. La distanza gerarchica si misura sulla scorta della
percezione che il dipendente ha del potere del suo superiore, poiché la
rappresentazione mentale dell’autorità di cui gode il superiore determinerà il
suo comportamento. La distanza gerarchica è quindi appunto la percezione del
grado di disparità di potere decisionale tra chi detiene il potere stesso e chi ne
deve seguire le direttive. Si tratta di una percezione molto diversa da paese a
paese, e quindi il concetto di distanza gerarchica si dimostra un criterio
estremamente ricco di distinzione.
Le cause che provocano una certa distanza gerarchica sono numerose, ma la
più importante tra tutte è la posizione geografica di un paese: secondo
un’analisi effettuata nel 1987 da Bollinger e Hofstede, più un paese è vicino
all’equatore tanto maggiore sarà la distanza gerarchica tra i suoi dipendenti, più
ci si avvicina ai poli più sarà breve. Questa dipendenza del grado di
accentramento del potere dalla latitudine, che a priori può sorprendere, è in
realtà legata al bisogno della tecnologia come condizione indispensabile per la
sopravvivenza: la vita di un gruppo umano in un clima rigido richiede sistemi di
protezione contro una natura ostile, e ciò presuppone che possano
sopravvivere solo coloro che dispongono di una minima competenza tecnica.
Le dimensioni demografiche rappresentano un secondo elemento di
correlazione diretta con l’indice di distanza gerarchica.
Il grado di accentramento del potere decisionale caratterizzante un determinato
paese comporta varie conseguenze per tutta l’organizzazione sociale e
istituzionale dello stesso, con particolare riferimento al complesso valoriale e
culturale dell’area geografica di riferimento in termini di religione, ideologia,
sistema politico e organizzazione delle imprese.
Il controllo dell’incertezza
Il controllo dell’incertezza è una dimensione culturale che misura il grado di
tolleranza che una società può accettare di fronte all’incertezza causata da fatti
a venire: se la tolleranza è debole il controllo è forte, e viceversa.
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All’interno di un’organizzazione, parallelamente, il grado di incertezza viene
minimizzato in presenza di regole formali che il dipendente non deve violare,
anche se ritiene che ciò sia nell’interesse dell’impresa stessa.
Le cause di questo aspetto culturale sono meno evidenti di quelle della distanza
gerarchica e comprendono elementi quali la densità della popolazione e il livello
di sviluppo del sistema legislativo del paese di riferimento.
Principalmente, le imprese tentano di controllare gli eventi incerti imponendo
programmi, avviando procedure normalizzate di funzionamento e seguendo le
tradizioni industriali dell’area geografica nella quale sono inserite. Quanto più
grande è il bisogno di standardizzazione e di formalizzazione, tanto più cresce il
livello di autorità che si esprime con regole e leggi. Poiché tuttavia l’essere
umano è allo stesso tempo razionale e irrazionale, le regole interne delle
imprese devono tener conto di entrambi gli aspetti. Si può dire che una regola è
buona se, essendo applicata razionalmente, coincide con certi valori impliciti e
viene dunque seguita istintivamente.
Tipologia delle strutture implicite di organizzazione delle imprese
La distanza gerarchica e il controllo dell’incertezza, quindi l’accentramento del
potere da un lato e il grado di standardizzazione, specializzazione e
formalizzazione dall’altro, sono due elementi chiave nella gestione di
un’organizzazione multinazionale.
In modo implicito, i cittadini di questo o di quel paese metteranno in pratica un
modello di organizzazione che corrisponda alla loro mentalità. Ecco i quattro tipi
di struttura che si possono riscontrare nel mondo, quando si incrociano questi
due elementi culturali (Figura 1).