8
E’ importante sottolineare come l’obiettivo del marketing culturale sia non
tanto di soddisfare qualsiasi bisogno del pubblico, quanto di incoraggiare
questo ultimo a conoscere le iniziative artistiche.
Indipendentemente dal fatto di voler realizzare un’iniziativa in funzione o
meno dei bisogni dello spettatore, è, infatti, tuttavia importante sapere
come raggiungere le fasce di pubblico potenzialmente interessate, così
come è utile ed opportuno individuare gli strumenti che aiutino a
fidelizzare e ad incrementare il pubblico.
Il marketing non porta ad una mercificazione dell’arte, in quanto “la
creazione artistica (il prodotto) è il punto di partenza, non di arrivo”, come
sostiene Colbert.
Il presente lavoro si articola in quattro parti. Nella prima parte, di
carattere introduttivo, sarà esplorato il rapporto tra marketing e cultura
con particolare attenzione alle resistenze e ai problemi che questo nuovo
tipo di approccio ha provocato nel settore culturale; si cercherà di
posizionare la realtà italiana rispetto a quella – più evoluta in questo
campo – europea (anglosassone in particolare) e mondiale; ci
soffermeremo sull’importanza che in tempi recenti il marketing ha
rivestito contribuendo alla nascita di un nuovo tipo di marketing, il
marketing culturale; e infine verrà presentato e analizzato il modello
teorico di marketing applicato all’azienda culturale, specificando il
mercato, l’ambiente, il sistema informativo e il marketing mix.
La seconda parte sarà incentrata sul consumo culturale in quanto
fenomeno sociale e sul consumatore culturale, del quale sarà tracciato
un profilo. Un’attenzione particolare sarà poi rivolta alle tecniche di
indagine utilizzate per analizzarne i bisogni, i comportamenti e le
aspettative.
9
Nella terza parte saranno analizzate in modo più approfondito le
problematiche e i mezzi relativi all’applicazione degli strumenti di
marketing nel settore culturale, con un particolare riferimento alla realtà
museale. Presenteremo le tre sfide strategiche che i musei italiani
dovranno affrontare per una dignitosa sopravvivenza: creare un’identità
e una missione specifica del museo, creare e fidelizzare un pubblico,
impostare un’efficacia strategia di raccolta fondi.
La quarta ed ultima parte sarà dedicata al calcio come fattore storico-
socio-culturale mondiale. Il calcio, oltre che uno sport universale giocato
nelle strade e negli stadi di tutti i paesi del mondo, è diventato un
fenomeno sociale e culturale, attraversato da tutte le contraddizioni del
nostro tempo, che ha influenzato notevolmente la nostra società.
Presenteremo infine il particolare caso del Museo del Calcio di Cremona,
descrivendo la nascita, la progettazione e il marketing plan di un museo
moderno.
10
INTRODUZIONE
L’attuale definizione di bene culturale, definita dall’art. 148, co. 1, D.lg.
112/1998 presenta il concetto di beni culturali come “quelli che
compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale,
demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che
costituiscono testimonianza avente valore di civiltà”
1
.
Ma la concezione comune di bene culturale come un bene nazionale da
tutelare e salvaguardare ha una storia piuttosto recente, infatti, in
passato non esisteva una distinzione così netta tra un bene culturale e
un bene privato.
Le prime misure di tutela adottata dagli Stati per salvaguardare i beni
culturali, risalgono al periodo preunitario. Il primato nell’aver predisposto
questo tipo di provvedimento è imputabile al Granducato di Toscana che,
grazie a Caterina de’ Medici nel 1871, vieta la rimozione di insegne e di
iscrizioni dai palazzi antichi senza la licenza del luogotenente
dell’Accademia e del Disegno.
A seguire, gli Stati che imitarono la Toscana in tal senso, furono la
Lombardia, il Regno di Napoli, Venezia e la Sicilia.
Le esigenze che giustificarono l’adozione di tali misure di salvaguardia
erano molteplici: contrastare la spoliazione dei beni artistici e
archeologici e limitare il loro trasferimento all’estero. Chiaramente i
provvedimenti avevano natura frammentaria ad eccezione dell’Editto del
Cardinal Pacca, con il quale, nel 1820, si predisposero misure più
restrittive contro il saccheggio delle opere d’arte e furono introdotte
regole chiare per la conservazione ed il restauro.
1
Ainis, M., Fiorillo, M, “I beni culturali”, in Cassese, S. (a cura di), Trattato di diritto amministrativo.
Diritto amministrativo speciale, vol. II, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 181
11
Anche dopo l’unità d’Italia, la situazione non migliorò, anzi si ottenne un
aumento della dispersione del patrimonio culturale dal momento che
l’art. 22 dello Statuto Albertino definiva la proprietà come un diritto
inviolabile e non considerava rilevante la distinzione tra un bene culturale
e un bene semplice.
La prima legge organica fu la 431 del 1904 che istituì il catalogo
nazionale dei beni culturali e proibì l’esportazione delle opere definite di
‘Gran Pregio’. La suddetta legge fu sostituita nel 1909 dalla L. 364 (la
cosiddetta legge Rosadi), che ampliò l’ambito dei beni culturali e stabilì
un doppio regime di trasferimento dei beni: invalicabilità se
appartenevano allo Stato, obbligo di denuncia se appartenevano a
privati. Nel 1939 vengono emanate due leggi: la n°1089 relativa alle
‘cose d’arte’ e la n°1497 relativa alle bellezze naturali.
Un’ulteriore fase normativa attraversata dai beni culturali è caratterizzata
dall’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, che dedica ai beni
culturali articoli specifici (artt. 9 e 33); in questo periodo, un ruolo
fondamentale è assunto dalla Commissione Franceschini che perviene
alla prima definizione di bene culturale, facendovi rientrare ogni bene
che costituisce testimonianza materiale avente valore di civiltà.
Si arriva così ai giorni nostri. Nel 1990 l’attività legislativa risente
dell’influenza di due fattori nuovi: le fonti comunitarie e la
consapevolezza della necessità di una nuova disciplina dei beni culturali.
Attualmente le norme importanti in materia di beni culturali sono il D.lg.
490/1990 (t.u. b.cult.), il D.lg. 112/1998 e il D.lg. 368/1998, che
disciplinano la definizione di bene culturale, specificano i beni che
rientrano in tale categoria e istituiscono il Ministero dei Beni Culturali e
ne determinano l’organizzazione ed il funzionamento.
12
I beni culturali sono sottoposti ad un trattamento giuridico preferenziale
che si concretizza nella realizzazione di tre funzioni fondamentali:
ξ Tutela. “Ogni attività diretta a riconoscere, conservare e
proteggere i beni culturali e ambientali”
2
. Questa funzione
nonostante le innovazioni apportate successivamente in ambito
normativo rimane di competenza esclusiva dello Stato.
ξ Valorizzazione. “Ogni attività diretta a migliorare le condizioni di
conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali, ed a
incrementarne la fruizione”
3
. La valorizzazione è affidata allo Stato
insieme alle Regioni e agli Enti locali, ciascuno nel proprio ambito,
attraverso forme di cooperazione.
ξ Gestione. “Ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di
risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni
culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di
tutela e valorizzazione”
4
. Quest’ultima funzione è ripartita tra Stato
e gli Enti autonomi territoriali.
In merito a quest’ultima funzione, nel 1993 è stata emanata la “legge
Ronchey”
5
che prevedeva come obbligatorio l’affidamento a privati della
gestione dei servizi accessori per i musei statali, come ad esempio shop
point e punti ristoro.
2
D.lg. 112/1998, art. 148, co. 1, lett. c).
3
D.lg. 112/1998, art.148, co.1, lett. e)
4
D.lg. 112/1998, art.148, co.1, lett. d)
5
Legge 4/1990
13
L’entrata di capitali privati nell’ambiente culturale fu la causa scatenante
di uno scontro fra diverse ideologie: da una parte la vecchia concezione
per la quale i beni culturali sono da considerarsi come un particolare tipo
di categoria di beni da salvaguardare il più possibile da una massa
ignorante e incompetente, dall’altra nasceva un’esigenza tutta
economica di promozione del bene, in modo da aumentare le entrate e
di conseguenza i guadagni.
Questo dibattito, di nuova concezione in Italia, era già stato affrontato
all’estero dove si riteneva che l’uso di strumenti propri della battaglia
commerciale potessero essere di estremo aiuto anche per la promozione
di beni culturali. Alcuni musei sono la dimostrazione lampante di come
“l’intera categoria stia radicalmente mutando la sua natura, assorbendo
progressivamente la cultura del consumo”
6
. Alcuni esempi ce li riporta
Codeluppi (2003)
7
: il Louvre è il più grande museo al mondo e anche il
più frequentato, ma soprattutto è il primo ad essere dotato di un centro
commerciale al suo interno; da questo punto di vista però il museo più
interessante risulta essere quello realizzato a Bilbao dalla Fondazione
Guggenheim su progetto di Frank Gehry, che ha realizzato un edificio
perfettamente coerente con quella vera e propria strategia di creazione
di identità di marca, una delle caratteristiche che stanno portando la
Fondazione Guggenheim ha diventare una vera e propria marca globale.
Nasce una nuova disciplina alla quale fu dato il nome di marketing
culturale.
6
Codeluppi, V., Il potere del consumo, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2003, p. 48
7
Codeluppi, V., 2003, op. cit.
14
PARTE I
CAPITOLO I
IL RAPPORTO TRA MARKETING E CULTURA
1. L’arte e la cultura marketing-oriented
1.1. Diffidenza del settore culturale verso il marketing
L’immagine dominante della funzione di marketing è sempre stata quella
di uno strumento ad appannaggio esclusivo delle imprese industriali,
strettamente collegato con la vendita e la promozione dei beni sul
mercato. Il settore artistico e culturale ha sempre guardato con molta
diffidenza al marketing ed in genere a tutto ciò che ha fatto riferimento ad
un approccio economico alla cultura.
Questo per svariate ragioni: a cominciare da banali questioni
terminologiche, la durezza, anche letterale, della parola marketing e dei
suoi strumenti – strategie, piani, slogan, tutti termini riconducibili ad una
vera e propria ‘battaglia’ sul mercato – ha sempre spaventato gli addetti
culturali, fino alla paura di una ‘mercificazione’ dell’arte e della cultura
stessa; all’ignoranza riguardo ai principi del marketing ed alla mancanza
di uno specifico adattamento alla particolarità del settore ed alla paura di
perdite di posizione da parte dei responsabili del settore
8
. Secondo
Kotler e Andreasen (1998)
9
, ancor oggi, nel settore del non profit,
permane il convincimento che il marketing sia in sostanza l’espressione
del male.
8
Squadrilli, L., “Marketing e cultura: un binomio possibile?”, in www.ideaimmagine.it, 2000
9
Kotler, P., Andreasen A. R, Marketing per le organizzazioni non profit, Il Sole 24 ore, Milano,1998
15
Tale convincimento si articola in 3 punti di vista: il marketing è un modo
per sperperare il denaro pubblico, le operazioni di marketing sono
invadenti, in altre parole violano la sfera privata delle persone, ad
esempio nel caso delle ricerche di mercato, il marketing manipola il
consumatore.
Queste considerazioni valgono in modo particolare per l’Italia, dove
l’intero settore culturale è sempre stato una prerogativa delle
amministrazioni pubbliche e, in conformità a ciò, lo si è sempre
considerato del tutto estraneo alle logiche di business.
La mancanza principale del sistema italiano, in confronto a quello degli
altri paesi industrializzati, è la customer satisfaction
10
, l’atteggiamento
verso il cliente. Per troppo tempo il nostro sistema dei beni artistici e
culturali è rimasto solo ed esclusivamente orientato alla sopravvivenza e
alla conservazione, mentre all’estero prevaleva un’azione alla
modernizzazione ed evoluzione del sistema mettendo al centro delle
attenzioni il cliente, secondo un preciso orientamento al mercato
11
. In
Europa, soprattutto nel mondo anglosassone, i consumatori hanno
sempre avuto un ruolo importantissimo nel settore. Qui prevale il
concetto di ‘Heritage’ – ‘eredità’ del passato da cui apprendere e di cui la
più ampia fascia di popolazione deve poter godere – al posto di quello di
‘Patrimonio culturale’ – da salvaguardare da masse incompetenti e
disinteressate – della realtà italiana.
10
La customer satisfaction definisce la manifestazione delle capacità dell’impresa di generare valore
per i suoi clienti e di saper anticipare e gestire le loro attese, dimostrando competenze e
responsabilità nel rispondere e soddisfare i bisogni espressi dai clienti esclusivamente nel loro
interesse. Per ulteriori approfondimenti Valdani, E., Marketing strategico, ETAS libri, Milano, 1995,
cap. 12
11
Varaldo, R., “La svolta dell’orientamento al mercato nel sistema dei beni artistici e culturali”, in
Mattiacci A. (a cura di), La gestione dei beni artistici e culturali nell’ottica del mercato, Edizioni Angelo
Guerini e associati Spa, Milano, 1998
16
L’attività di marketing, quando esisteva, veniva inglobata e relegata
all’interno di funzioni come le relazioni esterne, l’ufficio stampa, lo
sviluppo, gestite spesso da persone prive di una specifica competenza
sull’argomento. Oggi, però, le organizzazioni e le imprese culturali
attraversano una fase di grandi cambiamenti per il concorso di numerosi
fattori. Mentre alcuni elementi sono comuni ad altri settori, quali la
riduzione tendenziale della gestione e della spesa pubblica,
l’orientamento delle politiche pubbliche verso i risultati e la valutazione,
la trasformazione del lavoro; altri fattori di crisi, invece, sono specifici e
assumono particolare rilevanza per l’ambito culturale
12
:
ξ accentuazione degli aspetti economici e sociali della cultura in
diversi settori, quali il turismo, l’occupazione, lo sviluppo locale;
ξ ridefinizione degli assetti delle istituzioni pubbliche in direzione di
un allargamento della base sociale e il crescente coinvolgimento
dei privati, in particolare con la nascita del fenomeno delle
fondazioni;
ξ irruzione delle nuove tecnologie, che modificano non solo le
modalità e le forme di distribuzione dei prodotti, ma in molti casi lo
stesso processo di creazione e produzione
Inoltre, come è stato definito, il XXI secolo si presenta come la civiltà del
tempo libero. Anche se la definizione non può ancora essere provata, è
vero che nelle società industrializzate i lavoratori, nella loro lotta per un
lavoro meno faticoso, hanno conquistato gradualmente spazi di tempo
libero e una maggiore quantità di risorse da destinare all’uso di questo
12
Squadrilli, L., 2000, art. cit.
17
tempo. Insieme hanno conquistato anche migliori livelli di cultura e
maggiori bisogni ed opportunità di occupare nei modi più diversi il tempo
non lavorativo; questa nuova prospettiva ha acceso una lotta tra i diversi
protagonisti dell’industria dell’entertainment per assicurarsi le maggiori
quote del nuovo mercato.
1.2. Importanza del marketing nel settore culturale
Armin Klein, docente di management culturale al Ludwigsburg
Polytechnic, consulente per teatri, musei e altre organizzazioni culturali
ed autore di numerosi saggi e articoli sul management e sul marketing
delle organizzazioni culturali, ha esposto, durante il Seminario
Internazionale sul Marketing Culturale tenutosi a Torino nel febbraio
2000, dieci ragioni per spiegare perché il marketing culturale sia sempre
più necessario per le organizzazioni culturali
13
:
1. Crisi finanziaria dei budget pubblici;
2. Cambiamento nel carattere della pubblica amministrazione (nuovi
modelli e nuovi approcci maggiormente orientati al cliente e agli
aspetti progettuali);
3. Crescita delle competenze gestionali degli operatori delle
organizzazioni culturali;
4. Aumento dell’offerta e maggiore concorrenza nel settore del tempo
libero;
13
Klein, A., “10 ragioni per spiegare perché il marketing culturale è sempre più necessario per le
organizzazioni culturali”, in www.fizz.it, 2000
18
5. Incremento della mobilità e del turismo culturale;
6. Nuove partnership tra l’economia e l’arte (rafforzamento del
connubio pubblico-privato);
7. Arte e cultura sono diventati degli importanti fattori nella
differenziazione degli stili di vita;
8. Evoluzione del concetto di cultura: ‘democratizzazione’ del concetto
di cultura;
9. Orientamento all’evento;
10. Maggiore responsabilizzazione di chi gestisce l’arte e la cultura:
orientamento al progetto.
Il discorso è affrontato anche da Alessandro Bollo (2000)
14
, che, tra le
ragioni di cambiamento che hanno portato a rivalutare il marketing in
campo culturale, cita l’insufficienza delle risorse pubbliche, l’incremento
dell’offerta di servizi per il tempo libero, il maggiore coinvolgimento dei
privati sui progetti culturali, la crescita delle competenze gestionali degli
operatori culturali e il consumo di arte e cultura come fattore di
differenziazione degli stili di vita e di costruzione di una nuova identità
collettiva.
Non è un caso, visto che il mondo anglosassone è da sempre stato più
pronto a cogliere la sfida, che le basi del marketing culturale siano state
14
Bollo, A., “Il marketing culturale in Italia, la fine di un ossimoro?”, In Colbert, F., Marketing delle arti e
della cultura, ETAS libri, Milano, 2000
19
gettate da un autore statunitense, P. Kotler. Nel suo testo del 1967,
Marketing Management, egli già mette in evidenza come le
organizzazioni culturali (musei, biblioteche, università) producano beni
culturali
15
. Tutte queste organizzazioni, però, si sono rese conto
solamente in questi ultimi anni di dover competere tra loro sia per
ottenere l’attenzione del consumatore che per ottenere la loro quota di
fondi statali, di dover, in altre parole, affrontare un problema di
marketing.
1.3. Il cambiamento di mentalità del settore culturale
La differenza tra l’Italia e gli altri paesi industrializzati su questo tema si
sta negli ultimi tempi attenuando. Il divario di orientamento strategico del
nostro sistema rispetto a quello degli altri paesi industrializzati, si è
andato colmando durante il corso degli anni novanta e soprattutto negli
ultimi tempi: si tratta di un percorso evolutivo che dovrà essere seguito
con sempre maggiore convinzione e consapevolezza.
Il patrimonio artistico italiano è da qualche anno al centro di un vivace
dibattito dove si scontrano logiche opposte nella definizione dei valori e
dei criteri di gestione. Si concorda in ogni modo nel ritenere che l’entità
sia tale da rendere necessario l’intervento privato, non potendo lo Stato
far fronte a tutte le necessità connesse alla conservazione e alla
valorizzazione dei beni culturali nazionali. Il patrimonio culturale
dovrebbe essere considerato anche in Italia, come lo è in altre nazioni,
bene economico, con tutte le implicazioni connesse a tale concetto: vale
a dire una fonte di reddito capace di fornire benefici concreti se gestita
con sani criteri amministrativi ed adeguati investimenti.
15
Kotler, P., Scott, W. G., Marketing Management, Isedi, Milano, 1993
20
La consapevolezza degli operatori culturali italiani di trovarsi in un
territorio privilegiato, sta crescendo. Come sta crescendo la sensibilità
verso l’applicazione del marketing, per il suo sfruttamento e la sua
valorizzazione. Gli obiettivi oggi assegnati alla politica culturale sono di
ampio respiro: riguardano sia l’aspetto tradizionale della conservazione
del patrimonio artistico e storico, sia l’aspetto delle condizioni di accesso
e fruizione dei beni a più ampie schiere di consumatori, sia le forme di
gestione fondate su una più diretta responsabilità gestionale delle
istituzioni culturali e aperte alla promozione della partecipazione delle
imprese private. Questa estensione di obiettivi consente di guardare non
più solo alla conservazione e alla tutela, ma anche alle istanze di
innovazione che stanno interessando il settore. “Quello della cultura è un
settore economico e produttivo a tutti gli effetti: la cultura è ormai un
bene primario di cui la nostra società ha un bisogno fondamentale”
16
.
Il mercato unico dell’Europa e la concorrenza delle nuove strutture
d’avanguardia condannerà chi non offrirà servizi migliori e proposte
capaci di attrarre il pubblico. In questo periodo stiamo già assistendo a
segnali di globalizzazione dell’offerta con la nascita di musei o sistemi
museali, come il Guggenheim di Bilbao, il museo Beyer di Basilea e la
rete museale di Berlino, organizzati per competere a livello
internazionale puntando su particolari fasce di clientela che possono
essere attratte solo con proposte di alto valore culturale, artistico e
architettonico fortemente innovative. Si tratta di una strada che, secondo
Riccardo Varaldo (1998)
17
, anche l’Italia dovrà necessariamente
percorrere per non rimanere fuori dalla nuova e dinamica spinta
evolutiva del mercato museale. Varaldo ricorda poi che, anche se la
domanda culturale ed artistica si va globalizzando, l’offerta rimane
16
Boni, M.I., Giorgieri, C., “Il marketing culturale”, in De Biase, F. et al., Il nuovo manuale delle
professioni culturali, UTET libreria, Torino, 1999, p. 243
17
Varaldo, R., 1998, op. cit.
21
radicata e caratterizzata dal contesto storico-culturale che l’ha generata.
Il marketing deve valorizzare, promuovere e distribuire un prodotto già
esistente, piuttosto che inventare dal nulla un prodotto globale.
Per quanto riguarda il pubblico, poi, bisogna rivolgersi non solo all’élite di
consumatori abituali, ma anche ai soggetti potenzialmente interessati al
consumo culturale e, soprattutto, ai fruitori futuri, in altre parole ai
giovani. Per questi ultimi il consumo culturale non deve essere
un’imposizione, ma una risposta ed uno stimolo continuo ad esigenze
individuali. Occorre quindi “approntare un’attività di comunicazione con i
giovani più efficace e mirata, costruendo un percorso di fidelizzazione
del consumatore culturale attraverso attività didattiche, di laboratorio e
ludiche che devono entrare a far parte integrante dell’offerta delle
organizzazioni culturali”
18
.
Oggi più che mai si sente quindi anche la necessità di un’offerta
formativa in grado di assicurare al settore culturale figure professionali in
grado di affrontare le sfide di cui abbiamo parlato.
2. Marketing: mercificazione dell’arte?
Chi ritiene che il marketing culturale porti ad una mercificazione della
cultura e ne uccida il valore artistico, non ha capito cos’è il marketing
culturale. A questo riguardo sono esisti dibattiti, anche molto accesi. Uno
dei quali fu scatenato da Michele Serra, con un suo articolo provocatorio,
pubblicato dal quotidiano “La Repubblica” del 7 novembre 2000.
18
Squadrilli, L., 2000, art. cit.