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INTRODUZIONE
Qual è l’approccio utilizzato oggi nel descrivere la dimensione sociale dei
diritti nell’ordinamento giuridico europeo? Si fa sempre più riferimento al
cosiddetto constitutional cross fertilization
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.
Con tale espressione si intende il rapporto di reciproco condizionamento delle
regole giuridiche nazionali e sovranazionali che si realizza mediante un
processo di osmosi tra ordinamenti nazionali e ordinamento europeo.
Tale logica multilivello sembra assumere rilievo sulla base di due presupposti
che saranno successivamente formulati: la superiorità del diritto sovranazionale
sulle costituzioni interne non ha fondamento gerarchico ma funzionale, né si
tratta di un primato incondizionato, ma solo in ragione della funzione della
migliore tutela possibile dei diritti, secondo l’art. 53 della Carta di Nizza.
Tale logica non implica, quindi, l’abbandono delle peculiarità nazionali, di cui
si devono al contrario considerare le specificità.
Tale meccanismo di interazione sembra riguardare sempre più le dinamiche
sociali interessanti gli ordinamenti giuridici nazionali. Anche in tal senso,
prendendo in considerazione gli esempi opportuni, se ne rilevano tre possibili
conseguenze:
- indifferenza e/o ridondanza;
- conflitto;
- positiva integrazione.
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Si rinvia a B. Caruso, Changes in the workplace and the Dialogue of Labor Scholars in the
“Global Village”, in B. Aaron - K.V. W. Stone (a cura di), 2007.
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Il mio lavoro di tesi vuol enucleare queste conseguenze a partire dai casi in cui
sia intervenuta la Corte di Giustizia. In effetti, i recenti casi risolti dalla Corte,
nel riconoscere i diritti sociali come tratto identitario dell’ordinamento
europeo, sembrerebbero far propendere verso una visione di conflitto tra diritti
sociali nazionali e la loro dimensione sovranazionale ossia europea. Tale
visione di conflitto sembrerebbe derivare dalla forte discrepanza in merito tra
regolazione dei diritti sociali e regolazione della libertà di circolazione e della
libertà di concorrenza nello spazio europeo, le cosiddette libertà “economiche”.
Probabilmente, una nuova visione di costruzione dell’assetto costituzionale
dell’Ue, che prescinde da una logica esclusivamente politica, impone di
considerare la relazione tra dimensione sovranazionale dei diritti e loro identità
nazionali in termini non meramente di coesistenza, ma di vera e propria
evoluzione o co-evoluzione. E l’effetto di “cross fertilization” costituzionale
per quanto riguarda il riconoscimento e l’affermazione dei diritti sociali è
accentuato dall’interscambio tra i cinque nuovi pilastri che reggono
l’architettura dei diritti fondamentali in Europa, da Lisbona in poi: le nuove
disposizioni generali di apertura dei Trattati (in particolare gli artt. 2 e 3 TUE e
gli artt. 9 e 10 TFUE); i Principi generali classici dell’Unione Europea; la Carta
dei diritti fondamentali (Carta di Nizza), con la sua posizione di equipollenza
tra diritti sociali e gli altri diritti culturali, civili e politici; la Convenzione
Europea dei diritti umani con l’applicazione diretta delle sue disposizioni in
ragione dell’adesione formale dell’UE alla Convenzione; le tradizioni
costituzionali nazionali, comuni a tutti gli Stati Membri (Caruso, 2010). In
qualche modo quindi vi è reciproca influenza, che negativa o positiva possa
considerarsi, creandosi una vera e propria interferenza, come sancito dalle
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sentenze Ue di ultima generazione, vero e proprio strumento di dialogo i due
livelli costituzionali.
Che questa interferenza vada a scapito dei diritti sociali o dei diritti
“economici”, o se voglia al contrario conciliarli verso la costruzione di quel
“Modello Sociale Europeo” in cui coesione sociale e welfare sono compatibili
ed anzi funzionali ad una crescita e ad una competitività sostenibili, come
auspicato al Consiglio Europeo di Nizza del 2000
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, quale eventuale obiettivo
ultimo del processo di integrazione europea, è appunto l’oggetto della mia tesi.
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Al Consiglio Europeo di Nizza tenutosi il 20 Dicembre 2000 si è data la definizione di
Modello Sociale Europeo come “contraddistinto da un legame indissociabile tra prestazione
economica e progresso sociale”.
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ANALISI NORMATIVA DELLA QUESTIONE: DIRITTO PRIMARIO E
DIRITTO DERIVATO EUROPEO A TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI E
DELLE LIBERTÀ ECONOMICHE FONDAMENTALI
A conclusione della causa C-438/05, l’avvocato generale Poiares Maduro
stabilisce che né nei Trattati né nella normativa comunitaria di tipo derivato è
implicito che debbano prevalere ora le disposizioni in materia di libera
circolazione e di concorrenza ora le disposizioni in materia sociale, in
particolare quelle che ineriscono i diritti di associazione e di sciopero
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, diritti
molto spesso fortemente condizionati dal rispetto, imposto dalla Corte, delle
libertà economiche. Uno sviluppo ed una migliore regolazione sociale della
contrattazione non sono concepibili se non sostenendo appunto questi diritti
che ne stanno alla base (Dorrsemont, 2008).
Di tali diritti occorre innanzitutto dire che si tratta di diritti collegati con il
principio di eguaglianza in senso sostanziale ed in linea di principio
appartengono alla persona concreta e situata in un determinato contesto nel
quale essa viene a trovarsi in condizioni sfavorevoli rispetto a quelle in cui
versano altre persone o gruppi di persone, e ciò può avvenire per motivazioni
di ordine culturale, sociale, fisico o sociologico. Perciò tali diritti tengono
conto di queste diverse condizioni dalle quali dipende la necessaria tutela degli
stessi.
Il riconoscimento dei diritti sociali entro l’Unione Europea è prima di tutto di
tipo normativo. Tale riconoscimento consiste in un richiamo di tipo obliquo nei
trattati. Così l’articolo 136
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TCE recita: “La comunità e gli Stati membri, tenuti
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Conclusioni dell’'Ag Poiares Maduro, presentate il 23.5.2007 nella causa C-438/05.
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L’art.136 TCE è il vecchio art. 117 che già nel Trattato di Amsterdam si era arricchito dei
riferimenti ai diritti fondamentali contenuti nella Carta Sociale del 1961 ed in quella
comunitaria del 1989.
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presenti i diritti sociali fondamentali, […], hanno come obiettivi la promozione
dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che
consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata,
il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello
occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione. A tal fine,
la Comunità e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della
diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e
della necessità di mantenere la competitività dell’economia nella Comunità.
Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del
mercato comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle
procedure previste dal presente trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative.”. Tale visione è confluita poi, in
maniera identica, nell’art 151 TFUE.
Dalla prima frase del suddetto articolo si rileva, innanzitutto, l’inserimento dei
diritti sociali nella categoria dei diritti fondamentali.
In tal modo essi divengono indivisibili
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, nel senso che acquistano uguale rango
rispetto a tutti gli altri diritti fondamentali: risulta perciò superata la
contrapposizione tra diritti di libertà e “diritti a prestazioni”, dalla quale
tradizionalmente si faceva derivare l’assimilazione dei diritti sociali ai secondi
e la “minorità”di questi ultimi rispetto ai primi. Si riteneva che i diritti sociali
fossero “diritti a prestazioni” poiché, tenendo conto delle diverse condizioni da
cui dipendeva la necessaria tutela, creassero a favore del titolare del diritto
l’aspettativa di una prestazione, realizzabile con un intervento pubblico diretto
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L’indivisibilità dei diritti sociali con altri diritti individuali poggia su quel meta-principio o
meta-diritto unificante che è la dignità della persona umana (art. 1 della Carta dei Diritti
Fondamentali) (Caruso, 2010).
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o attraverso l’attività dei privati (Ballestrero, 2007). Al contrario la
qualificazione dei diritti sociali come diritti fondamentali ha conseguenze
significative: un diritto fondamentale può essere limitato solo da un altro diritto
di pari rango e nel bilanciamento prevale (o dovrebbe prevalere) su diritti che
non godano dello status di diritti fondamentali.
L’indivisibilità dei diritti sociali poiché diritti fondamentali non esclude che
questi possano essere classificati in diritti self-executing e diritti “condizionati”,
che presuppongono un intervento perlomeno pubblico. È rispetto a tali diritti
condizionati che emerge la relazione tra risorse finanziarie disponibili e livello
di tutela di tali diritti: relazione che dovrebbe risolversi nel “bilanciamento” tra
le ragioni dei diritti sociali e quelle dell’efficienza economica.
Ma in realtà tale rapporto risulta ineguale e allora si evince, anche dallo stesso
articolo sopracitato, come la tutela dei diritti sociali sia stata inizialmente
perlopiù intrapresa seguendo un’ottica prettamente funzionalista poiché
funzionale ad una piena esplicazione della libertà di concorrenza entro la
“vecchia” Comunità Europea (Sciarra, 2003).
Proseguendo nell’excursus delineato dai trattati, la Carta di Nizza, rafforza
ulteriormente il “riconoscimento”dei diritti sociali collettivi entro l’UE
confermandone, appunto, il carattere fortemente identitario e rappresentativo
dei valori dell’Unione, ossia il carattere di diritti fondamentali.
È interessante notare come la protezione sociale disegnata dalla Carta interessa
un campo materiale assai esteso che va al di là delle più specifiche tematiche
legate al diritto del lavoro, alla sicurezza sociale e ai beni e ai servizi
d’interesse generale, per coinvolgere anche quelle connesse alla vita familiare,
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all’educazione, alle relazioni di genere, alle politiche contro l’esclusione
sociale e alla tutela delle categorie deboli e disabili (Costanzo, 2008).
Schematicamente, può rilevarsi come sia presente un primo fascio di diritti che
ruotano intorno al soggetto già occupato in un’attività lavorativa (perlopiù in
impresa), ed un secondo fascio che prescinde prevalentemente invece da tale
condizione ed anzi in certi casi addirittura presuppone la mancanza e l’inabilità
al lavoro.
Appartengono al primo gruppo, soprattutto le situazioni soggettive contemplate
sotto lo specifico Capo IV della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea (il cosiddetto capo della Solidarietà). Così l’art. 27 della Carta apre il
Capo con un riferimento al diritto dei lavoratori all’informazione ed alla
consultazione nell’ambito dell’impresa. Tale articolo esemplarmente riproduce
gli articoli 138 e 139 TCE (confluiti negli articoli 154 e 155 TFUE) in cui è
preso in considerazione il metodo della consultazione e del dialogo sociale tra
le parti come strumento preferenziale di conduzione delle relazioni industriali.
Una particolare attenzione è dedicata anche agli accordi collettivi che, nel
successivo art. 28 della Carta sostanziano il diritto di negoziazione, accanto al
diritto di azioni collettive e di sciopero. Con simili riconoscimenti, dunque, la
libertà sindacale, nelle sue varie declinazioni, entra a pieno titolo
nell’ordinamento dell’Unione europea, potendo ricevere, da parte delle Corti
comunitarie, la medesima tutela accordata finora ad altri diritti di natura
economica.
Completano il “Capo della Solidarietà” gli articoli disciplinanti gli strumenti
giuridici di protezione della vicenda lavorativa (ed extra-lavorativa)
individuale, che non si esauriscono ad i margini temporali della vicenda
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lavorativa, ma si riflettono sulla qualità della vita individuale (basti pensare
all’articolo 33 della Carta). Segue, all’art. 34 della Carta, il regime di sicurezza
e protezione sociale, che a noi può interessare per il riferimento ad una
necessaria seppur problematica cooperazione tra le regole stabilite dall’Unione
Europea e le restrittive legislazioni e prassi nazionali. Si deve al Trattato di
Nizza e a tali disposizioni la formulazione dell’attuale art.153 TFUE.
La migliore contestualizzazione che dei diritti sociali è fatta all’interno della
Carta fa indubbio riferimento a quei principi ricostruiti e riconosciuti dalla
Corte, in particolare nelle sentenze Laval e Viking. Attraverso l’attivismo della
Corte di Giustizia, in effetti, alcuni diritti e principi sociali hanno condizionato
l’evoluzione dell’ordinamento dell’Unione, andando al di là della rigorosa
delimitazione delle competenze delle istituzioni europee in materia sociale
(Alaimo-Caruso, 2010).
D’altro canto, la Corte di Giustizia Europea aveva già affermato nel 1969, con
la sentenza Stauder, che i diritti fondamentali fanno parte dei principi generali
del diritto comunitario, di cui la Corte medesima garantisce l’osservanza,
tenuto conto delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri nonché
degli strumenti internazionali concernenti la tutela dei diritti dell’uomo cui gli
Stati membri hanno collaborato o aderito. In un certo senso, quindi, solo dopo
che la strada era stata aperta dalla Corte, le istituzioni comunitarie hanno
imboccato quella linea evolutiva che comincia a delinearsi con l’inclusione dei
diritti sociali nella Carta di Nizza del 2000 e che prosegue con l’insistenza con
cui è affrontato il problema nel Trattato Costituzionale del 2004.
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Il progetto di un Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa è stato definitivamente
abbandonato in seguito all’esito negativo dei referendum promossi in Francia e nei Paesi Bassi.