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CAPITOLO 1
La teoria economica del governo decentralizzato e la sua
evoluzione in Italia.
1.1 Introduzione.
Come numerosi altri paesi nel mondo, europei ed extraeuropei, anche
l'Italia ha avviato un faticoso processo di decentramento di
competenze e risorse dal livello centrale di governo verso enti
territoriali periferici. Al momento attuale, l'approvazione della legge
delega n.42 del 5 maggio 2009 rappresenta il culmine di questo
processo, iniziato sostanzialmente agli inizi degli anni novanta e per
molti aspetti non ancora concluso; infatti trattandosi di delega in
materia di federalismo fiscale, avrà bisogno dell'approvazione di tutta
una serie di specificazioni necessarie all'effettiva realizzazione dei
principi contenuti nel decreto stesso.
Ma cosa si intende concretamente quando sentiamo parlare di processi
di decentramento, di governi centrali, governi periferici o di
federalismo fiscale?
La risposta a questi quesiti è la condizione necessaria per comprendere
non solo le tematiche sulle quali si è sviluppato, con sempre più
frequenza ed intensità, gran parte del dibattito politico italiano degli
ultimi anni; ma sopratutto, per comprendere ed analizzare le effettive
trasformazioni dell'assetto politico, finanziario ed istituzionale in atto
nel nostro paese. Diventa quindi essenziale chiarire in maniera
dettagliata l'evoluzione della teoria e delle istituzioni caratteristiche
del federalismo fiscale, utilizzando come punto di partenza le parole
pronunciate nel 1959 da Luigi Einaudi (considerato uno dei padri della
Repubblica italiana e secondo Presidente dello Stato stesso), che in un
contesto storico-politico fortemente centralistico, come quello in qui è
vissuto,affermava: "Se regioni, provincie e comuni devono ricorrere
ad entrate proprie per finanziare le relative funzioni, nasce il
controllo dei cittadini sulla spesa pubblica, nasce la speranza di una
gestione sensata del denaro pubblico.
Se gli enti territoriali minori vivono di proventi ricevuti dallo Stato,
manca l'orgoglio del vivere del frutto del proprio sacrificio e nasce la
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psicologia del vivere a spese altrui" (Forte F., Luigi Einaudi: il
mercato e il buongoverno, Einaudi, 1982).
E' proprio da questa affermazione che risulta evidente come la
dimensione finanziaria rappresenti il nodo cruciale di quel fenomeno
che si è soliti definire con il termine di "decentramento": cioè quel
processo di gestione di poteri politico-amministrativi che si sviluppa
attraverso il trasferimento, la distribuzione o la delega di funzioni e
competenze da livelli centrali a livelli periferici di governo.
Dimensione finanziaria descritta invece con il termine di "federalismo
fiscale", identificando così la proiezione in campo economico-
tributario dello stesso processo di decentramento.
Questa stretta correlazione tra i due termini risulta anche dal fatto che
spesso vengono utilizzati come rispettivi sinonimi; ma entrando più
nello specifico, si può affermare che è lo stesso decentramento
politico-amministrativo a costituire lo strumento e la premessa per la
realizzazione del decentramento fiscale.
Dunque sono gli stessi poteri finanziari riconosciuti alle
amministrazioni devolute a determinare il loro reale grado di
autonomia.
Come affermano i sostenitori del federalismo fiscale, gli enti politico-
amministrativi territoriali devono finanziare le proprie spese con
imposte proprie, in modo che i cittadini tassati possano esercitare, col
voto, un maggiore controllo politico su di essi. Si sostiene che vi è
tanta più trasparenza e controllo quanto più il pubblico amministratore
può essere considerato direttamente responsabile delle scelte di
prelievo e di spesa operate. Tale responsabilità si affievolisce nei
sistemi burocratici centralistici, mentre nei sistemi decentrati diviene
più evidente perché è più facile individuare il soggetto che deve
risponderne.
Ecco in sintesi i caratteri del federalismo fiscale; e da qui nasce la
necessità di coniugare, nel modo più efficace possibile, il
decentramento funzionale al decentramento finanziario, il cui studio è
compito appunto delle teorie relative al decentramento fiscale.
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1.2 Soggetti, modelli e forme del governo decentralizzato.
Dal punto di vista organizzativo di una struttura di governo decentrata
possono esistere diversi modelli di riferimento, in quanto si tratta di
enti mai praticamente strutturati in un unico organismo capace di
prendere decisioni e di applicarle sull'intero territorio. Esiste cioè una
struttura territoriale di governo, dove il potere politico è suddiviso tra
stato nazionale e governi locali, tra il centro e la periferia; e dove
accanto alla classica divisione dei poteri "orizzontale o funzionale" tra
potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario, esiste un
secondo tipo di divisione dei poteri "verticale o territoriale" tra il
governo centrale e i governi locali. Questa divisione territoriale dei
poteri può variare notevolmente da un paese all'altro e da un'epoca
all'altra. Ci sono paesi in cui il governo centrale ha il potere di
decidere su un ampio numero di questioni mentre i governi locali
hanno un ruolo marginale, e viceversa, paesi in cui le strutture locali
hanno un elevato grado di autogoverno e in cui il ruolo del governo
centrale è assai più limitato.
Per semplicità d'analisi, si possono a questo fine individuare quattro
gruppi di istituzioni che possono operare a livello di organizzazione
decentrata e che possono essere identificate come strutture di governo
locale (governi locali puri, governi locali di secondo grado, agenzie
locali specializzate e apparati locali dipendenti), e sostanzialmente tre
modelli di organizzazione territoriale delle stesse strutture (il sistema
funzionale, il sistema della decentralizzazione spaziale ed i sistemi
federali) che fanno capo ai due grandi modelli di possibile
decentralizzazione (federali e stati unitari).
A tal proposito i quattro gruppi di possibili istituzioni che possono
operare a livello locale sono:
Governi locali puri. Comprende le istituzioni che vengono
considerate "governi locali puri" in quanto presentano i seguenti
caratteri:
- sono istituzioni territoriali, nel senso che esercitano la loro azione
di governo su un territorio nazionale delimitato;
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- sono istituzioni elettive, nel senso che i loro organi decisionali
sono eletti direttamente e periodicamente dai cittadini;
- sono istituzioni generaliste, nel senso che si occupano in linea di
principio di qualsiasi problema;
- sono istituzioni autonome, nel senso che possono attuare decisioni
economiche-politiche con un certo grado di discrezionalità ed
autonomia.
Appartengono a questo tipo di gruppo i Comuni e le Provincie
italiane, i Comuni e le circondari tedeschi, i distretti e le contee
britanniche.
Governi locali di secondo grado. Questo gruppo comprende governi
generalisti che non sono eletti direttamente dai cittadini, ma sono
designati indirettamente da altre strutture di governo locale.
Esempi di queste tipologie di strutture sono le Provincie spagnole e
portoghesi, le comunità montane italiane e le Regioni inglesi.
Agenzie locali specializzate. Questo terzo gruppo comprende
strutture pecializzate nel trattare, in ambito locale, uno specifico
ambito di intervento pubblico (ad esempio, i trasporti, i rifiuti e la
gestione delle acque).
Possono essere strutture elettive e possono assumere diverse
configurazioni giuridiche. Rientrano in questa tipologia gli enti
specializzati di gestione della sanità in Italia e in Gran Bretagna, o
negli Stati Uniti gli "school districts" e gli "special districts",
considerati come governi locali a tutti gli effetti.
Apparati locali dipendenti dal centro. Questo quarto gruppo
comprende istituzioni che operano su scala locale ma appartenenti alle
dipendenze di un livello di governo superiore.
Sono autorità elettive ma nominate da strutture gerarchicamente
superiori ed hanno il compito di dare attuazione, in ambito locale, alle
politiche decise dal livello più elevato. Queste strutture pur operando
su scala locale, almeno in linea di principio non sono considerati
governi locali; ma ad uno sguardo più ravvicinato il loro ruolo si
presenta in modo meno lineare: in quanto radicate nel contesto locale,
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possono anche funzionare in senso inverso, ossia come rappresentanze
di esigenze e richieste locali verso il centro.
Per quanto riguarda i modelli di decentralizzazione, è possibile
individuare due modalità attraverso cui può realizzarsi concretamente
la delega di poteri e funzioni dai livelli centrali ai livelli periferici di
governo: gli Stati Federali e gli Stati Unitari. A loro volta i due
modelli possono organizzarsi secondo il criterio funzionale, spaziale e
federale.
Analizziamo brevemente i relativi tratti caratteristici:
Stati Federali. Si tratta di un sistema di decentramento che
costituzionalmente prevede solo due livelli: il governo federale e il
governo degli stati federati; che operano su piani completamente
separati, in completa autonomia e in regime di separazione di poteri.
Dove nessun livello di governo può modificare l'attribuzione di
funzioni relative al livello opposto.
I rapporti tra i due livelli sono definiti "tangenti" in quanto l'unico
punto di contatto, di tangenza appunto, è costituito dalla risoluzione
degli eventuali conflitti di competenza "verticale" (tra governo e stati
federati) o "orizzontale" (tra gli stati federati) che possono crearsi;
derivante dal fatto che la separazione completa delle competenze non
evita che gli effetti delle relative politiche entrino in conflitto.
Diversamente da quanto accade negli Stati unitari, nello Stato federale
il governo centrale possiede solo le competenze minime e i poteri
necessari per garantire l'unità politica ed economica della Federazione,
mentre agli altri livelli è attribuita piena capacità di autogoverno in
tutte le altre materie.
Nella sfera che gli è propria nessun livello di governo deve essere
subordinato a quello superiore. Questo equilibrio costituzionale si
riflette anche nella composizione del potere legislativo, caratterizzato
da un particolare tipo di bicameralismo. Prendendo ad esempio gli
Stati Federali già esistenti, un ramo del parlamento rappresenta il
popolo della federazione in misura proporzionale al numero degli
elettori, mentre l'altro è composto dai rappresentanti degli Stati. Le
leggi, per essere approvate, devono avere sia il consenso della
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maggioranza dei rappresentanti del popolo della federazione, che
quello della maggioranza degli stati membri. Nell'ipotesi di molteplici
livelli di governo, questa ipotesi deve essere riprodotto ad ogni
singolo livello.
Inoltre affinché la divisione dei poteri tra governo centrale e governi
locali sia garantita, essa deve non solo essere sancita da una
Costituzione scritta, ma deve anche essere tutelata da un potere
autonomo in grado di annullare i provvedimenti legislativi e
amministrativi non conformi alla Costituzione e di pronunciarsi in
ultima istanza quando si presentino conflitti relativi alla divisione dei
poteri.
Questo potere e' il potere giudiziario che fonda la propria
indipendenza proprio sull'esistenza di diversi livelli di governo
(ciascuno dei quali ha interesse a tutelare l'indipendenza del potere
giudiziario rispetto agli altri livelli) e che può quindi garantire il
primato della Costituzione imponendone il rispetto a tutti gli organi
dello Stato federale.
Le autonomie locali, sussistono per diritto proprio delle singole unità
federate, e non per derivazione dello Stato federale.
Dal lato dell'utilizzo delle risorse, il potere originario di disposizione
delle risorse spetta agli enti decentrati.
In questi stati infine, il federalismo ha l'obiettivo di unire, ridurre le
distanze ed attenuare le differenze dei diversi enti territoriali di
governo.
Stati unitari. Si tratta di un sistema di decentramento in cui il
governo centrale prevale nettamente sugli altri livelli di governo,
definendone i compiti ed esercitando un penetrante controllo sulla loro
azione. Le autonomie locali, esercitano a secondo dei paesi,
sostanzialmente tre tipi di competenze: competenze esclusive per la
gestione delle questioni di interesse locale, competenze per delega
dello Stato e competenze la cui gestione è stata loro delegata da altre
collettività territoriali, capita spesso infatti in questo tipo di stati che
certe competenze, come quelle relative all’ambiente, alla cultura, ai
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trasporti, alla sanità, all’istruzione, siano gestite congiuntamente da
più livelli locali e a volte anche insieme allo Stato.
Si riconosce in sostanza un sistema gerarchico territoriale di governo:
dove poteri, finanziamento, struttura e controlli sono interamente
delineati dal parlamento nazionale. I rapporti tra i due livelli sono
definiti "inglobanti" in quanto il livello centrale assorbe, ingloba
appunto, le competenze dei livelli decentrati regolandone e
controllandone l'attribuzione.
Le autonomie locali, che possono essere anche molto spinte, sono
comunque sempre derivate dallo Stato unitario.
Dal lato dell'utilizzo delle risorse, il potere originario di disposizione
delle risorse spetta invece al governo centrale, a cui successivamente
spetta il compito di regolare all'assegnazione e il reperimento delle
risorse necessarie ai livelli decentrati.
In questi stati invece, l'effettiva realizzazione del federalismo può
comportare situazioni di accentuazione delle differenze già presenti
nelle diverse aree territoriali di governo.
Infine, per quanto riguarda le forme attraverso cui un ente di governo
territoriale può organizzarsi, come già precedentemente accennato,
esistono tre sistemi di riferimento:
Sistema funzionale. Sistema definito funzionale o della
deconcentrazione, in quanto il governo territoriale viene strutturato in
enti con competenza sull'intero territorio nazionale ma dotati di
un'unica responsabilità o funzione (ad esempio: la sanità o
l'istruzione).
E' il tipico modello degli stati fortemente centralizzati dove le
decisioni vengono prese a livello centrale e diramate a livello locale.
Gli enti di governo locale diventano, in sostanza, veri e propri agenti
decentrati del governo nazionale attuandone le direttive e
sottoponendosi ai relativi controlli.
Il sistema funzionale ha come obiettivo principale quello di assicurare,
sull'intero territorio nazionale, una completa uniformità ed omogeneità
nell'accesso ai beni e servizi, ed una sostanziale equità di trattamento
tra gli utenti dei beni e servizi stessi.
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Nella realtà, questi obiettivi sono raramente raggiunti, data la
difficoltà da parte del centro di controllare l'operato della periferia, e
data l'impossibilità di adattare l'offerta dei beni e servizi alle reali
esigenze delle singole aree decentrate. Non è possibile cioè creare un
efficiente sistema di concorrenza su misura per ogni singolo ente
decentrato, a causa della natura sostanzialmente monopolistica del
servizio offerto.
Sistema spaziale. Definito modello della devoluzione o
decentralizzazione spaziale per la natura geografica del
decentramento, in quanto, il governo territoriale viene strutturato
attribuendo responsabilità e competenze fra enti appartenenti a livelli
diversi. Oltre al livello centrale, anche i livelli locali vengono dotati di
autorità politica e competenze su una determinata area territoriale. Gli
enti locali diventano, in sostanza, veri e propri enti multifunzionali,
dotati di autonomie proprie per le relative attribuzioni e con organi
eletti dai cittadini che vivono entro il territorio in qui l'ente opera.
Il modello della decentralizzazione spaziale ha come obiettivo
principale la soddisfazione delle esigenze e delle preferenze degli
utenti, da realizzarsi attraverso una fornitura di beni e servizi
differenziata rispetto le reali necessità di ogni area di riferimento.
Anche in questo caso esistono inconvenienti causati da una
decentralizzazione spaziale, derivanti sostanzialmente da
diseguaglianze di carattere socio/economico delle diverse strutture di
governo. Infatti, ogni ente multifunzione è dotato per sua natura di
caratteri sociali, economici e geografici propri, che non permettono di
garantire omogeneità nella disponibilità di risorse, ed assicurare uno
standard uniforme nella fruizione dei servizi e nel trattamento
dell'utenza.
Sistemi federali. In generale non è facile distinguere un sistema
federale di governo territoriale da un sistema di devoluzione o
decentralizzazione spaziale. Comunque, un sistema di questo tipo si
caratterizza perché nasce da un accordo tra stati federati, ed assegna a
questi maggiori garanzie sul mantenimento delle stesse competenze e
soprattutto della loro autonomia, in quanto, la modificazione delle
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competenze può avvenire solamente con un processo di revisione
costituzionale, e in alcuni sistemi, attraverso l'approvazione della
maggioranza degli stati federati.
In sostanza, un sistema di governo territoriale federale può garantire
un elevato grado di decentralizzazione, mantenibile nel tempo con
maggior sicurezza rispetto alle altra forme di governo decentralizzato
esaminate.
1.3 Vantaggi e svantaggi della decentralizzazione.
Risulta utile a questo punto della trattazione analizzare le motivazioni
che spingono i governi ad organizzare le proprie strutture attraverso il
decentramento, effettuando un'analisi accurata dei relativi vantaggi e
svantaggi.
Gli apporti più importanti al dibattito sulla decentralizzazione si
possono riscontrare all'interno del pensiero politico, sociologico
dell'organizzazione e soprattutto economico.
Secondo il pensiero politico, l'atteggiamento favorevole al governo
locale si basa su un'affermazione principale: la decentralizzazione
rende il governo più vicino al popolo, favorisce il coinvolgimento dei
cittadini nella gestione degli affari pubblici e ne rafforza la possibilità
di controllo sui governanti.
Sono proprio i governi locali, le istituzioni pubbliche più vicine ai
cittadini, ed è proprio da questa loro specifica caratteristica che ne
deriva tutta una serie di vantaggi.
Un'istituzione governativa più vicina al popolo, permette infatti una
più efficiente e rapida corrispondenza tra domanda ed offerta di
politiche e di servizi tra cittadini e i governi; favorendo al contempo il
coinvolgimento dei cittadini alla partecipazione e alla gestione della
vita ed affari pubblici. Decisione forse banale a livello politico, ma
non in termini di qualità di vita.
Il decentramento rende più semplice il controllo da parte dei cittadini
all'operato e alle scelte collettive dei propri governanti, riducendone il
potere discrezionale e incentivando così una gestione politica e
finanziaria delle risorse più efficiente e più adeguata alle singole
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aspettative locali. In sostanza, i cittadini hanno così la possibilità di
indirizzare l'impiego del denaro pubblico, rafforzando al contempo la
consapevolezza che il bene di tutti dipende inequivocabilmente dal
contributo finanziario di ogni singola persona; inoltre, le autorità
locali hanno a disposizione informazioni e competenze tali, da poter
tenere conto nel miglior modo possibile delle esigenze e necessità dei
cittadini appartenenti alla giurisdizione politica di loro riferimento,
che al contrario altre istituzioni più lontane (nazionali o
sovranazionali) difficilmente permetterebbero.
Infine un ulteriore vantaggio riconosciuto dal pensiero politico della
decentralizzazione del potere, derivante dall'insieme degli aspetti
appena esaminati, è quello relativo alla tutela delle minoranze
etnicamente molto differenziate (tipico è il caso odierno delle
minoranze linguistiche in molti paesi europei).
Se infatti constatiamo che le diverse giurisdizioni locali che operano
all'interno di uno stesso territorio siano per tradizioni, abitudini,
cultura e mentalità, profondamente differenti, non è difficile sostenere
di lasciare che siano le stesse giurisdizioni a gestirne le preferenze e la
richiesta di servizi, in modo tale da realizzare la reale corrispondenza
tra domanda ed offerta.
Il decentramento come abbiamo visto produce numerosi vantaggi, ma
tende a produrre equilibri instabili (Brosio G., Equilibri instabili,
Bollati Boringhieri, Torino, 1993), ed è quindi avversato da chi teme
pericolosi fenomeni di disgregazione della solidarietà ed unità
nazionale o fenomeni di crescita del particolarismo e localismo.
Il timore cioè, deriva dal fatto che il governo locale può permettere la
prevaricazione di ristrette fazioni, in quanto, tanto più piccola è la
società e gli interessi che la compongono, e tanto maggiore è la
possibilità che emergano èlite forti, capaci di imporre i propri egoistici
interessi, anche facilitati da un limitato controllo da parte della società.
La teoria sociologica dell'organizzazione, offre un secondo profilo per
la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi della decentralizzazione.
Sono definite teorie dell'organizzazione, in quanto teorie che tendono
ad equiparare i governi alle organizzazioni economiche, evidenziando
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il fatto che entrambe le strutture per svolgere in maniera efficiente le
proprie funzioni devono necessariamente organizzare una serie di
fattori.
La tesi tradizionale sostiene che, esistono limiti evidenti alla capacità
amministrativa di un governo centrale, la decentralizzazione
rappresenta dunque una via obbligata per aumentarne i livelli di
efficienza tecnico-produttiva.
Secondo queste teorie, si tende a favorire, in ambito gestionale,
organizzativo e produttivo, le strutture di piccole dimensioni poiché la
catena organizzativa e produttiva risulta più corta da gestire ed
amministrare.
In tal senso, le decisioni prese al vertice di comando sono facilmente
trasmissibili alla base, con meno perdita e distorsioni nella
trasmissione di informazioni anche in senso inverso, cioè dalla base al
vertice.
Altra motivazione a favore del governo locale, proviene dalla maggior
capacità di innovazione e sperimentazione che queste strutture
posseggono: essendo strutture più piccole, agili e generalmente più
numerose.
Storicamente, infatti, molte innovazioni apportate nelle politiche
pubbliche e nei metodi di governo, sono state introdotte, proprio in
periferia, da governi locali che hanno fatto da precursori, e soltanto
più tardi riprese e rielaborate dagli stati nazionali centrali. Anche se, la
realizzazione di atteggiamenti orientati alla sperimentazione e
all'innovazione può dipendere da fattori diversi:
dall'esistenza di incentivi a questi comportamenti, quali possono
essere dei trasferimenti dal governo centrale verso gli enti decentrati;
o dai costi del rischio derivanti da questi stessi comportamenti. Nelle
grandi unità il rischio della sperimentazione ed innovazione risulta
molto più costoso rispetto ad unità di dimensioni più ridotte, ed è
quindi preferibile affidare queste funzioni al livello decentrato.
Gli svantaggi del decentramento individuati da queste teorie derivano
dal rischio per le unità di dimensioni troppo piccole di non servire
correttamente le esigenze e le preferenze dell'utenza finale, in quanto,
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a causa delle dimensioni non riescono a sfruttare pienamente le
proprie capacità produttive, ma sopratutto non riesco a sfruttare le così
dette "economie di scala" (cioè quel fenomeno tecnico-produttivo per
cui il costo di produzione non cambia al variare della dimensione del
servizio), come al contrario, sfruttano le unità produttive di
dimensioni più grandi.
Inoltre queste teorie avvertono sul rischio di eccessi di burocrazia
derivanti dall'effettiva realizzazione di una struttura di governo
federale, che scaturiscono inevitabilmente in eccessi di costi.
Uno dei costi sicuri che derivano dal federalismo è l'aumento del
numero dei livelli di governo; decentrare significa delegare, e delegare
significa creare nuove strutture capaci si sostituire ed integrare quelle
esistenti, e al contempo, capaci di reperire nuove risorse finanziarie
necessarie alla realizzazione delle competenze attribuite.
Ma il costo di nuovi livelli di governo, non è il solo costo del
decentramento; a questo va certamente aggiunto un costo di tipo
informativo, poiché governi decentrati dovranno prendere decisioni
diverse e specifiche alle esigenze del territorio in cui operano, e
politiche differenziate richiedono naturalmente costi informativi
maggiori.
Il pensiero economico, infine offre un'ulteriore importante profilo di
valutazione dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal
decentramento, attraverso l'analisi apportata da parte di diversi
economisti.
Secondo queste tesi uno dei vantaggi riscontrabili nei sistemi di
governo decentralizzati, sta in quella che viene definita "efficienza
allocativa", cioè nella maggior efficienza nell'offerta di beni e servizi
che queste strutture riescono a fornire all'utenza finale.
Le strutture locali appaiono più efficienti rispetto a quello centrale, in
quanto i desideri dei cittadini residenti sono differenti da quelli dei
cittadini residenti in altri territori, e proprio i governi locali possono
rendersi interpreti di queste preferenze locali meglio del governo
centrale. Da un punto di vista strettamente tecnico, è anche vero che il
governo centrale potrebbe essere efficiente come quello locale: se
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offrisse quantità diverse di servizi locali con livelli di tassazione
differenti. Ma ciò non sembra realizzabile: in quanto un tale intervento
centrale potrebbe provocare problemi a livello politico; in effetti
potrebbe essere difficile politicamente ad esempio promuovere
l'ampliamento del servizio scolastico in un'area e
contemporaneamente ridurlo in un'altra. Una seconda ragione sta
ovviamente nel livello e nei costi di informazione necessaria affinché
una struttura di governo centrale sia in grado di effettuare scelte
efficienti. Il governo locale invece, essendo più vicino alla
popolazione, può interpretare meglio la richiesta di bisogni perché li
conosce e di conseguenza può valutarli meglio.
Inoltre, ma la questione è molto dibattuta, secondo alcune tesi il
decentramento potrebbe operare con efficienza maggiore in favore di
una riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito
prodotto, rispetto al livello centrale.
Queste tesi si basano sul presupposto che il livello di soddisfazione
che deriva dall'avere un reddito meglio distribuito, dipende
principalmente dalla vicinanza che esiste tra ricchi e poveri. Il ricco,
in particolare, preferisce non vedere gente povera intorno a se, ed è
disposto a pagare se i poveri che vivono accanto a lui diventano meno
poveri. In questa visione è chiaro che una politica locale è
preferibile rispetto ad una a livello centrale, in quanto si può agire
sulla povertà che il ricco vede, e rispetto a cui è direttamente
interessato. In tal modo, i cittadini sono disposti a contribuire a schemi
per la redistribuzione della ricchezza solo fino al punto in cui il
sacrificio marginale della tassazione è uguale al beneficio marginale
derivante dalla riduzione della povertà.
Altro vantaggio teorizzato dagli economisti sta nella concorrenza tra
poteri che la decentralizzazione stessa creerebbe.
Nei sistemi decentralizzati di governo si crea la possibilità per gli
utenti di appellarsi per la soddisfazione di proprie necessità e bisogni,
di volta in volta, al governo centrale o ai governi locali, ponendo così
in uno stato di reciproca concorrenza i due livelli di governo o i
diversi governi locali tra di loro. A tal proposito, in ogni sistema
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decentralizzato si riscontrano due tipi di concorrenza: una "verticale",
tra Stato ed enti locali, e l'altra "orizzontale", tra istituzioni
appartenenti allo stesso livello di governo.
Alcuni tipi di concorrenza presuppongono la mobilità dei cittadini o
delle imprese, come teorizzato ad esempio dall'economista Charles
Tibout, dove i cittadini o le imprese insoddisfatti dalla politica svolta
dall'ente locale in cui risiedono andranno a spostarsi in un'altra
struttura territoriale, creando così situazioni di concorrenza tra i due
enti di governo. O ancora, come teorizzato in altri studi sulla
concorrenza, i cittadini non spostano la propria residenza tra un ente e
l'altro, ma creano situazioni di concorrenza semplicemente attraverso
la valutazione dell'azione dei diversi enti politici, ponendo a confronto
le prestazioni avvertite e utilizzando queste stesse valutazioni come
parametro di riferimento al momento del voto politico per il rinnovo
delle amministrazioni governative.
Ne deriva che i rappresentanti politici delle stesse strutture
governative sono consapevoli del fatto che la loro condotta
rappresenta l'unico mezzo a disposizione dei cittadini-elettori per la
valutazione dei propri risultati politici; e sono di conseguenza motivati
a migliorare la propria azione. Teorie di questa natura sono state
sviluppate da economisti francesi come Salmon e Breton appartenenti
alla scuola della "teoria del federalismo competitivo", o da economisti
che rientrano nell'ambito di studi associati alle cosìdette "teorie dei
contratti" di cui Seabrigth rappresenta uno dei rappresentanti più
illustri.
Per quanto riguarda gi svantaggi derivanti da una gestione
decentralizzata del governo del paese, le teorie economiche incentrano
la discussione su due temi principali: le economie di scala e le
esternalità. In generale, come precedentemente accennato, con il
termine economie di scala si intende quel fenomeno per cui il costo
della produzione non cambia al variare delle dimensioni del servizio,
grazie a fattori tecnici-organizzativi.
Generalmente sono le unità produttive più grandi a riuscire a sfruttare
questo fenomeno; anche se ad un'analisi più dettagliata non è sempre
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dimostrabile questa correlazione. Ci sono servizi per cui è possibile
sfruttare i vantaggi delle grandi dimensioni, ma ce ne sono altri per cui
oltre una certa dimensione produttiva si creano diseconomie. Ostrom e
Bish, in uno studio specifico (Ostrom E. - Bish G., Il governo locale
negli Stati Uniti, Comunità, Milano 1984), fanno l'esempio
dell'organizzazione del servizio di polizia: dove ad esempio risulta che
le attività relative all'investigazione o alla ricerca di elementi
scientifici richiedono preferibilmente una scala organizzativa e
territoriale il più elevata possibile, mentre, le attività di pattugliamento
del territorio possono essere gestite meglio al livello di singolo
quartiere. In secondo luogo non è detto che il livello che fornisce un
servizio debba necessariamente anche produrlo, si può infatti affidare
la sua concreta realizzazione ad altre strutture, capaci di sfruttare
meglio i propri processi organizzativi e produttivi.
Vi è infine un ulteriore argomento da esaminare, quello della
prossimità. Poiché per usufruire di alcuni tipi di servizi, i cittadini
devono recarsi in un luogo fisico specifico, può risultare di notevole
vantaggio ridurre i tempi relativi a questi spostamenti, in quanto in
questi casi, una rete di servizi poco capillare scarica i costi di trasporto
sui cittadini producendo effetti di esclusione.
Il secondo argomento a svantaggio della decentralizzazione e a favore
delle grandi dimensioni, è quello relativo alle esternalità, cioè quel
fenomeno per cui gli effetti di una politica o di un servizio di un ente
locale possono travaricare i suoi confini amministrativi, generando
costi e benefici anche sulle amministrazioni confinanti.
Se le esternalità sono positive, ossia se i benefici dell'intervento vanno
a vantaggio di altre comunità, oltre a quella che li finanza e li produce,
quest'ultima sarà indotta a ridurre il proprio intervento in quel preciso
ambito per non concedere vantaggi ad altre comunità. Se al contrario
le esternalità sono negative, ossia se l'intervento tende a scaricare i
costi a svantaggio di altre comunità, il governo locale che lo
intraprende tenderà a svilupparlo più del necessario, proprio per
sfruttarne i benefici che ne derivano.