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INTRODUZIONE
«Non cesseremo mai di esplorare
e la fine delle nostre esplorazioni
sarà arrivare al punto di partenza
e per la prima volta conoscere quel luogo»
T.S. ELIOT
La tematica del legame fra ricordo, conoscenza e personalità è stata per molto
tempo tenuta in grande considerazione dai filosofi e dai primi teorizzatori delle dottrine
antropologiche e neuropsicologche.
Già i primi filosofi greci, ponendosi il problema di come fosse possibile dare una
risposta al complesso problema del conoscere, hanno dato grande importanza al
concetto della memoria e del ruolo che essa svolge nella costruzione delle facoltà
intellettive dell’individuo e della sua personalità. Per Platone, la prima questione da
risolvere nel delicato problema della conoscenza dell’individuo umano è data dal fatto
che “Non si può cercare e conoscere ciò che ancora non si conosce, perché se anche se
lo si trovasse, non lo si potrebbe riconoscere, mancando il pezzo per effettuare, appunto,
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il riconoscimento. Ma non è neppure possibile cercare di conoscere ciò di cui già si è
consapevoli, proprio perché già lo si conosce” (29, p. 108).
E’ proprio per questo che Platone trovò una nuovissima ed originale via di conoscenza,
ossia l’anamnesi, che definì una forma di ‘ricordo’, un riemergere di ciò che esiste già
da sempre nell’interiorità dell’animo umano. Gli studiosi hanno spesso scritto che la
dottrina dell’anamnesi è nata in Platone a partire dal concetto di ‘maieutica’,
inizialmente teorizzata da Socrate: la verità è nell’individuo stesso, e può essere
scoperta e disvelata grazie all’aiuto di uno ‘sherpa’, che lo conduca a recuperare quanto
tiene celato nel suo animo per conoscere meglio se stesso ed arrivare al punto nodale del
problema.Con la nascita della Psicoanalisi, il ricordo acquisisce una funzione di grande
importanza a livello clinico, per la cura delle principali patologie nevrotiche ed
isteriche; perde, tuttavia, il carattere conoscitivo, legato alla scoperta di aspetti della
personalità, che ne caratterizzava l’essenza nei pensieri filosofici.
Per Freud l’affiorare, nel percorso terapeutico, di un ricordo significa portare alla luce
un elemento di ‘copertura’ che fa da schermo a un contenuto rimosso ed inconscio,
spesso di natura sessuale, che può essere portato alla luce solo nel corso dell’analisi. Ma
un ricordo va, in sostanza, trattato come un sintomo: ciò che importa non è ciò che
appare, ma ciò che è nascosto [19]. Tale contenuto, inaccettabile per la coscienza e per
le regole sociali e reso perciò inconscio, esprime la propria carica patogena attraverso il
sintomo. E’ grazie ad Adler che il ricordo cosciente torna a svolgere un ruolo assai
importante per lo studio della personalità nei suoi aspetti più vasti. Analizzare lo Stile di
vita di un individuo diviene possibile anche grazie all’analisi dei primi ricordi di
infanzia, che non nascondono contenuti inconsci, bensì aspetti importanti che aiutano a
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capire dove l’individuo sta andando e in che modo egli realizza le finalità che ha
strutturato durante i primi anni dell’infanzia [14].
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CAPITOLO 1
“ I sensi ci danno solo conoscenze imperfette;
la nostra mente scavando ritrova in sé le conoscenze perfette,
come un originario possesso, e le ricava appunto ‘ricordandole’”
PLATONE
I RICORDI NEGLI ALTRI MODELLI TEORICI
La tematica dei ricordi d’infanzia da sempre ha interessato i principali esponenti
della psicopatologia ad indirizzo psicodinamico.I primi studi sulla terapia ipnotica di
Breuer e Janet, antesignani della dottrina psicoanalitica, mostrano come l’interesse e
l’esplorazione dei ricordi infantili costituiscano importanti elementi per la comprensione
della psicopatologia delle nevrosi isteriche [19]. Le loro intuizioni, ancora lontane dal
ricollegare l’espressione dei ricordi alla costituzione dello stile e del piano di vita
dell’individuo come postulato dalla Psicologia Individuale Comparata, si fondano su
un’analisi deterministica causa-effetto dei fenomeni psichici, che caratterizza la
nascente dottrina freudiana dei primi decenni del novecento.Secondo Breuer, i sintomi
isterici sono un’espressione impropria di un’emotività bloccata da uno o più eventi
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traumatici, sperimentati durante l’infanzia; la liberazione della carica emotiva, che si
ottiene tramite la rievocazione del fatto traumatico – che avviene nel contesto della
terapia ipnotica - porta alla risoluzione del sintomo [19].
Janet, dal canto suo, non ritiene utile, per una duratura remissione dei sintomo, la sola
rievocazione del fatto traumatico in sé; postula, invece, la necessità di modificare il
ricordo dell’evento traumatico che sta alla base di un sintomo isterico o nevrotico,
affinchè i sintomi possano arrivare ad una remissioni più duratura; la finalità della
terapia ipnotica proposta dai primi esponenti della scuola francese sta nel tentativo di
modificare il fatto, fonte di sofferenza, inaccettabile e oggetto di rimozione, così come
si è depositato e fissato nella personalità stessa del soggetto; i sintomi, infatti, devono
essere considerati come pure riproduzioni del fatto traumatico, in rapporto analogico
con esso, e la loro remissione passa appunto per la modifica dell’evento stesso. Se,
come pensava Janet, il fatto traumatico - quando sussiste - non fa che riprodursi e cioè
tornare a realizzarsi nei sintomi; la determinazione dell’evento attraverso la
rievocazione dei ricordi oblati del paziente si rivela assai fondamentale: i sintomi, pur
stando in un particolare rapporto con un fatto specifico sono appunto espressioni delle
reazioni emotive da questo determinate [19].Dalle teorie janetiane traggono origine le
prime intuizioni freudiane, secondo le quali l’oblio da difesa costituisce l’elemento
essenziale del carattere traumatico assunto da date situazioni; i sintomi esprimono in
forma larvata gli elementi emotivi ad esse connessi, che vengono censurati ed esclusi
dalla coscienza, proprio perché inaccettabili.L’isteria o i sintomi nevrotici possono
sorgere a notevole distanza di tempo dalla produzione del fatto traumatico principale, e
manifestarsi in occasioni banali per se stesse prive di forti rilievi emotivi; un sintomo,
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invece, secondo questi modelli teorici, può invece sparire per un’azione catartica, la
quale riesca a risolvere una parte dei fattori patogeni che ne stanno alla base, tramite la
rievocazione del ricordo traumatico e la liberazione del contenuto emotivo ad esso
connesso. Le fasi prime fasi della dottrina psicoanalitica dedicano grande interesse al
carattere patogeno dei ricordi traumatici, anche se sono ancora lontane dalle intuizioni
adleriane circa lo Stile di vita. Nella prima topica freudiana, la differenza fra repressione
(processo consapevole di negazione e allontanamento dalla coscienza di ricordi
spiacevoli) e rimozione (meccanismo prevalentemente inconscio) costituisce un
importante caposaldo per la comprensione dei sintomi a carattere nevrotico.
Il pensiero freudiano si sofferma, in seguito, sugli aspetti edipici ed erotizzati delle
prime esperienze vissute dall’individuo; i ricordi che l’individuo nevrotico riporta,
costituiscono spesso una copertura di vissuti infantili a carattere sessuale, che –
considerati inaccettabili – vengono censurati e siti nella dimensione inconscia.
La dottrina psicoanalitica classica non considera, dunque, i ricordi alla luce della più
ampia dimensione Adleriana di prototipi della personalità e dello stile di vita; il solido
determinismo che il pensiero freudiano mutua dal positivismo ottocentesco richiama,
invece, alla dimensione causa-effetto, secondo cui ogni fenomeno psicopatologico è
correlato ad un surrogato esperienziale che lo determina [19]. Le più recenti teorie del
modello cognitivo-comportamentale tengono in ampia considerazione le intuizioni di
Adler sul carattere causal-finalistico del ricordo, leggendo le prime esperienze infantili
come prototipiche dei futuri stili di attaccamento e delle modalità di interazione con la
realtà esterna. L’elaborazione del concetto di ‘memoria autobiografica’ è indice
dell’apertura delle teorie cognitive alla dimensione dell’individuo come caratterizzato
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da uno Stile di vita unico ed inimitabile; in questo sistema di memoria sono depositati
gli eventi, le esperienze, le modalità di pensiero, il modo di lettura dei propri vissuti che
ognuno sperimenta e rielabora durante la propria vita. I significati vengono via via
costruiti, attribuiti di maggiore e minore importanza o valenza affettiva, tramite la
costruzione della memoria semantica. Già i primi cognitivisti riconoscono l’importanza
dei concetti delineati per la prima volta da Adler sui primi ricordi quali prototipi dello
stile di vita: dalle prime esperienze infantili si delineano i capisaldi della ‘memoria
procedurale’, che può essere rappresentata in forma di ‘script’, ossia copioni, che
descrivono come fare qualcosa e come adattare l’azione alle circostanze particolari .
Essi vengono strutturati a partire proprio dalle prime esperienze infantili, sottostanno
all’azione dell’individuo, e costituiranno quindi le principali linee guida del suo modo
di agire e di muoversi nel mondo e nel contesto sociale [15]. L’apprendimento inizia
dalla nascita, ed ha luogo grazie all’integrazione di stimoli sensoriali con risposte
motorie, elaborazione di informazioni cognitive in cui sequenze che hanno successo
sono apprese e ripetute, sino a che non divengono abituali. Se il bambino fa esperienza
di risposte coerenti e prevedibili da parte delle figure affettive, sarà in grado di
apprendere relazioni causali e spazio-temporali tra gli eventi atte ad un ordinamento
cognitivo dell’informazione. Si tratta di un aspetto di conoscenza tacito, che regola il
comportamento quotidiano; si tratta di un ‘sapere come fare’ qualcosa, una forma di
apprendimento verso la realtà che il bambino apprende a fare per mettersi al sicuro [18].
L’elaborazione di un corretto sviluppo affettivo passa, secondo i più moderni autori del
modello cognitivista, attraverso la ‘memoria per immagini’; consta di informazioni
sensoriali che sono associate con sentimenti suscitati da stimoli incondizionati; si
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sviluppa a partire già dal primo periodo neonatale, importantissimo per la costituzione
di una relazione di attaccamento sicura. Il bambino diventa gradualmente, grazie a
questo sistema di memoria, in grado di connettere informazioni sensoriali relative ai
contesti di pericolo o di sicurezza con le proprie sensazioni di ansia o di benessere, e
quindi di organizzare l’informazione. Il processo di crescita delle conoscenze si
costruisce, secondo i cognitivisti, prima del legame di attaccamento, che presume il
selettivo riconoscimento dell’altro. Alla nascita il sé non è diverso dall’altro, il bambino
non sa di essere un soggetto e che esiste un qualcosa di esterno a sé; dal secondo anno
di età ha luogo lo sviluppo della ‘memoria semantica’, che consiste di affermazioni
verbali su come sono le cose e sulle condizioni in cui ci si può aspettare un
cambiamento; diversamente dalla memoria procedurale e per immagini – che
rappresentano effettive esperienze di interazioni fra le persone – la memoria semantica
più precoce rappresenta ciò che le altre persone dicono ai bambini sull’esperienza. La
‘memoria epidosica’ indica le ripetizioni mentali di eventi, ed è ciò che più si avvicina
all’adleriano concetto dei ricordi. Essa si costruisce grazie al rapporto con gli adulti e
con le figure di riferimento del piccolo e si sviluppa a partire dal terzo anno di vita. La
conservazione di tali ricordi è vantaggiosa, poiché di fronte a situazioni simili possiamo
attivare comportamenti autoprottettivi nei confronti del mondo. I sistemi di memoria
vengono integrati, secondo i cognitivisti, in età scolare e prescolare, grazie
all’attivazione di un ulteriore sistema di memoria, ossia la ‘memoria di lavoro’, che
riflette differenze individuali legate ai pattern di attaccamento e permette all’individuo
di fare sempre più accurate previsioni sulla realtà; si tratta di un processo di tipo
metacognitivo, in cui il soggetto diviene sempre più in grado di sostanziare le