6
I popoli che dimenticano il loro passato saranno vittime della storia
Theodor Adorno
La storia del Medio Oriente è una materia tanto appassionante quanto
complessa, soprattutto per chi la studia da un punto di vista estraneo alle logiche
socio-culturali e politiche del mondo arabo e musulmano. In Occidente si guarda
spesso a questa, e ad altre aree del mondo, in modo troppo semplicistico e
generalizzante.
Spesso siamo, dunque, portati ad adottare stereotipi e luoghi comuni che
non ci consentono di cogliere quanto di più specifico vi è nella storia e nella
cultura del mondo musulmano. Perdiamo un confronto con la grande variabilità di
queste società in rapporto a questioni come la natura delle relazioni sociali, il
ruolo della donna, la produzione dell’identità, il senso e gli “usi” dell’esperienza
religiosa.
L’Iran e l’Iraq possono fungere da esempio rappresentativo di culture, non
stati, in bilico tra passato e presente, tra laicismo e fondamentalismo religioso,
autoritarismo e democrazia, tribalismo e concezione moderna dello stato, pace e
guerra, tradizione e modernità.
L’errore più grave è proprio quello di fare riferimento a nozioni che non
appartengono alle società arabe, persiane o degli altri popoli della regione. Si
utilizzano cioè concetti “inventati” dall’Occidente che hanno, inevitabilmente,
plasmato ogni considerazione storica e politica di questa “preziosissima” area del
mondo e, come dice Edward Said, “hanno esasperato, rafforzato, approfondito la
percezione dell’identità.”
1
La stessa espressione Medio Oriente è stata coniata dal Mondo
Occidentale e precisamente nel contesto degli interessi strategici delle potenze
europee agli inizi del XX secolo. A quanto sembra, essa venne impiegata per la
prima volta nel 1902 da uno storico navale americano in relazione agli interessi
della Gran Bretagna, la quale mirava a contrastare le attività della Russia Zarista
in Persia e a seguire gli sviluppi del progetto tedesco-ottomano di una ferrovia
Berlino-Baghdad. Si trattava di interessi politico – militari incentrati sull’area
1
SAID E. W., Orientalismo: L’immagine europea dell’Oriente, I Edizione Italiana, Bollati
Boringhieri, Torino, 1991, traduzione di Stefano Galli, I Edizione 1978.
7
immediatamente a nord del Golfo Persico per indicare la quale i termini “Vicino”
ed “Estremo Oriente” non parevano abbastanza adeguati.
2
La seconda e la terza parte entrano nel dettaglio dei rapporti tra Iran e Iraq
negli otto anni di guerra. Il lavoro sottolinea come il conflitto, motivato da
Nel ripercorrere il decennio più buio delle relazioni tra Teheran e Baghdad
ci siamo confrontati con valutazioni di questo tipo che, inevitabilmente, associano
fenomeni tanto diversi tra loro. Spesso, infatti, i fattori politico-strategici, storici,
geografici, culturali e religiosi si intrecciano con alcune rappresentazioni poco
aderenti alla realtà e alle strutture sociali dell’Iran e dell’Iraq.
Si dovrebbe evitare lo sbaglio di ascrivere la rivalità tra persiani e iracheni
allo scontro culturale e confessionale. Una risposta di questo tipo vanificherebbe
ogni ulteriore indagine sul perché della guerra, sulle ragioni sociali ed
economiche, sugli effetti propagandistici, sulle aspirazioni politiche dei loro
leaders. Le ragioni del conflitto sono invece molteplici e variegate.
Il nostro scopo è quello di mettere in discussione gli stereotipi ricorrenti e
dimostrare che, in effetti, esiste una rete ordita di relazioni tra Iran ed Iraq che può
confutare l’ipotesi di un odio naturale tra i due Stati e che ci induce alla ricerca di
altre motivazioni.
L’elaborato parte da un’osservazione sulle affinità etniche, religiose ed
economiche tra i due paesi. Questa premessa, inserita come supporto
fondamentale e propedeutico nel Primo Capitolo, può essere utile per
comprendere le fasi successive dei rapporti negli anni esaminati e riflettere su
come due paesi che condividono storia, risorse, religione siano potuti arrivare a
una guerra tanto sanguinosa e mistificata dallo scontro ideologico.
Proseguiremo poi direttamente con l’analisi delle relazioni diplomatiche
negli anni della Rivoluzione Islamica. Si tratta del periodo in cui Khomeini,
rientrato dall’esilio in Francia, espresse, con toni sempre più decisi, alla comunità
musulmana (Ummah) il chiaro intento di voler diffondere la rivoluzione a tutto il
mondo islamico e in particolar modo all’Iraq, la cui popolazione è per i due terzi
sciita. Le dichiarazioni provocarono le prime frizioni tra il Partito Baath e la
neonata Repubblica Islamica e furono accompagnate da inevitabili ripercussioni
nella gestione delle politiche estere dei due paesi.
2
Cfr. FABIETTI U., Antropologia del Medio Oriente, Mondadori, Milano, 2002, pp. 1-23.
8
Saddam con il contenzioso sul confine dello Shatt al-Arab, sia nato in realtà per
altre cause: la questione curda e le infiltrazioni iraniane sul confine settentrionale;
le pretese sulla popolazione araba del Khuzistan; l’accesso ai complessi
petrolchimici del Golfo; e la battaglia per l’egemonia regionale.
In effetti, la percezione dei confini in Medio Oriente è totalmente estranea
alla nozione di limites del mondo occidentale, all’hic sunt leones, alla frontiera
come barriera ultima di difesa del proprio territorio. I confini in Medio Oriente
sono eredità del colonialismo o ispirazione delle divisioni amministrative su base
fiscale dell’Impero Ottomano. Si tratta quindi di barriere artificiose ed estranee al
concetto musulmano di territorio. Per il mondo islamico, infatti, il confine si
identifica con la Ummah e non con il territorio.
Consapevoli di questi aspetti in parte culturali, in parte legati alla
tradizione arabo-musulmana abbiamo analizzato la fase di internazionalizzazione
del conflitto, ripercorrendo il coinvolgimento indiretto e diretto delle superpotenze
nella disputa irano - irachena e il prezioso supporto fornito attraverso la vendita di
armi.
Inizialmente la guerra Iran - Iraq venne percepita come un conflitto
regionale e Stati Uniti e URSS, dichiarandosi neutrali, espressero il poco sincero
intento di non voler intervenire nella disputa. In realtà gli interessi in gioco erano
tali da rendere indispensabile un loro coinvolgimento. L’intervento diretto delle
superpotenze si sostanziò solo nell’ultimo biennio di guerra (1986-87) dopo
l’attacco alle petroliere kuwaitiane. Il supporto esterno fornito, indistintamente, a
entrambi i belligeranti è stato fondamentale e ha prolungato il conflitto,
rendendolo uno dei più lunghi del XX secolo.
La ricerca si conclude con l’analisi dell’intervento delle Nazioni Unite e il
dopoguerra in Iraq e Iran. Dal momento in cui i belligeranti accettarono la
risoluzione 598 del Consiglio di Sicurezza (nel 1988), le loro politiche estere
cambiarono radicalmente rispetto al passato. Le relazioni furono formalmente
riprese nel settembre 1990 in piena crisi del Golfo. Ovviamente, il
riavvicinamento di Saddam a Teheran, con la riapplicazione del Tratttato di
Algeri, fu determinato dai nuovi piani di guerra del rais, che lo portavano ad
evitare ulteriori frizioni con i persiani.
L’ultimo capitolo è dunque una descrizione dei rapporti tra Tehran e
Baghadad tra le due guerre del Golfo, dimostrando come tra i due conflitti ci sia
9
stata effettivamente una continuità. Tentiamo di offrire, descrivendo il boom
militare iracheno e la condotta politica della Seconda Repubblica Islamica guidata
da Rafsanjani e dall’Ayatollah Khamenei, una descrizione dei fatti che dovrebbe
indurre il lettore a porsi la domanda di come sia stato possibile passare da un
appoggio, pressoché incondizionato, a Saddam alla demonizzazione del rais solo
due anni dopo la fine della “guerra dimenticata”.
La fase più interessante di tutto il lavoro è stata, certamente, quella delle
ricerche bibliografiche. Analisi di questo tipo, infatti, portano a compiere una vera
e propria indagine per portare alla luce aspetti originali ed evidenziarne il
contenuto.
Le nostre ricerche sono state svolte a Londra, nell’ambito del progetto
Socrates - Tesi all’Estero presso alcuni Istituiti di alto valore scientifico: Royal
Institute of International Affairs (RIIA), International Institute of Strategic Studies
e la School of Oriental & African Studies (dell’Università di Londra). È stato
dunque possibile condurre ricerche aggiornate, con particolare riferimento a
riviste periodiche specializzate ed ai più recenti studi sull’Iraq e l’Iran e la crisi
mediorientale nel periodo successivo alla rivoluzione iraniana. Di grande interesse
è stata la consultazione di documenti e dichiarazioni pubbliche dei leaders
iracheni e iraniani (non pubblicati in italiano) e, soprattutto, il confronto con le
metodologie della storiografia anglosassone che, senza dubbio, offrono un punto
di vista dinamico sulla questione.
A margine del lavoro abbiamo inserito una nota bibliografica che
costituisce un’analisi ragionata delle opere consultate, delle fonti primarie, delle
memorie e della letteratura storiografica di cui ci siamo serviti.
È d’obbligo però precisare che per ovvi problemi di lingua non è stato
possibile accedere a documenti forse più interessanti, a dichiarazioni dei
Comandanti dei rispettivi eserciti, a tutte quelle opere di autori arabi e persiani che
non sono state tradotte in inglese. Questo ha costituito un limite evidente e non
trascurabile, ma ci ha anche spronato a una diversificazione delle fonti a
disposizione, necessaria per garantire la descrizione oggettiva dei fatti.
Probabilmente, in ricerche come la nostra, risulta difficile evitare
considerazioni di parte. Gli storici e studiosi del Mondo Arabo, ad esempio, si
sono spesso conformati (eccetto coloro che si sono formati in Università inglesi o
10
americane) agli slanci propagandistici del Partito Baath Iracheno. Lo stesso, e
forse in misura maggiore, è accaduto per gli autori persiani.
Per questo, abbiamo spesso preferito il contributo della storiografia
anglosassone, sicuramente più attenta e, in parte, imparziale perché estranea a
coinvolgimenti emotivi.
Fatte queste precisazioni sulle fonti, prima di passare all’analisi dettagliata
degli intrecci della politica estera irachena e iraniana, nel decennio che va dal
ritorno di Khomeini dall’esilio in Francia all’invasione irachena del Kuwait nel
1991, ci sembra interessante concludere con un appunto sulla denominazione del
Golfo.
Negli anni ’70, (e già nel 1958 con Qasim al potere in Iraq), l’uso
dell’aggettivo “arabico” o “persiano” è stato al centro di un acceso scontro
diplomatico tra l’Iran dello Scià Mohammed Reza Pahlevi e l’Iraq. La polemica
politica e di forma, di per sé banale, offre la misura di come attorno alle questioni
politiche ed economiche, si insinuino motivazioni di prestigio, di supremazia
regionale, che hanno avuto ripercussioni sia nella guerra degli otto anni che nella
guerra del Golfo. È chiaro che le due guerre non possono essere separate, l’una
anticipa e contiene i germi dell’altra, e siamo certi di non commettere nessun
errore se parliamo di “prima” e “seconda” guerra del Golfo.
11
Capitolo I
LE RELAZIONI TRA TEHERAN E BAGHDAD NEGLI ANNI
DELLA RIVOLUZIONE IRANIANA
Non so fare la storia del futuro e sono un po’ maldestro
nell’esplorare il passato. Mi piacerebbe tuttavia cogliere
“quel che sta succedendo”, poiché in questi giorni
nulla è concluso e i dadi stanno ancora rotolando.
Michel Foucault, Taccuino Persiano, 1979
L’analisi delle relazioni tra Iran ed Iraq non può prescindere dallo studio del
legame che storicamente caratterizza i rapporti tra questi due popoli, i persiani e
gli arabi iracheni. È necessario precisare che tra i due Paesi non esiste una
frontiera geografica naturale che li separi. La compenetrazione etnica e religiosa,
il nomadismo, i traffici commerciali, i flussi di profughi e di esiliati e lo “scambio
di religiosi” rendono i confini estremamente fluidi.
1
L’insorgere delle controversie e delle dispute territoriali sono favorite dalla
presenza di tribù curde sul confine settentrionale, e di popolazioni arabe nella
provincia meridionale del Khuzistan iraniano (Arabistan). Va aggiunto che, fatta
salva la zona dello Shatt al-‘Arab,
2
la maggior parte del confine irano-iracheno
situato nel deserto è una res nullius. Conseguentemente, i differenti regimi che si
sono succeduti in Iran negli ultimi cinque secoli non hanno mai smesso di
esprimere la volontà di annettersi i territori arabi della regione del Golfo.
3
Parleremo in seguito del contenzioso di confine che fa da sfondo agli
eventi politici seguiti alla rivoluzione islamica iraniana. In questa sede, ci sembra
1
L’Iran ha una popolazione di 60 055 488 ab. (cens 1996). Il “mosaico etnico si compone dei
seguenti gruppi: persiani 51%, azeri 24%, curdi 7%, arabi 3%, baluci 2%, armeni 0,5%, altri
12,5%. La popolazione irachena invece (considerando i dati statistici antecedenti all’intervento
militare americano del 2003) conta 22 046 244 ab. (cens. 1996). I gruppi etnici che compongono lo
stato iracheno sono: arabi 65%, curdi 23%, azeri 5,6%, altri 6,4%. Cfr. Calendario Atlante De
Agostini, Istituto Geografico De Agostani, Novara, 2005; Mc Lachan K., The Boundaries of
Modern Iran, Geopolitics and International Boundaries Research, Centre School of Oriental and
African Studies (SOAS), London, 1994, pp. 57 segg.
2
Lo Shatt al-‘arab è il tratto di fiume che sfocia nel Golfo Persico e che nasce dalla confluenza del
Tigri e dell’Eufrate, segnando l’ultimo tratto del confine tra Iraq e Iran.
3
Stiamo parlando dei territori dello Yemen del Sud, Oman, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein,
Kuwait, Shatt al-Arab, Arabistan e isolotti arabi del Golfo. STRIKA V., La guerra Iran-Iraq e la
guerra del Golfo, Liguori Editore, Napoli, 1993, pp. 36-38
12
opportuno partire da un’utile premessa: la rivalità tra sciiti e sunniti. Sappiamo
che le complessità etniche e religiose, come quelle che caratterizzano il caso
iracheno e iraniano, sono spesso fonte di problemi di instabilità politica. Se a
questo aggiungiamo le pressioni esterne di un paese vicino, con il quale si
condivide storia, cultura, religione, (come tra Iraq e Iran), la situazione diventa
ancora più complessa.
La “grande discordia” tra sciiti
4
e sunniti
5
nasce sulla base di una visione
diversa della società, del diritto, del consenso della umma (comunità). Le relazioni
tra le due comunità in Iran e in Iraq non sono mai state buone e si sono deteriorate
soprattutto con l’avvento della dinastia safawide in Persia, le cui iniziative, in
favore dello sciismo, suscitarono le proteste dell’Impero Ottomano.
6
Confessione ufficiale dell’Impero Ottomano, il sunnismo venne sempre
associato all’oppressione degli occupanti e lo sciismo rappresentava una sorta di
Siamo di
fronte a due mondi, quello arabo e quello persiano, etnicamente, culturalmente,
politicamente e religiosamente in competizione. È da questo scontro politico-
religioso che nasce una delle rivalità regionali più controverse dei nostri tempi,
colorata di toni nazionalistici e spirituali, intrecciata con gli intrighi delle
compagnie petrolifere e, non da ultimo, animata dall’ambizione condivisa di
raggiungere l’agognato ruolo di leadership nel quadrante mediorientale.
4
Dall’arabo shi’at Alì (“partito di Alì”), gli sciiti sono in totale circa il 15% dei fedeli musulmani.
Il ramo principale degli sciiti è quello dei duodecimani, diffuso in Iraq meridionale, Iran e nel
Subcontinente indiano, con alcune minoranze in altri stati dell’Asia centrale, del Mashrek e del
Golfo. La “grande discordia” ha origine con la morte del Profeta, per la successione alla guida
della comunità. Mentre i sunniti (la maggioranza dei musulmani) riconobbero l’autorità dei “califfi
ben guidati”, gli sciiti seguirono una scuola di pensiero differente, ritenendo che solo il quarto di
loro, il cugino e genero di Maometto, Alì, fosse il legittimo successore. I duodecimani credono
nella dottrina dell’Imamato, secondo la quale il dodicesimo Imam non è morto, vive nascosto e si
rivelerà agli uomini come Messia. Tutti gli altri Imam sono morti martiri e ancora oggi, se ne
venerano alcuni. Il più importante è il martirio di Husayn, terzo Imam, commemorato nella festa
dell’Ashura. La giustizia sciita si basa sul Corano, sulla tradizione e sul consenso degli studiosi. I
giuristi sciiti, in contrasto con i sovrani, in larga parte sunniti, non dovrebbero dedicarsi alla
politica. L’attivismo politico sciita nasce nel XX secolo proprio con la Rivoluzione Iraniana. Cfr.
Elger R., a cura di, Piccolo Dizionario dell’Islam, Einaudi Tascabili, Torino, 2001, pp. 308-310
5
I sunniti costituiscono l’85% della popolazione musulmana e seguono le quattro scuole
giuridiche islamiche, che nascono dal secolo IX in poi come portavoce della Sunna sul Profeta, e
della comunità musulmana. La sunna, il comportamento abituale, (la consuetudine), rappresenta la
seconda fonte di norme religiose, dopo il Corano. Le scuole giuridiche sunnite sostengono di
rappresentare l’essenza della tradizione e si basano sul consenso della Ummah (comunità). Cfr.
STRIKA V., La Guerra Iran-Iraq e la Guerra del Golfo, Op. Cit. pp. 335 e segg.
6
La dinastia autoctona dei Safawidi riuscì a scuotere il giogo straniero, e sconfisse il sultano
mongolo Abu Said. Primo Scià del Nuovo Impero Persiano (durato fino al 1722) fu Ismail I, lo
stesso che nel 1501 adottava lo sciismo come religione di stato. Cfr. Atlante Storico, Le Garzatine,
Redazioni Garzanti, Milano, 2003.
13
strada alternativa legata al patriottismo locale. Sono queste le motivazioni che
spinsero alla “grande conversione sciita” irachena che portò i tre quarti della
popolazione araba del Paese a seguire il “Partito di Alì”. D’altra parte l’Iraq può
essere considerato, non a torto, la culla dello sciismo. È qui che si svolgono gli
eventi fondamentali della seconda branca dell’Islam. Najaf, Karbala, Samarra,
7
sono i principali luoghi sacri dell’intero Islam sciita. Possiamo supporre, facendo
tesoro delle lezioni della storia e gettando uno sguardo agli eventi più recenti, che
il futuro dell’Iraq dipenda in gran parte dall’esito del faccia a faccia tra sciiti e
sunniti, e in questo confronto l’Iran potrebbe svolgere un ruolo di primissimo
piano.
A questo punto, si può anticipare che la guerra che nel 1980 Saddam
Hussein dichiarò alla Repubblica Islamica dell’Iran, con cui la gerarchia religiosa
sciita irachena manteneva stretti legami, fu la conseguenza dello scontro politico -
ideologico tra le due comunità religiose.
Nella politica estera iraniana l’Iraq è uno degli assi principali e gli sciiti
iracheni sono la pedina fondamentale dello scacchiere. Il divario con Teheran è
7
Karbala è la città irachena nella quale il 10 ottobre 680, Husayn, nipote del Profeta, morì
combattendo contro gli Umayyadi (661-750). Qui, nel corso dei secoli, si trasferirono molti sciiti,
per la maggior parte studenti di teologia iraniani, che desideravano essere vicini alla tomba di
Husayn. A Najaf l’imam Alì trasferì la sede del califfato nel 656 e lì venne assassinato. A Samarra
scomparve nell’874, secondo la tradizione, il dodicesimo Imam. Cfr. ELGER R., Op.Cit., pp. 180
e segg; LUIZARD J.P., La Questione Irachena, Feltrinelli, Milano, 2003, pag 14-16
14
inoltre animato dal fatto che tra il clero sciita iracheno e quello iraniano vi è
sempre stata una rivalità di fondo. A seconda dei casi, ogni volta che il clero sciita
iraniano veniva messo sotto pressione dal governo, esso trovò rifugio e appoggio
in Iraq, e viceversa.
Esempio eclatante è stato lo stesso Khomeini, che si rifugiò in
Iraq, a Najaf, per 13 anni, dove elaborò l’ideologia teocratico - rivoluzionaria.
8
L’analista Simon Kitchen ricorda: “Ci sarà sempre rivalità tra i due Paesi.
Gli otto anni di guerra tra l’Iran e l’Iraq continueranno a influenzare la loro
politica e i rancori del passato potranno incidere sulle loro relazioni. L’Iraq in
molti casi, ad esempio per quanto riguarda la sicurezza del Golfo Persico,
potrebbe cooperare con altri Stati arabi contro l’egemonia iraniana nella
regione. Nel momento in cui il governo iracheno diventerà stabile, inoltre, i
contenziosi circa il problema delle frontiere potrebbero tornare a galla. È
possibile che l’Iraq decida di riaprire la discussione dello Shatt al-Arab”.
9
In definitiva le due nazionalità che dominano l’area del Golfo, l’araba e la
persiana, sono diverse e tendenzialmente rivali. I fondamentalisti ritengono che la
via del panislamismo sia l’unica possibile per la soluzione del conflitto, ma
rimane il fatto che i persiani sono sciiti e gli arabi in massima parte sunniti. La
diatriba religiosa a volte ha offerto una maschera comoda a ben altri intrighi, forse
meno spirituali e più avveniristici. Ci stiamo riferendo al petrolio, l’altra causa che
ha originato la controversia, anche di confine, tra Iran e Iraq.
Si tratta di una previsione lungimirante, ma dobbiamo tenere a mente
quanto già ricordato in precedenza. I due antichi nemici della regione condividono
una cultura comune dalla quale difficilmente si può prescindere e questo,
evidentemente, condiziona ogni singola mossa diplomatica nei confronti del
vicino.
10
Uno dei nodi fondamentali nella storia delle relazioni tra Iran e Iraq passa
proprio attraverso gli interessi petroliferi. Non possiamo quindi sottrarci a una
riflessione su questo aspetto, che è uno dei motivi cruciali delle tensioni che
ancora oggi risultano compromettenti e determinanti nei rapporti tra Teheran e
Baghdad. La dimostrazione ci è stata offerta proprio dalla guerra Iran-Iraq. È certo
8
LUIZARD J.P., Op. Cit. pp. 79-80
9
In “L’Iran tra maschera e volto”, in Limes, Rivista Italiana di Geopolitica, N.5/2005, pag.198
10
Dopo la prima guerra mondiale avranno molta importanza le concessioni petrolifere che
comportavano delimitazioni precise sulle quali contavano, più di tutto, gli interessi delle
compagnie. Cfr. STRIKA V., La Guerra Iran – Iraq e la Guerra del Golfo, Op. Cit., pp. 38-39
15
che Baghdad non avrebbe potuto scatenare la guerra contro l’Iran se il petrolio
non le avesse fornito le basi per potenziare il suo armamento.
11
I problemi politici del Medio Oriente sono inequivocabilmente legati alla
presenza nella regione del petrolio. Gli Stati uniti e le potenze “assetate” di questa
risorsa, per allentare il loro crescente fabbisogno energetico, hanno cercato in
passato, e in alcuni casi continuano a farlo, di assicurarsi una larga parte della
produzione petrolifera dell’area mediorientale. Il tutto fu possibile grazie al gioco
delle concessioni petrolifere. La penetrazione nel Golfo, soprattutto da parte
statunitense (che sottrasse quote di partecipazione agli inglesi nelle grandi
holdings petrolifere)
Il Golfo ha un passato ricchissimo di eventi. Sulle rive del Tigri e
dell’Eufrate è nata la civiltà mesopotamica e, in tutte le epoche storiche, la regione
ha sempre costituito un crocevia obbligatorio tra varie culture. La storia del Golfo
non inizia quindi con il petrolio, ma ci sembra indubbio che l’oro nero abbia
attratto gli interessi del mondo intero sulla regione, e offerto la possibilità di
entrare nel mirino privilegiato della comunità internazionale.
12
fu realizzata dagli anni ’30 fino al secondo conflitto
mondiale.
13
La situazione dopo la II Guerra Mondiale è stata caratterizzata innanzitutto
dalla tendenza alle “nazionalizzazioni”, avvenute soprattutto in Iran tra il 1951 e il
1953.
La prima compagnia nazionalizzata fu la Anglo Iranian Oil Company,
14
11
Cfr. LUIZARD P. J., Op. Cit., pag.107
12
Stiamo parlando soprattutto dell’Irak Petroleum Company, il cui centro è a Kirkuk; dell’Anglo
Iranian Oil Company che sfruttava i giacimenti del sud ovest dell’Iran; della Kuwait Oil Company,
dell’Aramco in Arabia Saudita. Cfr. DUROSELLE J. B., Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri
giorni, Ed. Universitarie, Milano, 1998, (Ed. italiana a cura di Pietro Pastorelli), pp. 468-469.
13
All’inizio, il paese più ricco di petrolio era l’Arabia Saudita, dove la presenza inglese era meno
influente che negli sceiccati del Golfo. Inoltre, Ibn Saud, il fondatore del regno dei Saud, non era
mai stato propenso ad assecondare le aspirazioni britanniche. In compenso, negli anni ’30 le
compagnie americane, come la Standard Oil e la Texas Oil C. (Texaco), riuscirono ad ottenere
larghe concessioni. La situazione risultò sempre più favorevole agli americani durante il secondo
conflitto mondiale e gli Stati Uniti contribuirono fortemente al risanamento dell’economia saudita,
in un periodo in cui era venuto meno il pellegrinaggio ai luoghi santi dell’Islam, che costituivano
la principale entrata del regno. Cfr. KHAVARI F. A., Oil and Islam: the Ticking Bomb,
Roundtable Publishing Inc, Malibu, CA, 1990, pp. 187-230; STRIKA V., La Guerra Iran-Iraq e la
Guerra del Golfo, Op. Cit. pp.30-31
14
L’Anglo Iranian Oil Company, una delle “sette sorelle”, poi divenuta British Petroleum nacque
dall’iniziativa di William Knox D’Arcy che nel 1901 ottenne dallo scià Reza Khan una
concessione nell’Iran occidentale. Nel 1933, lo scià Reza Pahlevi stipulò un trattato con l’Anglo
Iranian che limitava la zona di concessioni e aumentava le royalties spettanti al governo. La vera e
propria nazionalizzazione del petrolio iraniano avvenne però nel 1951 ad opera del primo ministro
Mossadeq. Nel 1952 la Gran Bretagna, per protesta, bloccò i prodotti petroliferi. Cfr. Middle East
and North African, Europa Pubblications Ltdc., 1991, pp. 164-66
trasformata in un “consorzio” (o Iranian Oil Participants). La compagnia allargò
16
la sua attività all’intera industria petrolifera e alla distribuzione. Questa tendenza
nella politica economica iraniana si accentuò dopo la caduta dello Shah nel 1979
con la nascita della Repubblica Islamica. Una sorte analoga seguì l’Irak
Petroleum Co.
15
Il controllo delle vie di esportazioni del petrolio fu, negli anni del conflitto
irano-iracheno, la chiave di volta dell’economia di guerra. L’accesso ai mercati
esteri per il rifornimento di armi fu importante per ambo le parti, e ovviamente i
proventi derivanti dal petrolio costituivano la risorsa fondamentale. L’Iraq, per
impedire all’Iran di continuare la guerra, tentò di fermare l’esportazione iraniana
di petrolio danneggiando i terminali petroliferi e dando sfogo a quella che venne
La rivoluzione iraniana del 1979 non fece altro che alimentare l’ondata di
nazionalismo e di risentimento nei confronti del gigante americano. D’un sol
colpo le colonne su cui si appoggiava l’azione degli Stati Uniti e dei governi
occidentali in Medio Oriente caddero. Il terremoto politico creato dalla
rivoluzione khomeinista ebbe però il pregio di rendere chiara la reale importanza
dell’Iran (che spesso viene superficialmente considerato come equivalente al suo
nemico storico, l’Iraq, mentre ha una popolazione tre volte e mezza superiore ed
un territorio quattro volte più grande di quest’ultimo).
Il punto di forza della posizione geopolitica dell’Iran, come pure quello
dell’Iraq, risultò presto evidente. Gli ayatollah iraniani diedero così inizio a un
ventennio fatto di demonizzazione degli Stati Uniti, indicati come fonte di tutti i
mali e come emblema della degenerazione dell’Occidente. Non sembrò facile una
soluzione sul terreno diplomatico e, anzi, la difficile opera di riassestamento ha
contribuito a creare o ad incoraggiare fenomeni quali il riarmo iracheno.
Si capisce come la guerra tra Iran e Iraq, che ha causato milioni di morti e
ha drenato le risorse di entrambi i paesi, abbia avuto ripercussioni durature nella
vita economica di Baghdad e Teheran. Il conflitto infatti, non ha fatto altro che
ritardare di molti anni uno sviluppo economico che agli albori appariva più che
promettente.
15
Il centro produttivo dell’Irak Petroleum Company venne stabilito a Kirkuk, a 200 km a nord di
Baghdad. Il 23, 7% della compagnia fu affidato all’Anglo Iranian Oil Co., il 23,7 alla Shell, il 23,
7 a un gruppo francese, l’11,87% alla Socony Vacuum Oil (americana), l’11,87 alla Standard Oil
(americana) e il 5% ad interessi privati iracheni (il gruppo Gulbenkian). Gli oleodotti di Haditha-
Tripoli (in Siria) e Haditha-Haifa (in Israele), quest’ultimo chiuso nel 1948 dal governo iracheno,
furono affidati alla compagnia. Cfr. DUROSELLE J.B., Op. Cit., pag. 469
17
definita la “guerra delle petroliere”.
16
Baghdad disponeva a quel tempo di forti
riserve di valuta straniera, ma ben presto le sole entrate petrolifere non bastarono
più a coprire le spese perché la guerra aveva distrutto le principali infrastrutture
per il trasporto del petrolio, proprio nel momento in cui il prezzo del barile subì un
crollo.
17
Nel capitolo successivo, parleremo della “guerra dimenticata” e
studieremo in maniera più approfondita anche l’aspetto economico e l’impatto
delle entrate petrolifere sullo stato dei rapporti tra Iran e Iraq, per ora è sufficiente
osservare che le conseguenze della guerra furono disastrose per entrambi i Paesi.
La distruzione di una parte notevole delle capacità di esportazione del petrolio
sfociò in una drastica caduta delle entrate iraniane e irachene. La storia irachena
degli anni successivi la conosciamo, ma possiamo concludere che essa è legata
agli eventi del decennio precedente e, conseguentemente, alla storia dei rapporti
con l’Iran.
18
16
Cfr. KING R., Irak-Iran: La guerre paralysée, Edition Bosquet, International Institue for
Strategic Studies (IISS), London, 1987, pp. 35-36
17
Cfr. LUIZARD P.J., Op. Cit., pp. 107 e segg.
18
In particolare, l’economia irachena si troverà in una situazione disperata all’inizio degli anni
’90. Saddam Hussein condannerà le sovrapproduzioni degli altri paesi del Golfo, specialmente
quella del Kuwait, e dichiarerà insostenibile la pressione alla quale il suo paese era stato
sottoposto. Cfr. KING R., Op. Cit., pp. 37-39
In questo scenario così complesso si capisce come il petrolio ha potuto
accrescere il ruolo strategico del quadrante mediorientale, peraltro già importante
per i collegamenti con l’Estremo Oriente. Il petrolio, oltre ad essere una fonte di
attrazione per le potenze esterne, ha anche aumentato il divario tra paesi
musulmani ricchi e paesi musulmani poveri, ha ulteriormente complicato la
risoluzione di questioni di confine (come nel caso Iran-Iraq per i pozzi del
Khuzistan) e ha creato un movimento migratorio (alterando la composizione
etnica della popolazione).
18
1.1 Il ritorno dall’esilio di Khomeini e i messaggi alla Ummah
In un’intervista rilasciata a Hamid Algar, il 29 dicembre 1978, nella
residenza di Neauphle-le-Chateau, durante l’esilio in Francia, Khomeini
19
diede
particolare enfasi, nelle sue risposte, al fatto che il rovesciamento di un’autorità
illegittima faceva parte dell’essenza stessa della tradizione sciita. L’Imam spiegò
il passaggio alla fase rivoluzionaria del movimento islamico, che fino ad allora si
era mantenuto cauto nelle sue scelte, con la crescita anche politica dei religiosi
nelle scuole giuridiche di Qom e delle altre città. Il dissenso totale verso una
politica dittatoriale e corrotta, come Khomeini definiva quella dello Scià
Mohammed Reza Pahlevi,
20
arrivò ad essere manifestato con coscienza e
consapevolezza critica, capacità acquisite dal movimento sciita grazie all’opera di
proselitismo e in alcuni casi di indottrinamento, che i religiosi attuavano.
21
Nel periodo che va dalla spettacolare manifestazione popolare del 9
gennaio 1978 a Qom,
22
19
Ruhollah Khomeini (1902-1989) iniziò a studiare teologia a Qom nel 1922, ed è qui che restò a
insegnare fino al 1937. Si specializzò in etica, filosofia e teologia. La sua prima condanna al
regime degli scià risale già agli scritti degli anni ’40, ma dal 1960 la critica diventò pratica abituale
nelle lezioni che tenne a Qom. Le manifestazioni di dissenso dell’Ayatollah, si fecero sentire
soprattutto a seguito dell’estensione della leva obbligatoria ai religiosi. Nel 1964 iniziarono gli
scontri diretti con il governo iraniano. Dopo vari arresti Khomeini fu costretto all’esilio in Turchia,
in Iraq (a Najaf) e poi in Francia. Nel 1965 si stabilì a Najaf e iniziò a dedicarsi alla preparazione
della Rivoluzione Islamica in Iran. Il governo Baahtita iracheno inizialmente ne tollerò l’attività
per ostilità nei confronti dello scià, ma nell’ottobre del 1978, quando il movimento islamico
apparve come una minaccia incombente, decise di espellerlo. L’esilio in Francia, a Neauphle-le
Chateau, vicino Parigi, iniziò proprio nel 1978. Khomeini è la figura di spicco della rivoluzione
iraniana del 1979 nonché il primo leader spirituale della repubblica islamica dell’Iran. Cfr.
SABAHI F., Storia dell’Iran, Bruno Mondatori, Milano, 2003, pp. 138 e segg.
20
Mohammed Reza (1919-1980) salì al trono nel 1941, dopo l’abdicazione del padre Reza Shah.
Nel 1951, l’anno della nazionalizzazione del petrolio, imposta dal primo ministro Mossadegh, lo
Scià venne destituito e tornò al potere soltanto nel 1953. Il regno di Mohammed Reza Pahlevi,
durato trentotto anni, finì nel gennaio del 1979, data in cui lo Scià lasciava Teheran a seguito delle
violente sommosse che sconvolsero l’assetto politico del Paese. L’ambizioso piano di sviluppo di
Reza Pahlevi si collegò alla spesa di somme enormi per l’acquisizione di sofisticati armamenti. Gli
Stati Uniti fornirono lauti compensi al “gendarme del Golfo”, loro fedele alleato, con lo scopo di
mantenere l’ordine in un’area geostrategica di primissimo piano. Cfr. SABAHI F., Op. Cit, pp. 44
segg.
21
KHOMEINI S. R., Islam and Revolution: Writings and declaration, Muslim Institute, London,
1981, (translated and annotated by Hamid Algar), pp. 321 segg.
22
Il 9 gennaio iniziarono le rivolte di piazza: i mullâh e gli studenti di teologia manifestavano a
Qom contro un articolo governativo apparso sul quotidiano ‘Ettelâ'ât in cui Khomeini venne
accusato di essere una spia britannica e un omosessuale. Rivolte simili a questa si ripeterono a
intervalli regolari ogni 40 giorni. La repressione della polizia fu sanguinosa. Nei mesi di Febbraio
e Aprile ci furono manifestazioni di lutto in tutto l'Iran per i morti di Qom. La polizia represse
ancora una volta nel sangue le dimostrazioni. Cfr. SABAHI F., Op. Cit., pp. 140 e segg.
al referendum del novembre 1979, sulla nuova
costituzione della neonata Repubblica Islamica dell’Iran, si susseguirono
19
avvenimenti storici importantissimi e le ripercussioni sugli equilibri politici
internazionali della Rivoluzione Islamica misero in pericolo la stabilità del Golfo.
Il primo effetto destabilizzante furono le manifestazioni che gli sciiti iracheni
promossero contro il regime di Baghdad.
23
Le manifestazioni degli sciiti, in Iraq
come in altri paesi dell’area in cui esistevano minoranze del Partito di Alì,
partivano dal recupero dell’ideologia nazionalista. La forza del nazionalismo
religioso venne messa a punto proprio dall’Iran Khomeinista, che non tardò a far
arrivare rivendicazioni territoriali su paesi che ospitavano gruppi di sciiti di
provenienza iraniana.
24
Il messaggio lanciato da Khomeini all’epoca del suo esilio in Iraq era
chiaro: “Aiutate i vostri fratelli, ma non fate nulla attraverso il governo, e nulla
per esso”.
25
Quando nel 1978 la folla di Qom inneggiò gli slogan rivoluzionari,
innalzando i ritratti del “mitico capo della rivoluzione iraniana”,
26
Il progetto politico dello Scià era alquanto ambizioso e la sua figura resta
ancora oggi al centro di un intenso dibattito. Tentare di capire l’operato di Reza
Pahlevi è propedeutico ai fini dell’analisi dei gruppi di opposizione al suo regime
e delle ragioni del movimento islamico sciita. Lo scià intendeva portare il suo
Paese verso un processo di modernizzazione economica e sociale, considerato
come la premessa fondamentale per il consolidamento di una struttura
la svolta
politica era già palese. Reza Pahlevi tentò invano di trovare una soluzione
epurando i corrotti e promettendo la democrazia, ma la sua risposta alla storia
arrivava troppo tardi. L’anno seguente, nel 1979, lo Scià partiva in esilio per il
Cairo dove morì nel 1980.
23
Cfr. MARTIN P., “Les chiite d’Iraq de retour sur la scène politique”, in Maghreb-Mashreq, n.
132, 1991, pp. 21-37.
24
Le rivendicazioni annunciate da Khomeini si estesero a tutte quelle aree del Golfo che
ospitavano attive minoranze sciite, per la maggior parte di origine persiana. Sul Bahrein, che ospita
una forte comunità sciita, ci si spinse fino alla messa a punto di operazioni navali. In seguito, le
proteste del governo del Bahrein indussero Teheran a fare marcia indietro. Analogo atteggiamento
quello condotto nei confronti del Kuwait, dove gli sciiti persiani, prodotto dell’emigrazione
nell’area, dopo la scoperta del petrolio, organizzarono dimostrazioni anti-americane simili a quelle
irachene. Cfr. STRIKA V., “Lo Shatt al-Arab: origini remote e recenti della controversia tra Iran
ed Iraq“ in Supplemento n. 36 agli Annali, Istituto Universitario Orientale di Napoli, vol. 43, fasc.
3, 1983, p. 121.
25
KHOMEINI S. R., Islam and Revolution, Op. Cit., pag. 324.
26
Così venne chiamato Khomeini dal filosofo francese Michel Foucault che all’epoca della
rivoluzione era inviato speciale a Teheran per il Corriere della Sera. I suoi reportage, che
testimoniano una partecipazione appassionata ed entusiasta agli avvenimenti, sono raccolti
nell’opera FOUCAULT MICHEL, Taccuino Persiano, a cura di Guolo R. e Panza P., Guerini e
Associati, Milano, 1998.