2
prima forma di sindacato dei lavoratori), testimoniano chiaramente una sempre più marcata
coscienza sociale ad opera del proletariato.
Nella seconda metà del XVIII secolo nacquero le prime assicurazioni sociali sotto forma di
“mutue”, tali organizzazioni furono ben viste anche dal governo in quanto rappresentavano
uno strumento di stabilizzazione sociale.
La prima manifestazione di quella che sarà poi la previdenza sociale fu quindi determinata
dalla spontanea iniziativa dei lavoratori. Le società di mutuo soccorso, associazioni
volontarie di lavoratori, realizzarono la solidarietà tra gli associati provvedendo, con i loro
contributi: ad erogare prestazioni a quanti si fossero trovati in condizioni di bisogno a
causa di malattia o, a volte, di infortunio o di invalidità, nonché una pensione agli associati
che avessero raggiunto un’età che li rendeva inabili ad un lavoro proficuo o un’erogazione
una tantum ai familiari degli associati defunti.
3
In Italia le prime manifestazioni di previdenza si ebbero con l’industrializzazione.
Il 15 aprile 1886 fu emanata la legge n. 3818, con la quale si riconobbe personalità
giuridica a quelle società di mutuo soccorso che avessero come fine “di assicurare ai soci
un sussidio in caso di malattia, di impotenza al lavoro, o di vecchiaia, o di venire in aiuto
alle famiglie dei soci defunti”.
L’atteggiamento dello Stato, che si era limitato a favorire la mutualità volontaria, cominciò
a modificarsi solo quando l’attenzione dell’opinione pubblica fu richiamata dal grave
problema degli infortuni sul lavoro.
L’esperienza mutualistica rappresenta una delle prime manifestazioni dell’associazionismo
operaio: la sua costituzione può essere messa in relazione a quella del sindacato. E’ questa
2
Deane P., La prima Rivoluzione Industriale, Bologna, 1990, pag. 191
3
Persiani M., Diritto della previdenza sociale, Padova, 2002, pag. 5
3
anche la ragione per cui il fascismo, sebbene utilizzò lo schema delle mutue nella logica
corporativista, ne affrettò la decadenza.
Nel 1898 vi furono due importanti interventi legislativi: con il primo si rese obbligatoria
l’assicurazione contro gli infortuni e con il secondo si istituì la Cassa nazionale di
previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai.
La legge 17 marzo 1898 n. 80 rese obbligatoria, per i datori di lavoro, l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro e si ritiene che essa segnò la nascita della previdenza sociale
italiana. Questa legge si limitò a rendere obbligatoria una assicurazione privata per la
responsabilità civile del datore di lavoro, che peraltro conservava integralmente la sua
struttura contrattuale. E’ importante sottolineare come, già allora, la tutela non era limitata
agli infortuni determinati da colpa del datore di lavoro, ma era estesa anche agli infortuni
determinati da caso fortuito, forza maggiore o, addirittura, da colpa non grave del
lavoratore.
4
L’istituzione della Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai
si deve invece alla legge 17 luglio 1898 n. 350. Con tale provvedimento vennero poste le
premesse di una più ampia solidarietà tra i lavoratori.
Nel primo ventennio del XX secolo si verificò il passaggio definitivo dal mutualismo
volontario all’assicurazione obbligatoria attraverso una serie di norme e provvedimenti di
natura previdenziale che delinearono il carattere sempre più pubblicistico della tutela
previdenziale.
Tra il 1904 e il 1910 vennero promulgate leggi sull’invalidità e vecchiaia degli operai, in
materia antinfortunistica e venne istituita la Cassa nazionale di maternità per la tutela delle
donne.
4
Nel 1919 si introdusse l’obbligatorietà dell’assicurazione di invalidità,vecchiaia e di
disoccupazione per tutti i lavoratori dipendenti e nel 1924 venne istituita, per i soli
impiegati, l’indennità di licenziamento. Il Codice Civile (1942) trasformerà tale indennità in
indennità di anzianità spettante a tutti i lavoratori in funzione degli anni di servizio e
dell’ultima retribuzione, dal 1966 per tutte le cause di cessazione, comprese le dimissioni
volontarie e il pensionamento. Nel 1982 diventerà il Trattamento di fine rapporto.
Tra il 1933 e il 1935 si introdussero gli assegni familiari per figli a carico e la riduzione
dell’orario di lavoro da 48 a 40 ore settimanali. E’ invece del 1939 la previsione di pensione
di reversibilità a favore dei superstiti dell’assicurato o pensionato.
5
Durante il periodo corporativo il sistema delle assicurazioni sociali, non solo venne
completato con la previsione della tutela di nuovi rischi, ma venne assumendo man mano
caratteristiche che preludono alla successiva evoluzione.
Si affermò la concezione di solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro, ispirata
alla realizzazione dell’interesse pubblico dell’economia, con il quale si pretendeva di
risolvere il conflitto sociale. Nel 1943, con l’aumento dei contributi previdenziali, venne
stabilito, per la prima volta, un maggior onere a carico dei datori di lavoro (2/3 contro 1/3 a
carico dei lavoratori).
L’idea della sicurezza sociale è stata prevista anche dal nostro ordinamento per effetto
dell’accoglimento, nella nostra Costituzione, del principio secondo il quale “è compito
dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese” (art. 3, secondo comma, Costituzione).
4
Pessi R., Lezioni di diritto della previdenza sociale, Padova, 2000, pag. 38
5
Tale principio trova numerose altre disposizioni nella Carta Costituzionale (artt. 4, 24, 31,
32) e particolarmente nell’art. 38.
I principi accolti nella Costituzione hanno trovato riscontro nella legislazione ordinaria.
L’evoluzione della legislazione non è stata realizzata in modo uniforme e costante, sia
perché è mancato un disegno completo e razionale, sia in seguito a condizionamenti
economici e politici determinati dalle strutture della nostra società. Tuttavia, il mosaico
legislativo che regola il sistema previdenziale può essere unitariamente considerato.
I principi costituzionali individuano uno schema essenziale del sistema previdenziale e
forniscono un criterio per l’interpretazione della legislazione vigente dal quale non si può
prescindere.
Nel dopoguerra si introdussero i contributi integrativi allo scopo di finanziare, mediante
una gestione a ripartizione, le quote di integrazione delle pensioni, introdotte per adeguare
l’importo delle pensioni base alla svalutazione monetaria. Con la legge 4 aprile 1952 n.
618, si pose ordine ai variegati interventi normativi operati per fronteggiare l’emergenza,
codificando il nuovo modello con l’introduzione di un moltiplicatore da applicare alla
pensione base, che doveva variare nel tempo seguendo le vicende monetarie.
Veniva anche introdotto un concorso dello Stato pari ad un terzo delle contribuzioni e la
creazione di un fondo di riserva alimentato con il tre per cento dei contributi. Veniva quindi
meno l’autonomia finanziaria che era alla base della mutualità; si incrinava il rapporto tra
prestazione e contribuzione che aveva dato origine al risparmio previdenziale.
Alla fine degli anni Cinquanta il Paese approdò ad una modernizzazione parziale e
selvaggia, il cui fondamento non era rinvenibile in un assetto economico-produttivo che
5
Cesari R., I fondi pensione, Bologna, 2000, pag. 11
6
esprimeva un capitalismo maturo, quanto, e piuttosto, in un sistema diffuso di sottogoverno
che portava al diffondersi di disuguaglianze basate su privilegi e benefici.
6
Venne ad affermarsi quello che è stato definito il “clientelismo previdenziale”, cioè la
pratica diffusa di assecondare gli egoismi dei gruppi e delle categorie per l’introduzione di
discipline differenziate a fini di consenso elettorale.
Il sistema costruì un modello variegato di normative che integravano o sostituivano la
previdenza generale dei lavoratori secondo modelli e nessi di raccordo molto diversificati.
Tra gli interventi più significativi in materia pensionistica è importante segnalare: la
generalizzazione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti
(L. 4 aprile 1952, n. 218 - D.P.R. 27 aprile 1957, n. 818), in precedenza delimitati anche in
ragione del reddito; la previsione dei trattamenti minimi di pensione con l’introduzione nel
sistema tecnico-finanziario della ripartizione (D.Lgs.Lgt. 1 marzo 1945, n. 177 –
D.Lgs.Lgt. 29 luglio 1947, n. 689 – L. n. 218/1952); il riordino dell’obbligazione
contributiva con la riarticolazione dell’entità e della proporzione tra datore di lavoro e
lavoratore (L. 218/52 – L. 20 febbraio 1958, n. 55).
L’interesse al completamento del progetto pensionistico trova ulteriore realizzazione nella
compensazione dei periodi di assenza di versamenti contributivi e, in alcune ipotesi ritenute
meritevoli di tutela, nella loro sostituzione con una contribuzione figurativa.
Notevole è l’intervento del Legislatore che ha esteso l’area di protezione relativa alla
problematica delle malattie professionali. Analoghi interventi si ebbero in materia di
disoccupazione involontaria.
Nel panorama della legislazione, che ha fatto seguito alla Costituzione, troviamo
l’istituzione del Fondo sociale (legge n. 903 del 1965), della pensione sociale (art. 26, legge
6
Pessi R., Lezioni di diritto della previdenza sociale, cit., pag. 56
7
n. 153 del 1969), della disciplina di tutela degli invalidi civili (legge n. 118 del 1971) e la
riforma sanitaria, con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978).
7
La crisi economica che si sviluppò a partire dalla metà degli anni ’70 e coinvolse anche le
funzioni sociali dello Stato, anche se concorse a travolgere la riforma sanitaria, apparve,
tuttavia, indurre, come effetto positivo, una sorta di progressiva depurazione del sistema
previdenziale da “eccessi” di tutela. Tanto si può ricavare dagli interventi legislativi che, da
quegli anni, fissarono un tetto massimo alle pensioni, dando rilevanza a situazioni di
bisogno effettivo o fissando criteri perequativi al ribasso per le pensioni di maggior
importo.
Tale situazione ha ispirato i vari progetti di riforma, che si sono susseguiti a partire dal
1978, senza successo fino al 1992, quando si è dato vita ad un’ampia operazione di
innovazione normativa (leggi n. 421 e n. 438, e D.Lgs. n. 503 del 1992; legge n. 537 del
1993) che ha avuto il suo apice con la radicale riforma dettata dalla legge n. 335 del 1995,
ma che, tuttavia, non può dirsi ancora del tutto conclusa.
Tale progetto di riforma appare rispondere maggiormente ad una logica di
“razionalizzazione” dell’esistente rispetto a conseguire una vera e propria modificazione
strutturale.
Il riordino è stato perseguito essenzialmente attraverso due distinte direttive: una “etica”,
diretta a reagire alle iniquità e alla “cultura dell’assistenzialismo”, e una prettamente
“economica”, tesa a rimediare alla sempre più grave crisi finanziaria dello Stato.
L’opera di razionalizzazione e semplificazione si è attuata attraverso un precedente
sfoltimento dell’assetto istituzionale. Nel settore privato sono confluiti presso l’Istituto
Nazionale di Previdenza Sociale (I.N.P.S.) molti istituti di previdenza di particolari
7
Cinelli M., Diritto della previdenza sociale, Torino, 1998, pag. 37
8
categorie di lavoratori (dipendenti delle ex banche pubbliche, imprenditori agricoli,
lavoratori autonomi in generale, ecc.).
Nel settore pubblico (sia pure “privatizzato”, ex D.lgs. n.29 del 1993) tale processo vede
invece interessato l’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione
Pubblica (I.N.P.D.A.P.).
Le leggi n. 438 del 1992 e n. 724 del 1994, continuando questa razionalizzazione, hanno
portato ad un blocco delle pensioni di anzianità destinate a fronteggiare l’emergenza
imposta dalla crisi economica e finanziaria. Importante è anche l’ampliamento ad un arco
temporale superiore ai tradizionali ultimi 5 anni della base di calcolo per la determinazione
dell’importo della pensione.
Oltre al suddetto allungamento del periodo di riferimento per il calcolo della retribuzione
pensionabile, si ha anche l’elevazione dell’età pensionabile, l’inasprimento (da 15 a 20
anni) del requisito assicurativo minimo per la pensione di vecchiaia, ma, soprattutto, la
scelta di inserire strutturalmente nel sistema la previdenza complementare.
La legge di riforma n. 421 del 1992 è stata attuata in base al decreto legislativo n. 503/1992,
il Legislatore si è proposto l’obiettivo di rallentare le uscite dal mercato del lavoro e, nel
contempo, di far emergere il lavoro sommerso e le retribuzioni “in nero”, con benefici per il
regime delle uscite (minori prestazioni) e per il regime delle entrate (minori evasioni
contributive).
La riforma del 1995 (legge 8 agosto 1995 n. 335), se da un lato sembra proseguire sulla
strada della razionalizzazione già intrapresa negli anni precedenti, dall’altro si pone come
una decisa innovazione rispetto alle scelte passate.
Le scelte assunte dalla suddetta riforma sono:
9
- la commisurazione delle pensioni alla contribuzione versata (anziché alle retribuzioni
percepite);
- la regolamentazione secondo criteri di flessibilità delle condizioni d’accesso al
pensionamento;
- la armonizzazione degli ordinamenti pensionistici, pur nel rispetto della pluralità degli
organismi assicurativi;
- la considerazione della previdenza obbligatoria e della previdenza complementare,
come parte di un unico sistema; della stabilizzazione della spesa pensionistica.
La scelta di maggior rilievo è risultata quella dell’abbandono del sistema retributivo di
calcolo delle pensioni e del ritorno al sistema di calcolo fondato (come in epoca anteriore al
1968) sul quantum dei contributi versati durante l’intero arco della vita lavorativa.
Nel complesso disegno del Legislatore il quadro delle riforme avviate negli anni ’90 si
completa ed integra con la disciplina legale delle forme pensionistiche complementari
(D.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, modificato e integrato dal D.lgs. n. 585 del 1993, dalla legge
n. 335 del 1995, dalla legge n. 449 del 1997, dal D.lgs. n. 47 del 2000 e dal D.lgs. n.168
del 2001): la tanto attesa “previdenza complementare”, da porre come “secondo pilastro”
dell’intero sistema, che è destinata ad erogare “trattamenti pensionistici complementari del
sistema obbligatorio pubblico e al fine di assicurare più elevati livelli di copertura
previdenziale” (art. 1 D.lgs. 124/1993).
La struttura previdenziale dei paesi economicamente e socialmente più avanzati è costruita
infatti su tre pilastri
8
:
- il primo è rappresentato dalla previdenza obbligatoria, nella quale operano gli enti
previdenziali di natura pubblicistica o le casse di previdenza di alcune categorie
10
professionali, a disciplina esclusivamente normativa (legislativa o regolamentare), che
trovano fondamento costituzionale nel combinato disposto del 2° e 4° comma dell’art.
38 Cost.;
- il secondo pilastro, che trova fondamento costituzionale nel combinato disposto del 2° e
5° comma dell’art. 38 Cost., è costituito da forme previdenziali complementari rispetto
alle precedenti e realizzate attraverso l’adozione di un regime collettivo o aziendale: i
cosiddetti fondi pensione;
- il terzo pilastro, infine, opera a livello individuale e su base volontaria, mediante la
predisposizione di strumenti finanziari e assicurativi che consentono al lavoratore di
poter scegliere tempi e modi nell’erogazione delle prestazioni. Si individua nella
previdenza integrativa individuale, affidata all’autonomia contrattuale dei singoli,
quindi sostanzialmente delegificata, il cui referente costituzionale va ritrovato nell’art.
47 Cost.
9
I suddetti pilastri condividono il raggiungimento della medesima finalità: garantire al
beneficiario una fonte di reddito anche al termine della sua attività lavorativa.
Le differenti forme di previdenza sono rintracciabili in tutte le economie moderne, anche se
da un paese a un altro assumono un peso e un’importanza decisamente diversi.
E’ possibile ricondurre i sistemi pensionistici a due distinti modelli: un modello
“bismarkiano” (introdotto in Germania dal Cancelliere Bismark nella seconda metà
dell’Ottocento), tendente ad assicurare un livello reddituale stabile e uniforme durante tutta
la vita del cittadino; un modello “beveridgiano” (da Lord Beveridge che lo introdusse in
Inghilterra nel 1942), che garantisce soltanto un tetto minimo di sussistenza per le categorie
8
Marchettini P., Pinna C., Previdenza: come cambia, Diritto e pratica del lavoro, 1997 n. 1, pag. 7
9
FERRARI V., Il ruolo dei fondi pensione nell’evoluzione della previdenza sociale, Foro Italiano, 1998 V,
pag. 117
11
disagiate, lasciando all’iniziativa del singolo lavoratore la costruzione della propria
posizione previdenziale.
10
In generale, i regimi dei paesi anglosassoni sono basati su una struttura di previdenza
sociale ispirata al modello di Beveridge. In tali paesi le forme pensionistiche complementari
rappresentano il principale strumento previdenziale a disposizione dei lavoratori.
L’Italia rientra tra i paesi ad impostazione bismarkiana avendo adottato un sistema centrato
sulla previdenza obbligatoria pubblica che ha, di fatto, limitato la nascita e la diffusione di
meccanismi previdenziali alternativi. Il portafoglio previdenziale delle famiglie italiane è
stato, fino a oggi, quasi totalmente affidato al sistema pubblico.
11
La profonda crisi, che negli ultimi anni ha coinvolto il sistema pensionistico pubblico, ha
riproposto la necessità di spostare una parte del peso della previdenza dal primo al secondo
dei pilastri sopracitati.
10
MANELLI A., I fondi pensione - Aspetti operativi ed effetti sulla struttura finanziaria d’azienda, Torino,
2000, pag. 5
11
FORNERO E., Verso un sistema pensionistico misto in CASTELLINO O., Le pensioni difficili: la
previdenza sociale in Italia tra crisi e riforme, Bologna, 1995, pag. 125
12
1.2 Il pluralismo previdenziale secondo l’art. 38 della Costituzione
Un notevole dibattito si è sviluppato sul significato da attribuire all’espressione “sicurezza
sociale” portando a tre diverse opzioni.
12
La prima si incentra sulla sicurezza sociale come soddisfacimento di alcuni bisogni
essenziali. Sono tali i bisogni individuali ed economici. Alla base di tale concezione vi è il
principio di solidarietà, il quale chiama a concorrere al soddisfacimento dei bisogni di quei
soggetti la cui capacità economica non è sufficiente a far fronte alle necessità.
13
Interessante
è, inoltre, sottolineare le diverse forme che la solidarietà può assumere e la loro coesistenza
all’interno del sistema: solidarietà volontaria e spontanea che aveva già caratterizzato
l’esperienza delle mutue assicuratrici, solidarietà imposta dallo Stato tipica delle
assicurazioni obbligatorie e solidarietà finale dello Stato che interviene applicando il
principio di sussidiarietà sociale
14
nelle situazioni non altrimenti tutelate. Tali principi
trovano riscontro nella Carta costituzionale, in particolare nell’art. 2 e nell’art. 38 Cost.. In
quest’ultima norma è rinvenibile l’”interpretazione dualistica” della sicurezza sociale
15
che
è fondata su una lettura separata dell’assistenza (c. 1) e della previdenza sociale (c. 2). La
prima è l’espressione della volontà di garantire ai cittadini l’indispensabile per la vita,
mediante un servizio pubblico ed un finanziamento a carico dello Stato, mentre la seconda
prevede l’impegno a garantire ai lavoratori la protezione specifica cui hanno diritto, ferma
restando la diretta partecipazione di questi ultimi agli oneri relativi.
16
Si ritiene inoltre che
12
Leone Gabriella, Interesse pubblico e interessi privati nella previdenza complementare, Giornale di diritto
del lavoro e di relazioni industriali n. 90, 2001, 2, pag. 277
13
Chiarelli G., Appunti sulla sicurezza sociale, Rivista di diritto del lavoro, 1965, pag. 287
14
Simi V., Sui principi della sicurezza sociale, Previdenza sociale, 1986, pag. 22
15
Cinelli Maurizio, Sicurezza Sociale, Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pag. 502
16
Simi V., L’attuazione dei principi costituzionali in materia di sicurezza sociale in Il pluralismo
previdenziale secondo Costituzione, Milano, 1986, pag. 42
13
dall’art. 38, comma 4, si possano desumere ulteriori spunti che avvalorano questa tesi: la
presenza di “organi ed istituti predisposti” o “istituti integrati” dallo Stato
contrapporrebbe un servizio pubblico che deve attuare l’assistenza sociale e un servizio di
non diretta espressione dello Stato a cui compete la copertura previdenziale.
17
Il comma 5
dell’art. 38 confermerebbe la volontà di legittimare forme di solidarietà riconducibili
all’iniziativa dei soggetti privati.
La seconda opzione è definita “concezione universalistica”
18
dell’art. 38 Cost. che vede la
sicurezza sociale come un complesso sistema attraverso il quale la pubblica
amministrazione, o altri enti pubblici, realizzano il fine pubblico mediante l’erogazione di
beni o servizi in favore dei cittadini che si trovano in situazione di bisogno.
19
Importante è
sottolineare come tale garanzia sia a favore di tutti i cittadini e non dei soli lavoratori. Si
ritiene che tale concezione non ignori gli interessi privati, ma sembrerebbe implicare che le
prestazioni in sé soddisfino l’interesse privato del singolo, mentre la garanzia del diritto
all’erogazione soddisferebbe quello pubblico.
20
I giuristi che sostengono tale impostazione
vedono nell’art. 38 una diretta esplicazione dell’art. 3 comma 2 della Costituzione, ovvero
uno strumento di redistribuzione della ricchezza e un mezzo per il superamento degli
ostacoli che limitano il godimento dei diritti civili e politici. In una tale dottrina male si
inserirebbe il quinto comma dell’art. 38: si ritiene che la previdenza privata persegua
soltanto interessi privati consistenti nel mantenimento del tenore di vita raggiunto durante
la vita lavorativa, prefiggendosi un obiettivo che non rientra nel fine pubblico perseguito
dagli altri commi dell’art. 38.
17
Leone Gabriella, Interesse pubblico e interessi privati nella previdenza complementare, Giornale di diritto
del lavoro e di relazioni industriali n. 90, 2001, 2, pag. 282
18
Cinelli Maurizio, Diritto della previdenza sociale, Torino, 1998, pag. 30
19
Persiani M., L’idea della sicurezza sociale nell’ordinamento giuridico italiano, in Aa. Vv., Per un sistema di
sicurezza sociale in Italia, Bologna, 1965, pag. 81
14
La terza dottrina aderisce alla tesi dualistica pur rifiutando la rilevanza accordata all’art. 38,
comma 4. Tale opzione ha escluso che nel disegno costituzionale vi siano forme di
organizzazione necessarie per la tutela delle diverse situazioni giuridiche. Ritiene, invece,
che sia gli organi che gli istituti possano essere coinvolti nella realizzazione del sistema
previdenziale e di quello assistenziale.
21
E’ da inserire nel dibattito sulla sicurezza sociale il legame tra l’art. 38 e la previdenza
complementare. La dottrina è concorde nel ritenere affermata nell’art. 38 la garanzia
costituzionale delle forme di previdenza privata, ma diverge profondamente sulla
collocazione di tale garanzia all’interno della norma stessa.
22
L’art. 38 Cost., dopo aver definito, al secondo comma, i fondamenti del sistema
previdenziale italiano, al quinto, aggiunge che “l’assistenza privata è libera”.
La dottrina, in epoca precedente all’entrata in vigore del D.lgs. 21 aprile 1993 n. 124, aveva
ampiamente dibattuto sul ruolo che la previdenza complementare occupava all’interno del
sistema previdenziale. In particolare, si era discusso se essa fosse riconducibile alla
previdenza privata di cui all’art. 38, comma 5, Cost. ovvero al comma 2 dello stesso
articolo.
23
Secondo una tesi, poiché il secondo comma contiene un obbligo per lo Stato di garantire
“mezzi adeguati alle esigenze di vita” dei lavoratori in caso di determinati bisogni, in nome
di un interesse pubblico generale (art. 3 Cost.), la garanzia per i regimi complementari
sarebbe da rinvenirsi solo nell’ultimo comma che garantisce anche la libertà della
previdenza, oltre che nell’art. 47 Cost. (tutela del risparmio). All’ultimo comma dell’art. 38
20
Rossi F. P., La previdenza sociale, Padova, 2000, pag. 27
21
Cinelli Maurizio, Sicurezza Sociale, Enciclopedia del diritto, XLII, Milano, 1990, pag. 504
22
Ciocca Giuliana, Olivelli Paola, Previdenza complementare, Enciclopedia giuridica, Milano, 2001, pag. 7
23
Boer Paolo, La previdenza complementare in Flessibilità e diritto del lavoro di Giuseppe Santoro Passarelli,
Torino, 1997, pag. 305
15
fanno riferimento in molti
24
25
, sostenendo, di conseguenza, la libertà dei privati, timorosi
che una regolamentazione eccessiva ne restringa lo spazio.
La tesi, oggi prevalente, tende a distinguere all’interno della previdenza privata quella
complementare, destinata al soddisfacimento di “bisogni socialmente rilevanti”
26
, diretti al
mantenimento del tenore di vita dei lavoratori, e ritiene che quest’ultima costituisca un
mezzo per realizzare i fini previsti dal secondo comma, lasciando all’ultimo la protezione di
bisogni ulteriori.
Alcuni giuristi fanno riferimento anche al quarto comma dell’articolo citato, che definisce
gli strumenti per la realizzazione dei fini della sicurezza sociale.
27
Per altri, il quarto comma
è alla base della collocazione della previdenza complementare all’interno di un regime
“integrato” di previdenza pubblico-privato.
28
L’art. 38, nel suo secondo comma, è norma di scopo che non delinea un puro e semplice
programma. La giurisprudenza della Corte Costituzionale insegna che trattasi di norma con
“carattere precettivo” che impegna “lo Stato (…) ad operare”
29
. La Corte Costituzionale
(Sent. 160 del 6 giugno 1974) ne fa discendere dei “veri e propri diritti di prestazione” che
si devono valutare nel contesto delle norme che con il comma sopra citato, fanno sistema: si
tratta del principio di tutela previsto dall’art. 35, nel quale “la Repubblica” deve al “lavoro
in tutte le sue forme” o del diritto ad “assicurare a sé e alla famiglia” la “esistenza libera e
dignitosa” prefigurata nell’art. 36 o, ancora della considerazione dei bisogni dell’età
24
Ciocca Giuliana, Previdenza integrativa, previdenza integrata e previdenza libera nell’ottica dell’art. 38
Cost., in Diritto del lavoro, 1988, pag. 467
25
Proia Giampiero, La Corte Costituzionale e la previdenza complementare, in Argomenti di diritto del
lavoro, 1995, fasc. 2, pag. 173
26
Ciocca Giuliana, Olivelli Paola, Previdenza complementare, Enciclopedia giuridica, Milano, 2001, pag. 7
27
Mazziotti F., Commento all’art. 2, in Disciplina delle forme pensionistiche complementari, in Nuove leggi
civ, 1995, pag. 181
28
Ciocca Giuliana, Previdenza integrativa, previdenza integrata e previdenza libera nell’ottica dell’art. 38
Cost., in Diritto del lavoro, 1988, pag. 474
29
Bessone Mario, Previdenza complementare, Torino, 2000, pag. 31