massimo sbocco, o mantengono a stento la loro incidenza (la Gran Bretagna, pur
arrivando a 3.659.000 immigranti con l’aumento di un milione, scende al 13% sul
totale, perdendo due punti) o vedono diminuire il loro peso (la Francia, con
3.650.100 immigrati, in cui e incluso un aumento di 400.000 unita, passa dal 14,6%
del 2000 al 12,3%) sul totale. I quasi 30 milioni di immigrati incidono sulla
popolazione residente nell’Unione (497 milioni) per il 5,8%. Sono molti gli Stati che
si collocano al di sopra di questo valore medio: con 1-2 punti al di sopra Belgio,
Germania e Italia; con valori più elevati Spagna, Cipro, Lettonia. A chiedere la
cittadinanza di uno dei ventisette Stati membri nel 2006 sono stati poco più di 700
mila cittadini stranieri. Il tasso di naturalizzazione, che si ottiene rapportando questo
numero al totale della popolazione straniera rilevata a fine 2006, è pari al 2,4 (1 caso
di cittadinanza ogni 42 stranieri residenti). II maggior numero di acquisizioni e stato
registrato nel Regno Unito (154.015), in Francia (147.868), Germania (124.566),
Spagna (62.375) e Svezia (51.239). La graduatoria dei Paesi, per tasso di
naturalizzazione, è invece differente e ai primi posti troviamo, col tasso del 10% la
Svezia e col tasso del 4% la Finlandia, la Francia, la Lettonia, i Paesi Bassi e il Regno
Unito. L'Italia ha uno dei tassi di naturalizzazione più bassi (1,2%, pari a una
naturalizzazione ogni 83 residenti).
“Le migrazioni, da sempre presenti nella storia dell’umanità, caratterizzano
con connotati peculiari l’attuale fase storica di internazionalizzazione sostenuta delle
relazioni sociali ad ogni livello, o come si suole dire oggi, con un termine più alla
moda, di globalizzazione
4
.” L’Europa ha ben impresso nella sua storia l’esperienza
della grande migrazione transcontinentale giacché, dall’ottocento fino alla prima
metà del novecento, molti europei avevano come destinazione i Paesi caratterizzati
da una forte crescita economica ed industriale
5
. Allora le migrazioni di lavoratori
4
Cit. P. BENVENUTI (a cura di), Flussi migratori e fruizione dei diritti fondamentali, l’Aquila, il Sirente,
2008, p. 3.
5
Cfr. M. FIORUCCI, La mediazione culturale, strategie per l’incontro, Roma, Armando Editore, 2002, pp.
11-30.
2
provenienti dall’Africa o dall’Asia erano molto modeste e per lo più dirette verso le
grandi capitali degli imperi coloniali come Londra e Parigi. Infatti tra fine ottocento
e primi novecento, i protagonisti delle grandi migrazioni internazionali erano
proprio i contadini delle zone più depresse e arretrate dell’Europa, i quali partivano
verso l’America del nord in cerca di migliori condizioni di vita e opportunità
lavorative. Il panorama iniziò sensibilmente a cambiare una volta conclusa la
Seconda Guerra Mondiale: i Paesi dell’Europa continentale divennero area di
destinazione di grandi flussi migratori provenienti, nella maggior parte dei casi, dagli
Stati dell’Europa del sud e dell’area mediterranea. Anche l’Italia, soprattutto il
Mezzogiorno, in quegli anni vede ancora l’emigrazione di milioni di persone verso
terre lontane come il continente americano o l’Australia, proprio per cercare quelle
opportunità di lavoro e guadagno che mancavano nel Belpaese. Dunque, con la fine
del secondo conflitto mondiale, tutta l’area dell’Europa centro-settentrionale diventa
area di immigrazione, mentre i Paesi dell’Europa meridionale mantengono il ruolo di
Paesi di emigrazione. L’Europa orientale invece rimane isolata ed esclusa rispetto
alle dinamiche del fenomeno migratorio internazionale poiché reclusa dietro la
cortina di ferro venutasi a creare in ragione della guerra fredda e dunque della
spartizione del mondo, e dell’Europa, nei due blocchi politico-ideologici
contrapposti.
Negli ultimi vent’anni il fenomeno migratorio è caratterizzato da profondi
mutamenti, parallelamente ai cambiamenti di una società mondiale entrata in un
nuovo periodo della sua evoluzione, le cui tendenze di fondo possono essere
individuate nei cambiamenti delle strategie di investimento, nella rivoluzione
microelettronica, nell’espansione del settore terziario, nella precarizzazione del
lavoro e, più in generale, nelle dinamiche della globalizzazione e dell’interdipendenza
planetaria
6
. Questo insieme di fattori ha comportato un generale riassestamento
della geografia e delle dinamiche delle migrazioni internazionali e una profonda
modificazione dei c.d. pull factors (fattori di attrazione) e push factors (fattori di
6
Ibid.
3
espulsione). “Nuove destinazioni si sono aggiunte a quelle tradizionali […] nel
quadro della crescente globalizzazione dell’economia, che ha comportato di fatto,
una riduzione delle distanze ed un aumento dei legami tra le diverse aree
territoriali
7
.” Proprio in ragione dell’incidenza di molteplici fattori di diversa natura,
anche i Paesi mediterranei e del sud Europa hanno conosciuto un deciso
capovolgimento della tendenza delle dinamiche migratorie: essi infatti si sono
trasformati da Paesi di emigrazione a Paesi di immigrazione, seppure, come abbiamo
visto, in tempi più recenti rispetto ai vicini Stati dell’Europa continentale
8
. Negli
ultimi anni pertanto il fenomeno dell’immigrazione ha conosciuto in Italia, ed in
tutta Europa, un ulteriore significativo sviluppo, non solo in termini quantitativi ma
soprattutto in direzione di una sempre maggiore complessità. In generale, se fino
agli anni sessanta i flussi migratori internazionali hanno riprodotto per lo più un
modello di migrazione orientato verso l’ottica del vantaggio il cui catalizzatore erano
i pull factors, i più recenti flussi migratori sono caratterizzati invece dalla prevalenza
dei fattori di espulsione dai Paesi d’origine, le cui cause sono ascrivibili a ragioni di
ordine prevalentemente economico, demografico, politico e sociale
9
. La società
civile dei Paesi di accoglienza in riferimento a queste nuove migrazioni,
contrariamente a quanto avveniva precedentemente, ha maggiori difficoltà a
percepirne i benefici offerti dalla presenza di immigrati in ordine allo sviluppo
economico del Paese, venendo ad emergere maggiormente, e in maniera forte,
soprattutto gli aspetti più problematici e negativi
10
. Pertanto, agli inizi degli anni
settanta, gli Stati europei decisero la chiusura delle frontiere, attraverso l’adozione
generalizzata delle c.d. “politiche degli stop”. “Da questo momento in poi i Paesi
7
Cit. C. BONIFAZI, L’immigrazione straniera in Italia, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 18.
8
La definizione di “Paesi di recenti immigrazione” si riferisce non solo all’anzianità dei flussi che
interessano i Paesi in questione, quanto piuttosto alla mancanza all’interno di essi di una tradizione
in materia di politiche di immigrazione e dunque all’individuazione solo recente di forme di
legittimazione a livello istituzionale attraverso norme di regolamentazione e tutela della presenza di
immigrati e di promozione del loro inserimento nella società di accoglienza.
9
M. FIORUCCI, La mediazione…, op. cit., p. 21.
10
In particolare gli immigrati vengono visti come dei soggetti che privano gli autoctoni dei loro
posti di lavoro e come dei soggetti che minano la pacifica convivenza delle comunità in quanto
portatori di criminalità.
4
europei si troveranno a fare i conti con un’immigrazione almeno formalmente “non
voluta”, e per di più destinata a crescere nel tempo, per effetto soprattutto dei
ricongiungimenti familiari e delle domande di protezione umanitaria, oltre che
evidentemente dei flussi clandestini rafforzatisi immediatamente dopo la chiusura
delle frontiere
11
.”
I flussi migratori si pongono pertanto oggi con una pressione tale da superare le
politiche e le regolamentazioni di contrasto e di restrizione adottate dagli Stati di
destinazione. Da qui, accanto alla migrazione legale, anche il manifestarsi sempre più
vistoso ed esteso della migrazione illegale. Ne segue che per fronteggiare questo
fenomeno si prospetta sempre più necessaria, a livello nazionale e soprattutto
internazionale, un’appropriata disciplina dei flussi migratori che tenti di conciliare le
esigenze repressive dell’immigrazione clandestina con il rispetto dei diritti umani
fondamentali internazionalmente sanciti e protetti.
Il primo capitolo vuole ripercorrere l’evoluzione storica delle competenze
comunitarie nell’ambito dell’immigrazione in generale, al fine di comprendere quali
siano le prerogative e gli orientamenti europei in questa materia. Si vuole insomma
fare un’analisi del processo di comunitarizzazione delle politiche migratorie dei Paesi
europei, processo che fin da subito si è scontrato con la ritrosia degli Stati membri a
rinunciare alle proprie prerogative sovrane in materia di gestione dei flussi migratori.
Si comincia dunque con il Trattato di Roma e con l’orientamento espresso da alcune
istituzioni comunitarie in ordine all’opportunità di realizzare una politica europea
delle migrazioni. Poi si affronta brevemente una forma di cooperazione
internazionale che si venne a realizzare al di fuori della cornice comunitaria: si tratta
degli Accordi di Schengen. Successivamente vengono affrontate le disposizioni
convenzionali introdotte dai trattati di Maastricht, Amsterdam e Lisbona,
analizzando alcuni importanti contributi interpretativi della Corte di Giustizia e
11
L. ZANFRINI, Politiche e non politiche migratorie nell’Unione Europea, in G. BOMBELLI, B.
MONTANARI (a cura di), Identità europea e politiche migratorie, Milano, Vita e Pensiero, 2008, p. 39.
5
tracciando un quadro delle future norme che disciplineranno il settore della politica
migratoria europea. Dopodichè vengono riportati gli orientamenti espressi e le
politiche adottate da alcuni importanti Consigli europei tenutisi dopo il
trasferimento di sovranità operato dall’entrata in vigore dei Trattati: si farà
riferimento in particolare al Consiglio europeo di Tampere e al Programma dell’Aja.
Infine il capitolo si chiude con una panoramica generale delle più importanti e
significative Comunicazioni adottate dalla Commissione, nonché degli strumenti
legislativi adottati dalle istituzioni europee (direttive e regolamenti).
Il secondo capitolo rappresenta il cuore della trattazione, andando ad
analizzare quelle che sono le specifiche disposizioni convenzionali idonee a far
sorgere una competenza comunitaria nel settore della prevenzione, controllo e
contrasto dell’immigrazione clandestina, nonché gli ambiti di intervento nei quali
l’azione comunitaria va a sostanziarsi. Si passano in rassegna dunque quelli che sono
definiti i contenuti dell’azione comunitaria in riferimento al controllo e alla gestione
delle frontiere esterne, alla cooperazione di polizia e giudiziaria, alla politica dei visti,
alle misure contro la contraffazione dei documenti e quelle relative ai vettori, al
problema dei matrimoni fittizi e del lavoro clandestino, alla regolarizzazione degli
immigrati clandestini, alla politica di espulsione e rimpatrio e alla riammissione.
Infine vengono dedicati due paragrafi dedicati uno al tema del traffico illecito di
persone e della tratta di esseri umani; l’altro dedicato al diritto d’asilo e allo status di
rifugiato, entrambi con un raffronto su quello che è il quadro giuridico
internazionale attuale.
Il terzo ed ultimo capitolo intende affrontare la questione relativa ai limiti
imposti dalla normativa internazionale e regionale in tema di diritti umani e libertà
fondamentali all’azione comunitaria di prevenzione, controllo e contrasto
dell’immigrazione clandestina, in particolare con riferimento alla tutela dei diritti
umani del migrante in posizione irregolare. Si inizia ponendo l’attenzione sulla
rilevanza del principio di non discriminazione contenuto nei più importanti
strumenti internazionali in materia di diritti dell’uomo per poi soffermarsi sulle
6
disposizioni della Convenzione di Ginevra, in particolare sul divieto di refoulement
quale garanzia a tutela del migrante. Si analizzano poi brevemente alcune
significative pronunce giurisprudenziali che hanno inciso sullo status giuridico del
migrante, specificando la portate dei diritti irrinunciabili che devono essere tutelati e
garantiti. Dopodichè vengono analizzate le disposizioni contenute nella
Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei
membri delle loro famiglie. Ampio spazio viene poi dedicato ai diritti economici,
sociali e culturali: si propone infatti una panoramica generale della loro portata in
relazione al diritto alla casa, all’istruzione, alla salute e alla sicurezza sociale. Infine si
chiariscono i limiti al ricorso allo strumento dell’espulsione in virtù dell’applicazione
e dell’interpretazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali.
7
Capitolo 1
L’EVOLUZIONE DELLE COMPETENZE COMUNITARIE
NELL’AMBITO DELL’IMMIGRAZIONE
1.1. Dal Trattato di Roma all’Atto Unico Europeo
Con l’adozione del Trattato di Roma (25 marzo 1957)
1
e la nascita della Comunità
Economica Europea (CEE) risulta difficile identificare le fonti di una politica
migratoria a livello comunitario. Infatti si rileva, in linea generale, l’assenza di
specifiche norme che potessero autorizzare la Comunità ad occuparsi dei fenomeni
relativi all’immigrazione
2
.
Il motivo per cui alla Comunità non furono dedicate specifiche disposizioni idonee a
far sorgere una competenza in questa materia sta nel fatto che gli Stati decisero di
dar vita ad un’integrazione riguardante principalmente il settore economico. In
secondo luogo, quella immigratoria, è una materia delicata in cui gli Stati
difficilmente rinunciano alla propria sovranità a favore di un’organizzazione
internazionale sopranazionale. Infatti gli Stati hanno sempre gelosamente
rivendicato la loro competenza, preservando in materia la domestic jurisdiction.
Al silenzio dei trattati, la Comunità si è interessata al fenomeno immigratorio in via
indiretta, individuando nelle norme sulla politica sociale (artt. 117
3
, 118
4
) il possibile
1
Ratificato in Italia con legge 14 ottobre 1957 n. 1203, entrata in vigore il 24 dicembre 1957.
2
Tra gli altri vedi, G. CELLAMARE, La disciplina dell’immigrazione nell’Unione Europea, Torino, G.
Giappichelli Editore, 2006.
3
L’art. 117 del Trattato di Roma così recitava: “Gli Stati membri convengono sulla necessità di
promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che consenta la
loro parificazione nel progresso.
Gli Stati membri ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato
comune, che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia dalle procedure previste dal presente
Trattato e dal ravvicinamento delle disposizione legislative, regolamentari e amministrative.”
4
L’art. 118 del Trattato di Roma così recitava: “Senza pregiudizio delle altre disposizioni del
presente Trattato, e conformemente agli obiettivi generali di questo, la Commissione ha il compito
di promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale, in particolare per le
materie riguardanti: l’occupazione, il diritto al lavoro e le condizioni di lavoro, la formazione e il
8
fondamento di una ristretta competenza comunitaria. Tali disposizioni infatti
consentivano alle istituzioni comunitarie di adottare atti (pareri, raccomandazioni,
ecc.) che però non erano giuridicamente vincolanti per gli Stati.
In particolare, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha contribuito ad un
allargamento delle competenze comunitarie con la sentenza del 9 luglio 1987
5
,
sottolineando come i temi dell’occupazione e il miglioramento delle condizioni di
vita e di lavoro all’interno della Comunità rientrassero, in parte, nell’ampio
contenitore “immigrazione”. Infatti la Corte di Lussemburgo, richiamandosi all’art.
117 e giustificando dunque un’estensione dell’art. 118 alle politiche migratorie,
statuisce che le varie politiche di reclutamento di manodopera straniera presenti
all’interno degli Stati membri interessano la politica sociale comunitaria in relazione
agli effetti che questa avrebbe potuto esercitare sulle condizioni di vita e di
occupazione in seno alla Comunità.
La sentenza di cui sopra fu emanata in seguito alla Decisione della Commissione
Europea n. 85/381/CEE dell’8 luglio 1985 che istituiva una procedura di
comunicazione preliminare e di concertazione sulle politiche migratorie nei
confronti degli Stati terzi
6
, atto che causò una controversia tra Commissione e alcuni
Stati membri e che si concluse con una pronuncia giurisprudenziale da parte della
Corte di Giustizia quasi totalmente favorevole alla Commissione
7
.
La Commissione Europea era senza dubbio l’istituzione comunitaria che più
premeva per la realizzazione di una politica europea delle migrazioni. Infatti è
ravvisabile un intenso lavoro propositivo documentato da numerosi atti adottati da
tale istituzione, come la Comunicazione al Consiglio del 1979 riguardante i settori
perfezionamento professionale, la sicurezza sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie
professionali, l’igiene del lavoro, il diritto sindacale e le trattative collettive tra datori di lavoro e
lavoratori […].”
5
Vedi sentenza della Giustizia delle Comunità Europee del 9 luglio 1987 relativa all’affare Repubblica
Federale di Germania e altri c. Commissione, cause riunite 281, 283, 284, 285, 287.
6
In GUCE L 217 del 14 agosto 1985.
7
Per maggiori approfondimenti, vedi L. MANCA, L’immigrazione nel diritto dell’Unione Europea,
Milano, Giuffrè editore, 2003, cap. I.
9
nei quali è necessaria un’armonizzazione normativa
8
; oppure il Libro Bianco sulle
misure da adottare per il completamento del mercato interno
9
.
All’attività della Commissione hanno fatto eco alcuni sporadici interventi da parte
del Consiglio. Tra questi si ricorda la Risoluzione relativa ad un programma di
azione sociale
10
nella quale si invitano gli Stati membri ad avviare una concertazione
sulle varie politiche di immigrazione nei confronti dei Paesi terzi, nell’esigenza di
realizzare l’obiettivo comunitario di piena e migliore occupazione.
Tutto ciò dimostra come, a dispetto di una presunta incompetenza invocata da
alcuni Stati, ma autorevolmente respinta dalla giurisprudenza comunitaria, la
Comunità sia intervenuta più volte nel settore della politica migratoria, sia con atti
meramente programmatici, sia con atti giuridicamente vincolanti.
A conferma della determinazione degli Stati membri a mantenere un
pressoché pieno controllo della materia “immigrazione”, l’adozione dell’Atto Unico
Europeo (17 luglio 1986)
11
non comportò novità rilevanti. A prova di quanto detto,
la Dichiarazione Generale, allegata al Trattato medesimo e relativa agli articoli dal
numero 13 al 19 dello stesso, precisa che “nulla in queste disposizioni pregiudica il
diritto degli Stati membri di adottare misure che essi ritengano necessarie in materia
di controllo dell’immigrazione da Paesi terzi nonché in materia di lotta contro il
terrorismo, [e] la criminalità
12
.” Nonostante l’AUE prevedesse la “realizzazione di
uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle
persone, dei servizi e dei capitali
13
”, questo doveva realizzarsi secondo le
8
Tra i settori in questione sono stati individuati i problemi concernenti l’ammissione, il soggiorno,
l’allontanamento dallo Stato membro e la parità di trattamento dei lavoratori migranti e dei loro
familiari; cfr. Comunicazione della Commissione europea al Consiglio su “la consultazione relativa
alle politiche di migrazione nei confronti degli Stati terzi”, COM (79) 155 def. del 27 marzo 1979.
9
Qui la Commissione aveva previsto, nella sezione concernente l’abolizione dei controlli sulle
persone, la necessità di coordinare le disposizioni su ingresso, residenza, occupazione dei cittadini
degli Stati terzi e di adottare una politica comunitaria in materia di visti; cfr. Libro Bianco della
Commissione europea sul completamento del mercato interno, 14 giugno 1985, COM (85) 310.
10
In GUCE C 13 del 12 febbraio 1974.
11
Entrato in vigore il 1 luglio 1987 a seguito del deposito dell’ultimo strumento di ratifica da parte
dell’Irlanda. In GUCE L 169 del 29 giugno 1987.
12
Vedi Dichiarazione Generale relativa agli artt. 13-19 dell’Atto Unico Europeo.
13
Art. 7A dell’Atto Unico Europeo.
10
disposizioni contenute nel Trattato, il quale sottoponeva alla regola dell’unanimità
l’adozione di “direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative degli Stai membri che abbiano un’incidenza diretta
sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato comune
14
.”
Manifestata dunque la non volontà di trasferire competenze e poteri specifici alla
Comunità nella materia migratoria, gli Stati membri hanno preferito optare per una
concertazione a livello intergovernativo. Ecco allora che vengono istituiti una serie
di gruppi di lavoro, ciascuno con competenze specifiche, i quali avevano la funzione
di avviare discussioni e scambiarsi informazioni per avviare la concertazione
15
. Su
queste basi nel 1975 venne istituito a Roma il Gruppo Trevi
16
. Formato dai dodici
Ministri dell’Interno e della Giustizia degli Stati membri e da alcuni rappresentanti di
Canada e Stati Uniti, esso aveva lo scopo di migliorare e rinforzare la cooperazione
tra gli Stati CE nella repressione al terrorismo, nella prevenzione e repressione della
criminalità organizzata e dell’immigrazione clandestina organizzata
17
.
Successivamente, nel 1986, i Ministri degli Stati membri titolari della delega
all’immigrazione crearono un gruppo ad hoc col compito di esaminare la possibilità
di eliminare i controlli alle frontiere interne e di elaborare politiche in tema di
ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi
18
.
14
Art. 100A, par. 2, dell’Atto Unico Europeo.
15
A riguardo vedi M. PASTORE, La cooperazione intergovernativa nei settori dell’immigrazione, dell’asilo e
della sicurezza interna, in B. NASCIMBENE, da Schengen a Maastricht, apertura delle frontiere, cooperazione
giudiziaria e di polizia, Milano, Giuffrè Editore, 1995, p. 3 ss.
16
Vedi A. MASSAI, La cooperazione europea nella lotta al terrorismo, in N. RONZITTI (a cura di),
Europa e terrorismo internazionale, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 76-77.
17
Per quanto attiene alla sua struttura organizzativa, il Gruppo Trevi si articolava in sei gruppi di
esperti:
Trevi 1: scambio di informazioni in tema di lotta contro il terrorismo;
Trevi 2: scambio di informazioni in tema di turbamento dell’ordine pubblico nonché
cooperazione amministrativa tra polizie;
Trevi 3: criminalità internazionale organizzata;
Trevi 4: sicurezza nucleare;
Trevi 5: immigrazione e attraversamento frontiere esterne;
Trevi 6: EUROPOL.
Il gruppo Trevi è stato successivamente istituzionalizzato con l’adozione del Trattato di Maastricht.
18
Il Comitato ad hoc per l’immigrazione fu istituito dal Consiglio Europeo di Londra del 1986.
11
“La preferenza degli Stati membri per la cooperazione intergovernativa trova
ulteriore conferma nella creazione, da parte del Consiglio Europeo svoltosi a Rodi
nel 1988, di un Gruppo di Coordinatori del settore libera circolazione delle persone,
nel quadro della cooperazione politica europea
19
.” Tale gruppo individuò la
necessità di adottare una serie di strumenti giuridici, amministrativi e tecnici per
realizzare uno spazio senza frontiere interne. In particolare segnalò l’urgenza di
creare una politica europea in tema di visti per l’ingresso dei cittadini di Paesi terzi.
1.2. Gli Accordi di Schengen
Dall’analisi fin qui condotta, emerge come gli Stati membri volessero preservare le
proprie prerogative nella più ampia misura possibile, cedendo alle istituzioni
comunitarie il minimo indispensabile di competenze in tema di immigrazione.
Infatti, pur essendo disponibili ad una cooperazione intergovernativa, gli Stati non
erano però portatori di interessi e obiettivi omogenei. Perciò, accanto alle forme di
cooperazione descritte nel paragrafo precedente, se ne sviluppò un’altra al di fuori
della cornice comunitaria, che riguardò solo un determinato gruppo di Stati membri
della Comunità
20
i quali conclusero tra loro una convenzione relativa a misure
necessarie a realizzare la libera circolazione delle persone
21
. Detti Stati si riunirono
nella cittadina lussemburghese di Schengen e il 14 giugno 1985 firmarono
l’omonimo Accordo relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere
comuni; e il 19 giugno 1990 firmarono la Convenzione di applicazione del succitato
Accordo. E’ bene ricordare che “la genesi dei citati accordi risale al 1984 e più
precisamente al 13 luglio allorché è stato sottoscritto a Sarrebrück un importante
19
Cit. L. MANCA, L’immigrazione…, op. cit., p. 20.
20
In particolare detti Stati erano Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia e Germania.
21
M. CONDINANZI, A. LANG, B. NASCIMBENE, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle
persone, Milano, Giuffrè, 2° edizione, 2006, , p. 256.
12
accordo bilaterale tra la Germania e la Francia relativo alla graduale soppressione dei
controlli alle rispettive frontiere
22
”.
Dunque l’Accordo del 1985 aveva solamente carattere programmatico
23
poiché
indicava i settori in cui era necessaria una cooperazione e un’armonizzazione tra le
varie politiche. Si potevano individuare misure applicabili a breve termine e misure
applicabili a lungo termine. Le prime indicavano gli strumenti tecnico-operativi che
gli Stati si sarebbero impegnati ad adottare; mentre le altre indicavano quelle idonee
a realizzare una concreta libera circolazione delle persone, dunque l’eliminazione dei
controlli alle frontiere comuni trasferendoli a quelle esterne.
Dal 1985 al 1990 i cinque Stati firmatari condussero una serie di trattative per
definire in modo compiuto tutti gli aspetti e i problemi inerenti alla libera
circolazione delle persone e adottarono, sempre a Schengen, la Convenzione di
applicazione dell’Accordo del 1985. I due Accordi, ai quali hanno aderito
successivamente gli altri Stati membri
24
, con l’eccezione di Regno Unito e Irlanda,
sono stati ritenuti un laboratorio per la creazione di uno spazio senza frontiere
nell’Unione.
Tali Accordi che, è bene ricordarlo, si situavano al di fuori del contesto comunitario,
ma anche dell’Unione Europea prefigurata dal Trattato di Maastricht, avevano infatti
come obiettivo l’eliminazione dei controlli fisici alle frontiere interne e la disciplina
comune dei controlli alle frontiere esterne
25
. “Erano poi previste una serie di misure
in tema di visti di ingresso, di lotta contro l’immigrazione clandestina, di
cooperazione doganale, giudiziaria e di polizia, nonché un sistema di scambio di
22
Cit. G. CELLAMARE, La disciplina…, op. cit., p. 45.
23
In tal senso, R. BONTEMPI, Gli accordi di Schengen, in B. NASCIMBENE, da Schengen a
Maastricht…, op. cit., p. 36 ss.
24
L’Italia il 27 novembre 1990, la Spagna e il Portogallo il 25 giugno 1991, la Grecia il 6 giugno
1992, l’Austria il 28 aprile 1995, la Danimarca, la Finlandia e la Svezia il 19 dicembre 1996 e il 21
dicembre 2007 l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, Malta, la Repubblica Ceca, la Polonia, la
Slovacchia, la Slovenia e l’Ungheria.
25
Infatti l’art 2 della Convenzione di applicazione prevedeva che “le frontiere interne possono
essere attraversate in qualsiasi luogo, senza che alcun controllo sia effettuato sulle persone”.
13
informazioni (SIS) basato su una banca dati accessibile a tutti gli Stati contraenti e
relativa a tutti i soggetti indesiderabili o rilevanti
26
”.
Se da un lato tali Accordi possono ritenersi l’embrione di una politica comune
europea in tema di immigrazione poiché vengono previste misure di ravvicinamento
operativo fra polizie, nonché la semplificazione delle procedure in tema di diritto
d’asilo e l’introduzione di condizioni di accesso uniforme; dall’altro però l’iter di
realizzazione avviene secondo modalità poco democratiche
27
e senza un adeguato
sistema di controllo giurisdizionale sul funzionamento del sistema. Infatti l’azione di
controllo è affidata al Comitato Esecutivo, un organismo composto dai Ministri
responsabili dell’attuazione della Convenzione di Schengen. Manca dunque la
previsione di un livello giurisdizionale chiamato a dirimere i conflitti e, più in
generale, a svolgere funzioni di vigilanza e controllo giudiziario internazionale
sull’applicazione dell’Accordo
28
.
Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora quindici Stati
membri, ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, ha poi previsto, mediante un
apposito protocollo, l’incorporazione dell’acquis di Schengen nell’ambito
dell’Unione Europea. Le ragioni di tale incorporazione vanno ricercate nell’esigenza
di porre fine all’anomalia del perseguimento, al di fuori della Comunità,
dell’obiettivo comunitario della libera circolazione delle persone da parte di alcuni
Stati membri. Non a caso la Convenzione di applicazione del 1990 affermava la
prevalenza del diritto comunitario su quello convenzionale, perciò l’integrazione era
inevitabile, trattandosi di accordi volti a perseguire appunto uno scopo
dell’Unione
29
.
26
Cit. G. TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, Cedam, quinta edizione, 2008, p. 485.
27
Si tratta del c.d. deficit democratico che prevedeva il coinvolgimento dei parlamenti nazionali solo
per il voto finale di ratifica delle disposizioni da adottare, riservando dunque loro un ruolo
marginale nel processo di informazione, valutazione e discussione. In tal senso il Parlamento
Italiano con la legge n. 388/1993 ha previsto all’art. 18 la creazione di un Comitato Parlamentare di
controllo con il compito di esaminare l’attuazione e il funzionamento della Convenzione di
Schengen nonché i vari progetti di decisione del Comitato Esecutivo.
28
Vedi R. BONTEMPI, Gli accordi…, op. cit., p. 42.
29
G. CELLAMARE, La disciplina…, op. cit., p. 65.
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