2
Canuto, infatti, non ripudiò mai la prima moglie, che anzi continuò a
partecipare alla gestione dei suoi domini scandinavi, e che, dopo la morte
del marito, ritornò in Inghilterra per giocare una partita a due contro Emma
nella lotta per la successione, riuscendo a far valere il diritto al trono del
figlio Aroldo I, detto “Piede di Lepre”, ai danni di Harthacnut, figlio di
Emma e Canuto.
Ælfgifu di Northampton è dunque un personaggio di primaria
importanza nella storia dell’Inghilterra del secolo XI, e l’obiettivo della mia
tesi sarà cercare di ricostruire la sua vita e la sua azione politica, tentando
di fare chiarezza sui numerosi punti oscuri che la riguardano. Assumerò un
punto di vista inedito, focalizzando la mia attenzione sulla presenza di
Ælfgifu in ogni tipo di fonte disponibile, cercando di ricostruire innanzi
tutto il suo background familiare, per poi studiare il suo percorso
biografico, dal momento della sua unione con Canuto (1013-14) alla morte
di Aroldo (1040), che segna la scomparsa di Ælfgifu dalle fonti scritte.
Sfortunatamente, cercando di ricostruire questo percorso, si
incontrano numerose lacune a causa della scarsità di informazioni affidabili
fornite dai pochi documenti contemporanei disponibili: la figura di Ælfgifu
appare solo di sfuggita nelle fonti del tardo periodo anglosassone, da un
lato perché oscurata dalla fama assoluta di Emma e dalla sua azione
propagandistica, dall’altro per le difficoltà che i cronisti contemporanei agli
eventi, tutti uomini di chiesa, incontrarono nel cercare di inquadrare il tipo
di unione che la legò a Canuto.
3
1. L’Inghilterra anglosassone e la Conquista: il mutato atteggiamento
della storiografia
La conquista normanna del 1066, seguita alla battaglia di Hastings,
rappresentò una vera e propria svolta epocale nella storia dell’Inghilterra:
essa portò infatti a un cambio dinastico e ad un irrevocabile processo di
rinnovamento nella società, nella lingua e in molti altri ambiti, finendo
inevitabilmente per offuscare la memoria della conquista danese compiuta
da re Canuto esattamente cinquant’anni prima.
La rapidità con cui si estinse la progenie del re e la brevità della
dominazione straniera non permisero all’egemonia danese di lasciare segni
profondi; d’altra parte, lo stesso Canuto praticò sempre una politica
all’insegna della continuità con le istituzioni e le consuetudini anglosassoni
precedenti e la sua dominazione non fu mai sentita come una oppressione
2
.
Considerando la conquista del 1066 come il vero e proprio atto di
fondazione della monarchia inglese moderna, la storiografia del secolo XIX
e della prima metà del Novecento si concentrò in particolare sullo studio
dell’Inghilterra anglo-normanna.
La conquista del 1016 venne vista solo come una fugace
anticipazione di quello che sarebbe successo cinquant’anni dopo, oppure un
esaltante, quanto effimero, episodio dell’età delle invasioni vichinghe
3
.
La fase anglosassone, che pure aveva affascinato molti letterati e
artisti nell’ambito del medieval revival vittoriano
4
, tendeva così ad essere
2
Alcune fonti ci danno addirittura un’immagine positiva del dominio danese, come i due codici di leggi
promulgati sotto il regno di Canuto, che sono ben lontani dal portare il segno della volontà arbitraria di un
conquistatore, e possono essere visti come l’apogeo della legislazione anglosassone. Cfr. L. M. LARSON,
‘The Political Policies of Cnut as King of England’, The American Historical Review 15 (1910), pp. 739-
741; The Reign of Cnut: king of England, Denmark and Norway. Studies in Early History of England
Series, a cura di A. RUMBLE, London, Leicester University Press, 1994.
3
E. A. FREEMAN, The History of the Norman Conquest, voll. 6, London, McMillan, 1877.
4
F. MARUCCI (a cura di), Il Vittorianesimo, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 343-347. Curiosamente, la
figura di Ælfgifu di Northampton è al centro di un romanzo storico, scritto nel 1903 dalla scrittrice
americana Ottilie Liljencrantz (1876-1910) e intitolato “The Ward of King Canute” (La pupilla di re
Canuto). La storia, ispirata alle vicende della conquista danese dell’Inghilterra, presenta in chiave
melodrammatica e sentimentale la figura di Ælfgifu, che appare qui come una nobile ed orgogliosa
principessa, alla mercé di un cinico e calcolatore Canuto. L’inevitabile happy end vede Ælfgifu perdere la
corona d’Inghilterra in favore di Emma, ma guadagnare in compenso quella di Danimarca. Dal punto di
vista storico-letterario, si tratta di un mediocre prodotto oltreoceano del medieval revival vittoriano, ma
dal nostro punto di vista è interessante notare come la figura di Ælfgifu e la presunta bigamia di Canuto
avessero potuto interessare una studiosa dilettante ben prima che la grande storiografia avesse riportato
4
vista dagli storici come una parentesi di secondaria importanza rispetto alla
fase di potenza e prestigio inaugurata nel 1066 da Guglielmo il
Conquistatore.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta del ventesimo
secolo, principalmente grazie al lavoro di storici del calibro di Frank
Barlow, Peter Sawyer, Pauline Stafford e Simon Keynes, la critica
storiografica ha cambiato atteggiamento nei confronti del regno di Canuto,
trovando nuove spinte dal confronto incrociato di documenti anglosassoni,
anglo-normanni e scandinavi, e combinando lo studio delle fonti narrative e
giuridiche a quello delle fonti artistiche, archeologiche e numismatiche,
seguendo i passi di alcuni grandi precursori come Alistair Campbell,
Francis Stenton e Dorothy Whitelock.
Questo nuovo approccio ha avuto il merito di ridare visibilità a una
parte di storia dell’Inghilterra che era stata trascurata dall’indagine
storiografica, e ha permesso di concentrare l’attenzione sulla continuità tra
l’Inghilterra anglosassone e quella anglo-normanna, passando per la
fondamentale esperienza della conquista danese, ridimensionando così una
visione troppo semplicista. La storia dei regni degli ultimi re anglosassoni,
come Edgardo, Æthelred ed Edoardo il Confessore, insieme a quella di
Canuto e dei suoi figli è stata analizzata con attenzione ed è tuttora oggetto
di studi sempre più approfonditi e completi. Insieme ad essa sono stati
progressivamente affrontati gli aspetti sociali, economici ed artistici
dell’Inghilterra anglosassone, che ha ormai definitivamente riconquistato il
posto che le compete nell’ambito degli studi storiografici.
all’attenzione la storia dell’Inghilterra anglosassone e della conquista danese. Cfr. O. LILJENCRANTZ, The
Ward of King Canute: a romance of the Danish conquest, Chicago, McClurg, 1903.
5
2. La fortuna storica di Emma di Normandia e l’oblio di Ælfgifu di
Northampton
Parallelamente, uno degli aspetti più studiati negli ultimi anni è stato
la condizione della donna, campo favorito dalla proficua interazione tra
l’approccio più prettamente storiografico e quello più trasversale dei
gender studies. In particolare, sono stati pubblicati numerosi studi sulla
regalità femminile, per lo più concentrati intorno a quella che è una delle
maggiori figure storiche dell’Inghilterra anglosassone, Emma di
Normandia, sulla quale già esiste una sterminata letteratura critica.
Così come accadde nel secolo XI, anche oggi Ælfgifu di
Northampton è schiacciata dall’importanza e dal peso della sua rivale: la
nascita normanna di Emma, il suo lungo regno e la sua influenza in ambito
religioso e artistico, la rendono infatti la regina più importante di tutta la
storia anglosassone
5
. Se su di lei sono già state scritte migliaia di pagine,
non esistono tuttora studi monografici incentrati sulla figura di Ælfgifu di
Northampton.
Per affrontare una trattazione basata su Ælfgifu è dunque necessario
partire dagli studi su Emma e su Canuto, anche se da essi si possono
ottenere solo visioni sommarie ed immagini in negativo, tratteggiate a
margine dei personaggi in primo piano. Sta di fatto che nessuno studioso
che affronti la figura di Emma o quella di Canuto può ignorare Ælfgifu di
Northampton, da un lato eterna rivale e principale bersaglio dell’azione
politica della regina normanna, dall’altro fedele alleata e vicaria dal pugno
di ferro.
Proprio in uno dei più validi contributi allo studio di Emma
6
, P.
Stafford lamenta il “vuoto” che Ælfgifu rappresenta nella storia del secolo
XI e cerca di fissare alcune coordinate per localizzare e definire meglio la
5
P. STAFFORD, 'The King's Wife in Wessex 800-1066', Past and Present 91 (1981), pp. 3-27; P.
STAFFORD, ‘Emma: The powers of the Queen in the Eleventh Century’ in Queens and queenship in
medieval Europe, a cura di A. J. DUGGAN, Woodbridge, The Boydell Press, 1997, pp. 3-25; A.
CAMPBELL, ‘The status of Queen Emma and her predecessors’ in Encomium Emmae Reginae, a cura di S.
KEYNES, Cambridge, Cambridge University Press, 1998 (ristampa di Encomium Emmae Reginae,
London, Royal Historical Society, 1949), pp. 62-65.
6
P. STAFFORD, Queen Emma and queen Edith: Ownership and women’s power in the eleventh-century
England, London, Leicester University Press, 1997, pp. 209-254.
6
sua presenza e azione. Questo intervento si va ad aggiungere all’unico altro
testo che affronta da vicino la figura di Ælfgifu, cioè l’articolo di M. W.
Campbell Queen Emma and Ælfgifu
of Northampton: Canute the Great’s
Women
7
, che però, a dispetto di quanto il titolo faccia pensare, si concentra
quasi unicamente sulla figura di Emma.
Altri studi recenti, incentrati sulla figura di Canuto e sulla fine
dell’Inghilterra anglosassone
8
, contengono riferimenti all’importanza della
famiglia di Ælfgifu o alle possibili attestazioni della sua presenza e della
sua azione in Inghilterra e nell’Europa del nord, ma sempre nell’ambito di
discorsi più generali, e senza mai raccogliere i risultati in una visione di
insieme. Infine, mancano del tutto interventi che cerchino di fare chiarezza
riguardo al tipo di matrimonio che unì Ælfgifu a Canuto.
7
M. W. CAMPBELL, ‘Queen Emma and Ælfgifu of Northampton: Canute the Great's Women’, Medieval
Scandinavia 4 (1971), pp. 66-79.
8
M. K. LAWSON, Cnut: the Danes in England in the early eleventh century, London, Longman, 1993, pp.
131-132; N. J. HIGHAM, The Death of Anglo-Saxon England, Phoenix Mill, Sutton Publishing, 1997, pp.
158-160.
7
3. La questione del nome: il “dono dell’Elfo”
Prima di addentrarci nell’analisi storica della figura di Ælfgifu di
Northampton, sarà bene fare qualche riflessione riguardo al suo nome.
“Ælfgifu” è certamente il nome femminile più usato nell’Inghilterra
anglosassone e, a riprova di questo, anche nella mia breve trattazione si
avrà modo di incontrare numerose donne con questo nome
9
. In base ai
documenti disponibili, si può notare come la sua diffusione fosse enorme,
in tutte le regioni e in tutte le classi sociali dell’Inghilterra dei secoli X e
XI, anche se, come nel caso della maggior parte dei nomi femminili
anglosassoni, anche questo sarebbe stato destinato a scomparire in seguito
alla conquista normanna
10
.
Così come nella maggior parte delle lingue germaniche,
nell’anglosassone predominavano i nomi personali formati da due elementi
semantici, che si combinavano tra loro secondo una tipica successione
determinante-determinato
11
. In origine, il nome bipartito aveva il ruolo di
vero e proprio totem personale
12
, ma il legame magico tra nome e portatore
si perse ben presto: rimase solo la suggestione delle immagini evocate della
combinazione degli elementi onomastici, che poteva comunque mantenere
ancora un certo valore apotropaico.
Il nome “Ælfgifu” è costruito in base a questo principio, essendo
composto dai due elementi distinti “ælf”, cioè “elfo” e “gifu”, dono
13
. La
combinazione significa dunque “dono dell’elfo”, ma non è semplice
penetrare questo enigmatico significato letterale. Forse è possibile
interpretarlo come un composto esocentrico, alla maniera di una kenning*:
9
A seconda delle fonti utilizzate, si incontrano alcune varianti del nome “Ælfgifu”, a cominciare dalla
comune variante ortografica anglosassone “Ælfgyfu”, per poi proseguire con gli esiti latinizzati
“Aelfgyva”, presente nell’Arazzo di Bayeux, ed “Elgiva”, per arrivare infine ad “Álfifa” e “Álviva”, le
versioni antico-nordiche con le quali Ælfgifu di Northampton è nota in tutta la storiografia scandinava.
10
A. WILLIAMS (a cura di), A Biographical Dictionary of Dark Age Britain: England, Scotland and
Wales, c. 500 - c. 1050. London, Seaby, 1991, pp. 7-9.
11
B. SIEBS, Die Personennamen der Germanen, Wiesbaden, 1970.
12
R. LE JAN, Famille et Pouvoir dans le monde franc (VII - X siècle). Essai d’anthropologie sociale,
Paris, Publications de la Sorbonne, 1995, pp. 193-194.
13
E. G. WITHYCOMBE (a cura di), The Oxford Dictionary of English Names, Oxford, Clarendon Press,
1977, pag. 98. Si può notare come sia il primo che il secondo elemento del nome fossero usate spesso per
costruire nomi anglosassoni, sia maschili che femminili: da un lato possiamo vedere esempi come Ælfred,
Ælfhelm o Ælfric, dall’altro, Ælftryth, Æthelgifu e Godgifu.
8
il nome potrebbe infatti riportare un referente esterno rispetto al significato
dei due singoli membri
14
. In questo caso, il dono dell’elfo che si voleva
metaforicamente trasmettere alla portatrice del nome potrebbe essere stato
“grande intelletto” o “immortalità”, due caratteristiche tipiche della figura
mitologica dell’elfo.
Nella casa reale del Wessex, in particolare, questo nome aveva una
speciale importanza, essendo appartenuto a una regina canonizzata, cioè
Santa Ælfgifu, moglie di Edmondo I (940-946) e madre di Edgardo
15
.
Proprio per queste ragioni, ovvero per l’enorme diffusione e per la
sua doppia valenza, da un lato dinastica e dall’altro religiosa, la giovane
Emma di Normandia aveva assunto questo nome al momento
dell’incoronazione al fianco del re Æthelred II e con questo nome sarebbe
sempre stata ricordata nelle cronache e nei documenti redatti in Inghilterra
durante la sua vita. Lei stessa firmò molti documenti latini della cancelleria
del marito con il suo nome acquisito “Ælfgifu”
16
.
Solo dopo la conquista normanna, i cronisti inglesi iniziarono a
chiamare la regina col suo vero nome, anche se in un primo momento si
diffuse nei copisti la tendenza di glossare i due nomi, affiancandoli uno
all’altro, con l’esito più comune della forma “Ælfgifu-Emma”
17
.
L’identificazione di Ælfgifu di Northampton è così resa ancora più
problematica alla luce dell’ambivalente designazione onomastica della
rivale. Per comodità e per evitare equivoci, in questo testo utilizzerò
dunque sempre il nome franco-normanno Emma per definire la regina, e
quello di Ælfgifu per identificare la Signora di Northampton.
14
M. G. SAIBENE, Le lingue germaniche antiche. Origine e sviluppo, Bologna, Cisalpino, 1996, p. 336.
15
A. WILLIAMS (a cura di), A Biographical Dictionary cit., p. 7.
16
A. HEAD, ‘ “The gift of Elves”, Queen Emma’, Hatcher Review 3(30) (1990), pp. 471-479.
17
A. CAMPBELL, ‘Queen Emma’s name, title and forms of assent’ in Encomium cit., pp. 55-61.
9
4. Il contesto storico
4. 1. Danimarca e Inghilterra tra IX e X secolo.
Fin dalla fine del secolo VIII le isole britanniche furono un bersaglio
ripetutamente cercato dalle incursioni vichinghe, e ben presto le razzie
lasciarono il posto ad azioni volte all’insediamento. I tentativi scandinavi di
installarsi sul suolo britannico si fecero frequenti dalla metà del secolo IX:
da allora le bande vichinghe, più o meno avvicendandosi, non avrebbero
più abbandonato la loro preda.
Alcuni regni anglosassoni scomparvero, altri furono ridotti
d’estensione e posti sotto tributo. Solo il Wessex, che allora si estendeva su
tutto il Sud, riuscì a mantenere la sua indipendenza vincendo dure guerre
sotto la guida del re Alfredo il Grande (871-899). Egli riuscì anche a
sottomettere quanto ancora rimaneva della Mercia, sottraendola così
all’influenza danese
18
. Nel corso degli anni Ottanta del IX secolo, Alfredo
fu però costretto ad abbandonare agli invasori tutta la parte orientale
dell’isola, stipulando un trattato col capo danese dell’East Anglia. Era l’atto
di nascita del Danelaw*, la terra delle “consuetudini dei danesi”, che
comprendeva le conquiste e gli insediamenti danesi in Northumbria, East
Anglia, nei cosiddetti “Five Boroughs”* (Stamford, Leicester, Derby,
Nottingham e Lincoln) e nelle Midlands sud-orientali
19
.
A differenza della Normandia, occupata nello stesso periodo sempre
dai danesi
20
e destinata a diventare un vero e proprio stato nello stato,
questo immenso territorio non costituì mai un’unica entità politica nelle
mani dei conquistatori
21
: jarlar* scandinavi e piccoli capi anglosassoni si
dividevano la regione, a volte uniti da patti di alleanza o da legami di
subordinazione, a volte in lotta l’uno contro l’altro, e lo stato di anarchia in
cui viveva la parte danese dell’isola spiega come, a partire dall’899, i re del
Wessex avessero potuto tentare la riconquista, completata nel 954.
18
Vedi Tavola 6.
19
Vedi Tavola 7.
20
Vedi Tavola 8.
21
D. PELTERET, ‘Slavery in the Danelaw’ in Social Approaches to Viking Studies, a cura di R. SAMSON,
Glasgow, Cruithne Press, 1991, p. 179.
10
Le tracce dello stanziamento scandinavo non furono però cancellate
e, sotto l’egemonia dei re inglesi, i capi danesi o di origine danese
conservarono i loro diritti di comando e i coloni le loro terre. Sebbene
l’indipendenza politica della regione fosse durata non più di cinquant’anni,
la sua diversità scandinava fu riconosciuta fino al tempo dei legislatori
normanni
22
.
Con il 959 ebbe inizio il periodo aureo del regno di Edgardo il
Pacifico, caratterizzato dalla totale assenza di attacchi vichinghi, ma si
trattò solo di un momento di calma apparente, perché nell’area scandinava
erano in atto profonde trasformazioni politiche che avrebbero portato al
consolidamento o alla costituzione di veri e propri stati nazionali.
Danimarca, Svezia e Norvegia erano ancora dilaniate da lotte dinastiche e
intente a combattersi, ma anche in grado di riunire formidabili
concentramenti di forze
23
.
Edgardo morì nel 975 e fu ben presto seguito dal figlio Edoardo,
giovane e inviso a molti: egli fu ucciso nel 978, venendo più tardi
canonizzato e soprannominato “il Martire”. È probabilmente giusto
attribuire la responsabilità della sua morte ai sostenitori di Æthelred,
fratellastro di Edoardo e suo successore: questo fatto di sangue costituì il
nefasto esordio di un regno infelice, durante il quale il flagello dei
Vichinghi tornò ad abbattersi sull'Inghilterra più forte che mai.
24
4. 2. Æthelred “Senza Consiglio” e la conquista danese dell’Inghilterra
Gli attacchi vichinghi ricominciarono intorno al 990 e i nuovi
incursori si rivelarono ben più pericolosi dei loro predecessori: partendo
dalle coste inglesi orientali e occidentali, penetrarono fino ad Oxford, e
furono di volta in volta persuasi ad allontanarsi solo con il versamento di
cospicue somme di denaro, raccolte dal re mediante dure tassazioni
imposte ai suoi sudditi.
22
C. HART, The Danelaw, London, Hambledon Press, 1992.
23
D. WILSON, ‘Danish kings and England in the late tenth and early eleventh centuries – economic
implications’, Anglo-Norman Studies 23 (2000), pp. 188-196.
24
J. BLAIR, ‘The Anglo-Saxon Period (440-1066)’ in The Oxford History of Britain. Volume I. Roman
and Anglo-Saxon Britain, a cura di K. O. MORGAN, Oxford, Oxford University Press, 1992, pp. 60-119.
11
Nei primi anni del suo regno, Æthelred II, soprannominato “Senza
Consiglio”
25
, cercò di tamponare il salasso di uomini e ricchezze che
comportavano le invasioni vichinghe, stipulando un’alleanza con la
Normandia: nel 991 Æthelred e il duca Riccardo di Normandia firmarono
un trattato in cui si impegnavano a non favorire l’uno i nemici dell’altro,
rinnovato e suggellato undici anni dopo dal matrimonio tra lo stesso
Æthelred e la figlia del duca, Emma.
La minaccia vichinga aveva messo a nudo la debolezza fondamentale
del potere regale di Æthelred: l’influenza diretta del sovrano era
concentrata nel Wessex, mentre le regioni periferiche del regno risultavano
difficili da controllare. In esse erano ancora all’opera tendenze separatiste,
e molti dei loro abitanti non avevano certo dimenticato le proprie origini
danesi. Nella strategia difensiva di Æthelred risultò quindi necessario
aumentare l’influenza sulle Midlands e le regioni nord-orientali, dove
uomini nuovi non originari del Wessex acquisirono notevole importanza: il
caso di Ælfhelm, membro di una famiglia di magnati delle Midlands,
nominato ealdorman* di York, esemplifica alla perfezione questa nuova
politica difensiva. Uomini nuovi venivano investiti delle più alte cariche e
spostati in territori lontani dalle loro zone d’influenza, in modo da formare
un’aristocrazia ligia e riconoscente verso il sovrano, e allo stesso tempo
favorire la dispersione dei loro possedimenti territoriali, limitandone così il
potere
26
. Purtroppo, il caso di Ælfhelm è esemplare anche nel suo epilogo:
Æthelred, convinto del fatto che il suo ealdorman tramasse contro la
corona, ordinò la sua uccisione e l’accecamento dei suoi figli nel 1006.
Ben presto, i fatti dimostrarono il totale fallimento della nuova
strategia reale: l’anno 1002, lo stesso del matrimonio con Emma, segnò
l’inizio della fase più controversa del regno di Æthelred, contraddistinta da
25
Il soprannome, forse datogli già dai suoi contemporanei, e sicuramente noto dal tredicesimo secolo, si
basava su un gioco di parole: “Æthel-Ræd Un-Ræd” = “Un buon consiglio [è] nessun consiglio”.
L’appellativo anglosassone Unraed, col cambiare della lingua divenne Unready, col significato di
“immaturo, non pronto”. La traduzione “Senza Consiglio” è dunque preferibile. Cfr. J. BLAIR, The Anglo-
Saxon Period cit., pp. 105-106; M. LAPIDGE, (a cura di), The Blackwell Encyclopaedia of Anglo-Saxon
England, London, Blackwell, 1999, p. 15.
26
S. KEYNES, ‘The declining reputation of King Æthelred the Unready’ in Ethelred the Unready: papers
form the millenary conference, a cura di D. HILL, Oxford, British Archaeological Reports, 1978, pp. 227-
253.
12
un crescendo di violenza, volta per lo più all’eliminazione degli
aristocratici e degli alleati di dubbia fedeltà, e questo non fece altro che
inasprire i già difficili rapporti tra il re e i suoi subordinati
27
.
La nuova fase di violenza iniziò con il decreto del giorno di San
Brizio (13 novembre 1002), col quale il re ordinò che tutti i danesi viventi
in Inghilterra fossero passati a fil di spada, per il timore di una congiura
ordita a favore degli invasori. Nel Danelaw il decreto non fu applicabile
interamente sia per la limitatezza delle risorse di Æthelred, sia per la forza
che gli stessi danesi concentravano nella regione; non mancarono però
episodi di grave violenza, come ad Oxford, dove i danesi rifugiatisi nella
chiesa di Santa Frideswide furono arsi insieme allo stesso edificio per mano
degli abitanti della città
28
.
Sven “Barba Forcuta”, re di Danimarca, volse allora il suo sguardo
all’Inghilterra con il pretesto di regolare i conti con Æthelred
29
; gli attacchi
da parte del suo esercito si moltiplicarono e divennero una costante spina
nel fianco per il regno d’Inghilterra e soprattutto per le sue finanze.
In questo clima fluido e caotico, in cui le alleanze venivano fatte e
disfatte con sorprendente rapidità e in cui l’autorità di Æthelred si faceva
sempre più vacillante, Sven sbarcò ancora una volta sull’isola nel 1013, con
la volontà di farsi re d’Inghilterra. Nulla fu lasciato al caso: con una grande
flotta fece vela per Sandwich e da lì risalì lo Humber e il Trent fino a
Gainsborough, nel cuore dell’Inghilterra danese. Delusi dal governo di
Æthelred e duramente provati dalla recente ondata di violenza, gli abitanti
del Danelaw e delle regioni vicine erano pronti ad accogliere il re danese, e
quasi immediatamente gli si sottomisero. Proprio a Gainsborough Sven
fissò il suo quartier generale, lasciando navi e ostaggi alla cura del figlio
Canuto, e da lì partì per attaccare e conquistare Oxford e Winchester,
ponendo l’assedio a Londra; Æthelred fu così costretto a fuggire in
27
N. J. HIGHAM, The Death cit., pp. 39-41.
28
L’evento è testimoniato da un diploma tradotto in D. WHITELOCK (a cura di), English Historical
Documents, c. 500-1042, vol. I, London, Eyre and Spottiswoode, 1955, pp. 590-592.
29
La tradizione annovera tra le vittime Gunnhild, sorella di Sven, in qualche modo giustificando
l’invasione danese con l’inevitabile diritto alla vendetta del re. Cfr. G. JONES, I Vichinghi, Roma, Newton
& Compton, 1995 (A History of the Vikings, Oxford, Oxford University Press, 1968), p. 300.
13
Normandia con Emma e i loro due figli, Edoardo ed Alfredo
30
.
Al suo ritorno a Gainsborough, Sven venne riconosciuto re
d’Inghilterra dal witan*, anche se lo sarebbe stato solo per poco tempo. Nel
febbraio del 1014, infatti, Sven morì, lasciando la corona di Danimarca al
figlio Aroldo, anche se le truppe danesi rimaste a fianco di Canuto
acclamarono quest’ultimo loro re. Gli inglesi seppero approfittare della
disputa dinastica e, richiamato Æthelred, riuscirono a respingere l’esercito
di Canuto, che preferì tornare in Danimarca.
Un anno dopo, però, Canuto tentò nuovamente la conquista e si trovò
davanti un’Inghilterra ancora più debole e divisa. Qui, infatti, un figlio di
prime nozze di Æthelred, Edmondo, si era ribellato al potere del padre e si
era impossessato della regione dei Five Boroughs, nel Danelaw
settentrionale, con l’appoggio degli abitanti, tanto risentiti per la diserzione
di Canuto quanto per l’incapacità di Æthelred. In pochi mesi, Canuto
riconquistò la Northumbria e il Danelaw, quindi mosse verso Londra, dove,
prima che l’esercito danese vi arrivasse, Æthelred morì. Edmondo, detto
“Fianco di Ferro”, fu proclamato re e guidò l’ultima resistenza
anglosassone, battendo i danesi alle porte di Londra, ma nella battaglia
decisiva ad Ashington dovette soccombere; col trattato che ne seguì,
Canuto lasciò ad Edmondo il solo Wessex, e, quando quest’ultimo morì
poco dopo, il danese divenne re di tutta l’Inghilterra
31
.
4. 3. Il regno di Canuto (1016-1035)
I primi due anni del regno di Canuto furono contraddistinti dallo
sforzo di consolidare e legittimare il potere: da un lato gli uomini giudicati
ancora troppo potenti furono confermati nelle posizioni di rilievo, dall’altro
gli avversari più deboli furono eliminati senza pietà, come accadde ad
Eadwig, fratello minore di Edmondo ed unico ætheling*, o pretendente al
trono, presente sul suolo inglese. Jarlar danesi di sicura fiducia furono
insediati al posto dei nobili anglosassoni eliminati.
30
Vedi Tavola 9.
31
P. STAFFORD, Unification and conquest: a political and social history of England in the tenth and
eleventh centuries, London, Edward Arnold, 1989.