novembre 1855 al 3 maggio 1856) che si presentava appunto come un
“incoraggiamento a tutti coloro che si adoperano al nobile e generoso scopo di
rigenerare il nostro teatro”
11
Questo invito venne seguito dallo stesso Gualtieri
che in quegli anni esordì ufficialmente come scrittore drammatico.
Di tale esordio dà notizia il Costetti, noto drammaturgo, che nelle pagine delle
sue Confessioni di un autore drammatico
12
racconta, in modo ironico e
colloquiale, “i romantici errori della sua prima gioventù in compagnia
dell’autore de L’Innominato”, lasciando così anche una viva testimonianza di
quello che era l’ambiente teatrale di quel periodo.
Nel terzo capitolo parla di come, “ancora nella luna di miele de primo
successo”, fece “conoscenza e presto amicizia con Luigi Gualtieri”; ma
soprattutto di come, dipingendogli “così vivamente le emozioni della scena”
riuscì a convincerlo a “tentare un gran colpo”: creare, a due mani, “un dramma
che chiami al teatro tutta Bologna”. Gualtieri infatti sino ad allora non aveva
pensato al teatro ma “si arrabattava nel mestierismo letterario componendo
romanzi d’argomento locale”. Nel ’54 venne dunque scritto, e poi
rappresentato dalla compagnia di Cesare Asti, La morte del conte di Monte
Cristo che effettivamente, nonostante “l’arte bambina e la mostruosità
dell’insieme”, fu applaudito dal pubblico bolognese proprio “perché opera di
bolognesi, e non per altro”.
Nel IV capitolo vediamo come, incoraggiato dall’effimero successo
(soprattutto a livello economico), Gualtieri compose alcune altre opere per
l’Asti. Con questi si recò, prima a Parma, per la quale “aveva preparato un
Parmigianino, dramma di apologia locale che non dispiacque”; e poi a
Firenze, dove invece gli studenti di Santa Maria Nuova “fecero giustizia
sommaria” del Monte Cristo. A seguito del meritato fallimento “la questione
economica si fece così stringente che la compagnia si sciolse”, e Gualtieri fu
rivisto nuovamente a Bologna, “ritornato pedestre da Firenze, in arnese da cui
trapelava (con evidenza) il disgusto per l’arte drammatica…”.
11
Nota redazionale di Luigi Gualtieri apparsa sul primo numero.
12
Bologna, N. zanichelli, 1883.
8
Tuttavia, prosegue Costetti, “sepolto una buona volta per tutte Il conte di
Monte Cristo all’ombra del cupolone di Brunellesco…evocammo dalle remote
pagine della storia il nuovo nostro protagonista”. Il secondo dramma composto
dai due amici fu infatti un Nerone che venne rappresentato per la prima volta
nel ’55, sempre a Bologna, dalla compagnia del capocomico Astolfi. L’opera
incontrò sicuramente qualche difficoltà con la censura se Costetti può scrivere
che “nella libertina Torino si proibiva, per alto sentimento di moralità, quanto
l’ignoranza o peggio aveva fatto permettere alla censura di Sua Santità ed al
Sant’Uffizio”. Tuttavia ancora una volta piacque, “scosse e atterrì” il pubblico,
“quelle gradinate gremite di popolo”, che era convenuto in teatro nonostante,
proprio in quei giorni, una terribile epidemia si fosse affacciata alle porte della
città mietendo vittime anche nell’ambiente del teatro (fra cui lo stesso Astolfi).
Costetti, pur ironizzando qui, a distanza di anni, sul valore artistico di questi
primi lavori a due mani che definisce addirittura scellerataggini (soprattutto il
Monte Cristo), tuttavia, in Il teatro italiano nel 1800
13
,sembra invece,
apprezzare abbastanza altre opere composte non molto dopo dal solo Luigi
Gualtieri. Infatti, nel punto in cui racconta del giornale bolognese
“L’incoraggiamento”, coglie l’occasione per tessere un breve elogio
dell’amico, il quale a suo dire “ebbe pel teatro un ingegno immaginoso e fertile
dei più efficaci espedienti ond’ha vita uno scenico componimento”; e parla poi
molto positivamente di alcuni dei suoi principali drammi: Lilia, Silvio Pellico,
Il duello e La forza della coscienza.
In appendice è infine presentato un elenco
completo delle opere drammatiche di Gualtieri in cui compaiono anche alcuni
titoli non compresi nei cataloghi bibliografici.
Dopo questo esordio teatrale collaborò successivamente con Cantù alla
compilazione della Grande illustrazione del Lombardo Veneto edita a Milano
tra il '57 e il '61 (editore Ronchi). Nel proemio anteposto all’opera, Gualtieri
individua la rivitalizzazione narrativa degli eventi passati come caratteristica
peculiare del suo impegno, dovuta da una parte all’amore per la ricerca
13
G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800, Rocca San Casciano, Licino Cappelli editore, 1901.
9
d’archivio, dall’altra all'attenzione costante alla contemporaneità che passa
sempre attraverso l’osservazione diretta della realtà. Fu la fortuna dei romanzi
editi sempre a Milano nel ‘57, soprattutto L’innominato
14
e Il capo delle cento
tribù. Storia milanese del tempo dei Galli
15
, ma anche I dodici visconti signori
di Milano
16
e Amore e fede
17
, a sancire una duratura collaborazione con gli
editori di questa città e a garantirgli un certo successo di pubblico. Così a
questi, nell’anno successivo, si aggiunsero I piombi di Venezia
18
e La biscia
dei Visconti
19
, nonché due opere teatrali: Shakespeare
20
e Padroni e servi
21
.
Presumibilmente già da circa un decennio Gualtieri si era inserito, poco più
che ventenne, nell’ambiente romantico milanese degli anni subito successivi al
’48 distinguendosi per le sue bizzarrie come l’uso degli pseudonimi o gli
interessi spiritistici. Con queste ultime prove fece suoi gli aspetti più vistosi e
sensazionali della moda letteraria romantico-risorgimentale riproponendo una
versione del languente filone del romanzo storico postmanzoniano arricchita di
suggestioni nuove attinte dagli emergenti generi popolari d’oltralpe, e
aggiungendovi un certo anticlericalismo ribellistico di marca tipicamente
scapigliata.
Sin dagli esordi, si delineano chiaramente quelli che saranno i tratti distintivi
della sua produzione artistica: sempre varia e abbondante, ma mai troppo
curata a livello formale. E’ lo stesso Costetti a scrivere: “Fantasia presso che
ariostesca, egli da gran signore ne ha sperperati di tesori in più e diverse
manifestazioni dell’arte dello scrivere; così che alla profusa ricchezza del suo
lavoro è mancata quella sapiente condensazione che sola poteva assicurarne la
fama e la fortuna”; e, quasi a volersi far perdonare l’ultima affermazione
prosegue ricordando che “i suoi romanzi però e in ispecie L’Innominato (che
14
Romanzo storico, Milano, Battezzati, ’57- ’66- ‘77- Brasca, ’57- Bettoni, ’70- Politti, ’72- Garbini, ’82- Barbini, ’82-
Paolo Carrara ’92. CUBI: Carrara, 1905- Bietti, 1933.
15
Milano, Oliva, ’57.
16
Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’57.
17
Leggenda storica, Milano, Guglielmini, ’57.
18
Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’58- Sanvito, ’64- ’72- Bettoni, ’67- Carrara, ’75- Barbini, ’80- ’83- ’88.
Pagliaini: Milano, Bestetti, ’72. CUBI Bietti, 1905- Bietti, 1934.
19
Romanzo storico, Milano, Guglielmini, ’58- Barbini, ’80- Wilmant, ’80. Pagliaini: Ronchi, ’58.
20
Dramma, Milano, Sanvito, ’58.
21
Commedia, Milano, Guglielmini, ’58.
10
ottenne lode dallo stesso Alessandro Manzoni) ebbero assai voga e numero
grande di edizioni”
22
.
Circa in questi termini si esprimono anche altri coetanei ed amici dell’autore
che ci danno un’idea di come quelle opere venissero percepite da un pubblico
misto di letterati e giornalisti che accettava di buon grado la formula del
romanzo popolare.
Così A. Mombello dell’Associazione della Stampa di Sanremo, in un discorso
ufficiale pronunciato in occasione delle esequie dello scrittore, dichiara: “Il più
grande rimprovero fatto al nostro amico Gualtieri è la trascuratezza della
forma per cui molto probabilmente nessuno dei suoi cento volumi sarà
ricordato dopo il corso di alcune generazioni”, “ma - aggiunge poi - quante
altre opere che hanno preteso all’immortalità saranno dimenticate prima delle
sue!”
23
.
Meno categoricamente ma sempre nella medesima occasione, il professor
Danelli (preside del liceo Cassini di Sanremo) parlando del collega, che
definisce l’Ovidio del dramma e del romanzo, nota (soprattutto per
quest’ultimo genere) come lo stile e la lingua da lui utilizzati siano “non scevri
di mende”, e come la veridicità storica venga fortemente piegata alle necessità
di un intreccio che troppo spesso indugia su argomenti e descrizioni “un po’
troppo realistici”; “ad ogni modo”, aggiunge poi, è innegabile “ch’egli diverte
sempre mentre qualche romanziere più recente e più decantato ci annoia”, e
questo perché “egli rifulse sempre per una fantasia originale e meravigliosa”
24
,
grazie alla quale alcuni personaggi e alcune creazioni sono rimasti
indimenticabili.
Anche l'estrema lunghezza di queste opere costituisce sicuramente una
caratteristica molto discussa ; per cui non a caso Gualtieri viene ritenuto un po'
da tutti come una vera fabbrica letteraria che traeva la sua materia prima dalla
monumentale Storia d'Italia di Cesare Cantù
25
.
22
G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800, Rocca San Casciano, Licinio Cappelli, 1901.
23
In “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.
24
In “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.
25
Gualtieri duca, o mostruoso eccesso! La nobiltà collega col “Progresso”: questa è la definizione sintetica e
canzonatoria dell'arte e della persona di Luigi Gualtieri che viene lasciata da un anonimo giornalista in un curioso elenco
11
Ad onta di questi primi successi solo due anni dopo Gualtieri, giovandosi della
raccomandazione dell'allora ministro dell'interno Minghetti, fece richiesta per
l’assegnamento di una cattedra in uno dei licei del nuovo stato italiano;
cattedra che, essendogli stata assegnata a Sassari, finì comunque per rifiutare.
Tornò così a scrivere pubblicando nel '61, come continuazione de
L’Innominato, Dio e l'uomo
26
, secondo romanzo di quel vasto ciclo di cui
faranno parte anche I piombi di Venezia (che si andranno ad inserire come
terzo libro nella nuova edizione del ’64), Malebranche (1883), Pape Satan
(1884), La città del sole (1885) e I bevitori di sangue (1886). Sempre dello
stesso anno sono anche altri due romanzi d’argomento risorgimentale composti
in occasione dell'avvenuta unificazione nazionale: Memorie di Ugo Bassi
27
e
La presa di Palermo
28
.
In quel periodo Gualtieri fece la conoscenza della celebre attrice Giacinta
Pezzana
29
che diventò presto sua moglie (e da cui ebbe la figlia Ada) e lo
influenzò non poco, almeno in un primo tempo, spingendolo a dedicarsi
maggiormente alla scrittura teatrale a discapito di quella romanzesca. Sono,
infatti, dell'anno successivo due fortunati drammi sempre d’argomento
risorgimentale: Silvio Pellico e le sue prigioni
30
e Daniele Manin, ossia
Venezia nel ’48
31
che inaugurano anche un felice sodalizio con l’editore
milanese Sanvito, il quale si occuperà di quasi tutte le pubblicazioni del
Gualtieri per i prossimi tre anni. Sono affidati quindi principalmente alle sue
in versi dal titolo Rivista alfabetica dei giornalisti (all'interno della rubrica Bizzarrie de “La Gazzetta del popolo di
Lombardia”), il 28 febbraio 1860. L'anonimo sembra decisamente non apprezzare la strabordante lunghezza dei
romanzi di questo autore; la seconda frase è invece un gioco di parole basato sul contrasto tra i suoi soprannomi
altisonanti e il titolo della testata giornalistica a cui collaborava in quell'anno (collaborò infatti al “Progresso” di Milano
a partire dal 10 settembre del '59).
26
Romanzo storico, Milano, Sanvito, ’61- Battezzati, ’72- ’82- Barbini, ’77- ’82- Garbini, ’82- s. n., ’83- ’95- Paolo
Carrara, '87- ’93. CUBI: Carrara, 1905- Bietti, 1934
27
Bologna, Monti, ’61- Alberoni, ’62.
28
Racconto storico, collaborazione con Scalvini, Milano, Wilmant, ’61. Pagliaini: Cioffi, ’61.
29
Pezzana Gualtieri Giacinta nacque a Torino nel 1841 da una ricca famiglia di commercianti; sposò il Galtierieri subito
dopo il ’60 quando, agli inizi della sua splendida carriera, recitava ancora nella compagnia di Rossi e Dondini. Attrice
versatile ed intensa, di bellissimo aspetto, fu tra le migliori del suo tempo; viaggiò lungamente, soprattutto in America,
riscotendo sempre grandi successi; calcò le scene fino ad oltre sessant'anni prima di ritirarsi presso Catania dove morì
quasi ottantenne nel 1919.
30
Dramma, Milano, Sanvito, ’62- Firenze, Tip. Salani, ’94.
31
Dramma storico, Milano, Sanvito, ’62.
12
cure i drammi e le commedie di argomento vario apparsi nel ’63, che si
possono considerare in tale ambito tra le migliori prove dell’autore: Le fasi del
matrimonio
32
, Gulnara la corsa
33
, I parenti
34
, Lo spiantato
35
, L’abnegazione
36
e
La forza della coscienza, ossia davanti alla corte d’assise
37
. A questi si
aggiungono l’anno successivo, sempre presso lo stesso editore, il romanzo
L’ultimo papa
38
e il dramma Il duello
39
; e quindi nel ‘65 Il Nazzareno
40
, e
L’amazzone
41
.
Dopo la metà degli anni sessanta, la fertile creazione artistica del Gualtieri
sembra conoscere una battuta d’arresto almeno al confronto con l’esuberante
produzione immediatamente precedente. I “pochi” nuovi drammi e romanzi
usciti, assieme alle riedizioni delle precedenti opere più fortunate, sino ai primi
anni ‘80 risultano essere di genere vario e caratterizzati da un’altrettanto varia
collaborazione editoriale: Gli studenti di Eidelberga
42
, La vita nomade
43
, La
campagna?
44
, Oreste
45
, Il consiglio dei dieci
46
, Un ora d’amore
47
, La
figlioccia di Cavour
48
, La signora di Monza
49
e I misteri dell’inquisizione di
Spagna
50
. Inoltre il Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, edito
nel ’79, accenna ad un romanzo in via di pubblicazione dal titolo Le anime che
32
Commedia, Milano, Sanvito, ’63.
33
Gulmona secondo Cristaldi in introduzione a L’Innominato, Milano, Bietti, ’73.
34
Commedia, Milano, Sanvito, ’63.
35
Commedia, Milano, Sanvito, ’63. Pagliaini: ’64.
36
Dramma, Milano, Borroni, ’63. Pagliaini: Sanvito, ’64.
37
Dramma, Milano, Borrroni, ’63. Pagliaini: Sanvito, ’64. CUBI: Barbini, 1909.
38
Milano, Sanvito, ’64- Bettoni, Brigola ’67- s. n., ’84.
39
Dramma rappresentato nel 1864 ma edito dallo stesso Sanvito solo nel 1873. Inoltre Cristaldi segnala una prima
rappresentazione del ’57 (in op. cit.).
40
Codice copto-sanscrito volgarizzato, Miano, Sanvito, ’65- ’69. CUBI: Soc. edit. La Milano, 1904.
41
Milano, Sanvito, ’65.
42
Dramma, Milano, Bettoni, ’69.
43
Milano, Battezzati, ’70.
44
Milano, Battezzati, ’70.
45
Tragedia, Napoli, S. Rocco, ’72.
46
Milano, Sanvito, ’72.
47
Farsa, Firenze, Salani, ’75.
48
Romanzo contemporaneo, Milano, Bietti e Micca, ’81.
49
Dramma storico, collaborazione di Scalvini, Milano, Barbini, ’82. In nota 100 de I promessi sposi nella Romagna e
la Romagna nei promessi sposi (Il Mulino, 2004), è segnalata invece per la prima edizione: Milano, Barbieri, ’82.
50
Dramma, collaborazione con Scalvini, Milano, Barbini e Pancelletti, ’82- Barbini, ’96. CUBI: Barbini (Wilmant), ’89-
Barbini (Borroni), 1902.
13
sarà forse uscito in quegli anni, ma di cui non vi sono tuttavia altre tracce
bibliografiche.
Nel 1882 Luigi Gualtieri si trasferì definitivamente a Sanremo, vistosi
finalmente assegnare in questa città la tanto sospirata cattedra con la nomina di
reggente di letteratura italiana presso il liceo Cassini. Qui si era “rifugiato coi
ricordi della sua vita irrequieta, della giovinezza laboriosa, dei trionfi di giorni
lontani, s’era acquistato per la bontà estrema dell’animo suo, talvolta anche
ingenuo negli entusiasmi e nelle sue esagerazioni, molto affetto non solo da
parte degli studenti, ….ma anche di molti fra i cittadini che l’apprezzavano per
il suo ingegno originale, per la conversazione spontanea e piena di brio”
51
.
Risale all'anno successivo la rottura del rapporto con la moglie (che, stanca di
impegnare le proprie sostanze per pagare i debiti di gioco del marito, decide
infine di abbandonarlo) e il conseguente abbandono della scrittura drammatica
ad esclusivo vantaggio di quella romanzesca. Intanto, a partire dal 1883 sino
alla fine del decennio, sembra riaccendersi quella fertile vena creativa che
aveva caratterizzato la giovinezza dell’autore. Nuovamente viene prediletta
una specifica scelta editoriale e fu la casa editrice milanese Bietti a pubblicare
le numerose opere di quegli anni (responsabile peraltro anche delle riedizioni
novecentesche delle principali opere). In questi anni infatti Gualtieri rimette
mano alla fortunata serie de L’Innominato a cui, nell’ambito di una tarda
rifioritura del genere storico, si vanno ad aggiungere gli ultimi quattro romanzi
usciti consecutivamente a scadenza annuale sino al 1886: Malebranche
52
,
Pape Satan
53
, La città del sole
54
e I bevitori di sangue
55
.
Nella breve dedica anteposta a Malebranche (datata 1883) è Gualtieri stesso a
parlarci di sé facendo un po’ il punto della situazione di questi anni e di questa
nuova fase della sua vita. Racconta qui la sua vecchiaia, condotta nel “piccolo
eden di San Remo”, come una sorta di “postuma gioventù” riversata nel lavoro
51
Necrologio in “Il pensiero di Sanremo”, 8 dicembre 1901.
52
Romanzo storico, Milano, Bietti e Micca, ’83- Bietti, ’83- ’93. CUBI: Bietti, 1904- 1932.
53
Romanzo storico, Milano, Bietti, ’84. CUBI: Bietti, 1905- 1933.
54
Romanzo storico, Milano, Bietti, ’85. CUBI: Bietti, 1905- Bietti, 1933.
55
Romanzo storico, Milano, Bietti, ’86. CUBI: Bietti, 1905- Bietti, 1932.
14
letterario, e confortata da uno spirito epicureo e da una sempre più convinta
fede spiritistica. Anche i rapporti con la moglie e la figlia, ormai lontane in
Sud America, sembrano comunque essere molto buoni e l’autore parla infatti
con piacere degli scambi epistolari con i suoi “esseri adorati”
56
. Infatti proprio
alla moglie dedicherà due anni dopo La città del sole; mentre la dedica del
romanzo successivo (Pape Satan) è rivolta invece alla figlia Ada (“ora
fortunata sposa Gravano”), da poco sposata e residente a Montevideo. Anche
qui tuttavia Gualtieri parla ancora di sé e, citando un passo dalle sue memorie
inedite
57
, ci racconta per esteso del suo esordio letterario quando, costretto
dalle ristrettezze economiche seguite alla morte del padre, riuscì finalmente a
far fruttare la sua arte ottenendo, con il romanzo I misteri d’Italia, un contratto
triennale presso l’editore bolognese Gamberini. Infine ancora una dedica apre
l’ultimo romanzo: qui Gualtieri, rivolgendosi allo scrittore Raffaele Villari,
riprende nuovamente il discorso della “postuma gioventù”, e si compiace con
l’amico della loro nuova ed abbondante produzione letteraria: “Non ti pare, mio
caro Villari… che invece di declinare noi acquistiamo maggior fuoco ed impeto e gagliardia
nelle nostre passioni, e che diamo mano ad un più serrato lavoro?”.
Quasi contemporaneamente viene progettata e realizzata anche una nuova
serie, una trilogia di argomento contemporaneo, composta da: Madama
Adele
58
, La gabbia di ferro
59
, e La forza irresistibile
60
. A questi si aggiungono
poi altri due romanzi ispirati alla guerra d’Africa: La figlia di Ras Alula, o le
notti abissine
61
, uscito anch’esso alla fine degli anni ’80, e Guerra d’Africa
62
,
che vede la luce invece nel ‘95. Per il resto nell’ultimo decennio del secolo
giungono a pubblicazione solo poche altre opere isolate: I misteri di Buenos
Aires
63
, le Memorie di Vittorio Emanuele II re d’Italia
64
(argomento su cui
tenne anche una conferenza in Sanremo il giorno 11 novembre 1901, circa un
56
Fa cenno qui anche all’amicizia con Felice Cavallotti e Reggiani; e viene poi annunciata, in nota, la prossima
pubblicazione d’un racconto d’argomento spiritistico: Terra e cielo.
57
Vita e miracoli: memorie inedite.
58
Romanzo sociale, Milano, Bietti, ’85.
59
Romanzo contemporaneo, Milano, Bietti, ’87.
60
Romanzo contemporaneo, Milano e Buenos Aires, Bietti, ’89.
61
Romanzo, Milano, Bietti, ’88. CUBI: Bietti, 1903.
62
Romanzo, Milano, Bietti, ’95.CUBI: Bietti, 1903.
63
Milano e Buenos Aires, Bietti, ’92.
64
Livorno, tip. S.Belforte, ’92- 93.
15
mese prima di morire) e infine il dramma La contessa di Cellant
65
, estrema
prova dell’autore che ormai anziano si avvicinava alla fine dei suoi giorni.
Luigi Gualtieri si spense infatti, a seguito di una lunga malattia, in Sanremo la
domenica del primo dicembre del 1901 all’età di settantaquattro anni. Ne
danno tempestivamente notizia alla nazione i due sintetici necrologi apparsi il
giorno successivo su “La Stampa” e su “Il corriere della sera” che sembrano in
tutto attenersi (al di là di quello che è il dato prettamente cronachistico) a
quanto scritto nella voce dedicata all’autore dal celebre Dizionario De
Gubernatis; a questi si associano poi altri giornali a grande tiratura come “Il
Secolo” di Milano (del 7 dicembre) o “Il Secolo XIX”. Tuttavia solo sulle
colonne (nel numero dell’otto dicembre) del settimanale locale “Il pensiero di
Sanremo”, su cui anche lo stesso Gualtieri scriveva articoli “cari e leggeri
come rosee nuvolette” (Danelli), troviamo un più ampio articolo in omaggio
all’estinto collega e concittadino.
Salutato come “il romanziere illustre…che profuse nella stampa locale le
creazioni vive della sua inesausta intelligenza”, si dice poi che “suo vivo
desiderio era di spegnersi tra i fiori e l’azzurro di questo paese, sua seconda
patria” e così, accortosi “negli ultimi tempi che la vita gli sfuggiva, con una
fede immensa in Dio ed in un avvenire migliore, con suprema calma e
rassegnazione aspettò l’ora estrema che passò serena e senza sofferenze”.
Ricordato come “spiritista caldo e appassionato”, il necrologio prosegue
dicendo “oltre all’uomo d’ingegno, si spense…un amico caro e buono che
lasciò in retaggio la ricordanza di tutto il segno di bontà fidente, di pensiero, di
lavoro incessante”. Segue la descrizione del funerale al quale, si dice, era
convenuta una “folla grandissima che volle dimostrare l’affetto al defunto
accompagnandone la bara sino al limitare ove il rogo doveva ridurre in cenere
le spoglie mortali, -e qui- vennero pronunciati elogi in diverso metro da
65
Dramma, Milano, Barbini, ’99.
16
numerosi ammiratori e discepoli” (trascritti per intero nel loro effettivo
ordine)
66
.
I discorsi pronunciati dagli amici sulla salma del defunto, al di là della retorica
del momento, danno comunque un’idea di quanto questo fosse apprezzato e
stimato anche da persone tra di loro profondamente diverse sia
ideologicamente che per convinzioni religiose.
Così il professor Vespasiani (a nome del circolo spiritistico Campanella) saluta
con un simbolico arrivederci “l’amico geniale e gioviale, il poeta
dell’idealismo trascendentale”, ma soprattutto “lo spiritista veramente
convinto” (“tanto da attirarsi talvolta perfino lo scherzo ed anche il dileggio
dei più”), per il quale in Sanremo addirittura “fu gettata la prima pietra di
questa nuova scienza”.
Anche il preside Danelli, dopo aver ricordato per sommi capi la sua
instancabile attività professionale, si associa a quell’arrivederci per chi,
”pensatore ed in pari tempo éternel enfant”, “magnificò lo spiritismo” come
“prova dell’immortalità dell’anima e dell’esistenza di Dio”.
Sullo stesso tono viene poi il ringraziamento degli studenti per il professore
che, vista “la gioventù crescere indifferente, incuriosa, fredda, senz’anima”,
tentò “porre un rimedio a tanta rovina” indirizzandola “ad una meta più nobile
e più grande…, l’Idea, l’Idea generatrice di quel pensiero che fu chiamato
raggio di Dio”.
Mombello, invece, come portavoce dell’Associazione della Stampa, in
contrasto con l’oratore che lo ha preceduto, dichiara di non ammettere
l’immortalità dell’anima individuale ma solo quella “del pensiero e delle opere
per le tracce indelebili che lasciano e che dall’anima collettiva sono raccolte e
trasmesse”. Proprio in questo senso considera quindi l’opera del Gualtieri, in
cui “non v’ha un pensiero, non una parola che non sia un inno al bello, al
66
Infine troviamo espresso il proposito (a nome della compagnia Renzi-Gabbrielli e dell’associazione della
stampa) di “dedicare la serata di Martedì ad una solenne commemorazione”, consistente nella
rappresentazione del dramma La forza della coscienza, “uno dei più pregevoli lavori dell’illustre rimpianto”,
e nella devoluzione di “parte del ricavo all’erezione d’un ricordo marmoreo che si sarebbe dovuto collocare
preferibilmente nell’atrio del teatro civico.
17
buono, al vero”, come qualcosa di estremamente benefico e destinato ad una
lunga sopravvivenza.
Per mezzo del signor Rubino infine, anche la loggia Massonica (di cui il
Gualtieri evidentemente doveva fare parte), mantenendosi del tutto estranea a
qualsiasi considerazione di tipo religioso o trascendentale, porge l’estremo
addio dei fratelli della Libera Muratoria in nome di quella “fede che ha per
bandiera il glorioso trinomio Libertà Uguaglianza, Fratellanza”.
18
CAPITOLO SECONDO.
BREVE INTRODUZIONE ALLA “SERIE DE L’INNOMINATO”:
UN CONFRONTO TRA DUE GIUDIZI DIVERSI.
La serie dei sette romanzi che vanno a comporre il “ciclo de L’Innominato”
racconta un’unica lunga vicenda variamente concatenata e affronta con essa
fatti e aspetti culturali di un secolo di storia italiana. L’intreccio prende le
mosse in Milano l’ultimo giorno di carnevale del 1555 (inizio de
L’Innominato) e si conclude giusto il primo gennaio 1654, giorno in cui
Innocenzo X muore e si sciolgono i vari percorsi narrativi (fine de I bevitori di
sangue).
Alla sua composizione il Gualtieri si interessò, se pure in modo molto
discontinuo, per quasi della sua vita. Così dal ’57 al ’64 vengono pubblicati
L’Innominato e, sulla scia del primo successo, gli altri due romanzi che
concludono le avventure di questo personaggio; poi nell’83, a un ventennio di
distanza, l’intreccio si riapre con gli ultimi quattro libri, usciti tutti entro l’86, e
tutti incentrati sulla figura di Malebranche, nuovo protagonista e anello di
congiunzione ideale tra la prima e la seconda parte della serie.
L’intera opera nel suo complesso può essere considerata la prova migliore e
più conosciuta di questo autore, e quindi anche metro di paragone per
determinare la sua posizione all’interno del panorama letterario italiano della
seconda metà del XIX secolo (almeno per quanto riguarda il particolare genere
del romanzo storico). In tal senso C. Piancastelli, in I promessi sposi nella
Romagna e la Romagna nei promessi sposi fa una radiografia abbastanza
chiara della situazione quando osserva come una delle più vistose e discusse
caratteristiche dell’intera serie, la critica anticlericale, si vada a configurare
anche come scelta di campo all’interno di una determinata gamma di
possibilità operative, oltre che come necessità espressiva propria degli autori
stessi. Così, là dove passa in rassegna quattro scrittori romagnoli di tardi
romanzi storici, Veròli, Bianchi, Donati e Montazio, nota (a proposito di
Donna Olimpia Pamphili di quest’ultimo) come, quando il romanzo storico “si
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trovò d’aver esaurito le sue possibilità, allora cercò sfuggire al fato incombente
allettando il pubblico con lo stimolo delle teorie anticlericali e antireligiose,
come fu il caso del Montazio e più del Gualtieri…oppure col contro stimolo
delle tesi antiliberali e antinazionali”; e arriva poi alla conclusione che,
“volendo tenersi distante da questi due estremi, il romanzo fuggiva nella più
remota antichità, ovvero si trasformava in narrazione storica in cui la parte
storica era in assoluta prevalenza su quella fantastica, perdendo così ogni sua
ragione d’essere”
67
.
Il primo libro della serie, L’Innominato (uscito a dispense nel ’57
68
, e poi in
volume sempre lo stesso anno), si presenta, secondo la moda del romanzo
ciclico, come ampliamento, sviluppo e contestualizzazione della storia di un
personaggio già molto noto. L’Innominato manzoniano, così carico di fascino
e di mistero, fornisce il destro al Gualtieri per costruire una figura tipicamente
romanzesca
69
dove uno spirito nobile, fiero e perseguitato si associa
mirabilmente ad una componente avventurosa e rocambolesca di sicuro effetto.
E’ indubbio (come sottolinea anche Cristaldi nell’introduzione all’edizione del
‘73) che il successo da bestseller che l’opera ha incontrato al suo primo
apparire sia da attribuire in primo luogo al suo essersi posta esplicitamente
nella scia del romanzo storico postmanzoniano, averlo intessuto dei primi
fermenti di quel ribellismo che sarebbe poi divenuto fenomeno di costume in
ambiente scapigliato, e quindi calato in quello stile romantico alla francese
d’immancabile presa sul grosso pubblico.
Di tale bifrontismo Piancastelli sembra volerne fare una colpa all’autore che,
accusato di opportunismo, viene trattato a parte rispetto agli altri scrittori
romagnoli suoi contemporanei, collocato “in un luogo separato”, e questo
67
Piancastelli: I promessi sposi nella Romagna e la Romagna nei promessi sposi, Bologna, (Stabilimenti poligrafici
riuniti, 1924) Il mulino, 2004; p. 119.
68
Cristaldi in p. 8 op. cit. parla di una prima edizione a dispense con disegni di Nicola Senesi risalente al ’57. Di
tale pubblicazione non vi sono tuttavia altre conferme bibliografiche: per il ’57 sono ricordate infatti dai cataloghi solo
le edizioni in volume Brasca e Battezzati; mentre per la pubblicazione con disegni di Nicola Senesi è citata solamente
l’edizione Garbini, 1882.
69
Piancastelli in nota 96 (op. cit.) segnala tra i romanzi del Montazio un Innominata che tuttavia dichiara di non essere
riuscito a vedere.
20
perché - a detta sua - in lui “non troviamo nuovi esempi di quel tanto di
influenza che il Manzoni esercitò sui nostri scrittori, ma abbiamo un caso del
tutto diverso; abbiamo un tale che con intendimenti e per scopi nemmeno
artistici, ma di ambizione presuntuosa o di speculazione commerciale pura o
amalgamata con accorgimenti di setta, s’impossessa dell’opera del Manzoni e
ne trae profitto, mantenendosi affatto estraneo, anzi ostile”
70
. A proposito di
tale estraneità rispetto all’alto spirito dell’opera manzoniana non abbiamo
dubbi (come sottolineerà anche il professor Danelli); parlare di ostilità è invece
forse un po’ eccessivo, visto che lo stesso Manzoni sappiamo lodò
personalmente il Gualtieri per questo libro
71
.
I successivi due romanzi sono Dio e l’uomo (1861) e I piombi di Venezia,
quest’ultimo, edito per la prima volta nel ’58, viene poi ripresentato in nuova
edizione nel ’64 per essere così inserito al terzo posto nella serie
72
. Qui
troviamo tratteggiata la vita e le gesta del personaggio, ormai sulla via della
conversione
73
, mentre intanto assumono sempre più rilievo figure e storie
secondarie legate in vario modo con quella dell’eroe principale ma pur sempre
disponibili a risoluzioni narrative autonome. L’effetto che ne risulta (e che era
comunque già evidente sin dal primo libro) è quello della creazione di un
universo tanto vasto quanto privo d’unità, simmetria e proporzioni, sullo
sfondo di un intreccio complesso e macchinoso.
Quanto appena detto vale anche per quella seconda parte della serie,
inaugurata nel 1883 con il romanzo Malebranche, e completata poi dagli altri
tre che vi si aggiungono, usciti tutti di seguito a scadenza annuale presso
l’editore Bietti: Pape satan (’84), La città del sole (’85) e I bevitori di sangue
(’86). Infatti, nonostante le date di pubblicazione possano far pensare ad un
lavoro creativo presumibilmente continuo, difficilmente si possono individuare
70
Piancastelli: op. cit., p.126.
71
Ce lo dice Costetti in: Il teatro italiano nel 1800 (Rocca San Casciano, Licinio Cappelli editore, 1901), p. 288.
Lo stesso Gualtieri, nell’introduzione a L’Innominato, ricorda il suo incontro avuto con Manzoni, tuttavia su questo
colloquio mantiene un tono alquanto riservato: “Male corrisponderemmo alla gentilezza con la quale volle onorarci
l’inclito scrittore, se vi narrassimo alla distesa il colloquio avuto con lui”
72
Questa è tuttavia solo una mia ipotesi; non è confermata infatti l'esistenza di due diverse versioni de I piombi di
Venezia, e potrebbe esistere anche una precedente edizione di Dio e l'uomo (magari a dispense) non segnalata dai
cataloghi bibliografici e da nessuna altra fonte.
73
Nell’epilogo de I piombi di Venezia siamo informati della sua avvenuta conversione.
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