Cap. 1 Scopo della tesi
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preparazione e sulla morfologia finale della membrana e gli effetti sulle proprietà di trasporto
e di rilascio dovute all’aggiunta di tensiottivi quali il Tween 80 o Tween 85 nella miscela di
partenza.
Nel caso della seconda metodica di inversione di fase, che prevede una evaporazione
controllata del solvente (più volatile rispetto al non-solvente) in condizioni note, il
procedimento si conduce in genere alla temperatura di 37°C e in condizioni di ventilazione
controllata.
La caratterizzazione delle membrane prevede una fase iniziale di analisi morfologica tramite
microscopio elettronico a scansione SEM, utile per la pre-selezione delle membrane ritenute
più adatte per il caricamento di un farmaco e quindi per la realizzazione di test di rilascio. Le
membrane selezionate, caricate con una quantità di farmaco (acido folico) nella matrice
porosa (15% in peso di farmaco rispetto alla quantità di materiale polimerico costituente la
matrice), vengono quindi caratterizzate. La caratterizzazione funzionale prevede la
realizzazione di test di permeabilità idraulica e test di rilascio. In particolare il rilascio
dell’acido folico in tampone fosfato è condotto in regime diffusivo (forza motrice costituita da
una differenza di concentrazione) ed in regime misto (diffusione e convezione simultanee) in
modo da valutare i parametri caratteristici quali permeabilità (P) e diffusività efficace (Deff)
nelle diverse condizioni operative, e valutando gli effetti della procedura di preparazione sulle
caratteristiche di trasporto delle diverse membrane porose preparate.
Cap. 2 Introduzione
3
Capitolo 2
Introduzione
2.1 Membrane
Il termine membrana include una grande varietà di sistemi, membrane biologiche,
sintetiche, diverse per tipo di preparazione e composizione chimico-fisica. Escludendo le
membrane biologiche, una membrana può essere definita come un elemento di separazione
(un’interfaccia) tra due fasi fluide, attraverso cui avviene il trasporto di specie chimiche da
una fase all’altra.
Tale interfaccia può essere omogenea e uniforme sia nella composizione che nella struttura,
oppure chimicamente e fisicamente eterogenea, con pori di dimensioni finite. Il
trasferimento di massa attraverso una membrana, può verificarsi per diffusione di singole
molecole o attraverso un flusso convettivo indotto da un campo elettrico o da un gradiente
di concentrazione, di pressione o di temperatura.
Le membrane possono essere classificate in base alla dimensione dei pori nel modo
seguente:
• membrane porose
• membrane dense
• membrane asimmetriche (porose con skin denso)
Le membrane porose presentano pori di varia forma e dimensione, ed il polimero di solito
occupa solo una piccola parte del volume totale. Il trasporto di materia, generato da
gradienti di pressione e/o di concentrazione e/o di potenziale elettrico avviene attraverso i
pori e risulta quindi dipendente dalle dimensioni di questi ultimi, oltre che da quelle delle
molecole di soluto. A seconda delle dimensioni dei pori possono essere ulteriormente
suddivise in microporose se il diametro dei pori è inferiore ai 10 m e macroporose se il
diametro dei pori supera i 10 m.
Le membrane dense non possiedono pori di dimensioni microscopiche intenzionalmente
creati, ma sono comunque dotate di vuoti costituiti dagli spazi tra le catene molecolari (il
cosiddetto “volume libero”) dell’ordine di 5-10 Å. In questo caso il trasporto di materia ha
Cap. 2 Introduzione
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luogo esclusivamente per fenomeni diffusivi, dovuti a differenze di concentrazione in
soluto tra le due fasi. Tali membrane trovano applicazione soprattutto nella separazione di
gas e nell’osmosi inversa e risultano idonee anche per impieghi in dialisi. Diffusività e
solubilità delle specie chimiche sono i parametri che regolano il trasporto di materia
attraverso le membrane dense.
Le membrane asimmetriche presentano una pellicola esterna (skin) densa molto sottile,
responsabile del comportamento selettivo della membrana e un supporto poroso di
maggiore spessore che facilita la malleabilità della membrana consentendo di operare
anche con elevati gradienti di pressione. Lo strato denso ha uno spessore di circa 0,1-0,5
m mentre quello poroso di 0,1-0,2 mm.
In generale, la velocità di trasporto attraverso una membrana dipende dal suo spessore, ma
spessori troppo bassi, sebbene aumentino la velocità di flusso, rendono le membrane più
fragili e imperfette. Le membrane asimmetriche, a parità di spessore, permettono di avere
flussi piuttosto elevati rispetto alle altre tipologie di membrana, è per questo che trovano
largo uso lì dove è necessario avere velocità di flusso elevate, come nella maggior parte
delle applicazioni industriali.
Le proprietà di trasporto in questo caso dipendono dallo skin superficiale, mentre il
supporto microporoso è responsabile delle caratteristiche meccaniche.
Particolari tipi di membrane sono quelle caricate elettricamente; queste possono essere
dense, ma in genere sono microporose e con la parete dei pori caricata con ioni positivi o
negativi. Naturalmente se gli ioni sono positivi, la membrana è a scambio anionico,
altrimenti a scambio cationico. La loro permeabilità dipende quindi dalla carica e dalle
dimensioni dei pori contemporaneamente.
Le membrane finora descritte sono costituite da polimeri organici, comunque sta crescendo
l’interesse verso membrane di materiali alternativi, come quelli ceramici, utilizzati ad
esempio per membrane microporose per processi di ultrafiltrazione.
2.1.1 Tipi di membrane e metodi di preparazione
I metodi di preparazione delle membrane sono diversi a seconda dell’uso a cui è destinata
la membrana e verranno illustrati in maniera dettagliata nel paragrafo dedicato
all’inversione di fase.
Cap. 2 Introduzione
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Membrane dense simmetriche
Vengono usate principalmente nel campo degli imballaggi, ma anche in laboratorio durante
esperimenti di separazione. Poiché è piuttosto difficoltoso preparare delle membrane di
questo tipo senza difetti e con uno spessore inferiore ai 20 µm, ed essendo spesso il flusso
attraverso tali membrane lento, per questo sono principalmente utilizzate in ambito dei
laboratori di ricerca e hanno un minor impatto sulle applicazioni industriali rispetto alle
membrane microporose.
Le tecniche di preparazione sono principalmente due: evaporazione di solvente (casting) o
compressione dei polimeri allo stato solido (sinterizzazione). In questo ultimo caso si
ottengono membrane con un’eccellente resistenza meccanica, ma con alcuni pori di
dimensione elevata (1µm) [1].
Membrane microporose simmetriche
Sono ampiamente usate nella microfiltrazione, hanno pori le cui dimensioni sono comprese
in un range di 0,1-10 µm. Le dimensioni caratteristiche di tali membrane sono il diametro
dei pori (d), la porosità (ε) e la tortuosità (τ) che rappresenta la lunghezza dei pori rispetto
allo spessore della membrana.
Possono essere preparate per “bombardamento” mediante radiazioni, per stretching, per
rilascio di un template [1].
Membrane asimmetriche
Le prime membrane di questo tipo furono quelle preparate con la tecnica di Loeb-
Sourirajan in acetato di cellulosa per la desalinizzazione dell’acqua. Attualmente i processi
di preparazione di membrane asimmetriche sono tanti, tra cui la tecnica originaria. In ogni
caso, il principio base per la preparazione di membrane asimmetriche è l’inversione di fase,
conosciuta anche come precipitazione polimerica.
L’inversione di fase avviene per precipitazione di una soluzione polimerica con la
conseguente formazione di due fasi, una fase solida, ricca in polimero che costituisce la
matrice della membrana, ed una liquida, povera di polimero, costituente i pori della
membrana
La precipitazione polimerica può avvenire per raffreddamento, per evaporazione del
solvente, per immersione in un controsolvente o in fase vapore per assorbimento di umidità
o di un controsolvente.
Cap. 2 Introduzione
6
2.1.2 Applicazioni delle matrici porose
Le principali applicazioni delle matrici porose in ambito biomedico sono:
• membrane per dialisi ed ultrafiltrazione
• sistemi a rilascio controllato di farmaco
• scaffold per ingegneria tissutale
Membrane per dialisi ed ultrafiltrazione
La possibilità di mantenere in vita pazienti in cui la funzione renale è insufficiente o
completamente compromessa rappresenta uno dei più grandi progressi della medicina. La
funzione che deve esplicare un rene artificiale è quella di mantenere l'omeostasi corporea,
cioè fare in modo che ogni sostanza venga mantenuta al corretto valore di concentrazione.
L'emodialisi extracorporea è la metodica dialitica principalmente impiegata per la
rimozione dei rifiuti metabolici dal circuito ematico e dell'acqua accumulatasi
nell'organismo. L'apparecchiatura utilizzata è comunemente denominata rene artificiale. Il
sangue proveniente dal paziente arriva al filtro dializzatore per mezzo della linea arteriosa e
ritorna depurato al paziente, dopo aver attraversato il filtro, lungo la linea venosa (Fig. 2.1).
Fig. 2.1 Schema del processo di purificazione extracorporea del sangue
I dializzatori più frequentemente impiegati sono quelli a fibre cave. Queste ultime sono
fissate su due piastre di poliuretano e l'intero modulo è inserito in una cartuccia di
policarbonato (Fig. 2.2).
Cap. 2 Introduzione
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Fig. 2.2 Immagine di dializzatori a fibre cave
Le fibre separano due compartimenti (lo spazio all'interno delle fibre e quello che circonda
le fibre all'interno della cartuccia) nei quali circolano in controcorrente, per massimizzare
lo scambio di materia, il sangue ed il liquido di dialisi; sono realizzate con una membrana
che deve essere permeabile ai metaboliti da rimuovere ed all'acqua, impermeabile alle
proteine ed ai composti necessari all'organismo, deve possedere adeguata resistenza
meccanica, buona emocompatibilità per minimizzare la formazione di trombi ed i fenomeni
di emolisi, non deve rilasciare sostanze tossiche, cancerogene o contaminanti nel sangue,
ed attivare le reazioni del sistema immunitario. Le membrane utilizzate possono essere
distinte in tre categorie: quelle di cellulosa, di polimeri derivati dalla cellulosa e quelle
sintetiche (soprattutto polisulfone, policarbonato, polimetilmetacrilato e poliacrilonitrile).
Le reazioni di incompatibilità verso i materiali impiegati nei dializzatori possono essere
influenzate dal processo di sterilizzazione impiegato e dalla presenza di plastificanti.
Alcuni residui della sterilizzazione possono, infatti, rimanere legati ai materiali a contatto
con il sangue ed essere rilasciati nella corrente sanguigna con effetti negativi; inoltre i
plastificanti aggiunti al materiale polimerico per migliorarne le prestazioni possono migrare
nel sangue del paziente [2].
Sistemi a rilascio controllato di farmaco
I sistemi a rilascio controllato di farmaco sono tradizionalmente utilizzati per trattare stati
patologici locali che riguardano specifici siti anatomici o per controllare risposte biologiche
avverse che si verificano localmente in seguito all’impianto di un dispositivo medico [3].
Questo tipo di sistemi verrà approfondito in maniera dettagliata nei prossimi paragrafi.
Cap. 2 Introduzione
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Scaffold per ingegneria tissutale
Uno “scaffold” è una matrice polimerica tridimensionale che svolge la funzione di
impalcatura di supporto per la crescita delle cellule in una conformazione quanto più simile
ad un tessuto. Il biomateriale è conformato in modo tale da permettere l’omogenea
colonizzazione delle cellule ed è caratterizzato da una degradazione controllata. Deve
possedere porosità elevata e tridimensionale con una rete di interconnessione di pori tale da
permettere la crescita cellulare, il trasporto dei nutrienti e l’eliminazione dei cataboliti; il
diametro dei pori solitamente è compreso tra 200 e 400 m [4].
2.2 Sistemi a Rilascio Controllato
La tecnologia dei sistemi polimerici a rilascio controllato rappresenta una scienza in
continuo sviluppo ed in cui diverse discipline, dalla biologia alla medicina, dalla chimica
all’ingegneria chimica, cooperano nella cura della salute umana.
Con i tradizionali trattamenti farmacologici, una gran parte di patologie non dà risposte
adeguate al trattamento effettuato. Questo problema risulta essere molto evidente nel caso
in cui l’accessibilità del farmaco ad una zona affetta da patologie risulta problematica tanto
da rendere preferibile un trattamento basato sul rilascio topico e mirato del farmaco. Questi
sistemi vengono sviluppati nell’ottica di garantire un flusso ragionevolmente costante (che
si avvicini a condizioni di velocità di rilascio di ordine zero rispetto al tempo) di farmaco al
paziente per una durata progettata per ottenere l’effetto desiderato. Un confronto tra una
somministrazione pulsata di farmaco ed una continua è riportata in fig. 2.3:
Fig. 2.3 Concentrazione del farmaco nel sito di azione terapeutica nel caso di iniezioni ripetute e nel caso di
rilascio
Cap. 2 Introduzione
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I dispositivi medici, quando vengono impiantati, possono essere limitati nelle loro
prestazioni e nella loro vita funzionale a causa di una loro incompleta biocompatibilità.
Alcuni tipi di risposte biologiche, quali le infezioni, le infiammazioni o la trombogenesi,
possono, infatti, inibire il funzionamento dell’impianto. In casi del genere, possono essere
somministrati al paziente in maniera sistemica degli agenti farmacologici per migliorare le
prestazioni dell’impianto. In alcuni casi, questo tipo di approccio risulta essere insufficiente
o del tutto inefficiente. Per questo motivo sono state sviluppate delle metodologie per il
rilascio topico di farmaco o terapie combinate che prevedono l’utilizzo di un impianto a
rilascio controllato e locale di farmaco. Un sistema combinato di questo tipo prevede
l’utilizzo di un dispositivo impiantabile rivestito da un sottile strato contenente il farmaco.
In alternativa, può essere effettuato l’impianto di una matrice a rilascio controllato nei
pressi dei tessuti colpiti da patologie che necessitano di una cura farmaceutica controllata
per un determinato periodo di tempo [5].
Le applicazioni più diffuse in ambito terapeutico di rilascio di farmaco riguardano sistemi
impiantati (cemento per ossa, sistemi intraoculari, stent coronarici), membrane per
emofiltrazione, sistemi transdermici.
2.2.1 Rilascio da sistemi impiantati
Attraverso l’utilizzo di rivestimenti polimerici a rilascio di farmaci è possibile migliorare le
caratteristiche di molti impianti.
Impianti cardiovascolari
Anche in campo cardiovascolare vengono sempre più spesso utilizzati rivestimenti
superficiali a rilascio controllato di farmaci. I dispositivi utilizzati più comunemente nella
cardiologia interventistica sono gli stents coronarici.
Cap. 2 Introduzione
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Fig. 2.4 Rappresentazione di arteria stenotica prima e dopo l’impianto di uno stent coronarico
Gli stents coronarici sono dispositivi medici con struttura tubolare a maglia metallica i
quali vengono collocati a mezzo catetere all’interno di arterie stenotiche ed hanno il
compito di ripristinare la normale circolazione sanguigna. Introdotti allo scopo di risolvere
il problema del ritorno elastico dell’arteria in seguito all’angioplastica, svolgono
essenzialmente un’azione meccanica di mantenimento del lume di passaggio. I materiali
usati per la loro biocompatibilità ed emocompatibilità sono AISI 316L, Nitinol e metalli
carborivestiti (rivestimento con carbonio pirolitico).
Oltre ad eventuali infezioni, uno dei problemi connessi all’applicazione di tali dispositivi
riguarda la possibilità dell’insorgere di restenosi, un processo di eccessiva cicatrizzazione
dovuta alla proliferazione delle cellule muscolari lisce della parete del vaso che crea una
riocclusione parziale o totale dell’arteria anche dopo poche settimane dall’intervento. I
meccanismi alla base del fenomeno, ad oggi non completamente compresi, sono stati in
generale ricondotti ad una serie di concause. Sicuramente lo stretching meccanico
esercitato sul vaso nel momento della dilatazione riveste un ruolo essenziale
nell’attivazione di fattori biochimici che determinano l’insorgere di processi di
proliferazione delle cellule muscolari lisce che costituiscono la tunica media. A questo si
deve aggiungere lo stress meccanico continuo causato dal contatto dello stent con la parete
vasale durante il movimento associato al battito cardiaco. Infine gioca un ruolo certamente
significativo la biocompatibilità complessiva del dispositivo che può provocare una
reazione da corpo estraneo.
Essendo la restenosi una patologia vera e propria, essa è curata tramite l’utilizzo di farmaci.
Tra i farmaci utilizzati per trattare la restenosi vanno ricordati gli agenti che inibiscono la
proliferazione delle cellule e la loro migrazione, ma anche agenti che inibiscono le
infiammazioni, che si sospetta siano tra le cause della proliferazione cellulare.
Cap. 2 Introduzione
11
La restenosi può essere curata tramite una tradizionale cura farmaceutica ma questo tipo di
patologia necessita di una cura topica, ossia localizzata nel sito colpito, e controllata nel
tempo.
Quando l’azione meccanica dello stent non è sufficiente oppure nel caso in cui si voglia
evitare la possibilità del verificarsi di una restenosi l’utilizzo di stent a rilascio controllato
di farmaco (Drug Eluting Stent, DES) diviene particolarmente indicato. In questo caso, lo
stent viene rivestito con un film polimerico contenente un farmaco che viene rilasciato nel
tempo in maniera controllata.
Gli studi riguardanti questi dispositivi innovativi sono ancora in corso e, soltanto in pochi
casi i drug eluting stent hanno avuto applicazioni pratiche [6]. Numerosi sono i dispositivi
di diverse aziende nel mondo che sono in questo momento ancora in fase di
sperimentazione in vitro ed in vivo, e soggette, per esempio, alla valutazione ed
approvazione della Food and Drug Administration (FDA) americana. I farmaci utilizzati
più comunemente nei DES sono antitumorali, immunosoppressori, antibiotici,
antinfiammatori, antitrombotici e antiproliferativi.
L’utilizzo dei DES unisce i benefici derivanti dall’azione meccanica dello stent a quelli
dovuti al rilascio dell’agente attivo il quale, se rilasciato direttamente in situ, presenta
un’azione altamente efficace nel contrastare i fenomeni indesiderati [3].
In questo ambito, la realizzazione di membrane polimeriche porose a rilascio di farmaco
per il rivestimento di dispositivi endovascolari può avere un impatto elevato associato alla
possibilità di controllare cineticamente il dosaggio del componente farmacologico in situ.
In questo senso anche l’utilizzo come materiale base per la realizzazione dei sistemi porosi
del polimero PMMA lascia aperta la possibilità dell’applicazione in ambito cardiovascolare
delle membrane oggetto del presente lavoro di Tesi, essendo tale polimero “sicuro” e
largamente utilizzato in ambito biomedico, ed essendo i polimeri acrilici utilizzati in
ambito cardiovascolare [7].
Impianti ortopedici
Le cause che possono rendere necessario l'impianto di una protesi ortopedica sono
molteplici: artrosi, cioè la degenerazione delle cartilagini articolari, eventi traumatici,
patologie legate all'invecchiamento, come l'osteoporosi, cancro osseo e necrosi del tessuto
osseo.
Uno dei principali obiettivi della progettazione di una protesi ortopedica è quello di fare in
modo che il tessuto osseo dell'organismo ospite dopo l'impianto sia sottoposto a
Cap. 2 Introduzione
12
sollecitazioni il più simili possibile a quelle fisiologiche allo scopo di conservare l'integrità
e la funzionalità del materiale protesico e dell'osso e di stimolare la ricrescita di
quest’ultimo durante tutta la vita del paziente.
La protesi d’anca (fig. 2.5) è quella maggiormente impiantata ed è quella su cui si sono
ottenuti i migliori risultati.
Fig. 2.5 Schematizzazione e immagine dei componenti una protesi d’anca
Gli impianti ortopedici possono presentare difficoltà nell’integrarsi con il tessuto nativo,
provocando infiammazioni che, nelle forme più gravi, possono portare al fallimento
dell’impianto. Negli impianti ortopedici un metodo per migliorare l’integrazione con l’osso
o la cartilagine è quello di introdurre opportuni fattori di crescita in un rivestimento
superficiale dell’impianto. Il rilascio localizzato di questi fattori può accelerare il processo
di guarigione e di osteointegrazione e migliorare l’adesione interfacciale tra l’impianto e
l’osso nativo [2].
Riportiamo alcuni esempi di sistemi a rilascio controllato di farmaci in impianti ossei:
Sistemi con cementi acrilici: la gentamicina solfato, un antibiotico aminoglicoside con un
ampio spettro antibatterico, viene spesso incorporata in cementi per ossa acrilici per
prevenire infezioni delle ossa. Inoltre viene usato in sistemi impiantabili a base di PMMA
per curare infezioni delle ossa in corso.
Il PMMA senza difetti è impermeabile alla gentamicina [8] per cui il rilascio di tale
antibiotico probabilmente è dovuto alla presenza di difettosità e microvuoti nel materiale
acrilico. La cinetica di rilascio è controllata dalla rugosità superficiale e dalla porosità, che
condizionano la penetrazione del fluido di dissoluzione nella matrice polimerica, ed
Cap. 2 Introduzione
13
avviene con un meccanismo di dissoluzione-diffusione. Per questo gran parte
dell’antibiotico caricato (anche più del 90%) rimane intrappolato nella matrice. Studi
recenti per aumentare il grado di vuoto prevedono l’aggiunta al polimero di base di additivi
biocompatibili idrosolubili, come il polivinilpirrolidone PVP o l’impiego di copolimeri del
metilmetacrilato MMA (idrofobico) con monomeri idrofilici biocompatibili come ad
esempio il 2-idrossietil metacrilato (HEMA) [8].
Sistemi con cemento a base di apatite: il cemento a base di apatite è costituito da una
miscela equimolecolare di fosfato tetracalcico e fosfato bicalcico biidrato. Sistemi con
cemento a base di idrossiapatite (HAP) vengono studiati per il rilascio di proteine
morfogenetiche (BMP) per la crescita e la differenziazione di tessuto osseo [9].
Inoltre sono attualmente allo studio sistemi impiantabili di cemento a base di apatite
caricato con estradiolo che è provato essere efficace nella cura dell’osteoporosi [10].
Sistemi con cementi HCPC (fosfato di calcio idrato): molti studi recenti hanno mostrato
che il fosfato di calcio idrato, già utilizzato come cemento per ossa per la sua
riassorbibilità, biocompatibilità e osteoconduttività, può essere anche usato come sistema
impiantabile di rilascio di peptidi, antibiotici, farmaci anticancro e proteine morfogenetiche
per ossa. Questo sistema può rappresentare un’efficiente soluzione per il trattamento delle
malattie delle ossa come tumori, osteoporosi, osteomieliti che usualmente richiedono
terapie lunghe e dolorose [11].
Sistemi con ceramiche β-fosfato tricalcico (β-TCP): il β-TCP è riassorbibile e
osteoconduttivo per cui si sta studiando per la realizzazione di sistemi ceramici impiantabili
caricati con gentamicina fosfato e altri farmaci. Il vantaggio rispetto ai sistemi a base di
PMMA è che questi non necessitano della rimozione dopo il rilascio completo del farmaco
[11].
Impianti oftalmici
Un altro campo in cui sta sempre più prendendo piede l’utilizzo di impianti con
rivestimenti a rilascio controllato di farmaco è quello oftalmico. La maggior parte delle
patologie che riguardano la vista come le problematiche legate all’età, le retinopatie causate
dal diabete, le vascolarizzazioni e le uveiti, possono provocare danni alla retina e
fotosensibilità. Spesso è difficile far giungere il farmaco alla retina mediante il flusso
sanguigno. Inoltre, risulta complesso immettere il farmaco dalla superficie esterna
dell’occhio a causa della barriera diffusionale costituita dai tessuti che rivestono l’occhio
esternamente. Di conseguenza, il metodo ottimale per somministrare il farmaco è risultato
Cap. 2 Introduzione
14
essere quello tramite un impianto a rilascio controllato collocato nelle camere interne
dell’occhio. La tecnologia sviluppata in questo campo è simile a quella utilizzata per i
dispositivi endovascolari e consiste nell’impianto di una matrice ricoperta da un
rivestimento contenente il farmaco. La durata della cura può essere variabile in base alla
patologia e per questo motivo vengono utilizzati sistemi polimerici di diverse composizioni
per regolare la cinetica di rilascio [3].
Attualmente esistono ricerche volte a sviluppare lenti a contatto a rilascio controllato di
farmaco che possano rappresentare una valida alternativa alla tradizionale
somministrazione di gocce negli occhi o all’iniezione subcongiuntivale per il trattamento di
complicazioni oculari che vanno dalla secchezza al glaucoma [12].
Mediante la somministrazione farmacologica via gocce si rischia spesso che il flusso vada
dove non richiesto. Infatti spesso le gocce si mescolano con le lacrime e drenano attraverso
la cavità nasale da dove, attraverso il flusso sanguigno, possono raggiungere alcuni organi
con seri effetti collaterali. In più in questo modo il dosaggio è inconsistente e difficile da
regolare e spesso la maggiorparte del farmaco viene rilasciato inizialmente.
Il rilascio da lenti a contatto rappresenta un’alternativa indolore, sicura e più efficiente per
il rilascio oftalmico di farmaco; rispetto alle altre metodologie permette di ottenere
concentrazioni di farmaco più alte e uniformi attraverso un rilascio lento ed esteso che
porta ad una maggiore efficienza della cura. Usando differenti materiali e farmaci questa
tecnologia ha la flessibilità per essere definita ed utilizzata per vari trattamenti come ad
esempio per la correzione della vista, la secchezza oculare, l’ulcera corneale e glaucoma. I
metodi di preparazione di questi sistemi oftalmologici prevedono in genere la
preimmersione delle lenti in una soluzione del farmaco per il suo caricamento o in
alternativa la realizzazione di un vero e proprio serbatoio all’interno della lente contenente
il principio attivo [13].
2.2.2 Rilascio da sistemi transdermici
Esistono vari tipi di sistemi transdermici, dai più semplici cosiddetti cerotti "piatti" (che
rilasciano il farmaco per un breve periodo di tempo) ai più complessi composti da quattro
strati (fig 2.6): un isolante esterno, un serbatoio contenente il farmaco, una membrana
porosa di polipropilene che controlla il ritmo del rilascio lento e continuo, ed infine un
ultimo strato che grazie ad un solvente oleoso permette al farmaco di raggiungere lo strato
Cap. 2 Introduzione
15
profondo della pelle nel quale si trovano i vasi sanguigni [14].
1_strato isolante esterno 2_serbatoio farmaco 3_membrana porosa 4_strato oleoso
Fig 2.6: Schematizzazione di un cerotto a 4 strati
Il passaggio del principio attivo attraverso la cute, definito per questo motivo transdermico,
offre molti vantaggi a cominciare dalla concentrazione plasmatica costante. La sostanza
infatti penetra direttamente nel sangue per un periodo prolungato e senza variazioni
rilevanti. Si evita così di sovraccaricare l'organismo e di non rimanere scoperti dall'azione
del farmaco già dopo qualche ora come avviene con le comuni compresse. Inoltre, la via
transdermica offre anche il doppio vantaggio di ridurre le perdite di sostanza farmacologica
determinate dal metabolismo del fegato e di non subire l’interferenza dei cibi.
In definitiva, i sistemi transdermici costituiscono un tipo di somministrazione razionale e
assai più comodo soprattutto per coloro che devono seguire lunghe terapie andando
incontro talvolta ad inopportune dimenticanze. L'unico inconveniente di questi prodotti è
l'arrossamento della zona di applicazione.
I sistemi terapeutici transdermici (o cerotti) sono sistemi multilaminati che sono applicati
sulla pelle per semplice pressione, come i normali cerotti. Pur appartenendo a tipologie
diverse, essi presentano alcuni elementi comuni: un backing, strato impermeabile che
svolge la funzione di sostegno e di protezione e che non permette la dispersione del
principio attivo all'esterno; uno strato adesivo, che consente il posizionamento del cerotto
in una porzione dell'organismo e lo mantiene in posizione durante l'applicazione, ed il
deposito di farmaco. Offrono il grande vantaggio di non essere invasivi per il paziente,
poiché vengono applicati sulla pelle come un semplice cerotto. Tuttavia, i farmaci in
commercio sotto forma di cerotti transdermici non sono molto numerosi (scopolamina,
nitroglicerina, estradiolo, clonidina, fentanile, nicotina, testosterone). Le sempre maggiori
conoscenze acquisite sui farmaci transcutanei e la disponibilità di sostanze che ne facilitano
e ne potenziano l'assorbimento aprono nuove possibilità all'utilizzo dei sistemi
transdermici.