v
Riassunto del Lavoro di Tesi
In questo lavoro di tesi sono stati preparati e caratterizzati dei nuovi
organo(trialcossi)silani, contenenti il gruppo perfluorofenil azide (PFPA). L’interesse per
questo tipo di composti è giustificato dalla loro potenziale applicabilità per l’ancoraggio
covalente di grafene sulla silice. Infatti, le PFPA si sottopongono efficientemente a
reazioni di inserzione in legami C-H, C=C, ecc., attraverso un meccanismo che coinvolge
la formazione del perfluorofenilnitrene nello stato di singoletto. Quest’ultimo può tuttavia
seguire percorsi alternativi che, attraverso il corrispondente intermedio chetenimminico,
conducono a prodotti polimerici. La presenza degli atomi di fluoro nelle posizioni 2, 3, 5 e
6 consente di sopprimere queste reazioni collaterali, aumentando l’efficienza della reazione
di inserzione. Nel caso in cui le PFPA contengano altri gruppi reattivi, come -Si(OR)
3
,
questi composti consentono di ancorare in modo covalente su un supporto inorganico,
come la silice o altri ossidi metallici, numerosi sistemi molecolari, sfruttando la differente
reattività dei due gruppi.
Il gruppo PFPA contenuto nei composti considerati in questo lavoro di tesi è stato
preparato sfruttando la reazione tra l’NaN
3
e il sale di diazonio dell’acido 4-
amminotetrafluorobenzoico, per ottenere l’acido 4-azidotetrafluorobenzoico (denotato con
il numero sequenziale 20 nella tesi) con una resa del 91 %. Quest’ultimo, è stato poi fatto
reagire come estere attivato dell’NHS con l’amminopropiltrimetossisilano, ottenendo il
silano 29 con una resa del 74 %. Nel caso dei silani 30 e 31, l’estere attivato 23 è stato fatto
reagire rispettivamente con l’etilendiammina e la trans-1,4-diamminocicloesano, per
ottenere gli intermedi sintetici 39 e 40 con rese del 72 e 52 % che, per successiva reazione
con l’isocianatopropiltrietossisilano hanno fornito i prodotti desiderati con rese del 99 e 87
%.
Tutti questi composti sono stati poi impiegati per la funzionalizzazione della
superficie di wafer di silicio/ossido di silicio, seguendo due modalità alternative di
pretrattamento della superficie: trattamento con la soluzione Piranha ed esposizione al
plasma di ossigeno. Le superfici modificate chimicamente sono state analizzate mediante
misura dell’angolo di contatto, che ha mostrato un migliore risultato, in termini di
vi
omogeneità e grado di funzionalizzazione, nel caso della pre-esposizione al plasma di
ossigeno.
Successivamente sono state condotte delle prove di immobilizzazione del grafene
sulle superfici silanizzate. Il metodo riportato in letteratura, che prevede
l’immobilizzazione covalente diretta del grafene sulla superficie silanizzata in condizioni
di alta pressione e riscaldamento non ha fornito buoni risultati. Pertanto, è stata seguita una
procedura alternativa in cui il grafene è stato prima adsorbito fisicamente sulla superficie e
poi attivato al legame covalente con i silani attivati. L’adsorbimento fisico di grafene sulla
superficie dei silani è stato effettuata mediante esfoliazione meccanica; tale metodo ha
portato ad una dispersione superficiale del grafene con buona omogeneità (in alcune
regioni anche come monostrato), così come verificato mediante spettroscopia Raman e
AFM. Successivamente, la formazione di legami covalenti tra silani e grafene deposto è
stata attivata mediante trattamento termico. L’analisi delle superfici ottenute ha mostrato
l’effettiva presenza (sebbene in quantità limitate) di materiale grafenico non rimuovibile
mediante lavaggio con N-metil pirrolidone sotto sonicazione. È da notare che secondo la
letteratura questa procedura di lavaggio permette di discriminare il grafene effettivamente
immobilizzato covalentemente.
1
1. Introduzione
1.1. Il Grafene
Il termine grafene deriva dalla combinazione di grafite e il suffisso -ene,
1
per
indicare uno strato di atomi di carbonio ibridizzati sp
2
e disposti in una struttura a nido
d’ape. Il grafene costituisce uno stato allotropico del carbonio e rappresenta il mattone per
altri importanti allotropi di questo elemento; esso può infatti essere avvolto per formare
fullereni, arrotolato per dare nanotubi
e impilato per formare la grafite
(Figura 1).
2,3
A partire dal 2004, anno
in cui Geim e Novoselov sono riusciti
ad isolare per la prima volta un
campione mono-strato dalla grafite,
4
si
è assistito ad un crescente interesse
per questo materiale in ambito
accademico, nel campo della fisica,
chimica, biotecnologia e scienze dei
materiali, come anche nel settore
tecnologico e industriale. Il suo grande
successo è dovuto sia perché si
pensava che i cristali bidimensionali non fossero termodinamicamente stabili, sia per le sue
esclusive proprietà fisiche con le quali potrebbe potenzialmente rivoluzionare nume-rosi
settori tecnologici, come transistor, circuiti integrati, display, sensori e materiali
nanocompositi.
5
Infatti, il grafene, che rappresenta il materiale conosciuto più “sottile”,
oltre a possedere una struttura cristallina stabile, esibisce un’eccezionale conducibilità
elettrica e termica, flessibilità meccanica, elevata resistenza alla rottura, trasparenza ottica,
basso coefficiente di espansione termica e alta area di superficie specifica.
6
Figura 1. Il grafene costituisce la struttura madre per i
fullereni (a sinistra), i nanotubi (al centro) e la grafite (a
destra).
2
Queste interessanti proprietà rendono possibile l’implementazione del grafene in
differenti campi di applicazioni come la biomedicina, materiali compositi rinforzati,
catalisi, dispositivi per la conversione e stoccaggio dell’energia. Molto probabilmente
questo materiale giocherà un importante ruolo nella fabbricazione di dispositivi nano-
elettronici e bio-elettronici, determinando la sostituzione dei conduttori metallici oggi
utilizzati, grazie alle sue eccezionali proprietà elettriche.
Il primo metodo messo a punto per la produzione di singoli strati di grafene
consiste nell’esfoliazione meccanica della grafite, mediante l’utilizzo del nastro adesivo, e
successiva deposizione su un supporto si silice attivata.
4
Questo approccio, se da un lato
consente l’ottenimento di grafene di altissima qualità, dall’altro risulta difficile da
controllare e poco efficiente in termini di resa di grafene mono-strato (“monolayer”). In
questi ultimi anni sono stati sviluppati numerosi metodi alternativi che comprendono la
crescita epitassiale su carburo di silicio, la deposizione chimica da vapore (Chemical
Vapor Deposition, CVD), la CVD assistita da plasma, l’impiego di una scarica elettrica ad
arco, lo srotolamento dei nanotubi e l’esfoliazione della grafite in solvente organico.
7
In
particolare, con i metodi CVD è possibile produrre superfici di grafene molto grandi, come
riportato da Bae et al..
8
1.2. Funzionalizzazione del Grafene
Sin dalla sua scoperta il grafene ha attratto un enorme interesse grazie alle sue
uniche proprietà fisiche che, come già illustrato nella sezione precedente, lo rendono un
promettente candidato in numerose applicazioni nanotecnologiche, per le quali i materiali
attuali presentano funzionalità limitate. Nonostante le possibili applicazioni di questo
materiale e l’ampia ricerca svolta fino ad oggi, esistono ancora diversi problemi da
superare per sfruttare appieno le sue grandi potenzialità, come ad esempio la mancanza di
opportuni metodi per produrre grafene su larga scala e per creare delle nanostrutture
(“pattern”) di grafene ben definite. Inoltre se da un lato il grafene presenta un’elevata
conducibilità elettrica grazie all’estesa condensazione π, dall’altro per un suo impiego
come semiconduttore, capace di soppiantare il silicio e di superare i limiti previsti dalla
legge di Moore, è necessaria la creazione di una differenza (“gap”) energetica tra le due
bande elettroniche. Un’ulteriore complicazione nella processabilità del grafene è costituita
dalla sua scarsa solubilità in solventi organici e dalla sua alta tendenza ad aggregare in
soluzioni acquose.
9
Questi problemi rendono difficoltosi anche gli usi relativamente più
3
semplici del grafene come l’integrazione con matrici polimeriche e altri substrati, inclusi
quelli di tipo biologico.
10
Apparentemente, per queste applicazioni è infatti indispensabile
un’alterazione delle proprietà della superficie del grafene in modo da ottenere delle
dispersioni stabili in vari solventi.
La funzionalizzazione chimica dei nano-oggetti rappresenta in generale uno dei
principali metodi sia per la manipolazione delle loro proprietà chimico-fisiche sia per
studiare i meccanismi di interazione dei nano-oggetti con l’ambiente esterno.
11
Nel caso
del grafene si è visto che la modifica chimica della struttura permette (i) il cambiamento e
il controllo delle proprietà elettroniche attraverso la formazione di un gap energetico tra la
banda di valenza e quella di conduzione;
12,13
(ii) l’aumento della solubilità nei comuni
solventi organici e della compatibilità con vari polimeri o altri substrati. Quest’ultima
caratteristica è risultata finora indispensabile ad esempio per l’impiego del grafene in
dispositivi a cristalli liquidi,
14
in polimeri compositi
15
o in materiali per
l’immagazzinamento dell’energia.
16
Da un punto di vista chimico il grafene può essere considerato come un enorme
sistema policiclico aromatico, costituito esclusivamente da carboni sp
2
coniugati (Figura
2A). Grazie quindi alla forte interazione di tutti gli orbitali atomici p
z
, il grafene risulta
chimicamente inerte, perlomeno verso l’addizione covalente di altri atomi o molecole
esterne. D’altro canto queste caratteristiche elettroniche lo rendono versatile nelle reazioni
di complessazione con composti organici o metalli di transizione attraverso interazioni π-π,
H-π e metallo-π. Gli orbitali di antilegame π
*
associati possono invece accogliere elettroni,
rendendo favorevoli le interazioni tra il grafene e le particelle elettron-ricche come ioni e
metalli alcalini.
9
A B C
Figura 2. Origine della reattività chimica del grafene. (A) Reattività intrinseca derivante da un sistema π π π π
delocalizzato. (B) Buca del piano. (C) Struttura locale di una superficie curva di grafene.
4
Le funzionalizzazioni chimiche del grafene possono essere suddivise in due
categorie: modifiche covalenti e non covalenti. In quest’ultimo tipo di approccio è
possibile ancorare piccole molecole
organiche sulla superficie del
grafene, sfruttando le interazioni
elettrostatiche deboli (forze di van
der Waals e/o interazioni π-π) senza
distruggere l’estesa coniugazione π.
I sistemi maggiormente impiegati in
questo contesto sono gli
esabenzocoroneni 1,
17
i derivati
porfirinici
18
e i derivati del pirene,
19
quale ad esempio l’1-pirenebutirrato di sodio 2.
20
Attraverso una modifica delle
caratteristiche elettroniche delle molecole aromatiche è possibile modulare la densità
elettronica del grafene. Un esempio è costituito dal complesso creato impiegando il sale
sodico dell’acido pirene-1-solfonico 2 come donatore elettronico e il sale disodico
dell’acido 3 come accettore elettronico.
21
Inoltre le cariche negative in entrambe le
molecole garantiscono un’intensa e statica forza di repulsione tra i diversi fogli di grafene
caricati negativamente in soluzione, determinando un’alta resa in monolayer.
La funzionalizzazione covalente rappresenta invece un metodo con cui è possibile
modificare notevolmente la struttura geometrica ed elettronica del grafene, attraverso la
formazione di veri e propri legami covalenti. Quest’ultimi possono coinvolgere in linea di
principio atomi di carbonio che si trovano nel piano o nei bordi del grafene e che risultano
strutturalmente differenti, determinando comunque in entrambi i casi una re-ibridazione da
sp
2
a sp
3
dell’atomo di carbonio interessato. Durante l’addizione covalente, gli atomi di
carbonio interni che sono vincolati nel piano devono sporgersi fuori dal piano per adottare
una geometria tetraedrica sp
3
, introducendo una tensione nel piano e aumentando
notevolmente l’energia della struttura. Viceversa, gli atomi di carbonio dei bordi possono
invece adottare geometrie tetraedriche più liberamente. È per questo motivo che i carboni
esterni sono i siti preferenziali per l’addizione covalente.
9
Considerando inoltre che gli
orbitali molecolari sono maggiormente localizzati sui bordi a “zigzag”, questi risultano
particolarmente reattivi.
22,23
Per la stessa ragione, le “buche” create all’interno del piano
SO
3
-
Na
+
N N
O
O O
O
+
Na
-
O
3
S SO
3
-
Na
+
1
2
3
5
costituiscono delle zone del grafene molto reattive (Figura 2B). Un ultimo aspetto da
considerare è la curvatura dello strato di grafene che riduce la sovrapposizione dell’orbitale
atomico p
z
di un carbonio con gli orbitali p
z
dei tre atomi di carbonio adiacenti (Figura 2C).
La curvatura della superficie del grafene produce degli stati localizzati a più alta energia
che incrementano la reattività del carbonio.
Le funzionalizzazioni covalenti possono essere convenientemente suddivise sulla
base del tipo di substrato di grafene utilizzato che può essere ossido di grafene (GO) o
grafene puro. Queste due metodologie che sono ampiamente trattate qui di seguito si
differenziano per il tipo di pretrattamento applicato sulla grafite di partenza. Il
pretrattamento mira ad agevolare l’esfoliazione dei vari strati di grafene e all’ottenimento
di sospensioni stabili, più facilmente processabili.
1.2.1. L’Ossido di Grafene (GO) e le sue Modifiche Covalenti
Proprietà Strutturali dell’Ossido di Grafene
L’ossidazione della grafite con i diversi metodi illustrati più avanti fornisce un
composto costituito da carbonio, ossigeno e idrogeno in rapporti variabili e chiamato
ossido di grafite. La struttura chimica dell’ossido di grafite è stata in questi anni oggetto di
un intenso dibattito e ancora oggi non esiste un
modello univoco. Ciò è dovuto da un lato alla
complessità del materiale in questione e al suo
carattere amorfo (es. la sua composizione dipende
dalle condizioni di sintesi) e dall’altro alla
mancanza di precise tecniche analitiche per la
caratterizzazione di questi sistemi.
24
L’ossido di grafite consiste in una
sovrapposizione di strati di atomi di carbonio
altamente idrofili (ossido di grafene o GO) in cui, al
contrario del grafene puro, la rete di legami tra i
carboni sp
2
è fortemente distrutta e una significativa
frazione di quest’ultimi è legata a gruppi
Figura 3. Rappresentazione dei modelli
strutturali proposti per l’ossido di grafite.
6
ossigenati.
25
Molti dei modelli strutturali proposti per l’ossido di grafene invocano la
presenza di unità ripetitive discrete (Figura 3).
26
Originariamente Hofmann e Holst
proposero nel 1939 una struttura in cui l’ossigeno è legato agli atomi di carbonio attraverso
legami epossidici e avente una formula empirica ideale di C
2
O. Successivamente Ruess
propose uno strato rugoso di carboni costituito da cicloesani condensati in cui il quarto
legame degli atomi di carbonio saturi è condiviso con dei gruppi ossidrilici assiali e
contenente gruppi epossidici in posizione 1,3. Questo modello fu il primo a considerare il
contenuto di idrogeno nell’ossido di grafite. Nel 1969, Scholz e Boehm ipotizzarono
l’assenza di ossigeni eterei e la presenza di strati di carbonio corrugati costituiti da strutture
chinoniche. Un altro modello di rilievo è quello proposto da Nakajima e Matsuo in cui si
assume una struttura simile a quella del poli(monofloruro di dicarbonio) (C
2
F)
n
.
Il modello più recente e attualmente più accreditato è quello proposto da Lerf e
Klinowski (Figura 4). Questo modello,
basato su studi avanzati di NMR allo stato
solido, descrive uno strato di GO come una
distribuzione casuale di regioni aromatiche
piatte con anelli benzenici non ossidati e
regioni rugose costituite da anelli a sei
termini, contenenti doppi legami C=C,
gruppi ossidrilici e eterei (in posizione 1,2);
ogni strato termina poi con gruppi alcolici o
–COOH, in accordo con i dati spettroscopici IR.
27,28
I diversi gruppi ossidrilici
determinano la formazione di forti legami ad idrogeno con le funzionalità epossidiche,
contribuendo significativamente alla sovrapposizione dei vari strati di GO.
Un ulteriore modello strutturale che si discosta sensibilmente da quello di Lerf-
Klinowski è stato proposto da Dékàny et al.
26
L’ossido di grafene è rappresentato come una
rete corrugata di atomi di carbonio costituita da
una struttura a nastro di esagoni di carbonio
connessi da doppi legami C=C, in analogia al
modello di Scholz e Boehm (Figura 5). Tuttavia,
al contrario di quest’ultimo, il modello di Dékàny
prevede una distribuzione casuale di due tipi di
domini differenti: (1) cicloesani trans-condensati
Figura 4. Rappresentazione del modello di Lerf-
Klinowski.
Figura 5. Struttura dell’ossido di grafene
proposta da Dékàny.
7
aventi gruppi alcolici terziari ed eteri-1,3; (2) rete corrugata di specie cheto/chinoniche.
Ulteriori ossidazioni distruggono i doppi legami delle specie chinoniche attraverso la
formazione di eteri-1,2, come anche l’aromaticità residua dalla prima ossidazione.
In conclusione, vari studi sembrano mostrare che la struttura e le proprietà
dell’ossido di grafene dipendono notevolmente dalla natura dei materiali di partenza (in
particolare dalla grafite) e dal protocollo di ossidazione impiegato che ne determina
l’entità.
Aldilà degli studi strutturali e teorici che sono stati realizzati negli ultimi quindici
anni, il grande successo di questo materiale risiede nella sua grande processabilità. Le
numerose funzionalità ossigenate presenti nell’ossido di grafene infatti alterano le
interazioni di van der Waals tra i vari strati, rendendoli fortemente idrofili e consentendo
l’intercalazione di molecole d’acqua. Questa comportamento si riflette su un aumento
reversibile della distanza da 6 a 12 Å con l’aumentare dell’umidità relativa, come
dimostrato da analisi di scattering neutronico.
29
Da un punto di vista pratico è possibile
realizzare una completa esfoliazione dell’ossido di grafite in solvente acquoso o organico
polare per semplice sonicazione
30
o attraverso agitazione di una miscela acqua/ossido di
grafite per un tempo sufficientemente lungo,
31
fornendo delle sospensioni colloidali
acquose di ossido di grafene. Il grosso svantaggio delle sonicazione rispetto all’agitazione
meccanica risiede nell’elevata frammentazione delle lastrine di ossido di grafene. Infatti,
invece di avere dimensioni medie degli strati di GO dell’ordine di diversi micron per lato,
si ottengono sezioni aventi centinaia di nanometri di lato, con una più ampia distribuzione
di area.
32
L’esfoliazione risulta più semplice in acqua debolmente basica e con una bassa
concentrazione di elettroliti; nel caso invece di condizioni leggermente acide e con un’alta
concentrazione di elettroliti, l’idratazione è fortemente compromessa e la distanza massima
osservata tra gli strati di ossido di grafene è pari a circa 12 Å.
29
Preparazione e Reattività dell’Ossido di Grafene
24
Da un punto di vista sintetico l’ossido di grafite è ottenuto principalmente per
trattamento della grafite con miscele fortemente ossidanti. Il primo protocollo proposto,
messo a punto nel 1859 da Brodie, prevede l’aggiunta di clorato di potassio ad una
sospensione di grafite in acido nitrico fumante. Un ulteriore grado di ossidazione può
essere ottenuto con la procedura di Staudenmaier che prevede l’aggiunta del KClO
3
in