5
rivolta ad incrementare il numero delle iscrizioni, trascurando i bisogni formativi
espressi dal territorio. La diversificazione delle scuole comporta anche il problema della
scelta per le famiglie. Tutte le famiglie sono in grado di effettuare una scelta
consapevole?
L’obiettivo della ricerca è stato quello di studiare in una logica bottom-up quali
processi sono attuati all’interno delle scuole per comprendere se l’autonomia generi
risultati dal punto di vista dell’equità.
L’oggetto dell’indagine prevalente è l’equità, ma nel corso della ricerca sono emersi dal
campo nuovi elementi, che hanno spostato la riflessione verso un rafforzamento delle
relazioni tra la dimensione dell’equità e la dimensione del contesto culturale della
scuola.
L’ approccio di tipo etnografico, basato sull’osservazione naturale e partecipante, la
raccolta dei materiali documentali, l’interazione anche spontanea con gli attori, se da un
lato ha condotto ad un allontanamento dall’oggetto di analisi della ricerca, nel senso di
una minore focalizzazione sull’equità, dall’altro ha permesso di mettere in relazione
l’equità con dimensioni quali: il clima scolastico, la leadership, il supporto
all’apprendimento, l’organizzazione, le relazioni tra gli attori scolastici e quelle con gli
enti esterni. Da questo punto di vista è emerso come alla necessaria individuazione di
standard per orientare le pratiche della scuola dell’autonomia occorre associare una
maggiore pratica della ricerca sociologica che partendo dall’analisi dei processi reali
vada ad osservare i significati attribuiti dagli attori coinvolti alle norme e alle
prescrizioni provenienti dall’alto.
Il metodo d’indagine utilizzato per la ricerca è quello dello studio di caso, necessario
per entrare nel mondo della scuola. Nello specifico, per indagare circa gli interrogativi
posti, si è scelto di effettuare un’analisi comparativa tra due licei di Roma.
Le tecniche utilizzate per la rilevazione dei dati sono state: la raccolta e l’analisi dei
documenti prodotti dalla scuola, in particolare i POF e le statistiche che ogni anno le
scuole sono tenute compilare e ad inviare al MIUR; l’osservazione naturale e
l’osservazione partecipante; le interviste semi – strutturate somministrate ai docenti che
nelle due scuole si occupano delle funzioni obiettivo e a venti studenti delle terze classi,
per un totale di trenta interviste.
6
Nel primo capitolo viene trattato il tema dell’equità; si ripercorrono brevemente i
contributi teorici di maggior rilievo e in particolare si riporta, seppure sinteticamente, il
dibattito filosofico scaturito dalla pubblicazione nel 1971 del famoso saggio di Rawls
Una teoria della giustizia. Inoltre si descrive il contributo dei sociologi dell’educazione
al fine di fertilizzare reciprocamente le due anime del dibattito. Come esempio di
operazionalizzazione del concetto di equità dei sistemi educativi si descrive il sistema
d’indicatori elaborato dal gruppo di ricerca europeo nell’ambito del Programma
Socrates, composto da sei équipes universitarie, che ha svolto negli ultimi due anni una
ricerca con l’obiettivo di misurare e comparare l’equità dei sistemi scolastici dei Paesi
appartenenti all’UE.
Nel secondo capitolo si descrive l’attuale situazione della scuola italiana così come si
evince dalle ricerche effettuate in ambito OCSE (2000; 2002), dalle periodiche
indagine campionarie sulla dispersione disposte dal MIUR e da una ricerca condotta da
Checchi nel 2003 sul sistema formativo italiano. Nello stesso capitolo si affronta anche
la retorica (Battistelli, 2002) dell’autonomia come via necessaria per il cambiamento del
sistema scolastico italiano. Vengono presentate, inoltre, le principali caratteristiche sulle
quali s’impernia la riforma ed, infine, il monitoraggio effettuato dall’IRRE Lazio nel
2001 (unica pubblicazione attualmente esistente).
Il terzo capitolo illustra il disegno della ricerca. Si è fatto riferimento al modello
elaborato da uno studioso inglese, MacBeath (1999), per conto del sindacato degli
insegnanti (National Union of Teachers). Il modello teso ad evidenziare “che cosa è una
buona scuola” si compone di una serie di dimensioni interconnesse (cfr. fig. 5), che
esprimono le potenzialità di ogni scuola di creare “valore aggiunto”. La scelta del
modello è dovuta sia alla completezza ed alla sistematicità della raccolta informativa
(per ogni dimensione sono indicati cinque indicatori e le rispettive evidenze qualitative
e quantitative), sia per l’approccio bottom – up che permette di indagare i due licei
scelti come campo d’indagine a partire dalle pratiche di chi vive il quotidiano scolastico
ed educativo. Il modello di MacBeath ha rappresentato lo spunto per elaborare una
traccia di ricerca che facesse comunicare la matrice anglosassone del modello dello
studioso con le specificità dell’autonomia italiana e con le riflessioni teoriche del primo
capitolo. Nel capitolo si presentano, inoltre, la metodologia e le tecniche utilizzate per
la rilevazione delle informazioni.
7
Nel quarto capitolo si descrivono i due licei scelti evidenziandone i dati relativi alla
dispersione e alla distribuzione delle promozioni e delle bocciature nelle diverse classi.
Nel capitolo si presenta, inoltre, l’analisi delle occorrenze dei POF, effettuata con
l’ausilio di un programma informatico, attraverso la quale è possibile individuare e
confrontare le caratteristiche principali dichiarate da ciascun istituto.
Nel capitolo quinto si presenta l’analisi dei dati relativa al liceo Nomentano e al liceo
Orazio. Sulla base del quadro interpretativo elaborato e descritto nel cap. 3 si è
approfondita l’analisi sui valori, le pratiche consolidate e la cultura organizzativa della
scuola, il clima scolastico, le relazioni tra i diversi attori all’interno della scuola e le
relazioni con l’esterno sempre in riferimento alla questione dell’equità.
Infine, nelle conclusioni, vengono riportati i risultati dell’indagine, suggerite alcune
riflessioni sull’equità e proposto ex-post un modello “ideale” di scuola equa.
8
PRIMA PARTE
9
1
L’EQUITÀ NELLA SCUOLA
Obiettivo del primo capitolo è approfondire le questioni dell’equità nel sistema
scolastico. Per gli aspetti di definizione si è fatto riferimento sia al dibattito filosofico
scaturito dalla pubblicazione nel 1971 del celebre saggio di Rawls, sia al contributo dei
sociologi dell’educazione. A conclusione si è infine descritto un tentativo di
operazionalizzazione dell’equità ad opera del gruppo di ricerca europeo che nell’ambito
del Programma Socrates ha svolto una ricerca con l’obiettivo di misurare e comparare
l’equità dei sistemi scolastici dei Paesi appartenenti all’UE.
1. Introduzione ai concetti di Equità e Eguaglianza
“Quali sono i fattori che permettono di dichiarare un sistema scolastico equo; e quindi
giusto, e un altro ingiusto e quindi non equo?”(Bottani, 2002, 177).
Per determinare se un sistema scolastico sia equo, è necessario innanzitutto capire cosa
significano il concetto di “eguaglianza” e il concetto di “equità”, che alcuni autori
considerano una proprietà della prima; nonché il concetto di “equità nella scuola”.
Nella letteratura anglosassone spesso i termini equità ed eguaglianza vengono utilizzati
come sinonimi, ma in realtà rinviano a due significati concettualmente diversi, benché
strettamente legati tra di loro.
Il gruppo di ricerca dell’OCSE che dal 1995 al 2000 si è occupato della questione
dell’equità nell’ambito del progetto INES (Indicators of Educational Systems), ha
provato a definire i due termini.
Secondo Hutmacher (2001), uno dei componenti del gruppo in questione, la nozione di
uguaglianza esprime un’identità e un’equivalenza di valore fra beni, risorse, capacità,
ecc. Così gli alunni nelle classi fanno spesso esperienza della disuguaglianza.
L’esempio più classico è quello delle valutazioni: a performance diverse si attribuiscono
voti diversi. La disuguaglianza è, quindi, parte dell’esperienza quotidiana degli studenti,
nonché degli insegnanti e dei genitori.
10
Ogni insegnante sa che le disuguaglianze richiedono delle spiegazioni e ciò suppone
l’esistenza di criteri o di principi di equità.
Le nozioni di disuguaglianza ed equità sono tra loro fortemente correlate; in particolare
l’equità esprime un giudizio su ciò che è giusto sulla base sia di principi e norme di
giustizia, ma anche di rappresentazioni, valori e credenze che identificano una cultura e
sono suscettibili di variazioni da un gruppo all’altro e nel tempo.
In sintesi, mentre la nozione di uguaglianza/disuguaglianza rimanda ad una situazione
concreta in cui le risorse sono distribuite in maniera uguale o diseguale tra persone o
gruppi sociali diversi, l’equità si riferisce a quei principi di giustizia che permettono di
affermare quando una disuguaglianza è giusta e quando non lo è. Si tratta inoltre di
principi, di norme, di sentimenti e credenze contestualizzati e quindi difficilmente
possono essere universalmente validi.
Sempre in tema di uguaglianza, Norberto Bobbio (1995) ne parla “come valore
supremo di una convivenza ordinata, felice e civile, e quindi da un lato come ispirazione
perenne degli uomini viventi in società e dall’altro come tema costante delle ideologie e
delle teorie politiche, viene accoppiata spesso con libertà”. Egli distingue tra giustizia
ed eguaglianza. La prima è considerata un ideale, e riprende i due significati classici dati
da Aristotele:
la giustizia come legalità: è giusta l’azione compiuta in conformità delle leggi;
la giustizia come eguaglianza: è giusta un’azione, è giusto un uomo, è giusta una
legge, ogni volta che è istituito un rapporto di eguaglianza.
Soltanto insieme queste due condizioni sono necessarie e sufficienti per attuare la
giustizia. Da ciò ne deriva che l’ingiustizia può essere introdotta sia dall’alterazione dei
rapporti di eguaglianza sia dall’inosservanza delle leggi. Considerando l’eguaglianza un
dato di fatto, essa si concretizza in un rapporto e ciò che dà valore a questo rapporto e
ne fa un fine desiderabile, è il fatto di essere giusto. In questo caso con il termine
“giusto” Bobbio intende che tale rapporto ha a che vedere con un’ideale di armonia
delle parti di un tutto, “perché, tra l’altro, solo un tutto ordinato si ritiene abbia la
possibilità di durare” (op. cit.).
John Rawls pubblicò nel 1971 il tanto dibattuto saggio Una Teoria della Giustizia, nel
quale si fa riferimento alla giustizia come equità.
11
Secondo Stefano Veca
1
, la nozione di equità in Rawls è molto vaga. Nella traduzione
italiana di Una teoria della giustizia egli propose il termine "equità" per ciò che l’autore
chiama fairness: “tale traduzione non cattura tutto dell'idea originaria, connessa all'idea
di "lealtà", come nel senso del fair play: ma diciamo che la differenza tra "eguaglianza"
ed "equità" consiste nel fatto che l'equità prevede delle ineguaglianze se queste lavorano
a vantaggio di tutti - a partire da chi sta peggio -, a differenza di una tesi egualitaria
"stretta" che non ammette diseguaglianze. […] La proposta teorica di Rawls si distingue
dalla posizione strettamente egualitaria o radicale, per la quale la condizione di
eguaglianza è soddisfatta solo quando ad ogni individuo sia ascritta la stessa quota di
ciascun bene”
2
.
Rawls (1971; tr. it. 1989), partendo dal punto di vista della teoria del contratto sociale,
afferma che i principi di giustizia scelti nella posizione originaria di ignoranza
assicurerebbero che nessuno venga avvantaggiato o svantaggiato. Poiché, infatti, in
questa situazione, ogni persona gode di un’identica condizione nessuno “è in grado di
proporre dei principi che favoriscano la sua particolare situazione, i principi di giustizia
sono il risultato di un accordo o contrattazione equa. […] Si potrebbe dire che la
posizione originaria è il corretto status quo iniziale, e perciò che gli accordi
fondamentali stipulati in essa sono equi. Questo spiega l’appropriatezza del termine
“giustizia come equità”: esso porta con sé l’idea che i principi di giustizia sono
concordati in una condizione iniziale equa”(ibidem, 28). Egli sottolinea spesso
l’importanza di capire quali sono i principi di giustizia che verrebbero scelti nella
posizione originaria. E’ chiaro che quella della situazione iniziale è solo una condizione
ipotetica, che non esiste nella realtà.
Adottare questo punto di vista significa scegliere dei criteri di giustizia diversi da quelli
che si sceglierebbero se si adottasse il punto vista della teoria utilitarista secondo la
quale una società è giusta ”quando le sue istituzioni maggiori sono in grado di
raggiungere il livello più alto di utilità possibile ottenuta sommando quella di tutti gli
individui appartenenti ad essa”
(ibidem, 36). La caratteristica delle tesi utilitariste della
giustizia consiste nel fatto che il modo in cui il benessere viene distribuito tra gli
1
Veca S., tratto dall’intervista “Teorie politiche contemporanee”- Milano, Università Cattolica, 15
dicembre 1994, www.emsf.rai.it
2
Ibidem.
12
individui non ha nessuna importanza. La distribuzione corretta è quella che permette il
massimo appagamento.
Riprendendo la domanda posta all’inizio, su quali fattori permettono di dichiarare un
sistema scolastico equo e quindi giusto, è chiara la necessità di individuare innanzitutto
i criteri di giustizia ai quali fare riferimento e solo successivamente stabilire quando
una disuguaglianza può essere considerata giusta e quando ingiusta. Senza un iniziale
percorso di questo tipo non si avrebbero gli strumenti concettuali necessari per capire
verso dove si sta dirigendo il sistema scolastico italiano. Stabilire i criteri di giustizia
non è semplice, perché diverse teorie hanno fatto riferimento a diversi criteri, ma
soprattutto i criteri di giustizia e il sentimento di ciò che è sentito come ingiusto,
possono variare da un gruppo sociale all’altro, e addirittura da una persona all’altra.
2. I principi di giustizia
Tra le teorie che esprimono criteri di giustizia ci sono: la teoria dell’élite, la teoria
meritocratica, le teorie utilitaristiche e la teoria di Rawls.
La teoria dell’élite afferma che è giusto avvantaggiare i più idonei per
consentire loro di raggiungere livelli di eccellenza elevati. Questo perché “la
collettività trae un beneficio dalla presenza di élite nel campo scientifico,
amministrativo, politico, finanziario, economico, tecnologico, culturale e artistico.
La teoria dell’élite si giustifica quindi con l’argomento dell’utilità per tutta la
collettività dello sviluppo dei talenti migliori” (Bottani, op. cit., 179).
La teoria meritocratica sostiene che le risorse vanno investite per aiutare i più
meritevoli. “Un sistema scolastico che non premia i meritevoli, tarpa lo sviluppo
delle capacità naturali e si comporta quindi in maniera ingiusta” (ibidem, 180).
Secondo Meuret (2001) il merito può generare una società molto diseguale ovvero
una “dittatura di portatori di talenti”.
Secondo le teorie utilitaristiche, le risorse vanno distribuite in funzione degli
utili che se ne possono trarre. “In campo scolastico questo significa che gli
investimenti educativi si giustificano se servono prioritariamente per aiutare chi è
capace o chi sa trarre il profitto migliore dall’insegnamento” (Bottani, op. cit., 180).
13
Questa teoria, da un punto di vista economico, fa riferimento alla produttività
marginale dei diversi alunni che, all’interno del sistema educativo, si misura con le
conoscenze acquisite. “ E’ dunque giusto offrire meno servizi educativi a quanti
sono meno capaci o meno desiderosi di approfittarne” (Meuret, 2000b). Dal punto di
vista utilitaristico, una società è giusta se massimizza il benessere dei propri
membri.
In Una teoria della giustizia, Rawls (op. cit.) formula due principi di giustizia
che egli crede verrebbero scelti nella posizione originaria di ignoranza.
Il primo principio enuncia che “ogni persona ha eguale diritto alla più estesa
libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri”
(ibidem, 68). Questo implica che le norme che stabiliscono le libertà fondamentali,
si applichino a ciascuno nello stesso modo e che consentano la più ampia libertà
compatibile con una libertà simile per tutti.
Il secondo principio afferma che “le ineguaglianze sociali ed economiche devono
essere combinate in modo da essere (a) ragionevolmente previste a vantaggio di
ciascuno; (b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti” (ibidem). Questo
principio sottolinea che ciascuna persona deve trarre beneficio dalle ineguaglianze
economiche e sociali ammesse nella struttura fondamentale.
L’oggetto principale di questi principi è la struttura fondamentale della società, cioè
l’assetto delle istituzioni sociali maggiori entro uno schema di cooperazione. Con
istituzioni Rawls intende un sistema pubblico di regole che definisce le cariche e le
posizioni con i loro rispettivi diritti e doveri. Questi principi, quindi, stabiliscono
l’assegnazione dei diritti e dei doveri e regolano la distribuzione dei vantaggi sociali
ed economici. Le libertà e le opportunità devono essere distribuite in modo eguale, a
meno che una distribuzione ineguale non vada a vantaggio di tutti.
Nella sua teoria, Rawls accetta che nella struttura della società vi siano delle
disuguaglianze, ma a patto che vadano a beneficio di tutti e che non finiscano per
avvantaggiare solo pochi privilegiati.
Questi due principi sono serialmente ordinati e non consentono, quindi, nessuno
scambio tra le libertà fondamentali e i vantaggi sociali ed economici.
14
2.1 La giustizia come equità e l’interpretazione dell’eguaglianza democratica di Rawls
Rawls (op. cit.), successivamente, si preoccupa del modo in cui le persone possono
venire avvantaggiate o meno dalle disuguaglianze e di come scegliere tra le diverse
possibilità. Assumendo che il primo principio resti immutato, egli specifica il significato
delle espressioni “a vantaggio di ciascuno” e “egualmente aperte” del secondo
principio.
Ognuna di queste espressioni ha due accezioni che sono l’una indipendente dall’altra: ne
risultano quattro possibili significati per il secondo principio, da cui abbiamo quattro
possibili interpretazioni per i due principi. Si riporta di seguito lo schema
esemplificativo elaborato dallo stesso autore.
Tab. 1 – quattro interpretazioni per il secondo principio di giustizia di Rawls.
“A vantaggio di ciascuno”
“Egualmente aperte” ___________________________________________
Principio di efficienza Principio di differenza
Eguaglianza come Sistema della libertà Aristocrazia naturale
carriere aperte ai talenti naturale
Eguaglianza come Eguaglianza liberale Eguaglianza
eguaglianza di equa democratica
opportunità
Fonte: Rawls, 1971; tr. it. 1989, 70.
Per la giustizia come equità, l’interpretazione da preferire è quella della “eguaglianza
democratica”, derivante dall’incrocio tra il principio di differenza e l’eguaglianza come
eguaglianza di equa opportunità.
Il principio di differenza indica un particolare punto di vista da cui devono essere
giudicate le ineguaglianze economiche e sociali della società.
15
In questo caso, assumendo come “data la struttura delle istituzioni richiesta dall’eguale
libertà e dall’equa eguaglianza delle opportunità, le aspettative di coloro che sono in una
situazione migliore sono giuste se e solo se funzionano come parte di uno schema che
migliora le aspettative dei membri meno avvantaggiati dalla società. […] Le
ineguaglianze sociali ed economiche devono essere a) per il più grande beneficio dei
meno avvantaggiati e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti, in condizioni di
equa eguaglianza delle opportunità” (Rawls, op. cit., 77). Ci sono delle disuguaglianze,
quindi, che secondo il principio di differenza vanno considerate giuste.
Con il principio di equa eguaglianza di opportunità, Rawls indica un principio di
eguaglianza che non sia solo formale, ma che dia effettivamente a tutti un’equa
possibilità di raggiungere determinate posizioni.
Questo principio si aggancia al precedente e non permette di considerare come giusto le
posizioni che non siano aperte a tutti, anche se tutti ne trarrebbero i maggiori benefici.
“L’idea è che le posizioni non devono essere aperte soltanto in maniera formale, ma che
tutti dovrebbero avere un’equa possibilità di ottenerle. […] Si può affermare che coloro
che possiedono abilità e inclinazioni simili dovrebbero avere le medesime possibilità di
vita.
Più precisamente coloro che hanno lo stesso grado di abilità e talento e la medesima
intenzione di servirsene, dovrebbero avere le stesse prospettive di riuscita,
indipendentemente dal loro punto di vista all’interno del sistema sociale, cioè
indipendentemente dalla classe di reddito in cui sono nati” (ibidem, 75).
Un limite di questo principio risiede nel fatto che non sarà possibile raggiungere una
perfetta uguaglianza delle opportunità finché esisterà l’istituzione della famiglia. Rawls
presume, infatti, che il talento sia influenzato direttamente dallo status della famiglia di
origine.
Le altre tre interpretazioni sono:
Sistema della libertà naturale: scaturisce dall’incrocio del principio di
efficienza
3
e quello dell’eguaglianza come carriere aperte ai talenti. Secondo questo
sistema, una struttura fondamentale che soddisfa il principio di efficienza e in cui le
cariche sono aperte a coloro che sono dotati, condurrà ad una distribuzione giusta.
3
Il principio di efficienza nasce originariamente come principio da applicarsi al sistema economico,
quindi alla distribuzione di merci o al sistema di produzione, e non alle istituzioni.
16
“Il principio di efficienza afferma che una configurazione è efficiente ogni volta che
è impossibile cambiarla in modo da far star meglio alcuni individui (almeno uno),
senza far star peggio, al tempo stesso, altri individui (almeno uno)” (Rawls, op. cit.,
71).
Questo sistema si basa, inoltre, su un’eguaglianza solo formale delle opportunità,
nel senso che tutti possiedono gli stessi diritti di accedere alle posizioni sociali più
vantaggiose, ma la distribuzione dei beni è fortemente condizionata dalle
contingenze naturali e sociali. Ci troviamo di fronte ad un sistema meritocratico
puro.
Sistema dell’eguaglianza liberale: nasce dall’incrocio tra il principio di
efficienza e quello dell’equa eguaglianza delle opportunità.
In questo caso si tenta di correggere il sistema della libertà naturale, aggiungendo al
requisito delle carriere aperte ai talenti l’ulteriore principio dell’eguaglianza delle
opportunità. Ci troviamo di fronte ad un sistema di eguaglianza delle opportunità
corretta con merito, che premia la distribuzione naturale delle abilità e dei talenti.
L’aristocrazia naturale: nasce dall’incrocio tra il principio di differenza e il
principio di eguaglianza come carriere aperte ai talenti.
In questo caso non si fa nessuno “sforzo per regolare le contingenze sociali al di là
ciò che è richiesto dall’eguaglianza formale delle opportunità; i vantaggi delle
persone dotate di maggiore talento naturale devono però essere ristretti a coloro che
migliorano la situazione dei settori più poveri della società. […] L’idea di noblesse
oblige viene ricondotta alla concezione dell’aristocrazia naturale” (ibidem, 77).
L’interpretazione dell’eguaglianza democratica, che secondo Rawls è la più valida per
la concezione della giustizia come equità, accetta che vi siano delle disuguaglianze
all’interno della struttura fondamentale della società, “a condizione però che siano
produttive , che servano cioè a migliorare la sorte dei meno favoriti” (Bottani, op. cit.,
181).
17
2.2 Cenni al dibattito su Rawls
4
Una Teoria della Giustizia di Rawls può essere attaccata, secondo Meuret (2001, 104),
da tre posizioni diverse: la prima critica viene da chi afferma che questa teoria non
rispetta sufficientemente i diritti della persona di autodeterminarsi (Nozick, 1974); il
secondo fronte è costituito da coloro che ritengono che sia impossibile trovare dei
principi di giustizia validi universalmente: i principi di giustizia nascono dai valori
propri di ciascuna comunità; il terzo filone di critiche deriva da chi afferma (vedi Sen,
1992) che non si può ignorare il fatto che non tutte le persone abbiano le stesse capacità
di utilizzare i beni primari. Walzer (1977), infine, non critica direttamente Rawls, ma
attraverso i suoi scritti entra in dibattito con questo.
La posizione di Nozick (1974, tr. it. 1981) è estremamente libertaria, addirittura
anarchica, al punto che in uno dei suoi più famosi scritti pone la seguente domanda:
“tale è la forza e la portata di questi diritti da sollevare il problema di cosa possano fare
lo Stato e i suoi funzionari, se qualcosa possono fare. Quanto spazio lasciano allo Stato i
diritti degli individui?” (ibidem). Questa questione è esaminata nel saggio Anarchia,
Stato e Utopia scritto nel 1974 in polemica con Una Teoria della Giustizia dove
Nozick afferma che i diritti dell'individuo sono primari e che non c'è bisogno di nulla
più che uno "Stato minimo", ossia di uno Stato appena sufficiente a proteggere i
cittadini dal furto e dalla violenza e ad assicurare l'applicazione dei contratti.
Egli accetta la posizione di Rawls secondo la quale essendo la distribuzione iniziale
delle capacità arbitraria, il principio di differenza interviene per correggere questo stato
iniziale, ma argomenta che questa arbitrarietà iniziale non elimina il fatto che questi
individui siano i proprietari legittimi dei talenti. Quindi, considerare le qualità
individuali come mezzi per servire i vantaggi collettivi, o per servire i meno privilegiati,
significa trattare certe persone come un mezzo e non come un fine. Secondo Nozick,
quindi, il principio di differenza viola il primo principio di Rawls.
4
Per approfondimenti sul tema della giustizia del sistema educativo e sul dibattito suscitato dal saggio di
Rawls si rimanda al numero monografico della rivista “Scuola Democratica”, n. 3. 2000. Sullo stesso
tema si veda anche il volume curato da Hutmacher W., Cochrane D., Bottani N., In Pursuit of Equity in
Education, Dordrecht, Kluwer Academic Publishers, 2001.
18
Per questo autore qualunque sia la grandezza e la natura di una diseguaglianza, se
questa è il prodotto di un processo che ha rispettato i diritti propri di ciascuna persona, è
giusta e né il principio di equa eguaglianza delle opportunità né il principio di
differenza possono porre limiti ai benefici che ciascuna persona può ottenere dalla
propria scolarizzazione (Meuret, op. cit., 107).
Amartya Sen (1992; tr. it. 1994) fa parte di coloro che come Rawls si distinguono dalla
tradizione classica dell’economia e dalle teorie utilitaristiche.
L’eguaglianza secondo questo autore deve basarsi sulla “qualità della vita”. Si pone
quindi l’accento sulle capacità che hanno gli individui di scegliere il tipo di vita che
preferiscono. Soltanto in questo modo si possono coniugare le libertà con l’eguaglianza.
Sen propone un approccio basato sulle “capacità” che permette di guardare alle
possibilità reali che gli individui hanno di ottenere ciò a cui essi attribuiscono un valore,
evitando che le libertà formali si trasformino in una beffa. Per esempio, egli pensa che
sia necessario eguagliare le possibilità di accesso alle “capacità fondamentali”, come la
capacità di parlare ad un pubblico senza vergogna, l’essere ben nutrito, ecc. Le
“capacità fondamentali” si riferiscono alla qualità della vita, non solo alle risorse che
permettono di vivere bene.
Sen rimprovera, quindi, Rawls per aver penalizzato coloro che traggono meno di altri
dallo stesso ammontare di beni primari (Meuret, op. cit., 108-110).
Secondo Dworkin (2002), filosofo americano, l'uguaglianza è strettamente connessa
alla distribuzione equa di risorse: una distribuzione i cui criteri di equità sono comparati
alle scelte e alla responsabilità degli individui in quanto soggetti dotati di desideri e
aspettative, che devono essere legittimamente protetti e garantiti in sede istituzionale.
Tale aspetto influisce in maniera determinante sulla natura della libertà e della
democrazia delle istituzioni.
Nelle società nelle quali non vi è un'uguale considerazione nei confronti di ogni singolo
membro, vi è la forte tendenza all'imposizione di forme di dominio o di tirannia, e
all'adozione di criteri di distribuzione delle risorse che non consentono la definizione e
la realizzazione di piani di vita soddisfacenti. Anche in questo caso l’idea dell’equa
ripartizione delle risorse si contrappone all’idea utilitaristica del benessere.