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INTRODUZIONE
Il presente lavoro, realizzato nell’ambito della psicologia giuridica, tratterà
un tema fondamentale della disciplina ovvero la giustizia riparativa. Il lavoro
sarà composto di due macro parti: una prima parte volta ad analizzare il
paradigma della giustizia riparativa in generale, fornendo una panoramica del
fenomeno in tutti i suoi aspetti salienti e facendo riferimento sia al contesto
italiano sia all’esperienza della maggior parte dei paesi, con particolare
attenzione agli Stati in cui per la prima volta si è affermato il paradigma; una
seconda parte sarà dedicata allo studio particolare di alcune argomentazioni
mediante analisi empirica della letteratura nazionale e internazionale. Il focus
d’analisi, così come si evince dal titolo del lavoro, consta nell’analizzare il
fenomeno della recidiva nell’ambito delle misure alternative alla detenzione, sia
per quanto riguarda il sistema degli adulti sia per il sistema di giustizia minorile,
con finalità principale di stabilire un rapporto diretto tra l’impiego delle pratiche
riparative e il contrasto al fenomeno della recidiva e fornire un indicazione sui
fattori di tipo personale e di contesto capaci di incidere sull’attitudine dei soggetti
recidivi.
Prima di passare in rassegna più specificatamente i temi di cui tratteremo
sia nella parte prima sia nella seconda del lavoro, è necessario introdurre il tema
della giustizia riparativa in modo tale da evidenziare, sin da subito, gli aspetti
salienti del paradigma riconciliativo e fornire un quadro generale sul tema che
faciliterà la lettura soprattutto della parte sperimentale.
Il paradigma riparativo è ormai tema discusso e pratica introdotta a livello
mondiale nei diversi ordinamenti giuridici e, di solito, è fatto risalire agli anni
Ottanta. In realtà il primo programma di riconciliazione vittima-aggressore
denominato “VORP” risale al 1974 e fu attuato nell’America settentrionale a
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Kitchener (Ontario, Canada) e, tre anni più tardi, un articolo di Albert Eglash
propose l’accezione “giustizia riparativa”, probabilmente per la prima volta.
La giustizia riparativa è associata a vari movimenti sociali e teorie quali la
giustizia informale, il movimento di restituzione, il movimento femminista, il
movimento delle vittime, il movimento per la riconciliazione e giustizia sociale,
il movimento per i diritti civili e il cosiddetto “abolizionismo penale” di alcuni
dei quali avremo modo di argomentare nel corso della stesura.
Le prime concettualizzazioni sul paradigma riparativo trovano comune
origine dal “nuovo populismo americano”. Questo approccio muove da un’ottica
di “bottom-up”: la partecipazione, l’enfasi per i valori tradizionali e la
rivalutazione per le attività cooperative sono alla sua base. Questi valori sono
ricondotti alla giustizia riparativa dai suoi più celebri sostenitori e sono
considerati approcci ideali di giustizia individuale e informale tramite i quali le
persone gestiscono i loro conflitti senza interferenze dell’autorità statale.
Autori come Zher (1990) e Wright (1990) pongono l’accento sulle radici
religiose degli approcci sopracitati: infatti, il programma VORP, fu istituito dal
comitato centrale "mennoita" dei lavoratori nel 1970. Questi programmi si sono
evoluti nel corso degli anni e hanno influenzato molti ordinamenti di tutte le parti
del mondo, evoluzione configuratasi come approccio globale alla criminalità, con
finalità di creazione di processi in grado di attuare delle risposte di tipo
riparativo/restitutivo del reato/danno, attraverso il confronto costruttivo tra le
parti, ripristinando la rottura delle relazioni e reinserendo quest’ultime nella
comunità.
Tutti i soggetti coinvolti nelle pratiche riparative sono coinvolti in
programmi quali la mediazione tra vittima e autore di reato, le family group
conferencing, i cerchi di condanna e molti altri programmi di cui parleremo nei
capitoli a seguire.
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Come avremo modo di vedere nella parte in cui si introdurremo le origini
del paradigma riparativo, esistono diverse correnti di pensiero in merito a
quest’ultimo: correnti di tipo “purista” e altre che vedono la giustizia riparativa
come una sorta di correttivo da inserire nell’ambito della visione classica della
pena che accompagna la maggior parte degli ordinamenti giuridici sin dal XVIII
secolo.
In Zher (1990), ad esempio, ritroviamo molti pensieri indirizzati verso la
separazione netta tra le pratiche legate alla giustizia riparativa e il sistema di
giustizia penale, in virtù del fatto per il quale, temendo un eccessivo
coinvolgimento delle agenzie di giustizia penale, si creino nuovi programmi
indirizzati a un particolare problema criminale, che sotto un’apparenza
progressista non condividano gli assunti basilari della giustizia riparativa. Altro
timore evidenziato dall’autore riguarda come l’eccessiva regolazione e fissazione
di standard, possa causare una burocratizzazione della giustizia riparativa,
snaturandola in parte dal contesto sociale e, dunque, alterando la sua efficacia e
la sua mission.
Una prima definizione di giustizia riparativa può essere data escludendo
l’idea di un mero insieme di regole e programmi, bensì trattasi di una sorta di
filosofia della giustizia che mira a ristabilire le relazioni e i legami sociali, con
fine principale quello di reinserire compiutamente all’interno della società sia le
vittime sia gli autori del crimine.
La giustizia riparativa non è un programma specifico, ma piuttosto un
modo di praticare la giustizia. Riassumiamo quelli che sono i valori
maggiormente rappresentativi:
- Rispetto. Tutti coloro che sono coinvolti nel reato o nel conflitto, sono
dotati di opportunità per l’ingresso e la partecipazione al processo di giustizia,
quanto prima e nel modo più completo e adeguato possibile. Tutti i diversi punti
di vista sono riconosciuti come fondamentali per l’adozione di decisioni e misure
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efficaci. È tutelata l’integrità degli individui, in ragione delle loro prospettive, e
viene fornito loro sostegno e aiuto circa la definizione dei loro bisogni e le
modalità attraverso le quali possono partecipare al piano d’azione riparativo
(Zher 1990).
- Riparazione. La criminalità e il conflitto sono uno strappo del tessuto
sociale. Il concetto di giustizia riparativa include il ripristino della salute e della
guarigione, non solo a livello psicofisico ma anche emotivo, degli individui e
delle comunità attraverso un piano d’azione ragionevole in grado di riparare il
danno nella misura più completa possibile e che abbia un’attitudine
responsabilizzante. La giustizia richiede la possibilità di una guarigione e la
concreta riparazione ed è compito della comunità, investita del ruolo di
supervisione dell’iniziativa, quello di garantire il reciproco rispetto fra i suoi
membri.
- Responsabilizzazione. La promozione della responsabilità per gli autori
del reato è uno degli aspetti fondamentali della giustizia riparativa. È un processo
non esclusivamente rilevante nell’ottica del ravvicinamento reo-vittima, ma si
estende a tutta la sfera relazionale comunitaria. L’importanza della
responsabilizzazione deriva dal fatto che, attraverso l’assunzione di questa, è
possibile raggiungere un importante obiettivo caratterizzato dal cambiamento del
comportamento dell’autore del reato nei confronti dell’intero tessuto sociale.
- Reinserimento. Altro obiettivo e, allo stesso tempo, elemento pragmatico
delle pratiche riparative è coinvolgere il reo e sostenerlo nel ripristino dei legami
socio-relazionali rovinati dall’azione commessa e dalle conseguenze di questa.
La comunità è chiamata in tutto ciò a ricoprire un ruolo di soggetto attivo
fornendo le risorse indispensabili sia al sostegno della vittima sia al reo nel suo
adempimento verso gli obblighi previsti.
- Restauro. Il sostegno e l’attivazione di risorse devono essere assicurate e
garantite a tutte le parti, per rendere efficace la partecipazione al piano d’azione
riparatorio. Le vittime, gli autori di resto e la comunità intera devono avere la
possibilità d’inserirsi e partecipare al processo di giustizia nel modo più rapido e
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completo possibile. Ciascuna delle parti deve essere ascoltata e coinvolta nella
definizione di un piano d’azione il più possibile rispettoso delle loro esigenze.
La giustizia riparativa rappresenta una risposta alla criminalità la quale
evidenzia l’importanza del ripristino della realtà e dei legami sociali antecedenti
all’azione lesiva del reato e, dunque, pone la vittima al centro dell’attenzione
unitamente al reo. L’attenzione verso la vittima è una caratteristica molto
importante che segna un punto di svolta agli orientamenti classici di concezione
della pena e del reato i quali, come avremo modo di vedere nel caso italiano nella
parte storica sui modelli di trattamento, è rimasta sino a tempi assai recenti legata
ad una concezione di giustizia propriamente “autorecentrica”.
Si tratta di pensare alla criminalità e alle conseguenze in modo del tutto
differente rispetto alle concezioni classiche di giustizia penale. Le differenze
della prospettiva riparativa si evincono dalla dimensione curativa che deve
seguire al reato, all’obbligo di restituzione e riparazione ed al coinvolgimento
paritario di tutti i soggetti legittimati ad intervenire.
Dopo questa breve descrizione delle caratteristiche e dei contenuti del
paradigma riparativo andiamo a presentare sinteticamente il presente lavoro sia
dal punto di vista prettamente discorsivo, con la presentazione dei vari capitoli,
sia in termini di obiettivi di ricerca, ponendo l’attenzione sul lavoro d’analisi
della letteratura internazionale.
Il lavoro, come evidenziato nelle righe precedenti, prevede due macro parti: la
prima di queste sarà introdotta con un’analisi dell’evoluzione storica dei modelli
di giustizia in Italia.
Questo capitolo ripercorrerà il periodo storico che parte dalla fine del
XVIII secolo e, in particolare, l’influenza della Scuola classica di diritto penale,
la quale prese spunto dalle idee illuministiche in campo penale di cui assai noto è
il pensiero di Cesare Beccaria e del suo celebre “Dei delitti e delle Pene” (1764),
«La pena retribuisce un’azione, non una personalità; quello della Scuola Classica
è dunque un diritto penale del comportamento» (Cavalla, Todescan, 2000, p.14).
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Questa citazione ci rimanda all’idea chiave della scuola classica la quale vedrà in
seguito affermarsi una nuova concezione della pena che andava a negare il
cosiddetto “libero arbitrio” e ad avanzare idee di matrice scientifica alla materia
penale. Stiamo parlando della scuola positivo-criminologica di cui i massimi
esponenti sono Enrico Ferri e Cesare Lombroso. Questa nuova corrente
scientifica introdusse l’idea della personalità criminale opponendosi nettamente
all’astrazione intellettualistiche a stampo illuminista della Scuola classica di
diritto penale.
La nostra analisi storica proseguirà verso il primo ventennio del
Novecento con il codice Rocco, definito come un codice di compromesso alle
due correnti contrastanti per poi arrivare alla nostra Costituzione e a come la
pena sia stata inquadrata entro l’ambito di diritti riconosciuti e tutelati dalla Carta
fondamentale del nostro paese.
Proseguiremo il lavoro con qualche cenno alla legge penitenziaria (legge
n.354/1975) ovvero l’ordinamento penitenziario tutt’ora in vigore, evidenziando
punti focali e criticità per poi andare oltre e, precisamente, verso gli anni Ottanta
e in sostanza sui primi interventi che potremmo definire rientranti nel paradigma
della giustizia riparativa. Nel capitolo secondo introdurremo il paradigma
riparativo focalizzandoci sulle origini e su una possibile definizione di giustizia
riparativa condivisibile. Nel capitolo terzo andremo a individuare quelli che sono
gli obiettivi della giustizia riparativa aprendo una breve parentesi sullo studio a
livello di Comunità Europea sul miglioramento dell’efficienza dei sistemi delle
pene e osservando come l’idea di restorative justice si sia radicata e diffusa nel
contesto internazionale.
Una volta esaurita, in termini generali, la definizione del paradigma e dei
suoi obiettivi fondamentali, nel capitolo quarto parleremo delle tecniche e degli
strumenti di giustizia riparativa nell’ordinamento giuridico italiano con
riferimento sia al contesto ordinario degli adulti sia ai minori autori di reato e,
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rispettivamente, verranno analizzati l’istituto dell’affidamento in prova al
servizio sociale e il D.P.R. 448/88 del 1989 con particolare attenzione all’articolo
28 (sospensione del processo e messa alla prova del minore).
All’analisi degli istituti in chiave riparativa del nostro ordinamento
seguirà, nel capitolo cinque, l’analisi degli strumenti della giustizia riparativa nel
contesto internazionale ove verrà proposta una panoramica di alcuni esempi di
pratiche riparative, con particolare enfasi agli ordinamenti che hanno ideato
alcune tecniche le quali hanno riscontrato notevole successo e sono state prese
come esempio da molti Stati.
Particolare attenzione merita l’analisi svolta sulla comunità di Hull in
Inghilterra. In questa città inglese è avvenuta un importante sperimentazione e
messa in pratica delle tecniche riparative/riconciliative in un’ottica che, come
evidenzieremo nel lavoro, appartiene ai più radicali sostenitori del paradigma
ovvero coloro che vedono la giustizia riparativa come un sistema che prende vita
in primis dalla comunità ed è a partire da questa, dai luoghi lontani dalle mura e
dai pilastri della giustizia, che avviene la messa in pratica delle misure. La città
di Hull ha dato senso a queste idee partendo dalle scuole, investendo su quelle
che saranno le future generazioni, impartendo degli insegnamenti e, di fatto,
applicando una giustizia di tipo riparativo.
Nel lavoro è stato inserito anche un paragrafo sulla “Commissione Verità
e Riconciliazione” del Sudafrica. E quale momento migliore per ricordare la
figura di Nelson Mandela, scomparso proprio durante la stesura di questo lavoro,
e della lotta all’apartheid in cui il mondo fu testimone direttamente delle terribili
stragi causate dal regime e per la prima volta i familiari delle vittime furono
messi nella condizione di manifestare pubblicamente il loro pensiero come parte
attiva al processo.
Con questo capitolo si chiude la prima parte del lavoro per lasciare spazio
all’analisi empirica svolta su articoli nazionali e internazionali e focalizzarci
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sull’obiettivo della ricerca. La seconda parte verrà introdotta dal capitolo sesto il
quale verterà sulla metodologia della ricerca, ove verranno posti quelli che sono
gli obiettivi principali della ricerca e le questioni aperte alle quali si cercherà di
dare una risposta per poi presentare le modalità operative e lo strumento
d’indagine, composto da una serie di tabelle atte a fornire una griglia d’analisi
per il campione da cui attingeremo le informazioni utili per i fini preposti.
Seguirà il capitolo sette, dedicato all’analisi dei dati di ricerca della ricerca, nel
quale andremo ad esporre, mediante tabelle e grafici, i risultati ottenuti
dall’analisi degli articoli internazionali utilizzati per la nostra analisi.
Nelle conclusioni andremo, infine, a fornire un quadro complessivo del
lavoro presente nella parte prima e dei risultati forniti nella seconda parte
dedicata alla ricerca.