2
Becker e Gerhart
2
enfatizzano il ruolo delle pratiche di gestione delle
risorse umane nel creare e sostenere il rendimento dell’organizzazione e i
suoi vantaggi competitivi. Del resto, Alfred Marshall ha sottolineato che
“ il capitale più prezioso è quello che si è investito negli esseri umani”
3
Quindi ci chiediamo:
Come possono aiutare l’impresa le pratiche di gestione delle risorse
umane?
Rendendola capace, prima di tutto. Un’organizzazione può vincere nel
mercato quando è in grado di “fare” e se assumiamo che le capacità di
un’organizzazione sono la somma delle capacità individuali, possiamo
facilmente dedurre come l’apprendimento possa essere una fonte
essenziale di vantaggio competitivo. Quindi le politiche e le pratiche di
gestione delle risorse umane acquisiscono un ruolo cruciale:
se riflettiamo su quello che facciamo e siamo capaci di
comprenderlo, senza dubbio siamo capaci di trasformarlo.
In questo senso la Direzione delle risorse umane dovrebbe incorporare tutte
quelle metacompetenze che esigono rielaborazione, creatività e soprattutto
capacità di trovare migliorie differenziali.
2
Becker, B. e Gerhart, B. (1996): “ The impact of human resource management on organizational
performance: Progress and prospects” , Academy of Managemet Journal, 39: 779-801
3
Marshall, A. (1890): “ Principles of Economics” London, Macmillan and Co. Limited for the Royal
Economic Society, New York, TheMacmillan Company 1961
3
Ciò che mi sono proposta in questo lavoro è indagare come le differenti
pratiche di gestione delle risorse umane possano influire sul rendimento
dell’organizzazione perché molti convengono sul fatto che le pratiche di
gestione delle risorse umane sono una fonte di vantaggio competitivo,
soprattutto quando sono allineate alla strategia competitiva dell’impresa.
L’impatto positivo sui livelli di produttività è più forte quando le pratiche
di gestione delle risorse umane vengono usate in combinazione l’una con
l’altra. E’ vero che ancora molte di esse stentano ad affermarsi nella realtà
dell’impresa per un certo scetticismo riguardo i loro effetti sul rendimento.
Eppure si stanno manifestando sintomi di un leggero cambiamento di
attitudine: nonostante gli elevati costi iniziali, ci si rende conto dei
miglioramenti della performance economica dell’azienda nel medio- lungo
periodo. E’ necessario del tempo perché il nuovo stile di gestione incida
sui comportamenti dei membri dell’organizzazione e porti alla nascita di
una nuova cultura organizzativa. Inoltre i profitti di un’organizzazione non
dipendono solo e soltanto da una gestione efficace delle risorse umane e
questo lo sanno bene i dirigenti, perché i benefici dipendono fortemente
dalle caratteristiche del mercato o del prodotto, motivo per cui spesso si
punta su altre fonti di vantaggi competitivi come la tecnologia dei processi
e dei servizi.
L’impresa stessa diventa una comunità di persone: alla ricerca di un
difficile equilibrio tra la creazione di profitto e la realizzazione di valore e
valori sostenibili nel tempo. Costruire una “forte” cultura organizzativa
può essere un importante passo per unificare datori di lavoro e lavoratori
attraverso un set stabilito di valori come “ qualità” “ innovazione”e così
via. Certo una cultura forte è meno flessibile nel rispondere a situazioni
4
insolite e ai continui aggiustamenti nel mercato ma a lungo termine può
essere una carta vincente proprio perché stimola un impegno elevato da
parte dei membri dell’impresa.
4
In questo senso le pratiche di gestione delle risorse umane dovrebbero
incorporare e riflettere i valori nucleo dell’organizzazione.
Per le aziende l’essenziale sono i comportamenti, ovvero ciò che gli
impiegati sanno fare e potranno fare: i comportamenti sono influenzati
soprattutto dai ruoli e dalla cultura organizzativa. Il prof. Costa Markides
5
suggerisce che se vogliamo che le persone si comportino in maniera tale da
contribuire agli obiettivi strategici, dobbiamo creare un ambiente
organizzativo adeguato. Tra le componenti dell’ambiente cui si riferisce
Markides vi troviamo anche la cultura organizzativa e i valori, oltre agli
incentivi, le persone, le strutture e i processi. Tutti questi elementi devono
concorrere nello stimolare i comportamenti desiderati.
Il mondo del lavoro in cui la gestione delle risorse umane opera è cambiato
in modo impressionante in questi ultimi decenni. Di conseguenza, i
concetti e le pratiche di gestione delle risorse umane che vengono messi in
atto oggigiorno sono sempre più differenti da quelli del passato. Pertanto,
affinché siano efficaci, é essenziale che i concetti e le pratiche di gestione
delle risorse umane siano allineati con ipotesi basate nella realtà del nostro
ambiente.
4
International Labour Organization ( ILO) disponibile all’indirizzo www. Ilo.com
5
Prof. Costas Markides, Professor of Strategic and International Management, London Business School,
UK “Linking HR to the strategy of the organisation” Report from HR2004 By Alan Strutt and Remco
Van Der Beek, Management Centre Europe disponibile all’indirizzo www.mce.be/hr2004/reportd1.htm
5
1.2 UNA CORNICE TEORICA PER LA GESTIONE DELLE
RISORSE UMANE
Ci sono alcuni requisiti imprescindibili che dovrebbero caratterizzare le
risorse umane:
1) Valide: aggiungere valore ai processi di produzione
dell’impresa
2) Rare: nel senso che le aziende competitrici non le possiedono
3) Inimitabili: se investiamo nel capitale umano, migliorando la
sua qualità, rendiamo più difficile che le altre imprese possano
imitarci.
4) Insostituibili: se le risorse umane forniscono un vantaggio
competitivo non vanno sostituite con le tecnologie.
6
Dando uno sguardo alla letteratura ci accorgiamo che abbondano gli
articoli dove vengono indicati set di migliori pratiche di gestione delle
risorse umane. Il punto che sosterrò per tutta la mia tesi è che non esistono
set di migliori pratiche di alto- rendimento in assoluto: è vero che ci sono
pratiche positivamente correlate a miglioramenti organizzativi ma
altrettanto abbiamo esempi di imprese di successo che non le hanno mai
6
J. Barney (1991): Firm resources and competitive advantage. Journal of Management, vol. 17 N°1
6
adottate. Cercherò adesso di fare una breve retrospettiva sui punti di vista
degli studiosi più autorevoli in materia.
Secondo Delaney e Huselid
7
le pratiche di gestione delle risorse umane
sono positivamente correlate al rendimento organizzativo perché
migliorano le conoscenze e le abilità degli impiegati potenziali e attuali di
un’impresa, aumentano la loro motivazione e la possibilità che quelli più
qualificati rimangano nell’impresa.
Delaney e Huselid ritengono che l’impatto positivo delle pratiche di
gestione delle risorse umane possa essere potenziato badando ad un doppio
“allineamento”. Da un lato la complementarietà e la sinergia tra le
pratiche di risorse umane: è vero che nella pratica non è stato comprovato
un miglioramento dei risultati organizzativi dovuto all’allineamento
interno ma questo perché fino adesso la ricerca si è focalizzata soprattutto
sull’analisi delle singole pratiche. Per capire ciò basta seguire un semplice
ragionamento: ad esempio se l’impresa vuole attrarre nel suo processo di
reclutamento persone altamente qualificate, dovrebbe adottare un livello
salariale elevato e un sistema di ricompensa basato sul rendimento
piuttosto che sull’anzianità; un altro esempio potrebbe essere il seguente:
se l’organizzazione vuole fare in modo che il personale sia impegnato con
essa, può fare leva su contratti a lungo termine e soprattutto sulla
partecipazione degli impiegati a benefici o diritti dell’impresa. Questo ci
dimostra che un miglioramento organizzativo è possibile a patto che le
pratiche di gestione delle risorse umane si sostengano mutuamente.
7
Delaney, J.T. e Huselid, M.A. (1996): “ The impact of human resourse management practices on
perceptions of organizational performance”, Academy of Managemet Journal, 39: 949-969
7
Adesso possiamo passare ad analizzare il concetto di “allineamento
esterno”: è una tesi che ha guadagnato numerosi sostenitori, per citarne
alcuni Schuler, Milgrom & Roberts, Butler, Wright & McMahan e che
consiste in una complementarietà tra pratiche di gestione delle risorse
umane e strategia competitiva dell’impresa. Questa sinergia è utile affinché
la gestione delle risorse umane possa aiutare l’impresa a conseguire i
propri obiettivi: ad esempio in un’organizzazione che adotta un strategia di
differenziazione, la direzione delle risorse umane dovrebbe facilitare
risorse creative e qualificate, una formazione frequente e incentivi per
obiettivi; nel caso di una strategia di beneficio per esempio, compito
principale della gestione delle risorse umane è quello di mettere a
disposizione personale con una bassa qualificazione, salari fisi ed equità
retributiva, una formazione minima e molto specializzata.
Il punto di cui trattavo sopra viene messo in evidenza anche nell’articolo di
Huselid
8
: se qualsiasi pratica di gestione delle risorse umane può essere
considerata tra le “best practices” o se l’efficacia di ogni singola pratica va
valutata in relazione alle particolari contingenze strategiche e ambientali
dell’impresa. Nell’articolo di
Becker e Gerhart
9
viene ribadito questo tema con ulteriori chiarificazioni:
molti autori affermano con certezza che vi sia un insieme individuabile di
migliori pratiche di gestione delle risorse umane ( Pfeffer, Kochan &
Osterman) tuttavia troviamo una grande eterogeneità all’interno di queste
proposte.
8 Huselid, M.A. (1995) “ The impact of human resource management practices on turnover, productivity,
and corporate financial performance” Academy of Management Journal, 38: 635-672
9
Becker, B. e Gerhart, B. (1996): “ The impact of human resource management on organizational
performance: Progress and prospects” , Academy of Managemet Journal, 39: 779-801
8
All’interno di questa prospettiva ci troviamo di fronte ad un’assunzione
impegnativa: che queste “ best practices” di gestione delle risorse umane
hanno sempre effetti positivi, universali in qualunque impresa siamo
implementate. A mio parere queste asserzioni hanno dei limiti:
non si può prescindere dalle caratteristiche specifiche di
un’organizzazione, dai suoi obiettivi nel mercato e
dall’ambiente in cui si trova immersa.
Quindi una pratica generalizzabile non può rispondere pienamente alle
esigenze peculiari di un’impresa che ha radicata una propria cultura e
valori, altrimenti non potremmo parlare di “ fonte unica di vantaggio
competitivo”. Se un prerequisito delle risorse umane “ che creano valore” è
quello di essere difficilmente imitabili, dovremmo concentrarci nel creare
questo valore nel modo più raro e difficile da imitare per i nostri
competitori.
Secondo Pfeffer
10
ci sono delle risorse che sono ben visibili nell’impresa,
come l’economia di scala e le tecnologie e altre che non sono così visibili e
anche se ben descritte, non è semplice comprendere perché funzionino. Ad
esempio ci sono alcuni elementi sociali che sono veramente difficili da
replicare all’interno di un sistema di risorse umane come la cultura
organizzativa e le relazioni interpersonali. Esse si sviluppano e si
consolidano nel tempo, fanno parte della storia di un’impresa, di
interazioni tra una molteplicità si fattori che non possiamo afferrare
10
Pfeffer, J. (1994), Competitive advantage through people: Unleashing the power of the workforce.
Boston, Harvard Business School Press.
9
pienamente. Dovremmo quindi rielaborare la formulazione
dell’allineamento esterno:
le pratiche di gestione delle risorse umane si dovrebbero
allineare al contesto specifico dell’impresa, con la finalità di
supportarla nel conseguimento dei suoi obiettivi strategici e
nella risoluzione dei propri particolari problemi di affari
11
Pfeffer si è fatto promotore di una prospettiva universalistica suggerendo
un set di 16 “ best practices” per gestire le risorse umane ma ha voluto
sottolineare che un’organizzazione può anche implementarle tutte senza
avere alcun profitto, ed è altrettanto possibile che non ne applichi nessuna
o faccia il contrario di quanto
descritto, ottenendo un discreto successo.
Dov’è quindi la chiave di questo successo? O la spiegazione di
questi fenomeni?
E’ importante tenere in considerazione che benché cruciale, la gestione
delle risorse umane non è l’unico fattore rilevante in un’ impresa. Il fatto
che altre imprese puntino sulla differenziazione del prodotto o
sull’information technology ci dimostra che la forza lavoro non è l’unica
base per ottenere un successo competitivo. Inoltre nella letteratura spesso
vi è una descrizione formale di queste pratiche di lavoro per cui vi è uno
scarto non trascurabile con il modo effettivo in cui vengono implementate
e la forma che possono assumere.
11
Becker, B. e Gerhart, B. (1996): “ The impact of human resource management on organizational
performance: Progress and prospects” , Academy of Managemet Journal, 39: 779-801
10
La pratica è essenziale per comprendere il lavoro e in definitiva,
nonostante la letteratura diventi sempre più prescrittiva e tenda a
semplificare, la realtà dei fatti evidenzia tutta la complessità e gli
imprevisti che si possono verificare soprattutto se si tratta di risorse umane,
ovvero di lavorare con le persone.
A Delery e Doty
12
spetta il tentativo di combattere la tradizionale
asserzione per cui il campo della gestione strategica delle risorse umane
manca di un solido fondamento teorico. Essi delineano tre approcci diversi
che sono stati impiegati in quest’ambito:
• prospettiva universalistica: fa capo a Pfeffer, Osterman e
Huselid per i quali alcune pratiche di gestione delle risorse
umane sono sempre migliori di altre e tutte le imprese
dovrebbero adottarle
• prospettiva della contingenza: i sostenitori tre cui, Gomez-
Mejia & Balkin, Schuler & Jackson, argomentano che le pratiche
di gestione delle risorse umane devono essere coerenti con altri
aspetti dell’organizzazione., primo fra tutti, la strategia
organizzativa.
• prospettiva configurazionale: Doty & Glick, Wright &
McMahan. Questa teoria aggiunge alla precedente (allineamento
verticale) anche la necessità di un “allineamento orizzontale” tra
le varie pratiche di gestione delle risorse umane per massimizzare
12
Delery, J. E. e Doty, D. H. (1996) “ Modes of theorizingin strategic human resource management: tests
of universlaistic, contingency, and configurational performance predictions”, Academy of Mangemetn
Journal, 39: 802-835