4
PIL reale p.c. e Indice di Gini
1.000
1.250
1.500
1.750
2.000
2.250
2.500
2.750
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
P
i
l
r
e
a
l
e
p
c
(
$
2
0
0
0
c
o
s
t
.
)
0,2
0,25
0,3
0,35
0,4
0,45
I
n
d
i
c
e
d
i
G
i
n
i
PIL reale p.c. Indice di Gini (per il redd p.c)
Fonti: UNICEF Transmonee 2006, Mitra-Yemtsov (World Bank 2006)
Incidenza della povertà (% di popol. sotto la linea di povertà)
10,1%
21,6%
28,3%
23,6%
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
1991 1995 1999 2003
"
H
e
a
d
c
o
u
n
t
r
a
t
i
o
"
Fonti: World Bank (2005a, 2005b), Klugman e Marnie (2001)
Queste tre dimensioni appaiono intimamente legate tra loro: più precisamente si può affermare che
l’andamento della povertà è il risultato dell’effetto combinato di due componenti, la “componente
performance economica” (cambiamento della povertà in risposta al cambiamento del reddito medio,
mantenendo la distribuzione costante) e la “componente distribuzione” (cambiamenti della povertà
in risposta a cambiamenti nella distribuzione, mantenendo costante il reddito medio).
5
Con riguardo al processo di transizione in Russia, risulta pertanto rimarcabile:
da un lato il netto peggioramento delle condizioni di vita della popolazione tra gli anni 1991-97,
evidenziata dai trends ascendenti degli indicatori di povertà e di disuguaglianza e naturalmente
correlati alla drastica caduta del reddito.
dall’altro il miglioramento di tali condizioni nel periodo post-crisi, con una riduzione della
povertà determinata per la maggior parte dall’intensa crescita del reddito p.c. e in misura minore
dalla modesta riduzione della disuguaglianza.
La sostenibilità di un’efficace e stabile strategia di alleviamento della povertà, in quanto
strettamente legata alla sostenibilità dei suddetti processi di crescita economica e di riduzione delle
disuguaglianze appare quindi problematica sotto due punti di vista.
In primo luogo i poderosi tassi di crescita mostrati dall’economia russa negli anni seguenti il ’98
non sembrano sostenibili nel lungo periodo, principalmente perché determinati dalla combinazione
di temporanei effetti post-crisi (drammatica svalutazione del rublo, alto margine d’incremento
nell’utilizzo della capacità produttiva) e secondariamente per via dell’eccessiva concentrazione
dell’economia russa e della sua dipendenza dall’esportazione di pochi beni (gas, petrolio) e
dall’andamento favorevole del prezzo del greggio, che la rende estremamente vulnerabile ad
eventuali shocks esterni.
In secondo luogo gli indicatori di disuguaglianza non hanno mostrato negli ultimi anni un chiaro
trend discendente bensì una semplice tendenza alla moderazione e stabilizzazione.
In un quadro del genere appare dunque cruciale l’intervento statale in un programma coerente di
riforme della politica di protezione sociale, che siano in grado di mantenere sotto controllo le
disparità distributive e le possibili pressioni verso un aumento della disuguaglianza, nonché di
canalizzare adeguatamente le risorse verso efficienti programmi espressamente indirizzati alla
riduzione della povertà, tanto sul piano delle dimensioni monetarie del welfare ( reddito, consumo),
quanto su quello delle dimensioni non monetarie ( educazione, salute, infrastrutture, etc.).
Il presente lavoro si prefigge pertanto di tracciare un quadro il più completo possibile delle
caratteristiche strutturali e dinamiche della povertà e della disuguaglianza in Russia dall’inizio della
transizione fino ad oggi, al fine di evidenziare le aree di particolare interesse per un intervento
statale volto ad attivare una strategia di riduzione della povertà basata sulla crescita economica e su
una riforma delle politiche strutturali in campo sociale.
6
Il lavoro è strutturato in 5 parti:
Il primo capitolo è introduttivo e presenta un quadro storico generale del processo di transizione in
Russia attraverso una breve analisi della performance economica e delle principali riforme
istituzionali attuate dal 1992 ad oggi.
Il secondo capitolo offre delle precisazioni di tipo teorico-metodologico sui concetti di povertà e
disuguaglianza, sulla loro misurazione, e su importanti questioni riguardanti la natura dei dati e
delle fonti utilizzate.
Il terzo capitolo presenta un’analisi della povertà in Russia dall’inizio della transizione illustrandone
i trends e i profili strutturali significativi, e sottolinea l’importanza del mercato del lavoro come
canale di trasmissione tra l’economia e le dinamiche della povertà.
Il quarto capitolo svolge un’analisi della disuguaglianza in Russia nello stesso periodo, sempre
studiandone trend e profilo strutturale, e analizzandone le determinanti tramite una sua virtuale
“scomposizione”.
Infine il quinto capitolo illustra lo stato dell’intervento pubblico nei settori maggiormente rilevanti a
livello sociale (Protezione sociale, Sanità, Istruzione), e trae dall’analisi svolta nel presente e nei
precedenti capitoli le implicazioni di natura economico-politica per attivare una “policy agenda”
volta alla riduzione della povertà.
7
CAPITOLO 1
IL PROCESSO DI TRANSIZIONE IN RUSSIA: BREVE ANALISI
DELLA PERFORMANCE ECONOMICA E DELLE RIFORME
ISTITUZIONALI DAL 1992 AD OGGI
1.1) LA STORIA DELLE RIFORME NEGLI ANNI ‘90
Quando la Federazione Russa intraprese il processo di transizione da un’economia pianificata ad
un’economia di mercato, era appena emersa come paese indipendente dalla dissoluzione
dell’Unione Sovietica e stava attraversando la fase terminale della crisi del sistema sovietico.
Mentre tale crisi aveva le sue radici nel secolare declino di lungo periodo dei tassi di crescita
verificatosi nell’ URSS dagli anni ’50 in poi, il crollo finale fu precipitato da una combinazione di
fattori: riforme mal concepite e instabilità politica. Le riforme economiche e politiche dei tardi anni
’80, in particolare la “Perestroika” di Gorbachov, che aspiravano a trasformare il socialismo di
mercato in un’economia mista introducendo alcuni meccanismi del mercato nel sistema sovietico,
minarono molte delle tradizionali strutture dell’economia di comando, senza porre nulla al loro
posto.
Agli inizi del 1991 la situazione politica continuava a presentarsi frammentaria e l’economia era in
caduta libera: il PIL reale cadde del 15% rispetto all’anno precedente; il deficit del bilancio statale
crebbe enormemente a causa declino nella produzione, del collasso della disciplina nel sistema di
tassazione e della crescita dei sussidi alle imprese; l’emissione di moneta per coprire il deficit portò
ad una crescente inflazione, con conseguente aggravamento degli “shortages” (già esistenti in
forma endemica), uso del baratto e crescita del mercato nero; lo smantellamento del blocco
commerciale sovietico distrusse l’equilibrio della bilancia dei pagamenti e il debito estero raggiunse
il 56,6% del PIL.
Di fronte ad una tanto critica situazione il neo-eletto Presidente Boris Yeltsin diede attuazione
alla cosiddetta strategia della “terapia d’urto”, propugnata da illustri economisti occidentali e dalle
principali istituzioni internazionali quali il FMI, la WB, il WTO, la EBRD, e il G7, secondo una
formula oramai nota come “Washington Consensus”. L’obiettivo non era di bilanciare Stato e
mercato, bensì di completare la transizione da un estremo all’altro il prima possibile, attraverso la
realizzazione di rapide e decisive riforme verso una perfetta economia di mercato.
8
Tre erano i punti chiave della strategia:
a) Rapida liberalizzazione (dei prezzi, dell’iniziativa imprenditoriale, del commercio
internazionale, dei movimenti di capitale)
b) Rapida privatizzazione di massa della proprietà pubblica
c) Stabilizzazione dell’economia
La logica alla base del suddetto schema era che una rapida liberalizzazione e una rapida
privatizzazione avrebbero portato rispettivamente libertà d’iniziativa e incentivi, elementi chiave
per un’economia di mercato, e che la stabilizzazione avrebbe creato l’ambiente economico capace
di sostenere tale trasformazione.
L’implementazione del pacchetto di riforme ebbe formalmente inizio il 2 gennaio 1992, con la
liberalizzazione del 90% dei prezzi al dettaglio e l’80% dei prezzi di produzione ( le principali
eccezioni erano l’energia, alcune materie prime, e alcuni generi alimentari di base). Ma, dopo lo
shock iniziale, la liberalizzazione dei prezzi procedette relativamente lenta, poiché molte
autorità regionali temevano la risposta popolare ad una rapida eliminazione dei controlli sui
prezzi dei beni di prima necessità, mentre il governo federale temeva l’impatto che avrebbe
avuto sul settore industriale una liberalizzazione dei prezzi dell’energia.
Furono eliminati molti degli ostacoli formali agli investimenti stranieri. Fu abolito il monopolio
statale sul commercio estero, anche se da un lato rimasero numerosi controlli sulle importazioni
insieme a sussidi alle importazioni di determinati beni di prima necessità, dall’altro le esportazioni
di molti beni (petrolio) furono soggette a quote o dazi al fine di tenere bassi i prezzi interni.
La rapida privatizzazione di massa fu inizialmente intrapresa tramite un “ voucher scheme”, che
mirava a tagliare le imprese in difficoltà dal bilancio statale e a creare una vasta classe di
stakeholders che, avendo acquisito una partecipazione nel sistema, avrebbero avuto interesse a
sostenere ulteriori riforme. Questo schema ebbe successo nel trasferire la proprietà ai privati ( entro
la fine del 1994 fu trasferito il 70% delle imprese di piccole dimensioni ), ma risultò in una struttura
proprietaria completamente dominata dagli insiders ( managers e collettivi dei lavoratori), che
avevano ben poco interesse in una estesa opera di ristrutturazione.
Queste misure furono accompagnate, sotto la supervisione del FMI, da drastici tagli nella spesa
pubblica e da politiche monetarie fortemente restrittive, allo scopo di assicurare una stabilità
macroeconomica capace di agevolare l’aggiustamento dei prezzi relativi e stimolare una riduzione
dell’eccesso di liquidità.
9
Mentre il governo concentrò le sue energie sulla stabilizzazione, il processo di riforme strutturali in
molti campi stagnò, anche a causa dell’opposizione di potenti interessi e della mancanza di capacità
da parte delle indebolite autorità federali di implementare tali riforme.
Conseguenza immediata della liberalizzazione dei prezzi fu un drastico aumento nel livello
generale dei prezzi. Questo balzo iniziale era previsto: fu prevalentemente l’affiorare del
“monetary overhang” venutosi a creare negli anni ’60 – ’90 dell’era sovietica a causa della maggior
rapidità della crescita dei salari nominali rispetto a quella della produttività, e della repressa
pressione inflazionaria provocata dai prezzi tenuti artificialmente bassi.
La sfida della disinflazione fu resa più complessa dal mantenimento dell’ area del rublo nella prima
metà del 1992: la Russia non aveva un completo controllo sulla sua politica monetaria a causa della
non coordinazione delle politiche monetarie dei paesi che adoperavano il rublo, le cui banche
centrali abusavano della loro capacità di creare moneta bancaria per finanziare le imprese in
difficoltà. Il PIL reale cadde del 32% tra il 1992 e il 1994. Questo drammatico crollo può essere
spiegato, dal lato della domanda, con la caduta dei consumi privati connessa all’aumento dei prezzi
e al diminuito potere d’acquisto, e dal lato dell’offerta, con il tentativo di imporre dei più severi
vincoli budgetari alle imprese.
Graf. 1.1 PIL Reale ( $ 2000 costanti)
200.000.000.000
225.000.000.000
250.000.000.000
275.000.000.000
300.000.000.000
325.000.000.000
350.000.000.000
375.000.000.000
400.000.000.000
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fonte: World Development Indicators 2006 (World Bank )
Graf. 2. 2 Tasso d’inflazione annuo (1990-2003)
0
200
400
600
800
1.000
1.200
1.400
1.600
1.800
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
V
a
r
i
a
z
.
%
d
e
l
l
'
I
P
C
Fonte: UNICEF Transmonee 2006
10
L’11 ottobre 1994 (il “Martedì Nero”) il cambio del rublo crollò del 21% come diretta
conseguenza dell’alta inflazione. Questo diede al governo la spinta ad implementare nel 1995 una
“exchange-rate-based strategy”, elaborata con lo stretto supporto (tanto tecnico quanto finanziario)
del FMI, e basata su una forte stretta della politica monetaria per ridurre l’inflazione e sostenere la
quotazione del rublo. Il programma fu attuato con successo, poiché l’inflazione passò da un tasso
del 197,7% ad uno del 47,8% tra il 1995 e il 1996. Ciononostante, il conseguente rapido
apprezzamento del cambio nominale e reale del rublo (che quasi raddoppiò durante il corso del
1995) preoccupò le autorità, a causa dell’impatto negativo sulla competitività e sul valore reale dei
risparmi in valuta estera della popolazione, ma anche per il timore che ci potesse essere a breve
un’improvvisa e drastica inversione di tendenza. Al fine di evitare una simile evenienza, nel luglio
1995 fu quindi introdotto un “corridoio” per il tasso di cambio.
Tale strategia di stabilizzazione basata sul tasso di cambio non fu accompagnata dall’aggiustamento
fiscale necessario a renderla sostenibile: il deficit del governo federale crebbe dal 5,3% del PIL nel
1995 all’ 8,9% nel 1996, portando ad una rapida crescita del debito a breve termine. Poiché la
mancanza di progresso in campo fiscale era evidente alla maggioranza degli osservatori, si diffuse
sin dall’inizio un clima di diffusa diffidenza riguardo alla sostenibilità di detta strategia. Come
conseguenza della stretta monetaria e del clima di diffidenza i tassi d’interesse cominciarono ad
aumentare rapidamente, aggravando il servizio del debito pubblico e attraendo crescenti flussi di
capitale a breve termine.
Lo stesso anno il governo diede inizio alla seconda fase del processo di privatizzazione, che avrebbe
dovuto liquidare le attività ancora nelle mani dello Stato in quelle che erano considerate le più
quotate imprese di grandi dimensioni ( in prevalenza società nel settore dell’olio e dei metalli non
ferrosi). Attraverso il cosiddetto programma “prestiti in cambio di azioni”, poche banche controllate
da un manipolo di oligarchi accettò le partecipazioni statali nelle maggiori aziende ancora
controllate dallo Stato come garanzie reali per la concessione di presiti al governo, a condizione di
poter rilevare le azioni nel caso i prestiti non fossero stati ripagati entro il 1 settembre 1996. Come
era facilmente prevedibile, il governo non riuscì a restituire in tempo i prestiti, e la conseguente
conversione dei prestiti in azioni si risolse nel sostanziale trasferimento di alcune delle più pregiate
imprese russe nelle mani di pochi e ben agganciati gruppi industriali-finanziari per una frazione del
loro valore.
Lungo tutto il corso del 1996 la situazione fiscale peggiorò decisamente, soprattutto a causa della
riduzione delle entrate fiscali. Tali entrate declinarono tanto per via del generale declino del PIL
quanto per l’incapacità dello Stato di realizzare un’ effettiva esazione, cosicché da un lato
aumentava l’evasione fiscale da parte dei contribuenti, e dall’altro trovò larga diffusione la pratica
11
semi-legale delle “compensazioni” (accordi tra governo e imprese per cui si cancellavano
vicendevolmente obbligazioni non assolte del governo nei confronti delle imprese con un
equivalente ammontare di tasse arretrate).
Graf. 3. 3 Tasso di cambio nominale e reale
0
5
10
15
20
25
30
35
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
T
a
s
s
o
d
i
c
a
m
b
i
o
n
o
m
i
n
.
0
50
100
150
200
T
a
s
s
o
d
i
c
a
m
b
i
o
r
e
a
l
e
Tasso di cambio nomin.(rublo/$) Tasso di cambio reale(indice 2000=100)
Fonte: World Development Indicators 2006 (World Bank)
Agli inizi del 1997 l’economia mostrava timidi segnali di una ripresa stimolata da un boom nei
consumi, quando il contagio della crisi asiatica portò i tassi d’interesse a livelli incredibilmente alti.
Molti operatori cominciarono a stimare sopravvalutato il rublo e a ritenere che il tasso di cambio
fisso fosse divenuto insostenibile. Grossi flussi di capitali iniziarono rapidamente a lasciare il paese.
Il governo russo, seguendo il parere del FMI, decise di sostenere il rublo in chiave anti-
inflazionistica: il 20 luglio 1998 accordò alla Russia un prestito di 4,8 miliardi di dollari a supporto
di un nuovo pacchetto di misure fiscali e in altri campi, allo scopo di fornire al governo le riserve in
valuta necessarie a gestire i flussi di capitali in uscita. Ciononostante nelle settimane seguenti i tassi
d’interesse raggiunsero livelli di tre cifre e l’aumento delle riserve internazionali fu presto invertito
nel momento in cui gli operatori finanziari cominciarono a convertire rubli in dollari. Il governo fu
lasciato senza altre possibilità che la svalutazione del rublo: il 17 agosto 1998 annunciò la fine del
regime fisso e la sospensione unilaterale del servizio del debito, accompagnata da una
ristrutturazione forzata del debito a lungo termine. La quotazione del rublo cominciò quindi una
rapida e violenta svalutazione, riducendosi del 45% in soli due anni.
Nel periodo immediatamente seguente alla crisi finanziaria l’economia giunse ad una situazione di
stallo: molte banche cessarono di operare, molti negozi chiusero temporaneamente e l’inflazione
accelerò rapidamente.