disposizione quel poco che sapevo, che avevo imparato in questi anni riguardo al teatro,
ma soprattutto, alla vita.
Così ora, partendo dal mio piccolo esperimento “laboratoriale” fatto con un gruppo di
adolescenti che ho conosciuto in Perù, mi sono chiesta quale storia, quali esempi ci siano
di persone che hanno tentato di coniugare la propria professionalità teatrale con il
servizio a persone che, nell’amara logica di un sistema capitalista, si sono ritrovati sul
confine, (o aldilà) tra sommersi e salvati, tra sfruttati e sfruttatori, tra vittime e carnefici.
Così cercherò di delineare in una panoramica generale il ruolo del teatro sociale nel
contesto contemporaneo, chiedendomi con onestà quale ruolo e con quali metodi si metta
in relazione con le dinamiche decisamente anti-comunitarie e a-sociali di cui siamo noi
stessi responsabili attori.
Successivamente entrerò più in merito alla questione della marginalità sociale ed
economica dei paesi che noi definiamo “terzo mondo”, cercando di capire quali siano i
criteri con cui possono prodursi queste facili “etichette” sociologiche e come il teatro
abbia il potere di scardinare pregiudizi e abbattere qualche muro attraverso le porte
dell’intercultura.
La parte centrale della tesi sarà dedicata al racconto delle quattro esperienze: una in
Colombia, una in Kenya, una nei Balcani e una in Brasile. Non vorrei, nel tentare di
analizzarle, cadere nella facile tentazione di considerare l’attività teatrale fatta in contesti
come quello che ho incontrato un’attività redentrice che sostituisce e colma tutte le
lacune secolari di cui soffrono queste persone; cercherò, piuttosto, di metterne in
evidenza le potenzialità e risorse, insieme ai rischi e alle possibili derive che questo
lavoro comporta.
Desidero che ogni parola scritta sia davvero letta come un’onesta ricerca che ha alle
spalle non la vanità di una dissertazione ben confezionata che si compiace di se stessa,
ma il desiderio autentico di ricerca, di arricchimento per qualcosa che trascende gli anni
di scuola, gli esami fatti, il titolo di laurea.
5
1 - HA ANCORA SENSO IL TEATRO SOCIALE?
Normalmente si misura la tenuta di un ponte dalla solidità del suo pilastro più piccolo. La qualità umana
della società dovrebbe essere misurata dalla qualità di vita dei più deboli tra i suoi membri. Questa è anche
l’unità di misura degli standard morali di una società.
BAUMAN, Zygmunt,
Consuming life
In questi capitoli cercherò di mostrare come la natura sociale del teatro sia una sua
caratteristica peculiare e non un'invenzione moderna adattata alle esigenze della società
contemporanea. Infatti ciò di cui il teatro non può fare assolutamente a meno sono la
presenza, il corpo e la relazione: tre elementi profondamente connessi con la vita e per
questo in grado di parlare di essa in modo nuovo e di contagiarne le dinamiche.
Attraverso l'analisi critica delle caratteristiche economiche e sociali della
contemporaneità si traccerà il profilo di un individuo che non si riconosce più come
membro attivo di una comunità, ma anzi una monade alla ricerca continua di un
soddisfacimento edonistico dei propri bisogni. Da qui l'urgenza di trovare una risposta
alla diffusa infelicità che deriva dall'assenza di legami; di rifondare una ritualità collettiva
che ci permetta di vivere appieno la dimensione orizzontale della vita: quella del dialogo,
della negoziazione, della fratellanza. E' proprio nella dimensione collettiva del rito che
troviamo una sorgente di significati nuovi che, terminata la fase liminale, può
contaminare in modo significativo anche il contesto quotidiano e feriale.
Una delle strade che meglio possono condurre a questo passaggio è proprio il teatro. Un
teatro che si fa vivo non solo come performance artistica che compiace il narcisismo di
chi agisce a scapito di un pubblico passivo che osserva, ma come reale modalità di
relazione tra persone.
Un breve cenno storico delineerà i passi che hanno portato a questa consapevolezza nel
'900; emergeranno poi i contesti e le modalità di azione proprie del teatro sociale.
Questa panoramica aiuterà ad entrare meglio nel merito della questione riguardante il
rapporto con il terzo mondo, evitando il rischio di considerare l'intervento di teatro
sociale in queste situazioni come una breve parentesi evasiva che non lascia traccia.
6
1.1 CONTESTO SOCIALE CONTEMPORANEO: UN PONTE
LUCCICANTE CON PILASTRI SCRICCHIOLANTI
La parola che in modo più ricorrente ascoltiamo quando si parla del contesto economico,
politico e sociale contemporaneo è sicuramente globalizzazione; i due pilastri che la
fondano sono rappresentati dal mercato e dalla comunicazione. Due elementi che
virtuosamente si alimentano a vicenda attraverso il meccanismo feticista della produzione
di bisogni effimeri e della proposta “mercificata” della loro stessa soddisfazione
materiale, volta a placare il costante stato di infelicità e insoddisfazione collettiva che
respiriamo quotidianamente.
L’emergere e il prevalere netto di questi due aspetti ha in gran parte oscurato il valore di
istituzioni come lo stato o la religione. Se è vero, come sostiene Bauman, che la
divaricazione tra potere dello stato e politica ha trasformato i cittadini in consumatori, in
un mercato che si rivela essere “maestro di esclusione sociale
1
”, non è difficile credere
che l’etica che governa la società sia anche basata sulla creazione di una sorta di
“autoreligione” stile new age finalizzata al mero soddisfacimento delle esigenze emotive
individuali più che alla fondazione e al continuo rinnovamento di una morale che dia vita
all’agire sociale quotidiano. Contestualmente, come in politica il cittadino diventa
consumatore, così nei sistemi rituali e nelle forme di comunicazione e rappresentazione
sociale egli si trasforma in uno spettatore, in un fruitore di mezzi di comunicazione di
massa che lo rendono totalmente estraneo e passivo, senza la scoperta degli strumenti
necessari alla costruzione di propri sistemi simbolici di interazione con l’altro. Così Sisto
Dalla Palma riassume il concetto:
La crescita esponenziale dei sistemi mediatici ha implementato il carico di stimoli e dei segni a detrimento
delle strutture valoriali, degli apporti affettivi, delle reti di partecipazione, della capacità di costruzione di
sistemi di rappresentazione concretamente radicati nella coscienza di una comunità.
2
Oggi, il panorama più ricco di rituali che c’è rimasto concerne sicuramente il contesto
non lavorativo dello sport e del tempo libero
3
. Nonostante questo, la sfera liminoide
4
1
BAUMAN, Zygmunt, Consuming Life, Polity, Cambridge, 2007, tr. it. Homo consumens: lo sciame
inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erikson, Gardolo, 2007, pp. 37-39.
2
DALLA PALMA, Sisto,
Momenti e modelli della transizione teatrale, in BERNARDI, Claudio,
CUMINETTI, Benvenuto, DALLA PALMA, Sisto (a cura di), I fuoriscena. Esperienze e riflessioni sulla
drammaturgia nel sociale, cit. p. 12.
7
dell’esistenza, se prima era luogo marginale e pluralista di svago ed evasione rispetto al
processo sociale, ora diventa addirittura sede ulteriore di sperimentazione della
competitività, dell’impegno, dell’obbligo di utilizzare una maschera sociale consona
all’immagine che vogliamo dare agli altri, dai quali sguardi siamo gratificati e alimentati.
Non esiste più la possibilità di ricerca del tempo e di una modalità di elaborazione del
rito: la Chiesa ha perso la sua valenza di credenza collettiva e in generale i passaggi
cruciali dell’esistenza assumono sempre più una connotazione molto personale, molto
intima (il matrimonio, la nascita, la morte…).
5
L’assorbimento dei dissensi (resi così inoffensivi) all’interno del sistema capitalista
allarga ancor di più la distanza tra l’individuo e la rete sociale in cui vive, “regalando”
alla persona la pia illusione di poter percorrere strade alternative, in realtà già previste
all’interno del sistema e destinate, alla lunga, a continuare ad alimentarlo.
Il mercato e i sistemi di comunicazione danno forma a una vera e propria apologia delle
voglie
6
, ovvero le ombre impoverite dei desideri, rendendoci così eterni adolescenti,
eterni figli, e non MEMBRI, di una società da cui ci aspettiamo tutto ma alla quale non ci
sentiamo in dovere di dar niente per cambiare quello che non funziona. In definitiva,
l’obiettivo fondamentale sembra essere diventato la conquista della libertà: libertà come
dominio del tempo, del denaro, delle relazioni. Libertà come individualismo.
Come sostiene Benasayag, la felicità individuale è diventato il mito contemporaneo, ma
paradossalmente non siamo mai stati così tristi come ora
7
.
Il fallimento politico e intellettuale del Liberismo e dell’Illuminismo segnano il passaggio
dall’uomo economico all’uomo psicologico. La forma che Lash conia per descrivere
questo tipo di condizione è narcisismo
8
. A dispetto di quello che si possa pensare, il
3
Su questo tema vedi SEGALEN, Martine, Rites et rituales contemporains, Nathan, Paris, 1998, tr. it. Riti
e rituali contemporanei, Il Mulino, Bologna, 2002.
4
Cfr. TURNER, Victor, From ritual to theatre: The Human Seriousness of Play, Performing Arts Journal
Publications, New York, 1982, tr. it. Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna, 1986.
5
Cfr. SEGALEN, Martin,
Rites et rituales contemporains, cit. pp. 109-135.
6
BENASAYAG, Miguel,
SCHMIT, Gérard,
Les Passions Tristes. Souffrance psychique et crise sociale,
Ed. La Découverte, Paris, 2003, tr. it.
L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004.
.
7
BENASAYAG, Miguel,
Abécédaire de l'engagement, Bayard, Broché, 2004, tr. it.
Contro il niente: abc
dell'impegno, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 88.
8
LASCH, Cristopher,
The culture of narcissism, Norton & Company, New York, 1979, tr. it. La cultura del
narcisismo: l'individuo in fuga dal sociale in un'età di disillusioni collettive, Bompiani, Milano, 1999.
8
riferimento etimologico della parola al mito di Narciso, non si rifà alla sua vanità nel
rimirarsi continuamente compiacendosi della propria bellezza (che lo condurrà ad una
tragica morte), ma al contrario alla sua incapacità di distinguere un netto confine tra sé e
il mondo che lo circonda, come se la realtà avesse senso, forma e ragione ontologica solo
nel proprio essere un mezzo di appagamento delle proprie libido personali, delle esigenze
emotive e sensoriali che animano il suo esistere. L’esempio più calzante che mi viene in
mente è quello del bambino che, ancora feto, vive nel e del ventre della madre; non prova
fame, sonno, sofferenza: ogni sua pulsione, ogni sua esigenza si con-fonde nel mite e
rassicurante magma caldo in cui è immerso: potrebbe distinguersi da esso? Potrebbe
avere la capacità di ritenersi un essere diverso da quello di sua madre? Identica è la
condizione dell’uomo contemporaneo, con la non trascurabile differenza che egli, ad
esempio per quanto riguarda la dimensione dei bisogni, non si faccia guidare
dall’esperienza, ma dalla capacità dei media di creare artificialmente delle voglie da
soddisfare che, se inappagate, lasciano un frustrante senso di infelicità e insoddisfazione
che deve essere colmato il più rapidamente possibile, in attesa che un nuovo messaggio-
stimolo produca nuove pseudo-necessità, nuove paure, nuove ansie di non essere
all’altezza se non si possiede il suddetto status symbol.
Da qui deriva una certa sensibilità moderna di tipo auto-terapeutico; l’interesse di ognuno
è unicamente rivolto a questioni prettamente personali, alla sopravvivenza (intesa
chiaramente non in senso strettamente fisico ma in senso lato, nel contesto della bulimia
economica occidentale odierna): la ricerca del benessere, della perfezione estetica,
dell’alimentazione “sana e genuina”, dello sport che va più di moda, del ballo etno-chic
che va per la maggiore…a tutte queste attività si attribuisce una valenza quasi mistica,
come se non ci fosse altra forma rituale collettiva a cui possiamo fare riferimento, in cui
la nostra dimensione privata acquisisca senso attraverso quella pubblica. Così la vita
comunitaria va disgregandosi in mille particelle autistiche, quasi si facesse ormai fatica a
trovare una motivazione profonda al dover essere-insieme, al dover fare-qualcosa-
insieme. Insomma, una vera società sciame:
Non hanno bisogno di imparare l’arte della sopravvivenza: si radunano e si disperdono a seconda
dell’occasione, spinti da cause effimere e attratti da obiettivi mutevoli.
9
Il potere di seduzione di obiettivi mutevoli è generalmente sufficiente a coordinare i loro movimenti rendendo
superfluo ogni ordine dall’alto.
9
L’aspetto più preoccupante mi pare che sia il carattere effimero dei legami che questo
“sciame umano” produce: legami che durano solo il tempo del raggiungimento
dell’obiettivo, legami utilitaristici che non presuppongono la presenza di una vita
interiore, di un profondo attaccamento a delle radici nel passato e ad una qualsiasi
progettualità nel futuro. La politica diventa il bacino di sfogo nel quale i frustrati
affogano il proprio fallimento, in un clima generale di sconforto e rassegnazione. Questa
paura del futuro è la radice antropologica dell’insicurezza generalizzata dei nostri tempi,
e questa sensazione di precarietà permanente da condizione universale diventa particolare
attraverso l’educazione che i genitori danno ai figli. La sicurezza viene così ricercata
ovunque, tranne nella sede in cui la potremmo trovare: nei legami.
10
Tutto si vive nell’istante di un presente che esclude ogni tensione trascendente: facciamo
alcuni esempi. Innanzi tutto vengono rifiutate la dimensione della vecchiaia, della
sofferenza e della morte, come pensieri tanto astratti quanto scomodi, e per questo da
allontanare, da scacciare come nefasti presagi: ecco allora la corsa al ringiovanimento, il
proliferare di trattamenti chirurgici (o meno) per sventare la sciagura di una pelle
raggrinzita o di un corpo decadente, l’indebolimento progressivo del ruolo dell’anziano
come figura a cui si dà autorità proprio grazie all’esperienza accumulata che lo rende
degno di ascolto e stima; badanti, ospizi e centri diurni sembrano geniali accorgimenti in
questo senso: fungono da discarica sociale per soggetti di cui nessuno -o quasi- sa più
cosa farsene.
11
Oltre agli anziani, un intero altro popolo di esclusi bussa alla porta della serenità di
plastica del nostro millennio: profughi, poveri, disadattati, borderline sociali, disabili,
prostitute, carcerati...“i nostri uccelli del malaugurio, che ci ricordano quanto siano fragili
9
BAUMAN, Zygmunt, Consuming Life, cit. p. 48
10
Cfr. BENASAYAG, Miguel, Abécédaire de l'engagement, cit. pp. 166-169.
11
Su questo tema: INNOCENTI MALINI, Giulia, PER CONCLUDERE…Appunti su teatro e anziani, in
BERNARDI, Claudio, PERRAZZO, Daniela (a cura di), Missioni impossibili. Esperienze di teatro sociale
in situazioni d’emergenza, cit. pp. 301-310 e BERNARDI, Claudio, Il teatro sociale, Carocci, Roma, 2006,
pp. 130-133.
10
il nostro benessere e la nostra pace”
12
. Sono fastidiosi pungoli che vorremmo allontanare,
sono le sacche di vuoto che questo sistema porta con se, sono la prova che qualcosa in
questo meccanismo perfetto e dorato non sta funzionando. Sono l’ennesima conferma di
quanto poco democratico sia il sistema del mercato, che bolla come esclusi i consumatori
inefficienti, inadeguati rispetto allo standard imposto.
La povertà è un sottoprodotto inevitabile del sistema di produzione individuale capitalista. È la conseguenza
diretta degli obiettivi economici che la società si assegna, obiettivi tutti legati al profitto, al calcolo costo-
ricavo, a provvedimenti per la maggiore produttività e non certo per il benessere di tutti.
13
La paura, l’inquietudine (ben cavalcata da politici demagogici e grossolani) che queste
persone ci procurano è dovuta proprio a questo motivo: disturbano la monotona ma
rassicurante ciclicità delle nostre giornate; lavorare per comprare per cercare di essere
felici, per alimentare un sistema che ci instilla il bisogno di possedere e di guadagnare
denaro al fine di riuscirvi. Apposite pasticche placebo a questa sensazione fastidiosa
(mista tra un vago senso di colpa, compassione e ribrezzo) nei loro confronti, sono
prodotte ancora dal sistema di comunicazione: «Vuoi avere la coscienza apposto? Metti
una firma su questo bollettino postale: aiuterai gli altri senza perdere un briciolo della tua
integrità, senza rinunciare a una virgola della tua LIBERTÀ». Una vera e propria
«caricatura della comunione con l’altro».
14
Questa fragilità strutturale, questa apatia che ci fa accettare ricette esistenziali in
sacchetto da scaldare al microonde, è la cifra caratteristica della nostra società, è la prova
di quanto efficientemente il sistema ci abbia incanalati in binari convenzionali, rigidi.
12
BAUMAN, Zygmunt, Consuming Life, cit. p. 73.
13
RAHNEMA, Majid, Si fa presto a dire povero: come viene creata promossa e strumentalizzata la
«povertà» nel mondo, Macroedizioni, Sarsina, 1995, p. 28.
14
PAOLI, Arturo, Quel che muore, quel che nasce, Sperling & Kupfer, Piacenza, 2001, p. 81.
11