Tale potere era tanto forte che si negava qualsiasi conflitto con la
madre in relazione alle decisioni riguardanti i figli, e come se non bastasse,
il padre poteva disporre per testamento alla madre superstite le condizioni
per l’educazione dei figli e per l’amministrazione dei beni (abrogato art.
338 c.c.).
D'altronde questa situazione rispecchiava in pieno la condizione
della moglie all’interno della famiglia, una condizione nettamente
subordinata rispetto a quella del marito, ed infatti era quest’ultimo a fissare
la residenza obbligando la moglie a seguirlo, come recitava l’abrogato art.
144 c.c., ed era anche il marito a dover provvedere ai fabbisogni della
moglie in proporzione alle proprie sostanze.
In questa visione piramidale della famiglia, una condizione ancora
peggiore era quella dei figli; quest’ultimi erano considerati quasi oggetti di
un potere che veniva esercitato dal pater familias, il quale nell’esercitare la
potestà non doveva tener conto delle loro aspirazioni ed inclinazioni,
l’unico limite imposto dalla legge era quello di educarli secondo i principi
della morale.
E come se non bastasse la filiazione naturale, pur ricevendo
maggiore riconoscimento che in passato, veniva disciplinata in maniera
sfavorevole rispetto alla filiazione intra matrimoniale, come emergeva già
sul piano letterale dalla scelta di etichettarla come illegittima, in coerenza
con la scelta di identificare la famiglia giuridicamente rilevante
esclusivamente con quella fondata sull’istituto matrimoniale.
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Pertanto, nel complesso, la disciplina era in sicuro contrasto con i
principi della costituzione
2
affermatisi pochi anni più tardi l’entrata in
vigore del codice civile, e si auspicava da più parti un intervento tempestivo
del legislatore; purtroppo, però, tale intervento avvenne solo nel 1975 con
una riforma che realizzò un radicale mutamento nel diritto di famiglia.
2. La Costituzione del 1948 e il principio di uguaglianza morale
e giuridica dei coniugi.
E' stato efficacemente osservato che “la famiglia” disegnata dal
codice del 1942 è una famiglia che nasce già vecchia, perché viene ad
essere modificata, nella struttura, nei principi, nei valori e nelle scelte
ideologiche allorquando, con la caduta del fascismo, si affermano e
vengono normativizzati i valori che inaugurano la nuova repubblica
costituzionale.
In effetti, con l'introduzione della Carta costituzionale si assiste
all'ingresso di una serie di principi che scardinano il regime preesistente: da
rapporti gerarchici e autoritari si passa a rapporti fondati sul rispetto della
dignità dell’essere persona.
Fondamentale é al riguardo, l’art 29 della costituzione che sancisce
l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e il rispetto per la specifica
2
M. Bessone, Rapporti etico-sociali (artt. 29-34), in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca,
Bologna, Zanichelli, 1976, pag. 95; Idem, Patria potestà, funzione educativa dei genitori e disciplina
dell'obbligo di mantenimento, in Riv. notar., 1975, 11, p. 527.
9
personalità di ogni suo componente; mentre l’art. 30 riconosce ai figli
naturali piena tutela giuridica e sociale.
La famiglia, quindi, non è più una entità gerarchicamente ordinata,
ma una società naturale che si fonda sulla pari dignità dei coniugi e che
tutela i figli in quanto semplicemente nati.
Sancita così l'esclusione di qualsiasi discriminazione all'interno della
prole, a prescindere dallo status filiationis, e negata ogni eccezione al
principio citato, queste norme si inseriscono in un più ampio favor minoris
proprio del disegno costituzionale che comprende al suo interno il diritto
allo studio, alla formazione professionale.
La famiglia viene assumendo sempre di più l'aspetto del seminarium
rei publicae, cioè del luogo degli affetti privilegiato in vista
dell'educazione, è questo un passo irrinunciabile sulla via della riforma,
rammentata anche dall'articolo 16 della Dichiarazione Universale
“umanizzazione del diritto di famiglia”dei Diritti dell'Uomo.
Ma questo impegnativo compito di umanizzazione della funzione
della famiglia è stato completato ed assolto in maniera sicuramente
soddisfacente dal legislatore del 1975.
10
3. La riforma del diritto di famiglia: legge 19 Maggio 1975 n.
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La riforma del diritto di famiglia approvata definitivamente
nell'aprile del 1975 nasce come riforma tipicamente “non parlamentare”,
cioè non esclusivo frutto del dibattito legislativo sviluppatosi in aula, ma
sollecitata ed accompagnata da un'opinione pubblica che ne ha registrato e
seguito il processo di costruzione, a causa del forte scollamento con
l'effettiva dinamica sociale della normativa previgente.
Con la riforma del 1975 si giunge finalmente all'affermazione, quale
regola dei rapporti tra coniugi, del principio di parità secondo cui con il
matrimonio i coniugi “acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi
doveri”, fissano d'accordo l'indirizzo familiare, fissano la residenza nel
rispetto delle esigenze di entrambi e delle preminenti esigenze della
famiglia.
Al principio di parità vengono anche improntati i doveri verso i figli,
i relativi oneri patrimoniali, la titolarità e l'esercizio della potestà.
È stato notato come i veri protagonisti della riforma sono i figli,
basti pensare al principio di responsabilità per il fatto della procreazione ed
al dovere dei genitori di tenere conto delle inclinazioni dei figli come voluto
dal disegno espresso dal combinato disposto degli articoli 2, 8, 19, 21, 49
della Costituzione.
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In questo ambito resta un'unica traccia dell'antica disparità di
posizione tra coniugi nei confronti dei figli in quanto l'art. 316 c.c. prevede
che il padre possa adottare provvedimenti urgenti e indifferibili quando, in
caso di contrasto nell'esercizio della potestà, ricorre un incombente pericolo
di grave pregiudizio per il figlio.
Importante è, altresì, il riconoscimento di un ruolo partecipativo al
figlio minore, che abbia raggiunto determinate soglie d'età.
Viene, dunque, rivalutata la figura del minore e della dignità dello
stesso come persona
3
, non più soggetto di semplici potestà nell'ambito
familiare (v. art. 147 c.c. che accorda rilevanza alle inclinazioni e
aspirazioni dei figli) e non più discriminato se figlio naturale, e cioè se
concepito da genitori non legittimamente uniti tra loro in matrimonio.
La maggior dignità della figura del figlio è stata più volte ribadita
dalla giurisprudenza anche in campo penale escludendosi la liceità del
ricorso da parte dei genitori alla violenza quale mezzo di correzione
4
.
Questi rivolgimenti nella considerazione dell'officium dei genitori
non possono però essere compresi appieno se non si pone mente alla mutata
dialettica genitore-figlio che vede, da parte dei figli, un dovere di
contribuzione alla vita familiare ai sensi dell'articolo 315 c.c.
3
L’obbligo dei genitori di mantenere i figli non cessa automaticamente nel momento in cui questi
raggiungono la maggiore età, ma può perdurare, secondo le circostanze da valutare caso per caso, fino a
quando essi non abbiano raggiunto una propria autonomia ed una indipendenza economica”. (Cassazione
civ.,sez. I, 11.03.1998 n. 2670, in Mass.Giur.It., 1998)
4
Con riguardo ai figli il termine “correzione” va assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai
connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso non può ritenersi tale l’uso
della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò, sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità
della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto
di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale
meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di
connivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice. (Cassazione pen., sez. VI, 18.03.1996 n.
4904, in Giur.It., 1997, p.509, nota di Bonamore).
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Norme in grado di mettere in evidenza la direzione segnata dalla
riforma sono quelle che hanno sostiuito la dicitura «il marito è il capo della
famiglia» con: «il matrimonio attribuisce al marito e allla moglie gli stessi
diritti ed i medesimi doveri».
La riforma tocca anche l'istituto della separazione personale, non più
legata alla necessaria presenza di fatti colpevoli.
La separazione viene così a fondarsi su basi oggettive, rappresentate
da ‘fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da
recare grave pregiudizio all'educazione della prole’, lasciando alla scelta
delle parti, la sollecitazione di una pronuncia che definisca a quale dei due
coniugi sia addebitabile la separazione.
L'intervento giudiziale in sede di separazione è più pregnante
nell'adozione dei provvedimenti verso i figli, riguardo i quali il giudice può
non tenere conto dell'eventuale accordo raggiunto dai coniugi, proponendo
modifiche o rifiutando la omologazione ogniqualvolta ritenga non
sufficientemente tutelato l'interesse dei figli.
Concludendo, quindi la riforma legislativa ha attribuito ai genitori il
diritto/dovere di mantenere, educare e istruire i figli, fino al raggiungimento
della maggiore età o alla loro emancipazione.
Ciò concretamente significa che essi possono e devono svolgere
personalmente queste "attività" di comune accordo, sempre nell'interesse
esclusivo del figlio ossia attuando la potestà genitoriale.
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