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Capitolo 1
Esercizio del potere
1.1 - Lineamenti di potere
Il presupposto fondamentale da cui parte Popitz nell’elaborazione del suo concetto di
potere è che gli ordinamenti sociali sono opera dell’uomo e non frutto della casualità o
del mito
1
. Non esiste ordinamento sociale privo di potere: è possibile trovare potere
nelle relazioni familiari tra genitori e figli, sul luogo di lavoro tra dirigente e dipendente,
tra le classi sociali che se ne inventano uno proprio al fine di trovare la giusta
collocazione nella società. Popitz osserva come il potere sia ovunque, come ogni attimo
della vita dell’uomo sia intriso di potere, ed anzi, in una società in cui il raggiungimento
del successo e di una buona posizione nella scala sociale sono obbiettivi primari, i
conflitti per la conquista del potere diventano inesorabilmente inevitabili (Popitz, 2001,
12). Un ulteriore punto focale negli studi condotti da Popitz riguarda la necessità di
legittimare il potere: il bisogno di legittimazione è visto come l’inevitabile conseguenza
della contrapposizione tra potere e libertà (Popitz, 2001, 13). Relativamente alla
connessione tra questi due concetti, Spinoza
2
, vede il potere come la capacità di
spingere gli altri verso la propria volontà, costringendoli a vivere secondo inclinazioni e
giudizi non propri. Nelle società moderne non esistono poteri la cui legittimità sia
indubbia ed indiscutibile: ogniqualvolta viene esercitato, il potere, va a limitare le
libertà altrui, quindi deve essere legittimo (Popitz, 2001, 15). In un breve viaggio
intorno al significato antropologico
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del termine “potere”, Popitz lo ricollega al termine
greco kratos (indice di generale superiorità), al romano-latino potentia (concetto
generico riferito a generiche forze superiori), al tedesco macht e vermogen (potere
superiore ai grandi ostacoli) (Popitz, 2001, 17). Weber intendeva per dominio
(herrschaft) “il fenomeno per cui una volontà manifesta (comando) del detentore o dei
detentori del potere vuole influire sull’agire di altre persone (del dominato o dei
dominati), ed influisce in modo tale che il loro agire procede, in un grado socialmente
rilevante, come se i dominati avessero, per loro stesso volere, assunto il contenuto del
comando per massima del loro agire (obbedienza)
4
. Anche Popitz rilegge il dominio in
termini di potere istituzionalizzato che cresce e si rafforza lungo un processo di
istituzionalizzazione (Popitz, 2001, 289).
Tale processo si compone di tre fasi fondamentali: a) spersonalizzazione cioè potere
oltre la persona che lo detiene; b) formalizzazione cioè potere che si muove entro regole
e schemi precisi; 3) integrazione cioè potere che si relaziona con la struttura sociale
ospitante (Popitz, 2001, 290).
1
H. Popitz, Fenomenologia del potere. Autorità, dominio, violenza, tecnica., Il Mulino, Bologna, 2001, p.
9
2
S. Lukes, 1992, “Potere”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto della Enciclopedia Italiana
fondata da Giovanni Treccani, vol. 6, Roma, 1996, p. 722
3
In termini strettamente antropologici la parola potere si riferisce alla capacità dell’uomo di imporsi su
forze estranee, a un qualcosa che l’individuo è in grado di fare. H. Popitz, 2001, op. cit., p. 16
4
Lukes qualifica il dominio come una relazione di potere asimmetrico. S. Lukes, 1992, op. cit., p. 731
4
Secondo Popitz esistono diverse tipologie di potere: di offendere, strumentale, di
autorità, di creare dati di fatto. Egli risponde alla domanda “perché l’uomo può
esercitare potere su altri uomini?” citando Sofocle ed il suo ragionamento sul potere di
offendere: l’uomo ha la capacità di uccidere tutti gli organismi viventi, compresi gli altri
uomini, così come il cacciatore di Sofocle si impone sui più deboli usando forza ed
astuzia (Popitz, 2001, 18). Il potere di offendere gli altri, inteso come potere di togliere
la vita, solitamente si concentra in un’azione singola ma ripetibile. Popitz intravede però
la possibilità di rafforzare il potere, estendendolo nel tempo e nello spazio attraverso il
meccanismo che prevede l’uso di minacce e promesse (Popitz, 2001, 19). Ciò è alla
base della sua definizione di potere strumentale ovvero un potere fatto di dare ed avere,
di punizioni e ricompense, fondato su un’alternativa secca che predispone
automaticamente anche la risposta del soggetto che lo subisce. Se il potere di
minaccia/promessa può essere inteso come un potere dall’esterno, esiste anche il potere
interno che produce una volontaria e spontanea obbedienza alle richieste altrui. Un
potere interiorizzato è altrettanto importante perché, spiega l’autore, va a coprire tutte
quelle zone oscure che sfuggono al normale concetto di controllabilità. Inoltre egli
ritiene che sia efficace perché in grado di guidare atteggiamenti, percezioni e
prospettive degli individui oltreché, naturalmente, orientarne i comportamenti (Popitz,
2001, 21). Popitz rammenta che l’efficacia del potere interno è legata anche al concetto
di autorità che trasforma la struttura delle alternative precedenti ponendo l’attenzione
sulla speranza di ottenere riconoscimento e la paura di non ottenerlo (Popitz, 2001, 22).
Infine, riconosce all’uomo la capacità di creare dati di fatto usando la propria
intelligenza produttiva per realizzare un cambiamento che modifichi la realtà: tali
cambiamenti non solo modificano la vita dell’agente, ma si riflettono anche sulle
esistenze chi tutti coloro, che contemporanei o posteri, avranno a che fare con esso
(Popitz, 2001, 135-136).
Riprendendo il concetto di potere nel suo significato più generale sviluppato da Platone
nel suo Sofista, per il quale il potere sarebbe la capacità di influenzare gli altri o di
essere influenzati da altri, John Locke parla del potere esplicitandone la duplice capacità
di fare o subire un cambiamento (Lukes, 1992, 723). Steven Lukes, mettendo insieme i
punti di vista di autori diversi, da Madden a Ryle, sostiene che il fatto che un soggetto
goda di un potere non significa che lo userà, ma soltanto che potrebbe farlo qualora si
verificassero le giuste circostanze. Non quindi una qualità, bensì una capacità, una
capacità di agire (Lukes, 1992, 722). La definizione forse più rilevante appartiene a
Weber il quale sosteneva che “la potenza designa la possibilità di far valere entro una
relazione sociale, anche di fronte ad un’opposizione, la propria volontà, quale che sia la
base di questa possibilità” (Popitz, 2001, 13). Come tanti, anche Sennett si riallaccia a
questa definizione affermando che la presenza di potere tra due persone è indice della
volontà di una di prevalere su quella dell’altra.
La catena del comando
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è la struttura mediante la quale si manifesta questo squilibrio
tra le volontà: A comanda B e B comanda C con lo stesso potere che A usa su di lui e
così via. In particolare, parlando di potere sociale esercitato da agenti sociali, individuali
5
Questa catena del comando può essere spezzata in tre modi: abolendola, collaborando, spezzandola
periodicamente, magari consentendo lo scambio dei ruoli. R. Sennett, 1980 - 2006, Autorità:
subordinazione e insubordinazione: l’ambiguo vincolo tra il forte e il debole, Milano, Bruno Mondadori,
pp. 151, 152, 155
5
o collettivi
6
, Lukes sosteneva che questi, con il loro agire, sono in grado di provocare
certi cambiamenti, ma ricordava anche che non è possibile affermare con assoluta
certezza il contrario cioè che tutti i cambiamenti derivano dall’esercizio di tale potere
(Lukes, 1992, 722). Riteneva che non tutte le azioni sono frutto dell’esercizio di un
potere e talvolta i cambiamenti sono non voluti
7
o addirittura sono in contrasto con ciò
che il soggetto desidera motivo per cui non si può considerare potente un soggetto le cui
azioni vanno contro i suoi interessi
8
.
Rifacendosi alle precedenti affermazioni di Russell, White ed Hobbes, Lukes
9
sostiene
che per ricondurre i cambiamenti al potere essi devono essere, rispettivamente,
intenzionali, rilevanti ed a vantaggio dei soggetti coinvolti. Se quest’ultimo punto è
abbastanza intuitivo perché anche Hobbes parlava di potere come insieme dei mezzi che
un individuo ha a disposizione per raggiungere un certo fine futuro che reputa
vantaggioso, è più complicato parlare di intenzionalità e rilevanza (Lukes, 1992, 722).
White faceva riferimento a cambiamenti rilevanti, ma dagli approfondimenti di Lukes si
evincono alcuni spunti di criticità: egli in primo luogo si pone la domanda del per chi
debbano essere rilevanti, per poi rendersi conto che individuare gli effetti rilevanti è una
questione di punti di vista e la situazione si complica perché sono implicite ulteriori
domande: devono essere cambiamenti rilevanti per chi esercita il potere o per chi lo
subisce? Chi decide quali sono quelli rilevanti ed il loro ordine di rilevanza? Provando a
rispondere a questi quesiti Lukes, come anche aveva fatto Susan Strange, porta la sua
attenzione sugli interessi dell’agente, intendendo per essi ciò che è importante per ogni
soggetto e presupponendo che l’esercizio del potere sia funzionale agli interessi di chi lo
detiene (Lukes, 1992, 738). Precisa anche che gli interessi dell’agente possono essere
concepiti in termini di preferenze, manifeste o nascoste, che si possono evincere
dall’osservazione attenta del suo comportamento; possono essere intesi come condizioni
necessarie del benessere umano ovvero come qualcosa di cui ogni individuo ha bisogno
per condurre un’esistenza soddisfacente
;
in ultima istanza possono essere considerati
come bene stesso degli individui, seppure lasci aperta in questo modo una questione
etica legata all’irrisolto conflitto tra ciò che lo è e ciò che non lo è.
Anche il concetto di intenzionalità sostenuto da Russell presenta alcuni limiti soprattutto
perché, già in partenza questo autore trascura che per potere si intenda una capacità e
non il suo esercizio (Lukes, 1992, 722). Lukes evidenzia come non sempre il potere sia
intenzionale, a volte esso è inconsapevole routine e produce effetti non voluti anche su
terzi sconosciuti, mentre delle altre volte si manifestano conseguenze fortuite non
cercate dall’agente (Lukes, 1992, 722).
6
Arendt sosteneva che il potere è la capacità umana, non semplicemente di agire, ma di agire di concerto.
Il potere appartiene al gruppo ed esiste solo perché il gruppo gli consente di esistere. Il singolo agisce con
potere perché il gruppo gli assegna la facoltà di agire in suo nome. S. Lukes, 1992, op. cit., p. 722
7
Boudon faceva rifermento alla nozione più ampia di effetto perverso che evocava a sua volta quella di
effetto indesiderabile. Boudon, R., “Azione sociale”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto della
Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, vol. 1, Roma, 1991, ™ 466
8
La definizione degli interessi degli individui è importante non solo per localizzare il potere, ma anche
per effettuare valutazioni comparative sulla sua estensione. Sapere cosa favorisca o danneggi gli interessi
di una persona è presupposto nelle attribuzioni di potere. S. Lukes, 1992, op. cit., p. 744
9
Lukes ha anche sostenuto che il potere è tanto più efficace quanto più chi lo detiene può contare
sull’acquiescenza volontaria di coloro su cui viene esercitato, affermando che il potere è sempre esercitato
contro gli interessi degli altri. S. Lukes, 1992, op. cit., p. 741
6
La relazione tra intenzionalità e potere è importante per Lukes quando parla di potere
inteso come capacità degli agenti sociali di produrre effetti facendo riferimento alle
diverse forme che esso può assumere
10
. Esercitare potere significa compiere azioni, il
solo pensiero di potere presuppone una qualche attività eppure il potere c’è anche
quando questo non viene esercitato, e si raccolgono i frutti di un atteggiamento passivo.
Lukes precisa che non sempre un potere passivo deriva da un antico potere attivo e che
tra i due quello più costoso è sicuramente quello attivo perché comporta un costo da
parte di chi gli deve dare esecuzione. Per sfera del potere Lukes fa riferimento al
numero o ai tipi di effetti che un agente può produrre; a parità di altre condizioni,
quanto più ampia sarà la sfera entro la quale un soggetto sarà in grado di produrre effetti
significativi, tanto maggiore sarà il potere di cui sarà dotato
11
. Con riguardo alla portata
(o raggio d’azione), fa riferimento alle situazioni entro le quali il potere si va a
manifestare: da questo punto di vista è importante capire se un soggetto esercita potere
solo in contesti standard o anche in situazioni dinamiche in cui il contesto di riferimento
è in continuo mutamento. Lukes, consapevole della difficoltà di inquadrare un soggetto
come dotato di più potere rispetto ad un altro, lascia intendere che sarà tanto più potente
quanto più il potere che detiene sarà passivo (perché affronterà costi minori),
trascendente dal contesto (perché potrà sfruttarlo in diversi ambiti), fungibile (perché
capace di incidere su molteplici questioni) ed involontario (perché produttore di
conseguenze impreviste ed imprevedibili). In un’accezione più ampia, come anche visto
da Spinoza, il potere è visto come la capacità attiva di produrre effetti, mentre se assume
un significato più ristretto lo intende come potere esercitato su altri che si conformano
alla volontà di chi lo esercita (Lukes, 1992, 723). A parere di Lukes
12
esistono diversi
modi per esercitare il potere sugli altri, che limitano altrettanto diversamente la libertà
altrui e che non sono comunque inoppugnabili (Lukes, 1992, 724). Il primo dei
meccanismi che Lukes esplicita riguarda l’uso della forza. Per forza egli intende
un’azione materiale rivolta contro le persone o le loro proprietà, che quando riesce pone
chi la esercita nella posizione desiderata, chi la subisce nelle condizioni di non poter
opporr resistenza. Lukes riconosce che l’uso della forza, o della violenza, escluderebbe
ogni possibile alternativa di scelta e contemporaneamente elimina la necessità di far
conformare gli altri alla propria volontà: quest’ultima diventa una conseguenza
automatica del suo uso (Lukes, 1992, 724).
Citando Machiavelli nell’ambito di queste considerazioni, ammette però che questa è la
forma di potere più dispendiosa in termini di energia, denaro ed altre risorse perché
richiede un impegno costante. Norbert Elias
13
sosteneva che nelle società moderne man
10
Dall’esercizio del potere intenzionale possono derivare oltreché le conseguenze ricercate, anche
innumerevoli conseguenze involontarie, ma che possono essere altrettanto significative ed apprezzabili. S.
Lukes, 1992, op. cit., p. 737
11
L’autore rimane nel dubbio riguardo al fatto che sia meglio o meno avere potere su una sola questione
importante o su un numero maggiore di questioni, meno interessanti dal punto di vista qualitativo. S.
Lukes, 1992, op. cit., p. 737
12
Egli afferma anche che non sembra esistere la possibilità di creare una mappa universale del potere di
un dato contesto, o sistema o società anche perché permane un concetto il cui carattere è “essenzialmente
controverso” S. Lukes, 1992, op. cit., p. 743
13
Nel campo del lavoro non vige più la contrapposizione “se tu non ubbidisci, io ti licenzio” perché la
maggior parte dei paesi del mondo, in modo più o meno rigido, eleva lo sciopero a diritto proteggendolo
per tutti i lavoratori. Allo stesso modo, non esiste più il licenziamento ad nutum, ma esso va giustificato e
motivato. R. Sennett, 1980, op. cit., p. 87 e R. Sennett, 2004, Rispetto: la dignità umana in un mondo di
diseguali, Bologna, Il Mulino p. 80
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mano che decresce l’uso della forza aumenta in senso di vergogna e di disagio provato
dagli individui e Sennett rafforza questo concetto precisando che per forza non si deve
intendere solo il dolore fisico, ma anche altri usi che possono arrecare danni altrettanto
gravi come il licenziamento. A differenza della forza, la coercizione a cui fa riferimento
Wartenberg, non esclude totalmente la gamma di alternative, ma ne modifica la
desiderabilità, rendendo, chi la subisce, libero di scegliere seppur tra le sole alternative
messe in piedi dal minacciante (Lukes, 1992, 725). La coercizione presuppone uno
scontro tra due volontà in conflitto e l’ovvia necessità per chi la esercita di far prevalere
la propria, ma il suo uso parte anche dal presupposto che gli individui hanno desideri e
preferenze dati e costanti che delineano una scala di bisogni. Lukes sottolinea che
l’obbiettivo della coercizione non è modificare questa scala preferenziale, bensì il
comportamento adottato dal soggetto a seconda delle circostanze (Lukes, 1992, 724).
Come già esposto da Friedrich, talvolta, per il minacciante non è nemmeno necessario
ricorrere all’uso della minaccia perché potrebbe sfruttare la cosiddetta legge delle
reazioni anticipate in base alla quale la minaccia non ha nemmeno bisogno di essere
formulata e si otterrà comunque la conformità del mancato minacciato (Lukes, 1992,
725). Parlando di manipolazione, Lukes fa notare come essa non debba assumere
necessariamente un significato negativo o produrre un danno; si parla di manipolazione
quando un soggetto riesce a far sì, attraverso la propria abilità strategica, che un altro
soggetto si conformi alla sua volontà.
A suo parere esistono due tipi di manipolazione: uno presenta similitudini con la
coercizione perché mantiene inalterato lo schema di preferenze dell’individuo, ma ne
modifica l’apprezzabilità delle alternative; un secondo tipo, invece, va a modificare
direttamente proprio l’insieme di preferenze. Soffermandosi sul primo tipo di potere
manipolatorio egli nota che date come costanti le preferenze, lo strumento più semplice
da utilizzare per ottenere conformità è l’induzione, che consiste nel formulare offerte
atte a corrompere il soggetto. Nota come, a differenza della coercizione, questo genere
di manipolazione può portare anche alla nascita di nuovi desideri e nuove preferenze
che si aggiungono a quelli originari (Lukes, 1992, 725). In particolare Lukes riprende
tre tecniche di manipolazione già oggetto di studio per William H. Riker allo scopo di
spiegare come questo meccanismo di potere possa essere messo in pratica in situazioni
di votazione al fine di ottenere la vittoria finale attraverso una semplice equazione: un
soggetto che vince una votazione si assicura l’obbedienza del soggetto perdente solo
perché questo ne accetta l’esito (Lukes, 1992, 725). Lukes osserva poi come il secondo
tipo di potere manipolatorio può essere usato sia per influenzare la volontà di agenti
collettivi (per esempio scoraggiando l’altruismo o istigando al pessimismo) sia per
influenzare direttamente la volontà dei singoli individui, nel lungo periodo attraverso il
processo di socializzazione, o in momenti contestualizzati attraverso il condizionamento
delle preferenze (Lukes, 1992, 727).
Considera la manipolazione come una forma di influenza che consiste nel predisporre o
nel condizionare la volontà altrui, ma sottolinea anche che quando si riesce ad indurre o
persuadere gli altri affinché nutrano certe credenze o desideri si parla di un’influenza
diversa che a sua volta può essere esercitata o con autorità o attraverso persuasione
razionale (Lukes, 1992, 724). Apparentemente, osserva Lukes, la persuasione razionale
potrebbe anche non rientrare tra i meccanismi di potere perché quando un soggetto
accettata automaticamente le ragioni esposte da un altro, lo fa in maniera talmente
naturale da far sembrare ciò come una sua volontà e non come una conseguenza
dell’esercizio del potere (Lukes, 1992, 730).
8
Ritornando al primo concetto di manipolazione sostenuto da Lukes, esso parla di una
manipolazione che parte dal presupposto che desideri e preferenze degli individui siano
costanti ed ottiene conformità di comportamento perché chi la subisce è chiamato a
scegliere tra alternative comparabili tra loro attraverso l’uso di tecniche decisionali
(Lukes, 1992, 726). Evidenzia come tali tecniche, applicabili al mondo antico così come
a quello contemporaneo, trasformino le preferenze individuali in decisioni collettive.
Schelling parla di ordine del giorno nel sottolineare come sia assolutamente rilevante
per le questioni oggetto della negoziazione essere trattate con un ordine piuttosto che
con un altro soprattutto nel caso in cui fosse presente anche una minaccia estorsiva
latente sfruttabile solo se associata ad altre contrattazioni lecite: la minaccia estorsiva
latente diventa effettiva nel momento in cui viene inclusa nell’ordine del giorno
(Schelling, 2006, 36). Le ricerche di Plott e Levine hanno dimostrato come, anche a
livelli generali ed astratti, il controllo sull’ordine del giorno può dimostrarsi decisivo
nell’indirizzare i risultati del processo decisionale se vengono considerate come fisse le
preferenze e se viene costruita una linea contenente delle previsioni realistiche sulle
probabili strategie di voto degli individui (Lukes, 1992, 726). Nell’ambito di questa
spiegazione, Riker utilizzò un esempio storico avente a protagonista Plinio il Vecchio il
quale puntava al proscioglimento dall’accusa di omicidio di un gruppo di liberati
dell’epoca. Poiché in Senato le alternative a disposizione erano tre, proscioglimento,
condanna a morte ed esilio, egli adottò una strategia ternaria per cui i senatori venivano
divisi in tre gruppi e dichiarando vincente quello con il maggior numero di voti per la
prima preferenza, così da ottenere il risultato desiderato. Questo risultato poteva essere
vanificato completamente se fosse stata utilizzata la seconda tecnica di manipolazione
ovvero quella del voto strategico
14
che prevede l’abbandono della linea strategica
preferita quando da tale abbandono potrà scaturire una sconfitta per l’avversario o un
guadagno in termini personali. Lukes riscontra che nell’ambito dell’esempio citato da
Riker, i senatori che puntavano alla pena di morte avrebbero ripiegato sull’esilio e non
sul totale prosciogliemmo dei condannati. L’ultima tecnica di manipolazione citata da
Lukes è quella che modifica gli aspetti della decisione (o manipolazione delle
dimensioni) e si verifica quando si cercano di modificare i termini di confronto con un
avversario, andando ad alterare una posizione di equilibrio in cui è lui ad avere una
maggioranza.
Riker in questo caso cita un esempio relativo al confronto elettorale tra i candidati alla
presidenza americana del 1858 A. Lincoln e S. Douglas. L’abilità di Lincoln durante
questa fase di confronto fu quella di spostare l’attenzione dagli aspetti prettamente
economici, in cui l’avversario democratico aveva delle certezze radicate, alla questione
dello schiavismo cosicché se Douglas avesse sostenuto che le assemblee legislative
territoriali avrebbero potuto abolire la schiavitù, avrebbe di certo guadagnato i voti in
Illinois, ma perso la corsa alla presidenza (Lukes, 1992, 726).
14
Schelling parla di voto strategico riferendosi ad una persona messa sotto pressione al fine di indurla a
votare per quella che per lei rappresenta la seconda scelta. Se questa persona riesce a giocare d’anticipo e
si preclude in qualche modo la possibilità di scelta numero due, allora rimarranno in piedi solo la prima e
la terza. Un’eventuale minaccia non avrebbe presa dando per scontato che il divario tra le ultime due
scelte citate è troppo ampio per condizionare il giocatore. T.C. Schelling, 2006, La strategia del conflitto,
Milano, Bruno Mondadori, T.C. Schelling, 2006, La strategia del conflitto, Milano, Bruno Mondadori, p.
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