II
affrontare il complesso orizzonte contemporaneo; come ha ben
sottolineato Laura Bovone (1988, p.7) “è del resto la via - quella del
ritorno sui passi dei padri fondatori - che si impone nei momenti di più
elevata frammentarietà dell'orizzonte teorico, connotati più da
polemiche che da effettive supremazie culturali”.
Nelle società complesse il potere si presenta come un fenomeno
relazionale e riflessivo e non come un fenomeno causale e transitivo; la
concezione causale infatti ha supposto che il potere si sviluppasse
esclusivamente in forme gerarchiche, mentre la caratteristica principale
del potere “moderno” è quella di non poter essere pensato se non
all’interno di una relazione in cui siano coinvolti attori diversi. Giddens
(1990), ad esempio, ha formulato a questo proposito un’importante
distinzione fra potere basato su “risorse allocative” (di natura materiale
ed economica) e potere fondato su “risorse autoritative” (che fanno
riferimento all’universo simbolico e culturale).
I rapidi mutamenti sociali che si sono verificati nella società moderna
hanno portato a profonde trasformazioni familiari, di struttura, di
spazio, di temporalità, di funzioni e anche di rapporti di potere. Sotto
l’impulso del movimento femminista che per primo ha sentito la
necessità di evidenziare come esistesse una effettiva disuguaglianza di
potere fra i sessi, si è sviluppata a partire dagli anni Settanta una
branca della sociologia che ha cominciato ad indagare la realtà sociale
puntando l’attenzione sul ruolo dei generi sessuali nella stratificazione,
nei mutamenti sociali e nei rapporti di potere. L’introduzione del gender
in sociologia ha certamente costituito una svolta storica, un
arricchimento e un punto di osservazione più vicino alla realtà attuale.
Come hanno infatti sottolineato Piccone Stella e Saraceno (1996), la
formulazione del concetto di genere ha evidenziato l’esistenza di uno
squilibrio: le differenze tra i sessi si sono prestate alla costruzione di
una disparità storica in base alla quale la divisione del lavoro, l’accesso
alle risorse e al potere si sono organizzati nel tempo lungo una profonda
III
asimmetria, a svantaggio del genere femminile. Non si può dire infatti
che lo status civile delle donne sia migliorato con la nascita dello stato
moderno o con la diffusione delle idee occidentali sulla libertà
individuale. Anzi la storia sembra dimostrare che quando uno stato
diventa più democratico, le donne che appartengono all’élite dominante
vedono il loro potere ridursi e questo avviene senza che ne traggano
beneficio le donne delle classi più basse; nella Grecia e nella Roma
antiche o nei paesi islamici ed europei del Medioevo invece, per alcuni
periodi donne appartenenti a famiglie potenti ebbero molto più potere di
quanto non ne avrebbero avuto nel XVIII e XIX secolo in Inghilterra,
Francia e Stati Uniti. Le rivoluzioni hanno trasferito il potere dagli
uomini di una classe sociale a quelli di un'altra (e in qualche caso
hanno permesso alle donne di esercitare dei diritti sociali che erano
stati loro negati in precedenza), ma nessuna rivoluzione moderna ha
consentito alle donne di ottenere un potere politico comparabile a quelli
degli uomini appartenenti alla stessa classe sociale.
Uno degli obbiettivi di questa tesi è quello di dimostrare come,
nonostante la vita delle donne abbia seguito di pari passo i rapidi
mutamenti della società, esista ancora una consistente disparità di
potere fra uomini e donne e come questa disuguaglianza sia legata
principalmente a fattori politici ed economici.
Le società moderne sono strutturate proprio su una distribuzione
diseguale di potere, proprietà e prestigio tra uomini e donne e il fine
stesso di questa differenziazione è di produrre un’ulteriore
disuguaglianza strutturale; la sottomissione delle donne costituisce
perciò una parte intrinseca dell’ordine sociale moderno e questa
situazione persiste non perché gli uomini siano naturalmente superiori
o dominanti, ma perché le donne sono un gruppo sfruttabile sia sul
mercato del lavoro che in casa (come forza lavoro, come oggetto sessuale
come generatore di figli e come fonte di assistenza in caso di necessità).
IV
Dal momento che il genere è un sistema di potere e di dominio che
privilegia gli uomini, ripristinare l’equilibrio vorrebbe dire dare alle
donne alcune prerogative degli uomini (come ad esempio la libertà dai
lavori domestici) e assegnare a questi ultimi alcune delle responsabilità
delle donne. Finché le donne continueranno a rappresentare una forza
lavoro a basso costo difficilmente si potranno avere dei significativi
cambiamenti.
Come ha sottolineato giustamente Judith Lorber (1996, p.383) “il valore
economico delle donne come lavoratrici stipendiate e non, è la causa
principale della loro posizione secondaria nelle società moderne: di fatto
costituiscono «l’ultima colonia»”. La posizione secondaria nell’economia,
la responsabilità continua per la famiglia e il mancato riconoscimento
delle aspirazioni a rivestire ruoli di prestigio nella comunità, rendono
estremamente difficile per le donne il conseguimento del potere politico
o di qualche forma di rilevanza pubblica. Si potrebbe quasi affermare
che oggi le donne devono confrontarsi, e scontrarsi, con un “potere di
blocco”: un potere che non è in grado di promuovere alcunché, ma è
estremamente efficace nell’impedire e nel disaggregare.
La IV Conferenza Mondiale sulla donna, svoltasi a Pechino nel 1995, ha
rappresentato un momento di confronto e di riflessione sulla realtà
femminile. Questa Conferenza è stata certamente un’occasione per
mettere a confronto donne appartenenti a mondi e culture anche molto
diverse fra di loro. Ma è stata la revisione del testo di Pechino, avvenuta
nel giugno 2000, ad aver fornito a questa tesi lo spunto per sviluppare
un’ulteriore obbiettivo, ovvero quello di evidenziare come esista ancora
una forte dissonanza tra ciò che è stato detto a livello teorico e ciò che
invece si riscontra a livello empirico.
A cinque anni dalla Conferenza risulta infatti evidente che gli stessi
obbiettivi di Pechino, l’empowerment e il mainstreaming, sono tutt’oggi i
principali indicatori di come fra le donne manchi ancora sia una
consapevolezza del potere sia una cultura del genere.
V
Il fattore di insuccesso che sembra essere assolutamente prioritario è
quello che viene definito come “autolimitazione favorita da fattori
sociali” (Fornego- Guadagnini, 1999): sarebbero le donne stesse ad
autolimitarsi nella loro crescita professionale e ad arenarsi in posizioni
intermedie qualora, nelle loro vita, intervenissero fattori che esse
ritengono prioritari, come la maternità.
Non solo quindi è necessario promuovere la presenza femminile nei
centri decisionali della società, della politica e dell’economia, ma anche
sollecitare le donne stesse ad accrescere la loro autostima, la loro
capacità e possibilità di decidere.
Infine, in questa tesi, si intende anche sottolineare come l’introduzione
del gender nella riflessione sociologica, e la sua progressiva utilizzazione
in pratiche di investigazione empirica, abbia permesso di formulare
nuove categorie culturali in grado di evidenziare gli aspetti di
disuguaglianza presenti nelle relazioni sociali di uomini e donne; e come
l’elaborazione di queste categorie in una chiave più pragmatica abbia
segnato il passaggio da un sistema di classificazione di uomini e donne
di tipo “artificiale” ad un sistema di tipo “naturale” (Agnoli, 2000).
VI
*Nota linguistica sulla traduzione del termine gender
La traduzione italiana del termine gender pone alcuni problemi a causa
dell’inesistenza di un corrispondente adeguato; infatti, come ha fatto notare
Rosi Braidotti, questo termine «proviene sia dalla biologia che dalla linguistica,
ed è quindi dotato di molteplici livelli semantici che non lasciano trasparire un
senso unico» (Braidotti, 1991, p.15).
Di Cori ha evidenziato come la traduzione di gender nell’italiano “genere”,
mostri «evidenti affinità sonore, più che di significato, e probabilmente finirà
comunque per imporsi per via di una americanizzazione forzata» (Di Cori,
1987, p.555).
Nella lingua inglese il termine gender indica la classificazione sociale di un
individuo in quanto afferente alla categoria maschile o femminile, ossia il
carattere sessuato «delle identità, dei ruoli, e delle relazioni socialmente
costruiti, quindi non biologici ma culturali, incluse le credenze, le percezioni,
le preferenze, gli atteggiamenti, i comportamenti, le attività svolte in generale»
(Donati, 1997, p.25).
Un termine quindi che, al contrario dell’espressione “differenza sessuale”, non
rimanda ad una definizione anatomica dell’essere umano (Oakley, 1985).
La lingua italiana utilizza il termine sesso per indicare ciò che invece il
linguaggio internazionale distingue in sex e gender
1
, mentre il termine
“genere”, come cita il vocabolario Devoto-Oli, può essere utilizzato in tre diversi
modi. Nel primo, genere viene indicato come sinonimo di indifferenziazione,
ossia come «nozione comprensiva di più specie; per lo più, generalmente».
Nel secondo, genere è «ciascuna delle varie forme di espressione letteraria o
musicale secondo i canoni della tradizione». Infine il termine genere viene
definito come «categoria grammaticale che, secondo le lingue, contrappone un
genere animato ed uno inanimato, oppure uno maschile ed uno femminile e
uno neutro (come il tedesco), oppure il maschile e il femminile soltanto (come
in italiano)», definizione che può, in un certo senso, essere assimilato all’uso
del termine gender.
1
Secondo alcuni autori tuttavia, anche la distinzione tra sex e gender è obsoleta, poiché questi
concetti sono oramai difficilmente definibili una volta per tutte (Hood-Williams, 1996).
VII
Il problema della traduzione resta sostanzialmente legato ai modi in cui si
intendono e spiegano le relazioni tra caratteristiche biologiche e socio-
culturali. Per Chiara Saraceno, l’impossibilità di una equivalenza tra il termine
anglosassone e quello italiano sottolinea i problemi, non solo di una lingua,
ma anche di una cultura che «mentre attribuisce un sesso anche alle cose,
non ha termini per indicare i processi di costruzione sociale e di elaborazione
simbolica dell’appartenenza di sesso» (Saraceno, 1993, p.22).
In italiano la definizione forse più corretta di gender è perciò quella di
“differenza sessuale prodotta socialmente”; in questa sede si è scelto
comunque di utilizzare gender e “genere” come sinonimi.
CAPITOLO PRIMO
IL CONCETTO DI POTERE NELLA
TEORIA SOCIOLOGICA
2
1.1 Definizione di potere
Il potere è uno tra i concetti fondamentali della sociologia e fin dalle
origini del pensiero sociale è stato oggetto di numerose e differenti
riflessioni. La mancanza di una definizione, che possa essere
universalmente condivisibile, si deve rintracciare soprattutto nel fatto
che questo concetto, come molti altri in sociologia, acquista un senso
qualora sia incorporato in una teoria che ne valuti i fondamenti e la
natura; su questo punto è inevitabile che le diverse correnti non
convergano. Ci sono però delle scelte di fondo, generalmente condivise,
per individuare un limitato insieme di caratteri di questo fenomeno:
il potere si definisce come capacità di un soggetto, individuale o
collettivo, di produrre gli effetti voluti nell’ambiente esterno; ne
consegue che esso si esercita sia sulle cose che sulle persone e che
riguarda comportamenti reali, eventi e mutamenti osservabili.
È tuttavia legittimo parlare anche di potere intellettuale o morale,
quando un soggetto influenza le idee, gli atteggiamenti, i valori di un
altro soggetto; questi ultimi infatti, possono riflettersi in seguito anche
sul piano comportamentale.
Il potere riguarda inoltre le azioni intenzionali ed è perciò connesso alla
coscienza e alla volontà del soggetto, mentre non concerne quelle che
sono le conseguenze non volute o non previste dell’attore; costui può
anche essere solo uno strumento e quindi non al corrente degli scopi
finali delle sue azioni, che sono invece noti ai centri di controllo del
sistema in cui è inserito. Si deduce che soggetto di un potere sistemico
non è la persona ma l’agente, il detentore del ruolo; sede del potere è
perciò il ruolo che questo soggetto assume e che non deve essere
necessariamente individuale, ma può anche essere una collettività.
Il potere, sia che riguardi individui o gruppi, è sempre un potere su
altri; è quindi un concetto relazionale, poiché acquista significato solo se
riferito a rapporti e relazioni sociali.
3
1.2 La prospettiva weberiana
1.2.1 Legittimità del potere
Max Weber ci ha lasciato quella che probabilmente può essere
considerata la madre di tutte le definizioni di potere.
Secondo il sociologo tedesco “per potere si deve intendere la possibilità
per specifici comandi (o per qualsiasi comando) di trovare obbedienza
da parte di un determinato gruppo di uomini, e non già qualsiasi
possibilità di esercitare potenza e influenza su altri uomini” (Weber,
1961
1
, p.207) . Importante è però distinguere il concetto di potenza da
quello di potere, dove il primo è considerato come occasione per un
individuo di far trionfare la propria volontà contro le resistenze e il
secondo come una sottospecie della potenza.
I fenomeni di mera potenza non hanno tuttavia, secondo Weber, una
rilevanza sociologica, perché non corrispondono a modelli tipici
dell’agire sociale che possano essere generalizzati e dar vita a “leggi
sociologiche”; troppo alta è la percentuale dei fattori imprevedibili che
possono influire sul comportamento altrui e i fenomeni casuali escono
da quello che è il campo di interesse della sociologia.
Bisogna perciò prescindere dalla pura potenza e occuparsi di quello che
viene definito come potere legittimo. Per Weber la legittimità è un aspetto
fondamentale: nessun potere infatti si accontenta dell’obbedienza intesa
come sottomissione, sia che questa sia dettata dalla ragionevolezza,
dall’occasione o dal rispetto; il potere, piuttosto, cerca di suscitare nei
soggetti una “fede” nella sua legittimità e proprio in virtù di questo
consenso acquisito, esso può definirsi legittimo.
Il sociologo non nega, anche quando parla di consenso, che il potere sia
un fenomeno di coercizione, dal momento che per esso non c’è
sopravvivenza se non facendo ricorso alla forza; quest’ultima non deve
1
Weber M., Economia e società, Comunità, Milano, 1961(ed. orig. 1922).
4
essere necessariamente forza “bruta”, ma può anche intendersi come
“manipolazione”. Da ciò si deduce che le relazioni di potere non si
svolgono mai su un piano di parità: il rapporto tra comando e
obbedienza presuppone che il potere sia esercitato da un piccolo
numero di individui, una minoranza che imponga i sui punti di vista ad
una maggioranza. Non esiste dunque governo di tutti su tutti.
1.2.2 I tre tipi di potere legittimo
Weber si è interessato in modo particolare a quelli che sono i
meccanismi di legittimazione del potere: la razionalità, cioè il
corrispondere agli interessi comuni e individuali; la tradizione, ossia il
richiamarsi a miti e valori già esistenti nella società; il carisma, ovvero le
qualità personali. Da qui egli deriva una tipologia di potere ben precisa,
distinguendo in legale, tradizionale e carismatico.
Weber sottolinea fin da principio che si tratta di “tipi ideali”, cioè di
forme che non si incontrano mai, o solo molto raramente allo stato
puro, nella realtà storica.
ξ Il potere legale è di carattere razionale, si fonda sulla credenza nella
legalità di regolamenti stabiliti e nella legittimità dei capi designati
conformemente alla legge; in questo caso si obbedisce
all’ordinamento impersonale, statuito legalmente e agli individui
preposti in base ad esso. Il capo legale o le istanze superiori sono
tenuti a rispettare l’ordine impersonale del diritto ed a orientare di
conseguenza il loro agire. I membri del gruppo non obbediscono che
al diritto e sono perciò cittadini; questo significa che hanno l’obbligo
di sottomettersi solo nelle condizioni previste dalla legge.
ξ Il potere tradizionale si basa sulla riverenza verso le tradizioni in
vigore e sulla legittimità di coloro che sono chiamati al potere in virtù
di tale costume; in questo caso l’autorità non appartiene ad un
5
superiore scelto da un gruppo, ma ad un uomo che è chiamato al
potere secondo il costume (per primogenitura o per anzianità ecc.).
Costui regna a titolo personale e l’obbedienza che gli viene rivolta
diviene un atto di devozione. I governati non obbediscono ad una
norma impersonale, ma a una tradizione o a ordini legittimati in
virtù del privilegio del sovrano.
ξ Il potere carismatico si fonda sul presupposto che i membri
affidano se stessi al valore personale di un uomo, grazie al suo
eroismo o alla sua esemplarità. Weber chiama “carisma” la qualità
insolita di un soggetto che sembra dare dimostrazione di poteri non
abituali, in modo da apparire come un essere fuori dal comune,
provvidenziale o esemplare. Il potere carismatico comporta la
dedizione degli uomini al capo che si crede chiamato a compiere una
missione; ha perciò una base emozionale e non razionale, poiché la
forza di questo agire si fonda sulla fiducia, a volte fanatica, o sulla
fede. Il carisma rappresenta una frattura rispetto alla continuità sia
legale che tradizionale: qui il modo di concepire i rapporti fra gli
uomini fa perno su limiti e norme fissati dal capo per autorità
propria, secondo quelle che ritiene essere le esigenze dettategli dalla
sua vocazione. Egli attinge perciò la propria legittimità in se stesso;
un simile potere si oppone, chiaramente, al dominio legale e a quello
tradizionale, dal momento che entrambi comportano delle
limitazioni, dovute alla necessità di rispettare la legge o la tradizione,
all’obbligo di tenere conto degli organi di controllo costituiti
oppure dei privilegi dei diversi strati sociali.
6
1.3 Il potere secondo Bertrand Russell
Tenendo presente il periodo di grande tensione politica e sociale in cui
Russell si apprestava a considerare il potere
2
, sembrava impossibile
attuare una pacata e scientifica considerazione della realtà politica.
Il pensatore inglese, invece, ha dato la definizione più estensiva, mai
elaborata, di questo concetto, considerato come fondamento della
scienza sociale. Partendo da un’analogia con l’uso comune che il
termine “power” assume nella lingua inglese, (dove significa sia una
capacità di produrre e di subire degli effetti, sia una forza od energia
elettrica applicabile ad un lavoro), Russell si propone di dimostrare che
“il concetto fondamentale della scienza sociale è il potere, allo stesso
modo che nella scienza fisica il concetto fondamentale è quello di
energia” (Russell, 1981
3
, p.12).
Il potere, come l’energia, ha diverse forme (ricchezza, armi, autorità
civile, influenza sull’opinione pubblica), ma nessuna di queste deve
essere ritenuta subordinata alle altre o derivata da esse; le leggi della
dinamica sociale devono essere enunciate solo in termini di potere, non
secondo questa o quella forma di potere. Insistendo sull’affinità con la
fisica, l’autore afferma che “il potere, come l’energia, muta
continuamente di forma, e la scienza sociale deve occuparsi
precisamente dello studio delle leggi che governano questi mutamenti”
(Russell, 1981, p.14). E’ quindi un’indagine che si propone di agire con
tutte le cautele della scientificità e con il fine di raggiungere
2 “Power – A new social analysis” vide la luce per la prima volta in Inghilterra nell’ottobre del
1938, in un momento in cui era viva ,nei paesi democratici, la preoccupazione per la dittatura di
Hitler in Germania, quella di Mussolini in Italia e mentre il regime franchista si consolidava in
Spagna.
3 Russell B., Il potere, Feltrinelli, Milano, 1981 (ed. orig. 1938).
7
un’obiettività, che sia il più possibile sottratta all’immediatezza
dell’impulso pragmatico. Si tratta di analizzare leggi del comportamento
che, pur non essendo indicative di una realtà assoluta, non smettono
di essere leggi e di valere, perciò, indipendentemente dall’interesse che
si abbia per la loro chiarificazione. Russell si giova dell’osservazione
sperimentale diretta e dell’osservazione attraverso la storia; molti
capitoli di quest’opera sono costruiti sull’analisi di periodi storici
precisi, di cui viene rilevata la tipicità ed è da quest’ultima che si
possono desumere quelle leggi del comportamento umano che
costituiscono la scienza sociale.
Se il potere è l’insieme di tutto ciò che produce effetti tangibili sulla vita
degli uomini, diversi sono, secondo Russell, i modi per influire
sull’individuo:
a) con l’applicazione, direttamente al suo corpo, di un potere fisico (es.
la prigionia);
b) allettandolo con premi o servendosi della sua paura di castighi (es. il
dare o il negare il lavoro);
c) agendo sulle opinioni (es. la propaganda) o intervenendo direttamente
per creare certe abitudini (es. le esercitazioni militari).
Differenti sono anche le organizzazioni necessarie all’attuazione del
potere e diverso è il tipo di potere che esercitano:
1) l’esercito e la polizia dispongono di un potere coercitivo fisico;
le organizzazioni economiche fanno uso di premi e di punizioni come
allettamento o come freno;
2) le scuole, le organizzazioni ecclesiastiche e i partiti politici tendono ad
influire sulle opinioni.
Queste diversità non sono però precise, poiché ogni organizzazione
utilizza anche altre forme di potere, in aggiunta a quelle che sono
tipiche della sua categoria.