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CAPITOLO PRIMO - IL POTERE DI MERCATO E IL VANTAGGIO
COMPETITIVO
Tra gli obiettivi strategici più importanti per un’impresa, c’è quello di generare e
mantenere un certo potere di mercato. Ci sono diversi modi per acquisirlo: essa può creare degli
ostacoli rappresentati dalle barriere all’entrata e all’uscita, per rendere difficile o impossibile
l’ingresso di un’impresa sul mercato, oppure può applicare delle strategie per incrementare la
sua posizione, puntando quindi sulla discriminazione di prezzo, sulla differenziazione del
prodotto, sulla pubblicità, sull’innovazione e su altri comportamenti come gli accordi collusivi,
le fusioni e le acquisizioni. Approfondiremo tali strategie nei prossimi paragrafi.
1.1 DEFINIZIONE DI POTERE DI MERCATO
Il potere di mercato è la capacità di fissare prezzi superiori al costo marginale.
Quest’ultimo viene definito come variazione del costo totale provocata dall’aumento di un’unità
di prodotto. Esso viene esercitato facilmente nelle imprese oligopolistiche così come in
concorrenza, dove è ammissibile a patto che sia raggiunto in maniera lecita, mentre nel
monopolio raggiunge il suo culmine con l’impossibilità di entrata da parte dei nuovi concorrenti.
In economia si preferisce un mercato caratterizzato dalla concorrenza perfetta, perché offre
maggiori benefici rispetto alle situazioni di monopolio ed oligopolio presenti nella concorrenza
imperfetta. Il potere di mercato si incrementa in determinate circostanze: quando si ha l’abilità
di vendere beni o servizi al di sopra della media dei concorrenti, quando i costi delle attività
primarie o di supporto sono inferiori rispetto a quelli della concorrenza, oppure quando le
dimensioni d’impresa, le risorse e le capacità le conferiscono capacità superiori nel competere.
In generale, si deve raggiungere l’efficienza allocativa, che nel monopolio e in tutti i
mercati imperfetti si ha quando: P > CM, sottolineando che il margine di differenza tra prezzo
e costo marginale è una perdita per la collettività.
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FIGURA 1 - AREA DI PERDITA PER LA COLLETTIVITÀ
FONTE: ELABORAZIONE PERSONALE
Invece, in concorrenza perfetta, non esiste il potere di mercato perché P= CM e quindi
l’impresa non può decidere nemmeno il prezzo di vendita del bene. Non c’è perdita di surplus
quando il prezzo equivale al costo marginale. Per questo, l’efficienza si ha quando: P= CM.
Il potere di mercato si misura in base all’indice di Lerner, il quale comprende valori tra 0
e 1. Pari a 0 significa che ci troviamo in una situazione di concorrenza perfetta. Più si avvicina
a 1, invece, e più si trova ad avere un potere dominante.
=
( − )
L’indice di Lerner dipende altresì dall’elasticità della domanda rispetto al prezzo: maggiore
è l’elasticità (in valore assoluto), minore è il potere di mercato.
∈ =
∕
=
Detto ciò, quindi, il potere di mercato si raggiunge attraverso l’ottenimento di un
vantaggio competitivo, creato molto spesso dalle varie strategie delle imprese.
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1.2 DEFINIZIONE DI VANTAGGIO COMPETITIVO
Il vantaggio competitivo consiste nell’avere una posizione di vantaggio nel mercato da
parte di un’impresa, tale da creare un valore maggiore rispetto ai concorrenti e al costo
sostenuto, e può essere generato da due opzioni: dal vantaggio di costo, in cui vi è la capacità di
commercializzare un prodotto o servizio analogo a quello dei concorrenti ma a prezzi più bassi;
oppure dalla differenziazione, ovvero la capacità di offrire un prodotto o servizio che lo
distinguono dai rivali.
Viene evidenziato negli ambiti in cui vi sono i fattori critici di successo, intesi dal punto
di vista del mercato e dell’impresa. Questi ultimi sono quelle attività in cui essa deve eccellere
per avere un massimo impatto sulla creazione di valore per il cliente e per il raggiungimento dei
risultati economico-finanziari per gli azionisti, quindi soddisfacendo maggiormente la domanda
sul mercato. Per quanto riguarda il mercato, ci si attiene all’offerta che permette una posizione
di primato sul mercato; per quanto riguarda l’impresa, ci si riferisce a ciò che la distingue dai
competitor nella soddisfazione dei clienti. Il manager con le sue decisioni può agire su queste
variabili, incidendo sulla posizione competitiva nel settore. L’impresa si può differenziare dai
concorrenti per l’efficienza operativa o per il posizionamento strategico.
Efficienza operativa: l’impresa in questo caso svolge la stessa attività degli altri in modo
migliore ed efficiente, perché ha costi medi inferiori. Quest’efficienza è temporanea, in
quanto può essere combattuta attraverso il benchmarking dagli stessi competitor. È per questo
che l’impresa deve sempre cercare di essere alla guida del cambiamento, innovando le sue
fonti di vantaggio e impedendo ai suoi rivali di appropriarsi delle condizioni da cui deriva il
suo attuale vantaggio competitivo: a volte, infatti, essa nasconde la maggiore redditività,
oppure opera dei comportamenti che scoraggiano la concorrenza.
Posizionamento strategico: l’impresa riesce ad individuare, con le sue risorse e competenze
distintive, delle opportunità di business non colte dai concorrenti e questo incrementa il
valore del suo prodotto agli occhi dei clienti. L’impresa, per implementare la sua attività, si
avvale molto spesso di soggetti esterni. La catena del valore analizza proprio le relazioni che
si creano con le attività: l’impresa è vista come un insieme di attività e sotto-attività che
generano valore. Queste sono distinte in attività primarie e di supporto. Le prime articolano
il processo di produzione e vendita in senso stretto, le seconde sono finalizzate al miglior
svolgimento delle primarie.
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Le attività primarie considerate sono:
Logistica in entrata: pianificazione e gestione dei fornitori, magazzino, ricezione e
smistamento delle materie;
Attività operative: organizzazione e manutenzione degli impianti del ciclo produttivo;
Logistica in uscita: gestione del magazzino, pianificazione e gestione di uscite e consegne ai
distributori;
Marketing e vendite: politiche commerciali e di prezzo, comunicazione;
Servizi: analisi della soddisfazione del cliente, campagne post-vendita.
Le attività secondarie si identificano in:
Approvvigionamenti: relazione con i fornitori, gestione degli acquisti;
Sviluppo della tecnologia: sviluppo della ricerca, innovazione del prodotto;
Gestione delle risorse umane: selezione del personale, sistemi di incentivazione;
Attività infrastrutturali: pianificazione strategica e di marketing, programmazione e controllo
di gestione, gestione finanziaria.
La catena del valore considera più aree di business a confronto, creando un sistema del
valore, considerando che la competizione nei mercati avviene sempre più tra più imprese e non
tra individui. Essa si esprime con la differenza tra beneficio netto (creato a favore del
consumatore) e il costo totale sostenuto dall’impresa per la sua produzione. Più la differenza è
grande, maggiore sarà il valore creato e quindi il vantaggio competitivo. L’impresa così si orienta
ad aumentare il beneficio netto (incrementando il beneficio percepito o riducendo i costi di
transazione) o a ridurre il costo totale (diminuendo i costi aziendali). Compiuto ciò, l’impresa
deve raccogliere il valore attraverso la fissazione del valore del prezzo. La differenza tra il prezzo
e i costi totali è il valore netto per l’impresa, mentre la differenza tra il beneficio netto e il prezzo
è il surplus del consumatore.
Per raggiungere questi obiettivi, che alla fine porteranno ad un aumento generale del
potere di mercato, l’impresa dovrà definire accuratamente la strategia aziendale, che dovrà
risultare efficace ed efficiente.
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1.3 LE STRATEGIE DELLE IMPRESE PER ACCRESCERE IL POTERE DI MERCATO
L’impresa utilizzerà una strategia che le permetterà di distinguersi dal resto dei concorrenti
e al contempo di operare efficientemente. Per strategia si intende un piano di azioni concepite
per gestire in maniera ottimale le interdipendenze con i soggetti coinvolti, sfruttando a pieno i
fattori di successo che si hanno a disposizione.
Essa si basa sugli obiettivi (oggetto), sul piano di azione (modo attraverso cui), sulle risorse
(strumenti disponibili) e sull’ambiente esterno in cui l’impresa opera. Con la strategia, si deve
definire la pianificazione strategica, che porta poi all’implementazione strategica, la quale deve
coincidere con la strategia disegnata, così che si riesca a raggiungere l’esito desiderato. Ciò non
è sempre facile da applicare, perché si possono verificare dei cambiamenti significativi dal
disegno della strategia all’implementazione: visto che intercorrono dei tempi più o meno lunghi,
lo scenario in cui l’azienda si ritrova a competere, cambia sempre.
È dunque necessario sviluppare delle strategie emergenti a livello corporate (dove si
collocano le strategie di acquisizione e fusione), competitivo e funzionale. Prima di analizzare
ciò, si necessita l’individuazione degli strumenti di pianificazione strategica che si sono sviluppati
con il tempo. Per prima vi è la matrice di Ansoff, la quale si basa su due dimensioni: prodotto e
mercato, i quali a loro volta si distinguono in “esistenti” e “nuovi”. Ansoff ha identificato
quattro modalità di movimento: vendere prodotti consolidati su mercati nuovi e su mercati
esistenti; vendere prodotti nuovi su mercati nuovi e su mercati esistenti. A questi quattro
comportamenti corrispondono quattro specifiche strategie: estensione del mercato,
penetrazione del mercato, diversificazione e sviluppo dei prodotti. Si è poi sviluppata la SWOT
Analysis, per valutare i punti di forza e di debolezza dell’ambiente interno e le opportunità e le
minacce dell’ambiente esterno. Si è pensato poi di passare l’attenzione solo all’ambiente esterno,
attraverso il modello delle cinque forze competitive di Porter, per studiare la pianificazione
strategica, quindi capire la struttura del mercato, la quale incide sulla condotta dell’impresa, che
poi a sua volta andrà ad influenzare le performance del settore.
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Le cinque forze sono così definite:
- L’intensità della concorrenza nel settore;
- Minaccia di nuovi entranti nel settore;
- Minaccia di prodotti sostitutivi;
- Potere contrattuale dei fornitori;
- Potere contrattuale dei clienti.
Negli anni a venire, c’è stato però un approccio diverso rispetto al precedente (Resource
Based View), in cui la strategia pianificata dall’impresa può essere connessa alle risorse e alle
competenze possedute da essa (quindi, per disegnare una strategia si parte da un’analisi interna).
Una volta capita la pianificazione strategica e di conseguenza anche la strategia da applicare di
passo in passo, si vanno a considerare le varie alternative possibili, per far sì che l’impresa diventi
dominante sul mercato o, se già detiene un potere di mercato, come mantenerlo nel più lungo
tempo possibile.
Andiamo così ad analizzare le strategie più utilizzate per questo scopo specifico.
FONTE: SCHILLING (2009)
FIGURA 2 - LE CINQUE FORZE COMPETITIVE DI PORTER
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1.3.1 BARRIERE ALL’ENTRATA E ALL’USCITA
Le barriere all’entrata e all’uscita sono degli ostacoli che rendono difficile o impossibile
l’ingresso di un’impresa in un mercato. Le barriere all’entrata possono essere create da interventi
dello Stato, portando ad un monopolio legale, o possono derivare da economie di scala,
portando al c.d. monopolio naturale. I brevetti sono un esempio di monopolio legale: questi
danno diritto all’inventore di usare in via esclusiva, per un periodo di tempo limitato, la propria
invenzione. Si tratta di un monopolio temporaneo, che garantisce all’impresa un’autentica
protezione legale, così da poter innalzare significativamente i prezzi senza tener conto della
concorrenza. Il monopolio naturale, essendo legato ad economie di scala, costringe le imprese
a sostenere costi fissi molto alti, tali da imporre la realizzazione di volumi di produzioni
consistenti per far fronte alle spese. Pertanto, se un nuovo competitor volesse entrare nel mercato,
avrebbe dei costi maggiori per organizzare inizialmente la sua attività su un’elevata consistenza
dimensionale. Infatti, molto spesso accade che viene scoraggiato da questa situazione, così che
rinuncia all’ingresso. Per barriera all’entrata, in particolare, si definisce un qualsiasi fattore che
permetta alle imprese esistenti in un mercato di praticare per un lungo periodo dei prezzi
maggiori dei costi medi totali senza attirare nuove imprese sul mercato. L’asimmetria consiste
nel costo che deve essere sopportato da un’impresa che cerca di entrare in un mercato e che
invece non deve essere sopportato da chi è già in tale mercato.
BOX 1 - LA MONSANTO
La Monsanto, leader nel settore delle bevande analcoliche, ha avuto per anni l’esclusività
del brevetto del dolcificante. Quando questo stava per scadere, essa decise di accordarsi con
Coca Cola e Pepsi Cola, suoi principali clienti, per evitare che altre imprese entrassero nel settore
dei dolcificanti; queste ultime, accettando, potevano comportarsi come monopolisti nei
confronti di un nuovo potenziale entrante, ma altresì avrebbero dovuto pagare una penale se
avessero voluto cambiare fornitore. Lo avrebbero pertanto fatto solo se il potenziale entrante
gli avrebbe fatto uno sconto per coprire anche il costo della stessa penale. Ma per fare lo sconto,
questo dovrà avere un costo di produzione inferiore a quello della Monsanto, tale da risultargli
comunque conveniente l’entrata, considerando lo sconto da applicare per conquistare i suoi
clienti. Di conseguenza, il concorrente è incentivato ad entrare nel mercato se e solo se risulta
significativamente più efficiente della Monsanto.
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Le barriere all’entrata possono essere strutturali o strategiche. Le prime consistono in:
o Barriere legali: per entrare in alcuni settori, occorre la concessione di una licenza dalla
Pubblica Autorità.
o Economie di scala: vuol dire che costa meno, per unità di prodotto, produrre un dato
prodotto in volumi più ampi. Aumentando la produzione, infatti, in quel caso non
aumentano proporzionalmente i costi. Per avere una struttura dei costi come la nostra, il
nostro concorrente deve quindi diventare altrettanto grande. Si sfruttano economie di scala
anche comprando volumi maggiori dallo stesso fornitore, perché si possono probabilmente
ottenere sconti.
o Vantaggi di costo: le imprese possono aver imparato ad usare a proprio vantaggio il “learning
by doing” e possono essere venute in contatto con le materie prime a basso costo.
o Fabbisogno di capitali: il costo del capitale necessario per consolidarsi in un settore può
essere così alto da scoraggiare chiunque, tranne le imprese di grandi dimensioni. Le imprese
entranti potrebbero avere più difficoltà nel reperire capitali rispetto alle consolidate.
o Accesso ai canali di distribuzione: i distributori possono preferire i prodotti delle imprese
già affermate, ostacolo che può danneggiare i produttori di beni di consumo.
o Differenziazione del prodotto: se vi è un livello alto di differenziazione dei prodotti, i nuovi
entranti devono spendere molto in pubblicità per essere conosciuti quanto quelli già
presenti.
Le barriere strategiche sono le possibili ritorsioni dei concorrenti: il pensiero delle nuove
imprese di come possa reagire l’impresa leader provoca l’efficacia di tutte queste barriere
all’entrata. La probabilità che avvengano queste reazioni dipende dalle condizioni del settore e
dalla credibilità che si trasmette come efficacia.
Le barriere all’uscita sono quasi sempre economiche: sono i costi che un’azienda (o
qualsiasi operatore) dovrebbe sostenere per uscire da un mercato in cui è già presente.
Costringono l’impresa a continuare l’attività anche se ha un rendimento piuttosto basso. Questo
ostacolo dissuade così i potenziali entranti, che preferiranno immettersi in attività facilmente
liquidabili in caso di necessità. Se non esistessero barriere all’entrata o all’uscita, un settore
sarebbe definito contendibile.