4
INTRODUZIONE
“Non è il caso né di aver paura né di sperare, ma bisogna cercare nuove armi.”
1
G. Deleuze
Il lavoro di tesi che il candidato vuole qui proporre è un approfondimento volto ad analizzare la
mutazione delle categorie politiche negli ultimi dieci anni, alla luce dell’introduzione del Web 2.0 e
dei Social Network. La tesi è stata suddivisa in tre parti principali in modo da creare, in maniera che
si vorrebbe lineare, un discorso che porti alle speculazioni presenti nell’ultimo capitolo, ossia alla
proposta di un nuovo idealtipo umano: quello dell’uomo-nodo al tempo della società in Rete.
La prima parte è dedicata all’opinione pubblica, o per meglio dire all’analisi che Habermas fa
dell’opinione pubblica all’interno della sua opera Storia e critica dell’opinione pubblica e ad un
commento strutturato storicamente. Seguendo il testo di riferimento e incrociando le sue tesi con un
lavoro di ricerca più psicologica che sociologica (La spirale del silenzio di Elisabeth Noelle-
Neumann) si tenta di inquadrare storicamente quella che è stata definita nei secoli, con molteplici
sfaccettature, come “opinione pubblica”. Ripercorrendo il pensiero di autori fondamentali della
filosofia moderna e contemporanea, si tenta di familiarizzare con i non immediati concetti di
opinione e pubblico che compongono lo stesso “concetto esteso” preso in esame. Importante è per
noi attraversare il pensiero di Locke, ad esempio, per chiarire da subito come l’opinione, in quanto
credenza, giudizio di valore, doxa, colpisca dapprima il soggetto, per poi essere esteso alla sua
dimensione sociale delle moderne masse creando una sorta di alone di mistico dominio sull’uomo,
maggiore rispetto alla ragione e alle sue leggi:
“Il raisonnement è illuminante, stimolante, interessante, ma non può esercitare una pressione tale
che non una su diecimila persone le rimanga indifferente – per citare la Law of Opinion di Locke.
[…] Il concetto di opinione pubblica razionale è basato sulla nozione di cittadino responsabile (solo
una piccola porzione informata e impegnata della popolazione partecipa effettivamente) […] mentre
il concetto di “opinione pubblica come controllo sociale” riguarda tutti i membri della società. Si
1
Deleuze, G., Poscritto sulle società di controllo (1990), in Id., Pourparler, Quodlibet, Macerata, 2000, p. 235.
5
deve dire “riguarda”, perché non si tratta di una partecipazione volontaria a questo processo di
minaccia e paura dell’isolamento; al contrario il controllo sociale è efficace, esercita la propria
pressione sia sull’individuo, che teme l’isolamento, sia sul governo, che senza il sostegno
dell’opinione pubblica è a sua volta isolato e destinato a essere prima o poi rovesciato.”
2
Seguendo Tocqueville si potrebbe dire che nel corso dell’Ottocento prima e del Novecento poi
“Temendo più l’isolamento che l’errore, si unirono alla folla pur senza pensare come essa”
3
(L’ancien regime e la rivoluzione) milioni di cittadini accomunati dal loro essere massa. Il
ragionamento del candidato prosegue infatti in questa direzione, evidenziando come, nei tempi del
suffragio sempre più allargato e dell’ingresso delle masse nella storia, un loro controllo sociale
mediante la creazione e distribuzione di opinione pubblica abbia permesso alle élite al potere di
costruire e perpetuare posizioni di dominio mediante un sapiente uso della propaganda e dei mezzi
di informazione e comunicazione più che questa opinione abbia veramente influenzato le sorti dei
governi e dei governanti.
“L'ingresso delle classi popolari nella vita politica è una delle più sorprendenti caratteristiche di
questa nostra epoca di transizione. [...] Il diritto divino delle masse sta rimpiazzando il diritto divino
dei re. [...] E’ solo studiando la psicologia della folla che si può comprendere che le azioni della
legge e delle istituzioni su di loro sono insignificanti, che loro [i popolani] sono incapaci di
sostenere un’opinione qualunque se non quelle che gli vengono imposte, e che non è con le leggi
basate sulle teorie della pura eguaglianza che essi vanno guidati, bensì con lo studio di ciò che li
impressiona e li seduce.”
4
I teorici della fine del secolo XIX avevano individuato, come si vuole evidenziare nella prima parte
attraverso l’elenco di tre passaggi del pensiero (Le Bon, Tönnies, Tarde), dialetticamente parte di
uno stesso ragionamento scientifico, il nuovo soggetto politico (il pubblico massificato) e la tecnica
attraverso la quale sarebbe stato possibile manipolarlo per le élite dominanti a cui appartenevano: la
propaganda.
2
Noelle-Neumann, Elisabeth, La spirale del silenzio, Meltemi, Roma, 2002, p.372.
3
Ivi., p.82.
4
Gustave Le Bon, The Crowd: A Study of the Popular Mind, London, 1896, disponibile anche nella traduzione italiana:
La psicologia delle folle, Mondadori, Milano, 1980. In http://it.wikipedia.org/wiki/Psicologia_delle_masse .
6
In una fase già successiva (1922) ai primi lavori pionieristici di “psicologia delle folle” intervenne
nel dibattito accademico sull’opinione pubblica e sull’eterodirezione della masse come strumento di
controllo Walter Lippmann. Egli coniò l’espressione “stereotipia”, riprendendola dal mondo tecnico
della tipografia, a lui, giornalista, ben noto: il testo nella stereotipia viene colato in una forma rigida
per poter così essere riprodotto nel numero di copie desiderato. E allo stesso modo un’idea,
un’immagine della realtà preventivamente formulata e codificata dai “manipolatori” verrebbe colata
in quell’interstizio cognitivo che, all’interno di una società e di un mondo complessi, si è venuto a
formare fra l’individuo atomizzato e l’ambiente globale in seguito alle innovazioni tecnico-
scientifiche della seconda rivoluzione industriale e oltre. Un mondo più vasto e complesso necessita
di semplificazioni per la mente dell’uomo, poiché “l’ambiente reale, preso nel suo insieme, è troppo
grande, troppo complesso e troppo fuggevole per consentire una conoscenza diretta. Non siamo
attrezzati per affrontare tante sottigliezze, tante varietà, tante mutazioni e combinazioni. E pur
dovendo operare in questo ambiente, siamo costretti a costruirlo su un modello più semplice per
poterne venire a capo.”
5
Facendo tesoro dei lavori di denuncia alla Lippmann e soprattutto dell’esperienza invece pratica al
servizio del potere accumulata da Bernays, un vero pioniere della “eterodirezione” durante il primo
conflitto mondiale, il campo della propaganda divenne fonte di speculazioni e esperimenti che
delucidano, a nostro modo di vedere, il più chiaramente possibile come il concetto di opinione
pubblica borghese habermasiano fosse stato definitivamente calpestato – come lui stesso sostiene
nel testo – a favore di una “stereotipia massificata” così ben sottolineata da Adorno e da Anders nei
loro lavori sulla società dei consumi. Le minoranze al potere avevano imparato ad usare gli
strumenti a loro vantaggio, riducendo le masse da pubblico a audience.
La seconda parte della tesi si concentra per questo in maniera più puntuale sulla propaganda, su
questo strumento a disposizione delle minoranze dominanti per influenzare e manipolare le masse,
anche grazie all’uso delle innovazioni in campo tecnologico. Per andare oltre la fase pionieristica,
ma già rappresentativa, della prima guerra mondiale, si approfondisce l’uso quasi artistico che della
propaganda e della manipolazione totalitaria di corpi e menti fece il regime nazionalsocialista
seguendo il ministro Joseph Goebbels. Le tecniche usate dal nazionalsocialismo, come Adorno ci
aiuta a sottolineare nella sua critica, non ebbero fine con esso e con il suo folle sogno di dominio
5
Noelle-Neumann, La spirale del silenzio, p. 240.
7
planetario, bensì andarono ad implementare le tecniche propagandistiche della società dei consumi,
politicamente libera, ma – ancora secondo il francofortese – sostanzialmente assoggettata al
dominio del “bisogno indotto” fin nel suo aspetto più marginale: il consumo della popular music.
“Sotto il “monopolio privato” della cultura accade realmente che “la tirannide lascia libero il corpo
e investe direttamente l’anima. Là il padrone non dice più: devi pensare come me o morire. Ma
dice: sei libero di non pensare come me, la tua vita, i tuoi beni, tutto ti sarà lasciato, ma a partire da
questo momento sei un intruso fra noi” […] I consumatori sono gli operai e gli impiegati, i fattori
agricoli e i piccoli borghesi. La produzione capitalistica li incatena talmente corpo ed anima, che
essi soccombono senza resistere a tutto ciò che viene loro propinato.”
6
Ritorna in questa analisi la
paura dell’isolamento che già con Locke e Tocqueville si era vista esercitare una spinta
omologatrice molto più forte e pervasiva delle leggi o della ragione.
In una società come quella descritta da Adorno è l’eterodirezione, innanzitutto nei consumi, ma
anche in campo politico (il candidato è venduto ne più ne meno come un prodotto commerciale) a
dominare le categorie umane, gli idealtipi, i soggetti ai consumi.
“Il ricorso ai presunti desideri spontanei del pubblico si rivela come un pretesto inconsistente. […]
Le distinzioni enfaticamente ribadite, come quelle tra i film di tipo a e b, o quella fra i racconti
pubblicati in settimanali di diverse categorie di prezzo, più che essere fondate sulla realtà e derivare
da essa, servono a classificare e organizzare i consumatori, e a tenerli più saldamente in pugno. Per
tutti è previsto qualcosa perché nessuno possa sfuggire; le differenze vengono inculcate e diffuse
artificialmente.”
7
Quella che, secondo Adorno, il consumismo raggiunge negli Stati Uniti degli Anni’50 è una vera e
propria società senza classi: superando la tradizionale distinzione fra proletariato e borghesia, fra
ceti colti e volgo, il mercato dell’industria culturale che mette a disposizione di tutti le sue “opere
d’arte” (e in questo senso le democraticizza, o almeno così era stato propagandato dai suoi
sostenitori) suddivide la società su nuove basi, quelle del possesso di valore di scambio
6
Horkheimer, M., Adorno, T.W., Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 2010, pp. 140-141.
7
Ivi. 128-129.
8
sottoponendole al suo dominio. Le merci culturali, sempre secondo Adorno, creano un nuovo
linguaggio, una nuova sintassi dello scambio e del capitalismo, sottomettendo i bisogni reali
dell’uomo a una dimensione a quelli indotti dalla pubblicità, dagli stili di vita delle star di
Hollywood e dalle mode. Laddove i regimi totalitari cercano un’omologazione dell’intera società
sotto la guida della classe o del “duce” di turno, la moderna democrazia liberale basata sul consumo
tenta di “classificare” e “incasellare” (tassonomia sociale) gli individui in quanto tali in fasce di
consumo. Tali classi vengono isolate dalle altre da un glamour dedicato, con il “diabolico” risultato
di non permettere – qui il pessimismo rimproverato ad Adorno da molti studiosi di musica rock
8
, ad
esempio – una “controcultura” o una via di fuga che presto non si vada ad aggiungere alle altre fette
di mercato come un microcosmo di merci e commerci specifici a cui fidelizzare i consumatori
divenuti fan.
Nella società dei consumi, la pubblicità (parola che richiama alla funzione di audience esercitata dal
pubblico e in nessun modo ad un pubblico attivo così come lo era nella sfera pubblica di Habermas)
diventa l’arte per eccellenza, a cui Goebbels, col suo fiuto infallibile, l’aveva già equiparata, l’art
pour l’art, pubblicità di se stessa, pura esposizione del potere sociale.
“[…] Sia dal punto di vista tecnico che da quello economico la pubblicità e l’industria culturale si
fondono fra di loro. Nell’una come nell’altra la stessa cosa appare in luoghi innumerevoli, e la
ripetizione meccanica dello stesso prodotto culturale è già quella dello stesso slogan
propagandistico. Nell’una come nell’altra, sotto l’imperativo dell’efficienza operativa, la tecnica
diventa psicotecnica, tecnica della manipolazione degli esseri umani. Nell’una come nell’altra
valgono le norme di ciò che dev’essere sorprendente e tuttavia familiare, di ciò che dev’essere
facile e leggero e tuttavia penetrante e incisivo, di ciò che dev’essere esperto e qualificato e tuttavia
semplice e banale; si tratta sempre di trovare il modo di soggiogare e conquistare il cliente, che si
rappresenta come distratto o riluttante a lasciarsi indirizzare come si deve.”
9
In seguito all’analisi adorniana, fondata sostanzialmente sullo studio della radio e della radiofonia,
si prosegue il ragionamento riflettendo sulle implicazioni avute nel controllo delle masse da parte
delle élite dominanti con l’introduzione della televisione. In questo si fa tesoro delle riflessioni di
Anders e infine della lucida analisi di Giovanni Sartori di fine secolo.
8
Cfr. Middleton R., Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 7-147.
9
Ivi., pp. 175-177.
9
“La TV […]: l’apparecchio rappresenta e incarna proprio il decentramento della famiglia, la sua
eccentricità; esso è il desco familiare di segno negativo. Non fornisce il centro comune, anzi lo
sostituisce con il comune punto di fuga prospettico della famiglia.”
10
L’effetto primario e più immediato del medium televisione, per Anders, è quello di atomizzare,
tagliare i legami e fornire un punto di fuga dalla vita in comune, dalla socialità – che già con
l’imposizione del modello familiare borghese unicellulare aveva visto sostituita la piazza con il
salone – delle famiglie.
Dopo millenni di storia comunitaria e collettiva della società umana, dalle tribù nomadi alle città
della prima rivoluzione industriale, un’innovazione tecnica – o due, includendo la radio e non
vedendola come parte di un unicum comunicativo – che stravolge sostanzialmente le vite degli
individui in una dimensione ritenuta fin dai tempi di Aristotele come primaria dell’uomo: quella di
zoon politikon.
“La manipolazione dell’uomo procede come una fornitura a domicilio che non si distingue in nulla
da quella del gas o dall’elettricità. […] Che la montagna venga a Maometto, è l’opera davvero
sconvolgente compiuta dalla radio e della televisione.
Se il mondo viene a noi e non siamo noi ad andare a lui, allora non siamo più “nel mondo”, ma
soltanto consumatori di esso;
Se viene a noi, ma soltanto sotto forma di immagine, è per metà presente, per metà assente, dunque
ha carattere di fantasma; […]
Se il mondo ci rivolge la parola senza che noi possiamo rivolgerla a lui, siamo condannati a essere
interdetti, dunque asserviti.”
11
Sentenze inappellabili sulle pericolosità di “omicidio della realtà”
12
? Sicuramente affini e
propedeutiche alla tesi che si cercherà di dimostrare nell’ultima parte, ovvero che sarebbe stato il
10
Anders, G., L’uomo è antiquato, I Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale,
Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 103.
11
Ivi., pp. 106-108.
12
Baudrillard, J., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? , Cortina Editore, 1996, Milano.
10
Web 2.0 a introdurre, per la prima volta nella storia umana con una così grande diffusione e
penetrazione, la possibilità per l’individuo, il cittadino globale, di non essere più etero-diretto o
ridotto a un puro consumatore di infotainment
13
, ma di essere protagonista dell’informazione così
come della verifica delle notizie, dei “dati”, della comunicazione e finalmente della politica.
Con la televisione diffusa capillarmente, la tecnica della propaganda aveva e ha raggiunto il suo
stadio più evoluto: un mondo tele-diretto, un mondo che non è più mondo, bensì fantasma del
mondo, di un uomo che non è più Weltbildend
14
, heideggerianamente parlando, ma Weltanschauer
nel senso che il suo da-Sein in rapporto all’immagine del mondo non implica più una costruzione
dell’immagine stessa, bensì un’accettazione dell’immagine proposta da altri o, ancor peggio, da
altro (mezzo tecnico), che, secondo la nostra interpretazione, andrebbe ad influire anche sull’esserci
stesso dell’uomo nel mondo impoverendo la sua capacità di individuazione a favore di
un’accettazione di assoggettamento all’immagine del mondo.
La televisione, oltre ad essere mezzo della pubblicità, è analizzata da Anders per primo come mezzo
immediato di produzione e riproduzione del mondo. Non serve tuttavia abbandonarsi alla
speculazione più raffinata per comprendere come la telecamera inquadri solamente ciò che
l’operatore – o il regista per lui – vuole mostrare e celi invece tutto quello che deve, per limiti
prospettici, rimanere esterno all’inquadratura. Da qui deriva infatti l’espressione tecnica framing,
che si riferisce a quel frame, quella cornice entro la quale sta ciò che si riproduce – e dunque esiste
– e ciò che ne è escluso è escluso dal discorso di verità.
“Il fabbricante di matrici, che vuole nascondere che gli schemi fissi sono schemi fissi, che le forme
condizionanti sono forme condizionanti, le presenta come “mondo” e come “oggetto”; perciò come
fantasmi. Perché i fantasmi non sono altro che forme che si presentano come oggetti. […] “La mia
rappresentazione del mondo sia il mondo per voi”, dice la volontà di colui che crea le matrici. Così
parlava Hitler.”
15
Sartori ci aiuta invece nell’analisi di quella che sarebbe una mutazione antecedente a quella da noi
proposta dell’uomo-nodo, nuovo cittadino globale interconnesso al Web e agli altri cybercittadini,
13
http://en.wikipedia.org/wiki/Infotainment.
14
Heidegger, Martin, Die Zeit des Weltbildes, 1938. Cit. “Sobald die Welt zum Bilde wird, begreift sich die Stellung des
Menschen als Weltanschauung […]. Dies bedeutet: Das Seiende gilt erst als seiend, sofern es und soweit es in dieses
Leben ein- und zurückbezogen, d. h. er-lebt und Er-lebnis wird.”
15
Anders, G., L’uomo è antiquato, pp. 161-162.
11
quando ci introduce il concetto di video-politica e sottolinea come questa abbia comportato un
impoverimento della cittadinanza, della vita democratica, della stessa natura politica dell’individuo
post-moderno.
“La democrazia è stata spesso definita un governo di opinione (per esempio Dicey, 1914, Lowell,
1926), e questa definizione diventa davvero calzante con l’avvento della video-politica. Perché è
certo che la televisione è un formidabile formatore di opinione. Oggi il popolo sovrano “opina”
soprattutto in funzione di come la televisione lo induce a opinare. E nel pilotare l’opinione il potere
del video si pone davvero al centro di tutti i processi della politica contemporanea. Per cominciare,
la televisione condiziona pesantemente il processo elettorale, sia nella scelta dei candidati, sia nel
loro modo di combattere la contesa elettorale, sia, infine, nel far vincere chi vince.”
16
“Il problema sorge con la televisione e nella misura in cui il vedere soppianta il discorrere. Finché
prevale la comunicazione linguistica, i processi di formazione dell’opinione non avvengono
direttamente dall’alto al basso; avvengono “a cascata”, o meglio come in una successione di cascate
interrotte da vasche nelle quali le opinioni si rimescolano. Inoltre, alla cascata si affiancano e
contrappongono ribollimenti dal basso, e anche resistenze o vischiosità di varia natura. Ma la forza
travolgente dell’immagine rompe il sistema di riequilibramenti e di retroazioni multiple che ha
progressivamente istituito, nel corso di circa due secoli, gli stati di opinione diffusi che vengono
identificati, dal Settecento in poi, dalla dizione “pubblica opinione”. La televisione è dirompente
perché scavalca i cosiddetti leader intermedi di opinione, e perché spazza via la molteplicità di
“autorità cognitive” che variamente stabiliscono, per ciascuno di noi, a chi credere, chi sia
fededegno e chi no. Con la televisione l’autorità è nella visione stessa, è l’autorità dell’immagine.
[…] Il punto resta che l’occhio crede in quel che vede; e quindi che l’autorità cognitiva più creduta
diventa la cosa vista. Ciò che si vede appare “reale”, il che implica che appare vero.
Notavo che alla democrazia rappresentativa basta, per funzionare, che esista una opinione pubblica
che sia davvero del pubblico. Ma è sempre meno così, dato che la videocrazia sta fabbricando una
opinione massicciamente etero-diretta che in apparenza rinforza, ma in sostanza svuota, la
democrazia come governo di opinione. Perché la televisione si esibisce come portavoce di una
16
Sartori, Giovanni, Homo videns, Editori Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 40.
12
pubblica opinione che è in realtà l’eco di ritorno della propria voce. […] In realtà la televisione
riflette cambiamenti che in larga misura promuove e ispira.”
17
La terza parte della tesi propone il nostro ragionamento filosofico-politico e sociologico sul Web
2.0, ossia sull’innovazione tecnologica che, a nostro modo di ragionare, avrebbe messo in difficoltà
lo schema televisivo così ben descritto da Sartori in questo estratto. Nel Web 2.0, per le possibilità
che noi ci vediamo e qui vogliamo evidenziare, l’etero-direzione troverebbe delle cariche resistenti
costituite dai legami tra gli utenti interconnessi e da nuove sfere di pubblica discussione, a cui il
cittadino globale, fin qui travolto dalla liquidità senza appigli della modernità, darebbe un valore di
dignità di fede altro e di sempre maggiore influenza rispetto a quello del mezzo di comunicazione
dominante.
La sostanziale differenza ontologica tra il medium tradizionale (libro, radio, televisione) e la Rete è
però quella che rende il Web un potenziale mezzo di mutamento delle categorie politiche, dando
potere al singolo individuo rispetto alla minoranza al governo, recuperando quella dimensione a cui
si accennava in fase preliminare dell’Introduzione di far tremare i governi con la sua propria
opinione.
Il Web 2.0 è infatti costituito dai suoi utenti e dai loro contenuti (UGC), vive in una dimensione
multidirezionale, dove ciascuno è potenzialmente controllore e controllato per ciascun altro fruitore,
e dove la dimensione della verificabilità riacquista importanza rispetto alla realtà “impacchettata”
dalla televisione o da un altro medium. Il potere che scorre attraverso la Rete è quindi un potere del
Web e dentro esso nasce, cresce, si sviluppa fino ad emergere in vere e proprie manifestazioni
fisiche, come, ad esempio, nei movimenti di protesta arabi – da noi presi ad esempio – per una
maggiore partecipazione alla vita democratica da parte di una organizzazione antagonista rispetto al
governo nata, si può dire, dalle pagine dei Social Network.
La Rete 2.0 ha permesso, secondo quello che in questa tesi si vorrebbe dimostrare, al cittadino di
ritrovare una dimensione pubblica, all’interno di una molteplicità di sfere pubbliche, e di ricreare il
terreno fertile per l’emergenza di una dialettica politica meno disponibile a farsi assoggettare dal
dominio dei “portatori di verità premasticata”.
17
Ivi., pp. 45-46.
13
Coerentemente all’impostazione teorica dell’elaborato, si sono usate come fonti alcune pagine
dell’enciclopedia Wikipedia, espressione, tra le migliori, della potenza innovatrice e rivoluzionaria
del Web 2.0
I ringraziamenti per l’ideazione, l’impostazione e la stesura della tesi vanno ai Professori
Antonio Da Re e Renzo Guolo.
Senza il loro supporto umano e intellettuale il risultato sarebbe stato sicuramente peggiore.
14
PARTE PRIMA
L’opinione pubblica e la creazione del consenso.
La prima parte della tesi ha il compito di indagare le basi concettuali utili per programmare la
ricerca sulle nuove possibilità di partecipazione politica e democratica introdotte per i cittadini
contemporanei dal Web 2.0
18
a partire dai primi anni del terzo millennio (si prenderà il 2001 come
data di riferimento).
Nostra intenzione è quella di scavare sotto la superficie opaca del processo storico e mediatico di
formazione dell’opinione pubblica, per meglio comprenderne i meccanismi di funzionamento e
svelare una “eterodirezione”
19
che, secondo la nostra tesi, il potere ha sempre trovato il modo di
esercitato sulle masse.
Attraverso il disvelamento di quella che Michel Foucault chiamerebbe una “microfisica del
potere”
20
nei sistemi mediati di direzione del pensiero e del consenso, si vuole offrire uno sguardo
sulle dinamiche che hanno portato al cosiddetto “uomo a una dimensione” analizzato da Marcuse
21
e dagli altri esponenti della Scuola di Francoforte per poi evidenziare le discontinuità storico-
politiche introdotte da strumenti come il Web 2.0 nelle sue varie accezioni.
Si cercherà inizialmente di sviscerare il concetto di opinione pubblica seguendo il lavoro svolto da
Jürgen Habermas in Storia e critica dell’opinione pubblica, di approfondire gli sviluppi ulteriori del
concetto di una molteplicità delle sfere pubbliche fino al paradigma contemporaneo di “sfere
pubbliche connesse” on line.
18
Per la definizione di “Web 2.0” ci si rifà all’articolo di Tim O’Reilly, riconosciuto come padre del termine
http://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.html : “Si tende a indicare come Web 2.0 l'insieme di tutte quelle
applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione tra il sito e l'utente (blog, forum, chat, wiki,
Youtube, social network, etc.)” e una creazione di contenuti bi- quando non multi-direzionata.
19
Riesman, David, La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 2009.
20
Foucault elabora una “microfisica del potere”, nella quale il potere “non è qualcosa che si divide tra coloro che lo
possiedono o coloro che lo detengono esclusivamente e coloro che non lo hanno o lo subiscono. Il potere deve essere
analizzato come qualcosa che circola, o meglio come qualcosa che funziona solo a catena. Non è mai localizzato qui o
lì, non è mai nelle mani di alcuni, non è mai appropriato come una ricchezza o un bene. Il potere funziona, si esercita
attraverso un'organizzazione reticolare.” Cfr. Foucault, Michel, Microfisica del potere. Interventi politici, Einaudi,
Torino 1977, p. 184.
21
Marcuse, Herbert, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1999.
15
CAPITOLO I
L’opinione pubblica in Jürgen Habermas.
Il concetto di dominio della “maggioranza aritmetica”, spesso indicato come garante di
democraticità, porta con sé delle aporie discusse già anticamente, a partire almeno da Platone, in
seguito alla condanna del maestro Socrate preceduta da una regolare votazione a maggioranza del
tribunale degli ateniesi.
Il nocciolo della questione che ora andremo ad indagare, risiede nel processo di formazione di una
opinione maggioritaria, di questa maggioranza aritmetica espressa pubblicamente, quindi pubblica,
che può essere diretto più o meno palesemente da élite in possesso di adeguati strumenti -
tecnologici o conoscitivi -.
Quelle della “ragione del numero” e della guida e manipolazione “dei più” da parte di minoranze
organizzate sono tematiche di capitale importanza per le dinamiche di governo
22
in un regime
politico che coinvolga le masse - almeno nel momento del voto - come lo è in una moderna
democrazia parlamentare.
Si tenterà, facendo capo a due testi fondamentali sull’argomento, di tracciare la genealogia del
topos e della dimensione di opinione pubblica, di quella sfera in cui, secondo la sociologia più
affermata, si va creando l’opinione della maggioranza. Affrontando questo complesso fatto sociale
(secondo la definizione di Durkheim di fatto sociale, in Le regole del metodo sociologico, 1895)
con un approccio storico-sociologico – seguendo in questo Jürgen Habermas di Storia e critica
dell’opinione pubblica – e uno più spiccatamente socio-psicologico – Elisabeth Noelle-Neumann di
La spirale del silenzio – si tenterà di comprendere meglio il processo dalla sua genesi al risultato
finale.
22
Per l’uso e il significato della parola governo in questo elaborato si fa riferimento alla radice semantica marinaresca
(sanscrito “kubara” – la barra del timone) evidenziata nei suoi corsi di Storia della filosofia politica presso l’Università
di Padova dal Professor Sandro Chignola; ossia a quella pratica aleatoria del gubernare un oggetto/soggetto sempre in
movimento e in fuga, esposto a rovesci, cambiamenti repentini, una rincorsa del potere che deve cercare di “orientare
mantenendo liberi”.