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In tempi relativamente recenti, De Candolle nel 1832 mise in rilievo che le
interazioni tra piante avvengono in molti raccolti, ma, malgrado i
suggerimenti concernenti le apparenti interazioni biochimiche, fu Molish
nel 1937 a dare una prima definizione dell’allelopatia. Egli definì
l’allelopatia come l’insieme delle interazioni biochimiche, sia benefiche
che dannose, tra tutte le piante, inclusi i microrganismi.
Ciò ha portato Rice ( 1984 ) a identificare meglio l’allelopatia nel suo
trattato “Allelopathy” come “ gli effetti sia diretti che indiretti, benefici o
dannosi di una pianta (compresi i microrganismi) su un’altra, attraverso la
produzione di composti chimici, che vengono liberati nell’ambiente”.
Le interazioni allelopatiche possono giocare un ruolo chiave
nell’influenzare la distribuzione della vegetazione in natura, il prodotto di
alcune specie di diversi raccolti, e nel controllo di alcune interferenze
dovute ad alcuni agenti infestanti (Muller,1966; Del Moral & Muller,1970;
Putnam & Duke, 1978; Kaminsky, 1981; Aldrich, 1984; Rice, 1984;
Horsley, 199 ).
Malgrado il largo numero di studi sull’allelopatia, pochissimi sono stati
capaci di stabilire l’efficacia di vari processi allelopatici nelle condizioni di
campo (Newman, 1982; Willis, 1985; Williamson, 1990), ciò perché si
possono verificare svariati meccanismi di interferenza o simultaneamente o
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in sequenza nelle condizioni di campo e separare questi meccanismi è
molto complesso (Putnam et Weston, 198 ).
Saggi biologici di laboratorio permettono ai ricercatori di eliminare tutti
questi possibili meccanismi d’interferenza attraverso precisi progetti
sperimentali di controllo e tramite la manipolazione di quasi tutti i
parametri, così i ricercatori possono eliminare le complesse condizioni di
campo e verificare singolarmente l’efficacia dei composti naturali e i loro
effetti additivi e/o sinergici con fattori ambientali sia di tipo abiotico che
biologico.
Tuttavia è spesso difficile per gli esperimenti dei saggi biologici di
laboratorio simulare condizioni naturali di campo (May e Ash, 1990). Le
sostanze allelopatiche sono presenti in tutte le parti della pianta, ma
l’accertamento della loro presenza non stabilisce che ci siano anche
interazioni allelopatiche (Heisey, 1990). Quindi come prova conclusiva
sull’allelopatia, i saggi biologici di laboratorio devono dimostrare
l’effettiva liberazione di sostanze chimiche allelopatiche nel suolo e
l’effetto conseguente di queste sostanze chimiche sulle specie di piante
associate (Putnam e Tang, 1986).
Infine, per evitare incomprensioni, è necessario chiarire la differenza
esistente tra il concetto di allelopatia e quello di competizione tra le piante,
poiché essa implica la liberazione di sostanze nell’ambiente mentre la
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competizione si attua con una reciproca sottrazione delle risorse. Sarebbe
opportuno l’uso del termine interferenza per indicare l’effetto globale
(allelopatia + competizione) di una pianta sull’altra.
Muller fece notare che l’allelopatia comporta l’aggiunta di alcune sostanze
nell’ambiente, mentre la competizione essenzialmente coinvolge la
riduzione di alcune risorse ambientali essenziali.
La competizione e l’allelopatia indubbiamente interagiscono in modo
altamente sinergico (Willis, 1994).
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I.2 – Sostanze allelochimiche: natura e modi d’azione
Nel 1979 Rice diede una definizione precisa di composto o sostanza
allelopatica o “allelochimica” come “una sostanza chimica non
nutrizionale prodotta dal metabolismo secondario di un organismo e che
agisce sulla crescita, salute, funzionamento e popolazione biologica di altre
specie”.
Quindi la maggior parte degli allelochimici sono metaboliti secondari o
meglio prodotti collaterali del metabolismo primario. Essi provengono
dalla via dello scichimato o da quella acetica, oppure dalla combinazione
di entrambe (fig. I.1).
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acidi idrossaminici tannini idrolizzabili
sulfidi acido gallico cumarina
purine ac. cinnamici e benzoici/aldeidi
polipeptidi
tannini condensati
alcaloidi
alcuni chinoni
flavonoidi
acidi organici ac. grassi a lunga
catena
alcooli, aldeidi, chetoni terpeni vari (mono, di,tri)
poliacetileni lattoni insaturi
fig I.1 – Origine metabolica degli allelochimici
Via dello scichimato
Via acetica
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Questi prodotti secondari si possono classificare in cinque grandi
categorie (Whittaker e Fenny):
ξ Fenilpropanoidi
ξ Acetogenine
ξ Terpenoidi
ξ Steroidi
ξ Alcaloidi
Winter (1961) fece notare che gli effetti visibili degli allelochimici sulle
piante sono solo segni secondari di cambiamenti primari. Rice (1984),
tramite un lungo e dettagliato lavoro di ricerca, riuscì a classificare gli
allelochimici prodotti dalle piante superiori e dai microrganismi nelle
seguenti categorie maggiori:
ξ Acidi organici solubili in acqua, catene di alcaloidi, aldeidi e
chetoni
ξ lattoni insaturi
ξ Acidi grassi di lunga catena e poliacetileni
ξ fenoli, acidi benzoici e derivati
ξ Acido cinnamico e derivati
ξ Flavonoidi
ξ Tannini
ξ Terpenoidi e steroidi
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ξ Purine e nucleotidi
L’azione degli allelochimici può esplicarsi per via diretta o indiretta.
Le azioni indirette includono gli effetti dovuti all’alterazione delle
proprietà del suolo, il suo stato nutrizionale, l’alterazione della
popolazione e/o dell’attività di organismi benefici o nocivi come
microrganismi, insetti, nematodi.
Le azioni dirette includono gli effetti degli allelochimici sulla crescita e
metabolismo delle piante.
Alcune delle seguenti strutture e processi sono alterati o influenzati dagli
allelochimici:
1. Citologia e ultrastruttura
2. Membrana e sua permeabilità
3. Germinazione di spore, semi o polline
4. Movimenti stomatici, sintesi di pigmenti e fotosintesi
5. Respirazione
6. Sintesi proteica
7. Specifiche attività enzimatiche
8. Materiale genetico
9. Conduzione tissutale
Tuttavia bisogna ricordare che, pur se sono stati proposti (Rice, 1984) vari
possibili effetti primari sul metabolismo delle piante, riguardanti la
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maggior parte dei processi vitali, solo pochi sono stati rigorosamente
approfonditi.
Molta attenzione è stata prestata ad esempio agli effetti degli allelochimici
sull’allungamento cellulare e l’ultrastruttura degli apici radicali; Lorder e
Muller (1976), Kock e Wilson (1977) riferirono degli effetti degli
allelochimici sui mitocondri ma i risultati ottenuti dal lavoro totale sugli
effetti primari rimanevano insoddisfacenti e quindi poco si è riuscito a
mettere a fuoco su questo argomento.
Molte ricerche sugli effetti primari sono focalizzate sugli stadi iniziali
della crescita della pianta, un periodo di elevata attività metabolica ma
anche di grande suscettibilità agli stress ambientali. Lo stramonio e l’orzo
(Lovett et al, 1981) liberano dal rivestimento del seme alcuni composti che
hanno l’abilità di inibire la crescita precoce del seme di specie-bersaglio,
competendo con esse se sono presenti nelle immediate vicinanze. Le
sostanze chimiche coinvolte sono gli alcaloidi, che sembrano contribuire
sia nello stramonio che nell’orzo alla difesa della pianta, causando la
distruzione a livello delle cellule (effetto primario) che è osservata come
germinazione inibita o ridotta negli stadi iniziali di crescita dei semi (effetti
secondari).
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I.3 – Caratteristiche dei meccanismi allelopatici
Anche se ancora molto deve essere scoperto e analizzato sull’allelopatia,
negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha fatto enormi passi in avanti e
ha permesso di evidenziare l’influenza di determinati composti, emanati
nell’ambiente dalla pianta-sorgente, sulla pianta-affetta o bersaglio.
Cosi si è messo in rilievo che specifiche sostanze chimiche estratte ad
esempio dalle radici o dall’ambiente radicale delle piante-ospiti avevano
effetti dannosi sui sistemi radicali delle piante circostanti. Per stabilire
però che gli effetti allelopatici sono causati da specifiche sostanze
chimiche, sarà necessario dimostrare che si verifichi una particolare
sequenza di eventi:
ξ Produzione di specifiche sostanze chimiche dalla pianta-ospite
ξ Trasporto di queste sostanze chimiche dalla pianta-ospite a quella
bersaglio nell’ambiente circostante
ξ Concentrazione alla quale sono attive queste sostanze chimiche
ξ Loro raggio di azione nell’ambiente circostante
ξ Specificità o meno degli allelochimici verso la pianta-bersaglio
ξ Esposizione della pianta-bersaglio a tali sostanze chimiche per un
tempo tale da causare gli effetti osservati.
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Siccome le sostanze allelochimiche possono, una volta in contatto con i
componenti del suolo, non agire a contatto con le piante-bersaglio, è
necessario meglio comprendere e spiegare quali sono i meccanismi che
intervengono durante il trasporto nel suolo fino al raggiungimento della
pianta-ospite.
Cheng (1989, 1992) ad esempio ha proposto un quadro concettuale per
descrivere il meccanismo allelopatico nel suolo. Il modello proposto si
compone di tre parti:
ξ Introduzione degli allelochimici nell’ambiente radicale
ξ Trasporto degli allelochimici dalle radici della pianta-ospite alle
radici della pianta-bersaglio circostante
ξ Esposizione della pianta-bersaglio all’allelochimico specifico
Il punto critico dell’intero processo riguarda il destino degli allelochimici
nel suolo durante il loro trasporto dall’ospite alla pianta-bersaglio
circostante; in quanto la ritenzione, la trasformazione e lo stesso processo
di trasporto, l’influenza di fattori chimici, del suolo, climatici e biotici
hanno un effetto decisivo sul destino allelochimico nell’ambiente radicale
(fig. I.2).
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Ciò spesso ha creato diversi problemi anche nell’identificazione delle
sostanze allelochimiche stesse, infatti solo per alcune di esse è stato
possibile dimostrare la loro presenza e partecipazione nella sequenza degli
eventi e le specifiche relazioni allelochimiche di causa-effetto, come nel
caso del trasporto degli allelochimici dalla rizosfera (regione del suolo che
circonda le radici di una pianta) dell’ospite alle radici delle piante-
bersaglio.