Non ho inventato nulla di nuovo. Ho semplicemente assemblato le scoperte
di altri uomini dietro le quali vi erano secoli di lavoro. Se avessi lavorato
cinquanta o dieci o anche cinque anni prima, avrei fallito. Così accade
per ogni nuova scoperta.
Il progresso avviene quando tutti i fattori che lo permettono sono pronti
ed è quindi inevitabile. Insegnare che una piccola quantità di uomini
ha portato avanti i più grandi passi del genere umano è il peggior tipo di
sciocchezze.
Henry Ford
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Questo progetto di tesi parte da un’esperienza Erasmus nel 2011 a Kuopio, in
Finandia, dove per la prima volta mi sono avvicinato al mondo della moda e della
sartoria.
Qui mi sono cimentato nel cucito e sono venuto a contatto con la realtà dei negozi
di seconda mano e di abbigliamento usato che abbondavano in città.
In questi negozi vi era una grande eterogeneità di capi, da quelli usati minimamente
e quindi quasi nuovi a quelli vecchi di venti o trent’anni, sempre in buone
condizioni ed a prezzi molto bassi.
L ’attenzione che ho sempre avuto per gli indumenti vintage, ma la scarsa possibilità
di vederli e reperirli in negozi di Bologna, città in cui vivo, mi ha fatto appassionare
molto a questi luoghi, dove vi era un ricambio continuo di materiali.
Da molti degli indumenti ivi acquistati sono nati i miei primi due capi, interamente
autoprodotti, che costituivano un outfi t.
Due anni più tardi, mi sono riavvicinato al mondo della moda e del cucito grazie
all’Atelier di Fashion della professoressa Stefania Bertoni.
Qui ho sviluppato i rimanenti capi che mostrerò nella mia tesi.
Il tema del corso frequentato era: “Youtribe : chose your own subculture”.
Gli studenti dovevano scegliere una “tribù” di stile che aveva caratterizzato il secolo
scorso (hippy, mods, punk, gothic ecc) ed analizzarne caratteristiche estetiche,
gusti musicali e cinematografi ci, modi di fare e di socializzare.
Dovevano in seguito immaginare e creare la propria “tribù”, progettando capi a
partire da indumenti usati, quindi nell’ottica del fashion recycle.
Io ho scelto i rockers, gruppo formato negli anni ‘50, e l’ho trasformato ne “Le
french club”, ispirandomi alla cultura dell’house clubbing francese dai primi anni
‘90 alla fi ne dello scorso decennio, i cui principali esponenti sono i Daft Punk ed
i Justice, inserendo anche dettagli appartenenti al mondo dei college Americani
degli anni ‘50.
Da qui sono nati quattro capi diversi: un bomber in nylon recante un logo, un
varsity cardigan, un pantalone chino da uomo ed un chiodo da donna.
Questi abiti, al pari di quelli fi nlandesi, sono stati disegnati e cuciti interamente
da me.
La preparazione di questi capi è stata accompagnata dalla rifl essione sulla possibilità
di trasformare questa mia passione in futura attività lavorativa, un’attività che
potesse abbinare il mio interesse per il vintage e le tendenze contemporanee nello
sportswear con quello verso il riciclo e la sostenibilità ambientale.
Introduzione
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A questo scopo svilupperò la mia trattazione partendo dalla defi nizione di
abbigliamento vintage e dalla storia dello sportswear.
Successivamente analizzerò il sistema produttivo dell’abbigliamento e il suo
sviluppo a partire dal secondo dopoguerra, che, passando attraverso il prét à porter,
condurrà al diff ondersi del pronto moda e, negli ultimi dieci anni, alla cosiddetta
“fast fashion”.
Porterò come esempio di tappe fondamentali di questo percorso il sistema a taglie
inventato da Giulio Marangoni e dal fi glio Gianni, il quale condusse alla diff usione
del prét à porter nella prima metà degli anni ‘60 e allo sviluppo del pronto moda
nei primi anni ‘80.
Nell’ ultimo decennio invece abbiamo assistito alla crescita smisurata dei colossi
della fast fashion, quali lo svedese H&M, lo spagnolo Zara e il nostrano Benetton,
le cui strategie commerciali e metodi di produzione verranno analizzati in un
capitolo apposito.
A partire dall’analisi e dalla critica dell’estremizzazione del pronto moda e delle
sue conseguenze descriverò poi l’origine e la diff usione progressiva dell’idea di
creare prodotti a partire da abiti in disuso o di scarto. Questo fenomeno, noto
come riciclo creativo o upcycle verrà descritto e spiegato, anche tramite l’analisi di
tre principali aziende operanti su scala mondiale che portano avanti una grande
ricerca in questo ambito: From Somewhere, Maharishi e Christopher Raeburn.
Parallelamente a questi brand, si è sviluppata l’idea di promuovere l’autoproduzione
individuale e di riappropriarsi di tecniche di produzione artigianali per le quali il
nostro Paese ha sempre eccelso.
Descriverò quindi il sistema di autoproduzione dell’abbigliamento nel valore
che può rivestire sia per il recupero di competenze manuali e creative che
nella promozione della sostenibilità ambientale, collegandomi al concetto
di downshifting, un comportamento volto a liberare l’individuo dallo stress
psicofi sico, portato dai ritmi di vita odierni e dal consumismo obbligato.
Concluderò quindi la mia trattazione analizzando il sistema del riciclo tessile,
dell’abbigliamento usato e della sua commercializzazione in Italia per presentare
infi ne il mio progetto costituito da cinque capi da me interamente disegnati,
modifi cati ed autoprodotti.
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parte prima : fonti di ispirazione
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Capitolo 1
L ’abbigliamento vintage
vintage ‹vìntig› s. ingl. [dal fr. ant. vendenge «vendemmia», che a sua volta è
dal lat. vindemia] (pl. vintages ‹vìntigi∫›), usato in ital. al masch. –
1. Denominazione generica di vini d’ annata di pregio.
2. estens. Con sign. elogiativo, il termine è talora riferito, per estens., anche
a prodotti diversi dal vino, per es. a un tabacco da pipa, a una serie di
automobili, ecc. In partic., nel linguaggio della moda, con riferimento a capi
di vestiario, bigiotteria, oggetti di arredamento d’ epoca o di gusto sorpassato e
démodé, che evocano periodi remoti o testimoniano lo stile di un certo periodo
o di uno stilista, e la tendenza stessa a fare uso di abiti, gioielli, oggetti di gusto
sorpassato: quest’ anno il v. ha grande successo. Usato anche come agg., riferito
a gusto, moda e sim.: un vestito, un arredamento molto vintage.
(Vocabolario Treccani, 2013)
Defi nizione:
La parola “vintage” deriva dal francese antico vendenge (a sua volta derivante dalla
parola latina vindemia) poi evoluta in “vin d’age”, vino d’annata, termine che veniva
inizialmente usato per designare i vini di pregio prodotti nelle migliori annate. E’
diventato in seguito sinonimo semplicemente dell’espressione “d’annata”.
In genere, nella versione sostantivata del termine sono defi niti vintage oggetti
che, pur essendo di produzioni antiche, conservano funzionalità/caratteristiche/
fascino/qualità e talvolta estetica superiori ad oggetti contemporanei in qualche
modo ad essi paragonabili.
Talvolta oggetti da museo (ancor che non più funzionanti, ma di sola testimonianza
storica) sono considerati vintage. In questi casi vengono utilizzati anche altri
attributi quali rarità, capolavori, esemplari d’arte etc...
L ’abbigliamento vintage designa genericamente abiti nuovi o di seconda mano
provenienti da un’epoca precedente a quella odierna.
Anche se le opinioni circa le defi nizioni seguenti sono varie, generalmente ci si
riferisce all’abbigliamento prodotto prima del 1920 col termine “antique”, mentre
l’ abbigliamento che va dal 1920 fi no a 20 anni fa è considerato vintage (In
Inghilterra occorrono invece 25 anni perché questa defi nizione sia valida).
Il termine “retrò”, abbreviazione di retrospective, detto altresì “vintage style”,
si riferisce solitamente a vestiti o accessori che imitano lo stile di un’epoca
precedente.¹
¹ B. T rudie, Viva
Vintage: Find it, Wear
it, Love it, Carroll &
Brown, 2003
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Negozi e reti di vendita
Il termine reproduction o “repro”, si riferisce ad abiti nuovi fatti a copia di abiti
più vecchi.
L ’abbigliamento prodotto più di recente invece è defi nito moda moderna o
contemporanea.
La maggior parte dell’abbigliamento vintage reperibile è già stato indossato, ma
una piccola percentuale di pezzi, ancora no. Questi pezzi sono spesso vecchi stock
provenienti da magazzini e hanno più valore dei pezzi indossati, specialmente se
recano il cartellino originale.
Questi articoli sono anche defi niti “deadstock” o New Old Stock (NOD), ma
nonostante questo possono recare difetti.
I negozi dove comprare abbigliamento vintage comprendono negozi di seconda
mano gestiti da associazioni caritarie, vendite di lotti e vendite private, mercatini
delle pulci e di antiquariato, aste, negozi specializzati in abbigliamento vintage e
moda vintage, fi ere di collezionismo e tessili.
Una delle prime fi ere del settore fu “Frock Me!” evento che si tiene ancora tutti gli
anni a Chelsea, Londra, e Brighton.
Specialmente negli USA i negozi di abbigliamento vintage si trovano nelle città
universitarie e nei quartieri artistici delle città.
Sempre in questo Paese le taglie sono cambiate nei giorni nostri rispetto a 20-30
anni fa quando l’obesità non era così diff usa; per esempio un capo che nel 1970
veniva etichettato come MEDIUM, adesso potrebbe essere una EXTRA SMALL.
Per questa ragione si sono diff usi i modelli di abbigliamento vintage che permettono
di avere un capo vintage storicamente valido ma da assemblare ex-novo a chi non
può trovare la taglia.
Contrariamente ai thrift stores, che vendono sia il vintage che l’abbigliamento
contemporaneo, i negozi di vintage appartengono ad aziende del mercato che
possono essere piccole catene o negozi indipendenti. Questi negozi variano dai
200 ai 500 metri quadri e hanno spesso un camerino. Queste tipologie di negozio
spesso acquistano anche pezzi dai clienti in cambio di denaro o di credito merce.
Fiera di
abbigliamento
vintage Frock - Me,
Londra
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La diff usione del vintage
L ’avvento di internet è stato molto importante per l’industria del vintage: ha
migliorato la reperibilità di capi specifi ci e diffi cili da trovare ed ha permesso la
diff usione di prospettive di mercato per venditori di tutto il mondo.
I siti più frequentati includono aste online (come E-bay), siti di vendita di
oggettistica varia (come Etsy), online vintage shops e forum del settore.
Molti negozi con sede fi sica, adesso vendono anche su internet.
Sebbene sia sempre stata apprezzata la qualità superiore del tessuto e del modello
dei capi vintage, la consapevolezza e la domanda di queste tipologie di capi è
aumentata vistosamente dai primi anni ‘90.
Ciò èlegato ad un incremento di visibiltà dei capi vintage che venivano indossati
da modelle e celebrità come Julia Roberts, Renée Zellweger, Cloë Sevigny, Kate
Moss e Dita Von Teese.²
La popolarità di pezzi di un periodo specifi co, invece, deriva anche da serie
televisive e fi lm (soprattutto Americani, come “Happy Days”).
Occorre considerare anche l’incremento di interesse verso la sostenibilità
ambientale, in termini di riuso, riciclo e riparazione piuttosto che eliminazione
degli oggetti.
Spesso i capi vintage vengono “upcycled” cambiando le cuciture o altre
caratteristiche per un look più contemporaneo; pezzi vintage in cattive condizioni
sono anche usati come parti per indumenti nuovi.
Il risorgere di sub-culture e gruppi come i rockabilly e i ballerini di swing, ha
giocato un ruolo nell’aumento di interesse verso il vintage.
In Finlandia, la scena vintage ha generato persino un’associazione uffi cialmente
riconosciuta o un’organizzazione non-profi t, chiamata Fintage, che ha lo scopo e
l’interesse di preservare il materiale culturale e l’ambiente.
Negozio di
abbigliamento vintage
“Lost & Found”, Royal
Oak, USA
² D. Pratt, A Fashion Icon
with a Wardrobe to Back
it Up, 944 Magazine, 17
Novembre 2010.