INTRODUZIONE
4
Nell’ultimo decennio, contemporaneamente allo sviluppo di queste dinamiche sulla marca
commerciale, un’altra importante innovazione si faceva largo, destinata a mutare
profondamente la struttura organizzativa e le modalità di gestione delle imprese della grande
distribuzione italiana: il Category Management.
In letteratura non sono mancati i tentativi di cogliere le connessioni tra i due fenomeni
1
, ma in
questo studio si cercherà in particolare di mettere in luce le relazioni fra posizionamento della
marca commerciale e gestione dell’impresa commerciale mediante la logica di Category
Management.
Le fonti cui si è fatto riferimento in questo elaborato sono di varia natura. Per quanto riguarda
la letteratura, si sono analizzati contributi afferenti al filone economico-aziendale dedito allo
studio dell’impresa commerciale (i riferimenti agli autori e alle opere sono stati di volta in
volta citati in calce al testo, oltre ad essere raccolti in bibliografia). Per l’analisi empirica si è
attinto a riviste di settore, ricerche e documenti di origine consulenziale (Boston Consulting
Group), e information provider aziendali (IRI Information Resources Inc., Panel International,
AcNielsen). Un ringraziamento particolare va a Gruppo Pam e alla società Panorama, che
hanno messo a disposizione il loro patrimonio di informazione interna e di mercato, oltre alla
competenza di un esperto Category Manager, che ha contribuito in più momenti all’analisi
della categoria “Oli e Aceti Normali”.
2. OBIETTIVI DELL’ELABORATO
Lugli, nell’ambito di una recente ricerca sulla marca commerciale in Italia, distingue tra il
ruolo della marca industriale e quello della marca commerciale, affermando che: “La marca
industriale punta alla massimizzazione della penetrazione e della quota di mercato; la
penetrazione della marca commerciale è invece limitata ai clienti dell’insegna, e la crescita in
quota non è giustificabile di per sé, ma solo in relazione al miglioramento delle performance
della categoria”
2
. La logica di Category Management, come si avrà modo di approfondire nel
Capitolo IV, prevede una gestione e un posizionamento profondamente diversi per la marca
commerciale a seconda del ruolo della categoria in cui è inserita.
1
Cristini, G., Marca commerciale e Categoria: dimensioni strategiche e opzioni congiunturali, Trade
Marketing, n. 19, 1997. Sansone, M., Relazioni strategiche fra Category Management e marca commerciale nel
processo di differenziazione competitiva dell’insegna, Industria & Distribuzione, n. 2, 2001. Gnecchi, F., La
private label nell’economia d’impresa, Giappichelli Editore, Torino, 2002, pagg. 65–70.
2
Lugli, G., Branding Distributivo: dalla marca di prodotto alla marca di categoria, EGEA, Milano, 2003, pag.
XII.
PRESENTAZIONE, OBIETTIVI E STRUTTURA DELL’ELABORATO
5
Questa affermazione non deve però far cadere nell’equivoco di ritenere che la marca
commerciale sia del tutto subordinata al raggiungimento del risultato della categoria, in
quanto leva di gestione a disposizione del management al pari delle altre leve del retailing mix
tradizionalmente affidate al category manager (composizione dell’assortimento, prezzo,
promozionalità, ecc.). Ciò è vero solo in parte: poco oltre, infatti, lo stesso autore rileva che:
“Una forte varianza del posizionamento di categoria della marca commerciale compromette
l’immagine dell’insegna e complica la gestione della relazione col consumatore. Il
consumatore non riesce a comprendere per quali ragioni una marca commerciale riconducibile
all’insegna sia posizionata in una categoria al livello più basso della scala prezzi e in un’altra
categoria a ridosso del leader industriale”
3
. La marca commerciale, come ogni altra marca,
deve quindi essere posizionata in modo coerente in ogni categoria in cui è presente.
Questo attrito tra flessibilità, richiesta dal Category Management, e rigidità, imposta dalla
coerenza di posizionamento e dalla necessità di chiarezza nei confronti del consumatore, si
può sostanziare all’interno dell’azienda in contrasti tra Category Management e Private Label
Management, che rischiano di trovare soluzione mediante compromessi tutt’altro che ottimali
per l’azienda nel complesso (come l’emarginazione e il progressivo abbandono della marca
commerciale nella categoria, o la scelta discutibile di promuovere mediante tagli prezzo
temporanei, ma frequenti e incisivi, il prodotto a marchio).
Obiettivo di questo lavoro è dunque quello di analizzare il posizionamento attuale della marca
commerciale negli ipermercati italiani, con attenzione anche alle tendenze più innovative
recentemente emerse, al fine di individuare le direttrici probabili di evoluzione futura della
gestione della marca commerciale, tenendo conto del fatto che la sfida che attende la
distribuzione commerciale italiana è quella di un mercato sempre più concentrato e
competitivo, in cui emerge quindi una esigenza crescente di differenziazione dell’immagine
aziendale rispetto ai competitors, a cui la marca commerciale di nuova generazione potrà
contribuire incisivamente, se adeguatamente gestita (Figura 1 e Figura 2).
3. STRUTTURA DELL’ELABORATO
Il primo capitolo introduce la tematica del posizionamento della marca commerciale,
mediante una rassegna della letteratura rilevante. La marca commerciale risulta generalmente
posizionata agli occhi del consumatore come un prodotto di qualità comparabile alla marca
industriale, ma con un prezzo più conveniente, e questo posizionamento (senza dubbio molto
3
Ivi, pag. XIV.
INTRODUZIONE
6
Figura 1 – Situazione tradizionale: la gestione della Private Label Reattiva
POSIZIONAMENTO
UNIVOCO PL
CATEGORY PLAN
PREZZOQUALITA’
CATEGORY
MANAGEMENT
SIMILARITA’ VS
LEADER
RUOLO
CATEGORIA
CONVENIENZA VS
LEADER
PL COME
LEVA
RIGIDITA’
IMMAGINE
INSEGNA
PL I - II GENERAZIONE
SITUAZIONE TRADIZIONALE – GESTIONE PL REATTIVA
Figura 2 – Situazione Prospettica: la gestione della Private Label Proattiva
POSIZIONAMENTO
COERENTE PL OMBRELLO
CATEGORY PLAN
PREZZOQUALITA’
CATEGORY
MANAGEMENT
SIMILARITA’ VS
LEADER SEGMENTO
(OVE ESISTENTE)
RUOLO
CATEGORIA
CONVENIENZA VS
LEADER SEGMENTO
(OVE ESISTENTE)
PL COME
LEVA
FLESSIBILITA’SUB - BRAND CON
POSIZIONAMENTI
DIFFERENZIATI (PREMIUM,
VALUE, PRICE, BIOLOGICO)
PL III - IV GENERAZIONE
IMMAGINE
INSEGNA
SITUAZIONE EVOLUTA – GESTIONE PL PROATTIVA
PRESENTAZIONE, OBIETTIVI E STRUTTURA DELL’ELABORATO
7
astratto) le permette di essere presente e apprezzata in molteplici categorie, anche molto
lontane fra loro, dal punto di vista del consumatore.
Nell’ambito del secondo capitolo, si focalizza dunque l’attenzione sulle modalità di gestione
del pricing della marca commerciale, in quanto decisione cruciale per mantenere la coerenza
di una marca dotata di una gamma tanto ampia di prodotti. La coerenza di posizionamento,
come emerge da alcuni contributi della letteratura scientifica e specializzata sul tema, si
ottiene grazie ad una modalità di pricing basata sulla relatività rispetto al leader di mercato, o
comunque al produttore industriale di riferimento.
L’analisi empirica del comportamento delle principali insegne di ipermercati italiane in alcune
città rilevanti (Capitolo III) porta a delle conclusioni che, anche se in modo non del tutto
incontrovertibile, confermano in larga parte le previsioni della letteratura.
Il quarto capitolo, dedicato all’influenza del Category Management sulla gestione della marca
commerciale, evidenzia gli elementi essenziali della gestione per categorie e mette in luce le
esigenze di flessibilità di gestione della marca commerciale connaturate alla logica di
Category Management. L’analisi empirica di una categoria, accompagnata dal commento del
Category Manager responsabile per l’azienda Panorama (presentata in Appendice), permette
di comprendere, quanto meno in prima analisi, la complessità delle interazioni tra le leve di
gestione della categoria, che mettono in luce l’inadeguatezza della marca commerciale
tradizionale rispetto alla rapidità e complessità del contesto di mercato attuale.
I.
IL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE
1. IL CONCETTO DI POSIZIONAMENTO DI MERCATO
Il posizionamento di mercato è descritto in letteratura con termini differenti. La descrizione
del concetto fornita da alcuni autori
4
, tra cui Kotler, che prenderemo come riferimento
inizialmente, è la seguente: “Il posizionamento di mercato è il modo in cui il prodotto viene
<< definito dai consumatori >> in base ai suoi attributi significativi e quale posizione occupa
nella mente dei potenziali clienti rispetto ai prodotti della concorrenza”.
Questa concezione del posizionamento di prodotto è caratterizzata da due peculiarità.
Da un lato, mette in luce la componente psicologica del posizionamento, in quanto processo
attraverso cui la mente del consumatore semplifica il processo di acquisto per molti prodotti,
riducendo la riflessione a poche dimensioni. In tal senso, la mappa percettiva bidimensionale,
strumento tipico di rappresentazione del posizionamento, si presenta come un caso limite di
riduzione della multidimensionalità del processo di valutazione del consumatore a due sole
dimensioni, con il pregio però, per la gestione d’impresa, dell’immediatezza comunicativa
5
.
D’altro canto, la definizione ricorda l’importanza della “relatività” del posizionamento, che
deriva dalla finalità originaria di ricerca di spazi di mercato (i posizionamenti liberi) e di
ridefinizione della strategia di mercato dell’impresa in relazione alla descrizione attuale dei
competitors.
L’offerta dell’impresa ha valore per i benefici che è in grado di trasmettere al consumatore.
Questi benefici, che possono avere natura tangibile o intangibile, vengono percepiti dai
consumatori attraverso un universo di simboli e segni. L’azienda deve quindi costruire il
proprio vantaggio competitivo sulla base di un’offerta capace di soddisfare al meglio le
necessità della propria clientela obiettivo, e questo richiede anzitutto la capacità di
differenziarsi dai competitors. In tal modo, l’immagine e il valore che caratterizzano l’offerta
vengono percepiti e interiorizzati dal consumatore, così da incrementare il grado di
fidelizzazione di questi verso il prodotto.
Il raggiungimento degli obiettivi di impresa richiede quindi in primis che venga definito il
posizionamento che si intende conferire al prodotto, attraverso un processo che inizia con la
definizione, chiara e quanto più possibile operativa, della segmentazione della domanda, sulla
base della quale sviluppare le scelte di target dell’impresa, cioè del segmento/i obiettivo che si
4
Kotler, P., Armstrong, G., Saunders, J., Wong, V., Principi di Marketing, Prentice Hall International, 2001.
5
In realtà, questo limite è superabile attraverso l’utilizzo delle mappe percettive multidimensionali, senza per
questo inficiare l’immediatezza visiva della metodologia.
IL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE
11
intende o si è in grado di soddisfare. Solo in seguito si potranno definire le politiche di
marketing atte a raggiungere, convincere all’acquisto e fidelizzare il segmento obiettivo.
Il “Processo di posizionamento”, che trae il suo nome da un lavoro del 1969 di Ries e Trout
6
,
fu associato fin dalle sue origini indissolubilmente al concetto di differenziazione. Assumere
una posizione chiara nella mente del consumatore significa distinguere la propria identità da
quella dei competitors, e questa esigenza si origina spesso, non sorprendentemente, in aziende
che operano in mercati in cui il grado di intensità competitiva è intenso, le quali necessitano
quindi di sottrarsi ad una logica di competizione basata esclusivamente sul prezzo.
L’analisi del consumatore target, finalizzata al posizionamento del prodotto
7
, comporta
anzitutto l’analisi dei bisogni di questi, definiti come un insieme di caratteri, a ciascuno dei
quali può essere attribuito un certo grado di urgenza (importanza relativa) e un’intensità
(grado di avvertenza del carattere). La fase successiva è quella del confronto con le
caratteristiche del prodotto (espresse anch’esse operativamente come importanza relativa, cioè
grado di presenza dell’attributo, e intensità, cioè dose di presenza). Obiettivo del
posizionamento di prodotto è di far corrispondere i benefici attesi dal consumatore target con
quelli attribuiti al prodotto dal cliente stesso.
Il posizionamento che si intende dare al prodotto è una scelta strategica che, oltre ad essere
effettuata inizialmente attraverso un processo di analisi simile a quello qui descritto, deve
essere poi monitorata con continuità e sistematicità. Ove necessario, si procederà quindi a
ridefinire in modo sostanziale la scelta iniziale di posizionamento (nel qual caso si svilupperà
un processo meglio detto di “ri-posizionamento”).
Il posizionamento del prodotto può riguardare, nel caso specifico dell’impresa commerciale,
tanto il prodotto commerciale nel suo complesso (contraddistinto agli occhi del consumatore
dall’insegna, che è il brand dell’impresa commerciale come prodotto), quanto il brand
attraverso cui l’insegna commercializza i prodotti di cui si fa garante in prima persona, sia
questo coincidente o meno con l’insegna, cioè la private label. Nell’ambito di questo lavoro,
faremo riferimento principalmente al posizionamento dei prodotti “a marchio commerciale”
(la private label appunto), non al posizionamento del prodotto commerciale nel suo
complesso.
6
Ries, A., Trout, J., Positioning, Industrial Marketing, n.1, 1969.
7
Sul tema, Valdani E., Posizionamento di prodotto, in Marketing, UTET, Torino, 1995.
CAPITOLO I
12
Prima di analizzare i contenuti della letteratura sul posizionamento della marca commerciale,
è necessario sgombrare il campo da un equivoco frequente. Come la rassegna qui esposta
mette in luce, il termine “posizionamento” è per certi versi equivocabile: da un lato, infatti, la
ricerca di marketing sul consumatore mirerà ad individuare il posizionamento che il prodotto
assume nella mente del consumatore. D’altra parte, l’impresa cercherà di definire una
strategia di posizionamento e di implementarla attraverso azioni volte a modificare quanto più
possibile il modo in cui il consumatore classifica il prodotto. Le due cose, naturalmente,
tendenzialmente non coincidono. Aaker enfatizza la differenza attraverso la distinzione tra
due concetti, brand image e brand identity, che così descrive: “While a brand image is how a
brand is perceived, a brand identity is aspirational – how the brand would like to be
perceived”
8
.
Nell’ambito di questo lavoro, si analizzano le interrelazioni tra category management e
posizionamento della marca commerciale, intendendo con ciò riferirsi alle attività che le
aziende commerciali compiono per definire il posizionamento dei prodotti a marchio
commerciale, concetto al quale sarebbe quindi più corretto riferirsi con il termine di
“posizionamento aspirazionale”. L’uso del termine che è invalso nella letteratura commerciale
è peraltro frequentemente il medesimo qui utilizzato: ad esempio, con il termine
deposizionamento del prodotto si intende spesso la decisione dell’impresa di ridurre il prezzo
del prodotto, indipendentemente dagli effetti che questo sortirà sulla brand image del prodotto
(che sono tutt’altro che scontati, come sottolinea lo stesso Aaker
9
).
2. IL POSIZIONAMENTO DELLA PRIVATE LABEL
Nonostante quanto detto sulle origini del concetto di posizionamento, e sulle motivazioni che
spingono le imprese a mettere in atto un processo di analisi e ridefinizione del
posizionamento, per la grande distribuzione e la distribuzione organizzata (GDO), il prezzo
del prodotto assume un ruolo chiave nella definizione del posizionamento del prodotto a
marchio proprio.
Le motivazioni sono riconducibili anzitutto alla natura dei prodotti commercializzati in queste
strutture distributive (Ipermercati, Supermercati, Superette, ecc.). Secondo la classica
8
Aaker, D.A., Building Strong Brands, The Free Press, New York, 1996, pag. vii.
9
Ivi, pag. 278 e ss.
IL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE
13
classificazione dei prodotti, riproposta da Murphy ed Enis nel 1986
10
nella forma presentata in
Figura 3, è possibile distinguere i prodotti, sulla base del comportamento di acquisto dei
consumatori, in quattro tipologie, a seconda del grado di sforzo che il consumatore è disposto
a sostenere per effettuare l’acquisto, e del livello di rischio che questi associa all’acquisto del
prodotto (o meglio all’eventualità di effettuare un acquisto “sbagliato”).
La quasi totalità dei prodotti commercializzati nella GDO appartengono alle due classi di
prodotto a rischio percepito minore e per cui il consumatore è disposto a dedicare uno sforzo
scarso: in tal senso, ci si può riferire ad essi come Prodotti banalizzati (in particolare, il
termine è utilizzato frequentemente nell’ambito dell’analisi dei potenziali prodotti
“aggredibili” da parte della grande distribuzione).
Una prima classe, quella dei prodotti Convenience, è caratterizzata da scarso valore unitario,
acquisto frequente e ricerca di informazioni da parte del consumatore minima, quando non del
tutto assente, data la percezione di un rischio da acquisto errato non significativa
11
.
I prodotti definiti come Preference, invece, sono contraddistinti da un rischio percepito dal
consumatore come maggiore, per quanto le risorse dedicate all’acquisto non differiscano
sostanzialmente molto dal caso precedente.
Figura 3 - La classificazione dei prodotti in base al comportamento d’acquisto e l’area dei
prodotti banali (Murphy, Enis, 1986).
SFORZO
RISCHIO
Convenience
Preference
Shopping
Specialty
10
Murphy, P.E., Enis, B.M., Classifying products Strategically, Journal of Marketing, Luglio 1986.
11
Sul tema si veda anche Collesei, U., Marketing, CEDAM, Padova, 1994, oltre al già citato Valdani, E., 1995.
CAPITOLO I
14
Questa percezione di rischio si origina dalle azioni di marketing attuate dalle imprese
cosiddette di marca, che fanno percepire al consumatore la presenza di benefici superiori nei
loro prodotti (tipici esempi di prodotti Preference sono Coca Cola, tra le bevande soft, o
Nutella tra gli spalmabili).
I prodotti a marca commerciale sono ricondotti spesso in letteratura, come sarà approfondito
meglio nel seguito, alla prima classe di prodotti (Convenience Goods), in quanto ritenuti di
qualità standard e prezzo più conveniente della marca industriale, e quindi non dotati di quella
aspirazione alla distintività di marca che caratterizza i prodotti Preference. E’ evidente quindi
che per i prodotti a marchio commerciale di questo tipo il prezzo gioca un ruolo sostanziale,
essendo spesso uno dei pochi elementi informativi di cui si serve il cliente in sede di
valutazione del prodotto.
Va sottolineato che se i prodotti grocery appartengono tipicamente alle prime due classi di
prodotto, nell’ambito specifico delle grandi superfici, come gli ipermercati, si riscontra anche
la presenza di prodotti del terzo tipo (Shopping Goods), cioè ad acquisto saltuario e
ponderato, e ad alto costo unitario (personal computer, laptop, palmari, grandi
elettrodomestici, ecc.). In questi settori sono tra l’altro presenti negli assortimenti prodotti a
marca commerciale di alcuni player, quali ad esempio Panorama (con l’acronimo TDA, in
sostituzione della marca tradizionale, Tesori Dell’Arca) e Carrefour (con Firstline e Bluesky,
il prodotto di primo prezzo). Questi prodotti non sono oggetto di questa analisi, che limita il
proprio ambito di osservazione ai prodotti riconducibili al largo consumo confezionato
12
.
Alcuni autori italiani
13
sostengono che il posizionamento a cui aspira la marca commerciale si
basi su due elementi, o, per dirla con i termini utilizzati da Valdani, citato in precedenza, due
caratteristiche del prodotto:
- una qualità a livello di quella delle marche leader
- un prezzo inferiore alla marca leader
In tal senso si esprime ad esempio Lugli che sottolinea: “Le marche commerciali riconoscibili
sono posizionate nel segmento di offerta della marca leader e proposte con una
12
Per una disquisizione sulle peculiarità dei beni banali e problematici e sulle implicazioni per il commercio,
Sciarelli, S., Vona, R., L’impresa commerciale, McGraw-Hill, Milano, 2000, cap.1.
13
Citiamo a titolo di esempio Schillaci, C.E., 1997, pag.632: “L’offerta della GDO si arricchisce a ritmo
esponenziale dei prodotti a marchio proprio che hanno consentito alle imprese della distribuzione di colmare
l’offerta relativa a prodotti di qualità elevata ma con prezzi contenuti.”
IL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE
15
comunicazione basata sull’assenza di differenziazione nella qualità per far risaltare il minor
prezzo e convincere così il consumatore all’acquisto”
14
. Questo, come vedremo in seguito, è
riferibile in realtà solo ad una determinata tipologia di prodotti a marchio commerciale.
E’ necessario a questo punto effettuare dei distinguo per spiegare questo approccio, legati alle
definizioni delle due dimensioni citate.
La qualità intrinseca del prodotto è, di per sé, difficilmente descrivibile da parte degli stessi
consumatori, soprattutto per prodotti per i quali, per quanto di utilizzo frequente come quelli
in oggetto, non è possibile individuare standard univoci di qualità. E’ opinione comune anche
nella letteratura straniera che i retailer aspirino all’imitazione della qualità dei leader di
mercato
15
. Non è, peraltro, pensabile individuare per le centinaia di prodotti trattati a marca
commerciale dei co-packer in grado di fornire prodotti per la marca commerciale con
caratteristiche intrinseche a livello dei marchi industriali, specialmente nei settori
caratterizzati da un maggior grado di innovatività.
D’altra, parte, sembra esservi consenso sul fatto che la qualità percepita dal consumatore di
prodotti a marchio commerciale sia inferiore: in tal senso, vanno interpretati i risultati delle
ricerche di alcuni autori sulla scarsa propensione all’acquisto di private label da parte dei
consumatori quality conscious
16
.
Per ciò che riguarda il prezzo, si tiene a sottolineare anzitutto che il grado di memorizzazione
da parte dei consumatori è piuttosto basso, anche per i prodotti acquistati più di frequente
17
, e
comunque vi è la tendenza a sottovalutare o sovrastimare il prezzo della maggior parte dei
prodotti
18
. Ciò va a sostegno della tesi per cui il prezzo relativo giocherebbe un ruolo
importante nel posizionamento del prodotto per il consumatore, in particolare per gli acquisti
caratterizzati da basso coinvolgimento.
Vi sono poi motivazioni valide per ritenere che i distributori affidino la distintività
dell’immagine della marca commerciale soprattutto alla leva di prezzo e di display in punto
14
Lugli, 1998, pag. 305.
15
In tal senso ad esempio, Hoch, J., Banerji, S., When do private labels succeed?, Sloan Management Review, n.
34, 1993, pag 58 sostengono: “Retailers, for istance, have the advantage of taking a free ride on manufacturer’s
product development efforts.”
16
Ailawadi, K.L., Scott, A.N., Gedenk, K., Pursuing the value conscious consumer: store brands versus
national brand Promotions, Journal of Marketing, vol. 65, gennaio 2001, pag 73. Sul tema, si veda anche
Cunningham, I.C.M., Hardy, A.P., Imperia, G., Generic Brands versus national brands and store brands,
Journal of Advertising Research, n. 22, 1982, pagg. 25-32, e Richardson, P.S., Dick, A.S., Jain, A.K., Extrinsic
and intrinsic cue effects on perceptions of Store Brand Quality, Journal of Marketing, 58, 1994, pagg. 28-36.
17
Si veda Lugli, 1998, pagg. 204-5.
18
Secondo una recente ricerca di Valdani e Vicari, i cui risultati sono stati pubblicati da Food, n.5, 2005, pag.87,
i consumatori sono in grado di identificare correttamente il prezzo in 4 categorie su un campione di 21 categorie
appartenenti al largo consumo confezionato: in 12 casi su 17 il prezzo associato è stato superiore a quello
effettivo. Le categorie caratterizzate da corretta attribuzione sono state: Pasta di semola, Latte Fresco, Biscotti
Frollini, Acqua naturale.
CAPITOLO I
16
vendita: è da escludere infatti che vi sia la possibilità di raggiungere un livello di
comunicazione anche solo paragonabile a quella dei produttori, specializzati in una sola
categoria o al massimo in poche categorie contigue, visto il livello di investimenti che ciò
richiederebbe
19
. In tal senso Hoch e Banerji affermano: “Private labels traditionally have
been merchandised on the basis of price. The conventional wisdom has been that store brands
should offer acceptable quality relative to national brands, but they should emphasize
price”
20
. La letteratura straniera conferma quanto detto sul posizionamento della marca
commerciale rispetto al leader, dando anche una misura del differenziale di prezzo medio:
“The average store brand sells for approximately 30% less than national brands”
21
, che
peraltro è simile allo sconto medio concesso sulle marche nazionali in occasione delle offerte
promozionali.
L’analisi del posizionamento di prezzo della marca commerciale, presentata nel seguito,
verifica l’effettiva attualità della descrizione della marca commerciale negli ipermercati
italiani come una marca mediamente posizionata ad un livello di prezzo inferiore rispetto alla
marca leader di mercato. Nello specifico, si evidenzierà però che la descrizione della marca
commerciale come un’alternativa più conveniente rispetto alla marca industriale di
riferimento, e comparabile sul piano qualitativo, attualmente non sia più del tutto completa,
come d’altro canto prevedevano alcuni autori stranieri: “Recently, however, some retailers
have been emphasizing quality over price”
22
. Gli stessi autori citano quindi come esempio le
linee premium presentate da A&P (a marchio Master Choice) nella distribuzione commerciale
americana, ma anche in Italia si stanno diffondendo esempi di questo tipo (alcune linee di
Coop, Terre D’Italia di Carrefour, Sapori delle Regioni di Auchan, per citarne alcuni).
L’importanza di un posizionamento coerente per la marca commerciale è sostenuto da alcuni
autori
23
, che identificano l’esistenza di un segmento di consumatori trans – categoria propenso
all’acquisto della marca commerciale, caratterizzato da tre specifiche e distintive
caratteristiche psicografiche: “Store brand use is particularly associated with price
consciousness, low quality consciousness, and store loyalty”
24
. Questa affermazione viene poi
19
“In general, retailers will find it difficult to match the advertising levels of manufacturers.(...) Retailers have
more than three hundred grocery categories to manage, and they spend significantly more of their advertising
budgets on features (price and place) than on their “brand”, that is store image. Hoch, Banerji, op.cit., pag. 61.
20
Hoch, J., Banerji, S., When do private labels succeed?, Sloan Management Review, n. 34, 1993, pag. 57
21
Ailawadi, K.L., Scott, A.N., Gedenk, K., Pursuing the value conscious consumer: store brands versus
national brand Promotions, Journal of Marketing, vol. 65, gennaio 2001, pag 71.
22
Hoch, Banerji, 1993, ivi.
23
Ailawadi, Scott, Gedenk, 2001, op.cit.
24
Ivi, pag. 84.
IL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE
17
precisata nella parte conclusiva della ricerca: “A third implication relates to our
conceptualization of store brand usage as a consumer-level rather than category-level
characteristic.”
25
3. LA GESTIONE DEL POSIZIONAMENTO DELLA MARCA COMMERCIALE E
IL CATEGORY MANAGEMENT
Per quanto la marca commerciale sia da ritenersi per certi versi un fenomeno peculiare, come
sottolineato nell’introduzione, rispetto al concetto tradizionale di marca, le lezioni, derivanti
dagli studi sul brand management, possono aiutare a comprendere alcune connessioni tra
posizionamento della Marca Commerciale e Category Management.
Anzitutto, con riferimento alla relazione tra brand extension, immagine di marca, identità di
marca e benefici funzionali del prodotto, ricordiamo quanto affermato da Aaker: “When a
brand’s identity moves beyond product associations to organizational associations, brand
personality, and (in general) more abstract associations, it will travel farther”
26
. Il percorso
evolutivo seguito dalla marca commerciale in Italia negli ultimi anni l’ha resa un fenomeno
quanto mai originale di brand management. Il tasso con cui si è diffusa la marca del
distributore nelle diverse categorie ha portato una stessa marca a essere presente in un numero
di categorie differenti elevato, impensabile per una marca industriale tradizionale. Una simile
brand extension era ipotizzabile solo per una marca caratterizzata da un posizionamento tanto
“astratto” (per usare i termini di cui si serve Aaker nell’estratto sopra citato) da permetterle di
essere presente nelle più disparate merceologie, senza per questo creare dei fenomeni di
distonia percettiva per i consumatori. Gli esempi di estensione del marchio, nell’ambito
industriale, toccano una moltitudine di categorie: citiamo quello particolarmente interessante
del personal care, in cui marchi come Oral-B o Gillette sono passati da un’immagine
caratterizzata da associazioni strettamente di prodotto (spazzolini, rasoi) ad associazioni più
ampie, di categoria (oral care, toiletries), che hanno permesso alle aziende di espandere la
loro gamma di prodotti verso merceologie contigue (gomme da masticare, schiuma da barba)
e talvolta anche meno vicine (l’introduzione della marca Gillette Series, dedicata alla cura
dell’uomo a tutto tondo, ne è un esempio). Un altro caso, per certi versi estremo, di brand
extension, è quello di Walt Disney, azienda nota in origine per i cartoni animati di breve
durata, oggi associata a tutto ciò che è entertainment per bambini, e non solo (si va dai film,
25
ivi, pag. 85.
26
Aaker, D.A., Building strong brands, The Free Press, New York, 1996, pag. 297.
CAPITOLO I
18
adatti anche ad un pubblico adulto, ai giocattoli, ai parchi di divertimento a tema,
all’abbigliamento, solo per citare alcune tra le attività dell’azienda). Anche in Italia non
mancano i casi interessanti di estensione del marchio, basata su una brand identity astraibile
dalla merceologia originariamente trattata: ad esempio, l’estensione del raggio di azione del
marchio Geox, dalle calzature all’abbigliamento, si è basata su di un payoff leggermente
modificato rispetto all’originale (“La scarpa che respira”) ma comunque basato sulla
traspirazione e freschezza, elementi associati all’identità della marca fin dall’origine, e
riproponibili in nuovi mercati proprio perché astratti rispetto al prodotto
27
. Questi elementi
della brand identity, se adeguatamente trasferiti sulla percezione del marchio del consumatore
(brand image), permetteranno all’azienda di seguire in futuro nuovi percorsi di espansione
della gamma di prodotti, facendo leva sulla conoscenza da parte del consumatore e quindi sul
valore di una marca consolidata.
Aaker, peraltro, suggerisce di valutare con attenzione i rischi derivanti da strategie di
estensione forsennata del marchio: l’estensione può non dare i risultati sperati nella nuova
categoria, se il consumatore non percepisce un link con la categoria originaria, e si può anche
arrivare, in alcuni casi, alla distruzione del valore originario del brand. E’ consigliabile,
quindi, procedere gradualmente, cercando di estendere la marca inizialmente in mercati
concettualmente vicini, per il consumatore, a quello da cui la marca proviene.
L’identità fino ad oggi associata alla marca commerciale, che le ha permesso di espandersi
nella maggioranza delle categorie del largo consumo confezionato, è descrivibile con una
proposizione tanto astratta quanto, proprio per questo, potente: il prodotto a marchio
commerciale è considerato un prodotto conveniente, ovvero in grado di garantire una buona
qualità, quanto meno similare a quella dei brand industriali, ad un prezzo significativamente
inferiore.
La scelta di adottare questo posizionamento è oggi condivisa, se non dalla totalità dei retailer,
dalla maggioranza di essi. Il posizionamento di prezzo delle marche commerciali rilevato
nelle insegne italiane, e i diversi studi, italiani ed esteri, segnalati nel corso di questa analisi,
sono concordi nell’evidenziare questo fenomeno.
L’osservazione delle diverse categorie (Capitolo III) porterà ad individuare anche altri
elementi, come la presenza della marca commerciale con posizionamenti di prezzo
differenziati, all’interno della medesima categoria. Emblematico quanto rilevato nella
categoria dei Sapori (olio, aceto, sale e spezie), ove, a fianco dei prodotti di primo prezzo
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Si pensi che oggi l’azienda descrive la propria mission come “Convertire un numero sempre maggiore di
persone in consumatori di prodotti che respirano” (Fonte: sito web aziendale)