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INTRODUZIONE
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Now my advice for those who die
Declare the pennies on your eyes
'Cause I'm the taxman
Yeah, I'm the taxman
And you're working for no one but me
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I versi che precedono non sono parte di un poema o di una filastrocca popolare. Si
tratta invece delle strofe finali del brano Taxman, scritto da George Harrison e
pubblicato dai Beatles nell’album Revolver del 1966. La corrosiva ironia con cui l’autore
immagina l’uomo delle tasse (l’esattore e, per estensione, il Governo) ammonire il
cittadino a non dimenticare di dichiarare al fisco le monetine tradizionalmente poggiate
sulle palpebre dei defunti permea per intero il testo del brano, una vera e propria
invettiva scagliata contro le politiche fiscali del gabinetto inglese dell’epoca.
La produzione musicale popolare ha sempre conservato uno stretto legame con i
fenomeni prodotti dalla realtà sociale e politica sua contemporanea. Tuttavia, se per
secoli la narrazione in musica è stata relegata a nicchie artistiche e di fruizione, con
l’avvento dei fenomeni musicali di massa i temi politici e sociali hanno iniziato
gradualmente a farsi strada anche nei testi della produzione musicale di largo consumo.
Da questo punto di vista l’esperienza inglese, che vede nell’affermazione di gruppi
come i Beatles una sorta di spartiacque generazionale, è significativa in quanto
testimonianza di una specifica coscienza collettiva degli autori e dei fruitori del
prodotto musicale che si fa veicolo, per la prima volta in tali dimensioni, di messaggi
di carattere politico e sociale. Un caso emblematico può essere rappresentato dalle
tensioni che hanno preceduto e caratterizzato il premierato di Margaret Thatcher, la
cui eco è ben presente in una parte importante della musica popolare di quel periodo.
Lo scopo del presente lavoro è quello di evidenziare il profondo legame esistente tra
la produzione musicale rivolta al grande pubblico e i temi politici, sociali ed economici
di maggior rilievo nel periodo di riferimento.
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“E ora, un consiglio per coloro che muoiono / dichiarate i pennies sui vostri occhi / perché sono
l’uomo delle tasse / si, sono l’uomo delle tasse / e voi non lavorate per nessun altro che me.” (traduzione
dell’autore)
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Preliminarmente si farà riferimento al rapporto tra musica e società, un rapporto antico
ma indagato in maniera compiuta solo a partire dal XX secolo. “La musica è stata una
parte dell’attività e del tessuto umano che raramente è entrata nelle ricostruzioni della
storiografia, rimanendo a lungo un hobby inconfessato degli storici.”
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Tuttavia la
musica, così come altre forme artistiche ed espressive, è sempre stata rappresentativa
della vita e della realtà del tempo, cristallizzando nei modelli stilistici propri di ogni
epoca idee, sentimenti, visioni del mondo. Gli studi sulla disciplina stanno vivendo una
nuova stagione in forza dei quali a questa specifica materia viene legittimamente
riconosciuto un posto al centro della produzione culturale e delle pratiche sociali.
Grazie a questi studi si è anche giunti alla definizione di quella specifica produzione
musicale avente determinate caratteristiche, origini e diffusione oggi denominata
popular music. Lo sviluppo della riflessione filosofica e la fondazione accademica delle
scienze sociali hanno inoltre consentito, così come avvenuto per tanti altri aspetti
dell’espressione umana, una indagine approfondita del rapporto tra musica e società.
In particolare hanno ragionato di musica numerosi studiosi, introducendo nel campo
delle scienze umane e della ricerca l’elemento legato alla produzione e alla fruizione del
prodotto musicale, ognuno con accenti e visioni diverse. Tra i tanti è parso opportuno
accennare a due esponenti della Scuola di Francoforte, Theodor W. Adorno e Walter
Benjamin, autori di riflessioni sulla musica popolare il primo, e sulla produzione
artistica di massa il secondo, in rapporto alle società capitalistiche.
Il primo capitolo è perciò dedicato alla nascita dell’industria musicale di massa, alla
concettualizzazione della popular music, al suo rapporto con gli studi sociali e storici, con
l’intento di comprendere se e a che livello il rapporto tra produzione musicale di massa
e il dipanarsi degli eventi storici possa avere un valore utile allo studio della vicenda
umana.
L’intento ulteriore del presente lavoro è anche quello di evidenziare il rapporto
fecondo, quantomeno in termini di produzione artistica, che lega la produzione
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Sorba, Carlotta. “Leggere i Fenomeni Musicali.” Contemporanea, vol. 15, no. 3, 2012, pp. 493–97. JSTOR,
http://www.jstor.org/stable/24653788. [3 Luglio 2023]
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musicale di massa alle vicende storico-politiche del Regno Unito in un preciso periodo,
successivo al secondo conflitto mondiale e che abbraccia la decade che arriva ad
abbracciare l’alba dell’ultimo decennio del secolo. L’obiettivo del secondo capitolo sarà
quello di esporre quali evoluzioni politiche e sociali, avvenute nel periodo postbellico,
abbiano posto le condizioni per l’avvento al n. 10 di Downing Street di Margaret
Thatcher nel 1979. Lungo lo stesso arco di tempo si articola in maniera definitiva e
massiccia l’affermazione dell’industria discografica mondiale, il cui perno è senza
dubbio rappresentato dalla produzione musicale di matrice anglo-americana.
L’esplosione di veri e propri fenomeni collettivi legati al culto degli artisti
maggiormente rappresentativi e capaci di mobilitare grandi masse di giovani farà il
resto. Il successo del rock’n roll esportato dagli Stati Uniti grazie a personaggi come
Elvis Presley viene ulteriormente amplificato e rielaborato nel Regno Unito, grazie
certamente all’esplosione dei Beatles e dei Rolling Stones, ma anche di tanti altri artisti
che riescono ad interpretare efficacemente, in chiave musicale, la forte domanda di
cambiamento e di partecipazione proveniente dalle generazioni nate subito dopo la
fine del secondo conflitto mondiale. L’ascesa e il trionfo politico di Margaret Thatcher
(e la sua successiva caduta) coincidono perciò con la definitiva maturità di un rapporto
ormai indissolubile tra musica pop e rock, società e giovani, i quali si appropriano dei
canoni espressivi di questi generi musicali. Mai prima, come in questo particolare
periodo storico, la popular music si era occupata non solo di politica ma, nello specifico,
della Thatcher e della sua controversa premiership. Nessuno aveva mai scritto canzoni
su Ted Heath, Harold Wilson, o Jim Callaghan (sebbene i primi due siano chiamati in
causa nel brano Taxman citato in apertura). Né i successivi inquilini di Downing Street
hanno goduto delle stesse attenzioni. I musicisti si sono occupati di Margaret Thatcher
perché incarnava sia le politiche dei suoi governi sia la scarsissima sensibilità sociale
delle misure di attuazione di quelle stesse politiche, dedicando centinaia di
composizioni al suo ipnotico simulacro mediatico e ai suoi effetti sulla società
(Capitolo III).
Resta da indagare quanto fecondo sia il rapporto tra il messaggio contenuto nella
produzione musicale e la coscienza politica collettiva. Si discute infatti se tale
interazione si limiti al momento della fruizione e se, come sostengono alcuni storici, la
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musica non sia altro se non la colonna sonora, il prodotto di determinati contesti
storici, economici e sociali, o se al contrario possegga la forza necessaria a sedimentare
idee e valori e a stimolare valutazioni e azioni sia individuali che collettive.
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CAPITOLO I
Musica, industria musicale e società capitalistica
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I.1 Evoluzione dell’industria musicale e consumi musicali di massa nel ‘900.
Gli studi sui rapporti e sulle interazioni tra musica e società possono avvalersi del
contributo di numerosi autori. Tuttavia, l’elaborazione più consistente in termini sia
quantitativi che qualitativi si è avuta in particolare nel corso del XX secolo, di pari
passo con lo sviluppo della fruizione individuale del prodotto musicale.
I precursori di quella che sarebbe diventata l’industria discografica mondiale dominata
dalle majors erano racchiusi in un pugno di strade di Manhattan dove, nella seconda
metà dell’800, i musical editors dell’epoca componevano e commercializzavano le
musiche per la fiorente epopea delle sale da ballo e dei musical in scena nella vicina
Broadway. In particolare, lungo la 28ma strada ovest tra la 5 e la 6 Avenue, le giornate
erano scandite dal cacofonico sovrapporsi del suono di decine di pianoforti utilizzati
dai compositori al soldo delle case musicali intenti a creare nuove melodie. Altre
ricostruzioni suggeriscono che gli sgradevoli rumori fossero dovuti alle padelle stagnate
che venivano percosse per coprire appunto la musica emanata dai pianoforti, con lo
scopo di impedire alla concorrenza di carpire le composizioni appena ideate; da cui
l’appellativo di Tin Pan Alley
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(vicolo della padella stagnata) a identificare un preciso
periodo storico ma anche l’industria musicale newyorkese e, per trasposizione, il genere
musicale proposto e diffuso da quelle case musicali.
L’avvento del grammofono a cilindro e successivamente del disco in bakelite nonché
lo sviluppo e la capillare diffusione del mezzo radiofonico ebbero la funzione di
determinare un essenziale capovolgimento delle modalità di fruizione da parte del
pubblico. Dai luoghi di ascolto collettivo, con i loro vincoli di spazio, tempo e
possibilità di scelta, l’ascoltatore fu per la prima volta in grado di operare scelte
individuali e nel ristretto ambito domestico; in parole povere, poteva scegliere cosa
ascoltare e quando farlo, unitamente alla possibilità di ripetere questo atto un numero
infinito di volte. La crisi del mercato discografico degli anni ‘30, ulteriormente
aggravata dagli effetti della Grande Depressione, fece da contraltare all’affermazione
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Definizione coniata dal compositore e giornalista Monroe H. Rosenfeld in un articolo pubblicato nel
1903. L’equivalente londinese era Denmark Street, nella zona di Camden.
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di nuovi media di grande e rapida diffusione: la radio e il cinema sonoro (e
successivamente la televisione), mentre l’affermazione dei jukebox contribuì a rilanciare
il mercato discografico
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. Il consolidamento di generi quali il blues e il country replicarono
il successo del jazz, il cui fascino di nuovo genere musicale avrebbe colpito l’Europa
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,
influenzando anche la produzione di compositori quali Kurt Weil e Hanns Eisler. In
questo periodo storico il vecchio continente fu travolto dagli orrori dei totalitarismi e
delle guerre, sul cui altare venivano sacrificate le produzioni musicali popolari,
condannate ad assolvere a banali funzioni di intrattenimento.
Il secondo dopoguerra, grazie ad un generalizzato clima di fiducia e riscatto nel mondo
occidentale, consentì di assistere al fenomeno dei deliri di massa per i protagonisti della
popular music. Il successo mondiale del rock’n roll (Bill Haley, Elvis Presley) accese la
miccia dell’esplosione artistica che sarebbe avvenuta all’inizio degli anni 60 in Gran
Bretagna; parallelamente si affermò un modello (oggi dato per scontato, ma
assolutamente innovativo a cavallo tra gli anni 50 e 60 del novecento), favorito dalle
innovazioni tecnologiche e dell’industria discografica, grazie al quale le figure del
compositore e dell’esecutore coincidevano. Anche le modalità di esecuzione erano in
rapida evoluzione, alla costante ricerca di nuovi linguaggi e nuove sonorità;
emblematico in tal senso il caso del gruppo inglese degli Shadows, che eseguiva brani
strumentali e canzoni con una formazione composta da due chitarre, basso e batteria.
Gli Shadows provocarono un processo emulativo da parte di decine di altri gruppi, che
cominciarono a scrivere ed eseguire proprie canzoni, proponendosi in tal modo come
entità musicali del tutto autosufficienti. Nel breve volgere di pochi mesi gli Shadows
finirono letteralmente nel dimenticatoio, travolti dal successo di gruppi come Rolling
Stones, Who, Kinks, Animals e, naturalmente, Beatles. Questa fase coincise con
l’espansione globale e con la multinazionalizzazione della music industry. Se all’inizio del
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Una efficace quanto sintetica storia della nascita del processo di industrializzazione della musica in
Frith, S. 1988, p.p. 11-23
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In Europa tuttavia giunge una versione edulcorata del jazz, con scarsi effetti sulla composizione di
nuova musica e pessime conseguenze nell’approccio critico al genere e alla popular music in generale.
Al riguardo, T.W. Adorno perviene alla severissima critica sul jazz ascoltando non quello di stampo
afroamericano bensì quello suonato dalle orchestrine tedesche durante la Repubblica di Weimar.
Robinson, J.B. pp. 35-67.