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L’intima connessione tra le limitate misure di sostegno alla famiglia
con figli, ed in particolare la totale assenza di provvedimenti adeguati
alla cura della prima infanzia, oltre e rendere difficile la scelta delle
madri di entrare nel mercato del lavoro, ha inaugurato una nuova
stagione di iniziative aziendali a sostegno delle lavoratrici madri e
delle famiglie.
Questa tesi intende riconsiderare la rinascita di queste attenzioni
“familiari” da parte delle imprese, in relazione a quanto accadde, a
partire dagli anni Trenta, nell’azienda Olivetti di Ivrea.
In quegli anni, all’interno di un sistema di welfare del tutto
inadeguato o ancora inesistente, l’Ing. Adriano Olivetti costruì un
sistema di sicurezza sociale per i propri dipendenti ed i loro familiari,
che non aveva uguali in Italia.
Edificò asili nidi e colonie, senza mai dare l’impressione di un senso
di paternalismo, o di ricercare per sé e per l’azienda nuove fonti di
profitti. Il fine ultimo di questo welfare aziendale era lo sviluppo della
comunità, verso la quale l’impresa aveva il dovere di sentirsi
socialmente responsabile.
Non mi propongo di verificare se una simile impresa potrebbe oggi
reggere o meno il confronto con i mercati della globalizzazione.
Mi sembra invece opportuno capire come mai, ad oltre quarant’anni
dalla sua morte le idee di Olivetti stiano ritornando con forza,
riapparendo profondamente moderne ed attuali.
Missione dell’impresa, funzione dello stato sociale, rapporto tra
impresa e territorio, politica del lavoro e cultura industriale, che
furono allora il frutto della complessa utopia di un imprenditore
illuminato e filantropo, oggi sono esigenze auspicabili da parte delle
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imprese, per far fronte alle difficoltà dei mercati e della manodopera,
in una visione sia economica che sociale dello sviluppo.
1. La responsabilità sociale dell’impresa: elementi di
riflessione recente
Le imprese sono senza dubbio tra i protagonisti del fenomeno della
globalizzazione. In essa, i confini geografici dell’ambito di influenza
di un’impresa si sono allargati al mondo, mentre per quel che riguarda
la produzione di beni e servizi permane un’inevitabile localizzazione.
Da ciò ne deriva la necessità di un dibattito che consideri, oltre che
l’aspetto economico legato alla produzione ed al profitto, anche il
risvolto sociale, per approfondire quello che solitamente viene
chiamato il “ valore sociale” dell’impresa.
Le idee, che concretamente si realizzarono nella grande azienda
piemontese dell’Ingegner Olivetti, comportavano un modo di fare
impresa ben radicato nel tessuto sociale della comunità locale, dove la
dignità sociale, il rispetto del lavoro operaio, la tutela della maternità
e dell’infanzia, il valore della famiglia, non rimasero variabili
subordinate alla semplice logica economica. Questi principi stanno
ritornando con forza ed è un gran bene che, alla fine degli anni
Novanta, in Europa se ne riscopra il valore, in concomitanza con una
maturazione sempre più profonda dell’importanza di questi diritti.
La responsabilità sociale delle imprese (Corporate Social
Responsability) è diventata un obiettivo strategico dei governi a tutti i
livelli, ed in particolare nelle politiche della Commissione delle
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Comunità Europee, che ne parla come di condizione strategica per
una crescita economica sostenibile.(1)
E’ opportuno chiedersi quale realmente debba essere il ruolo delle
imprese all’interno del sistema sociale
Perché le imprese devono avere un ruolo attivo nella creazione delle
politiche di welfare, anziché assumere un ruolo marginale all’interno
di rivendicazioni provenienti dalla società civile?
Se la missione dell’impresa è primariamente quella di creare valore
per gli azionisti, appare scontato rilevare che l’impresa non può
rimanere alla porta di questioni sociali tanto rilevanti, soprattutto
perché ciò andrebbe ad incidere negativamente sulla propria
redditività.
E’ impensabile considerare una qualsiasi impresa totalmente
scollegata dalla propria comunità di riferimento, con la quale viene ad
instaurare un rapporto di mutua dipendenza, nell’ interesse primario
dell’industria stessa di favorire le condizioni ottimali al proprio
funzionamento.
Lo stretto rapporto che si viene a creare tra comunità locale ed
impresa, comprende il reclutamento della forza lavoro, e comporta
che l’immagine e la reputazione di quest’ultima avrà dei sicuri effetti
sulla sua competitività. Se l’impresa fornisce alla comunità locale
posti di lavoro, salari ed entrate fiscali, il suo successo è di gran lunga
influenzato dalla stabilità e dalla prosperità del territorio che
l’accoglie.
Si pensi alla cronica mancanza di manodopera che affligge alcune
zone del nostro paese, in relazione ad un tasso di partecipazione
femminile nel mercato del lavoro che si pone a livelli decisamente
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inferiori degli standard europei. Queste imprese preferiscono
assoldare la propria forza lavoro tra manovalanza a basso costo
proveniente dalle zone più disagiate del pianeta. Non si preoccupano
minimamente dell’inserimento sociale ed abitativo dei propri
lavoratori, creando in questo modo, nella comunità locale, episodi di
difficile convivenza, intolleranza e stigmatizzazione. Un
comportamento socialmente responsabile dovrebbe prevedere
investimenti sociali, in primo luogo per valorizzare le risorse già
presenti nella comunità, e poi per creare le condizioni affinché questa
sia in grado di sopportare i nuovi assetti sociali sopravvenuti.
Il concetto di responsabilità sociale significa essenzialmente che le
imprese decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la
società in cui operano. Un nido aziendale, una politica degli alloggi a
tassi agevolati, dei corsi di formazione professionali specifici,
riuscirebbero a coniugare meglio le domande del territorio con le
risposte aziendali.
La Commissione Europea ha emanato nel Luglio del 2001 un “libro
verde”, dal titolo “Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese”, che “invita tutte le imprese a
contribuire di propria iniziativa al miglioramento della società,
rendendole più consapevoli del fatto che la responsabilità sociale può
rivestire un valore economico diretto”.(2)
Quest’ultima affermazione è molto importante: se la finalità rimane
quella di generare profitto, le imprese possono allo stesso tempo
contribuire ad obiettivi sociali, integrando la responsabilità sociale
come “investimento strategico”, nel quadro della propria strategia di
mercato e dei loro strumenti di gestione.
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La sfida avviata a livello continentale dal Consiglio Europeo di
Lisbona, facendo appello al senso di responsabilità delle imprese nel
settore sociale, ha sottolineato l’assoluta necessità di una partnership,
che integri le imprese a fianco delle parti sociali e delle autorità locali
nella gestione delle politiche sociali.
Le prassi socialmente responsabili hanno riflessi, nell’ambito
dell’impresa, in primo luogo sui dipendenti.
Se una delle maggiori sfide che debbono affrontare le imprese è di
attrarre e conservare lavoratori, qualificati e non, una serie di misure
sociali adeguate potrebbero favorire un migliore equilibrio tra lavoro,
famiglia e tempo libero. In particolare l’applicazione dei principi di
eguaglianza per le retribuzioni e le prospettive di carriera delle donne,
l’attuazione di procedure che ne facilitino l’assunzione e ne
garantiscano forme di elevata flessibilità in caso di maternità, sono
essenziali all’interno di una più ampia strategia di lotta contro la
disoccupazione e l’esclusione sociale, che tendono a colpire in primo
luogo la manodopera femminile.(3)
Da questi interventi, la responsabilità delle imprese potrà cogliere le
risposte alle radicali trasformazioni della società, quali, ad esempio, la
presenza sempre più massiccia delle donne sul mercato del lavoro, in
modo da creare condizioni più eque per entrambi i generi,
riconoscendo il contributo prezioso delle donne, nel quadro di
strategie di cui fruiscono sia la società che l’impresa stessa.
La responsabilità sociale è legata alla qualità dell’impiego, alla
partecipazione e consultazione dei lavoratori, alla parità di
opportunità, in dialettica con le politiche dell’occupazione e le
politiche sociali generali.
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L’UNICE, organizzazione che raggruppa le maggiori confederazioni
dell’industria europee, ritiene che, a fronte dell’ invecchiamento
globale della popolazione europea, alla crescita della disoccupazione,
alle barriere che ancora intercorrono tra le donne e l’accesso al
mercato del lavoro, alle tecnologie che richiedono manodopera
sempre più qualificata, il ruolo sociale delle imprese deve essere
sempre più parte integrante della società, tenendo conto che oggi
come in passato, il profitto è l’obiettivo principale, ma non l’unica
ragione di esistere di una qualsiasi impresa.(4)
2. Lo sviluppo della tesi
Sono dunque aspetti essenziali della responsabilità sociale
dell’impresa: porre in essere misure per attrarre e conservare
lavoratori qualificati; effettuare il reclutamento della manodopera in
forme non discriminatorie; investire nella formazione dei dipendenti;
introdurre criteri stringenti in tema di salute e sicurezza; sviluppare un
sistema di servizi sociali per tutelare le madri e i propri figli;
adoperarsi per l’integrazione dell’impresa nella comunità locale,
sostenerne la vita sociale, culturale e familiare.
Queste pratiche, che la Commissione Europea raccomanda alle
imprese, non trovano ancora ampi riscontri nell’esperienza diffusa.
L’insegnamento del passato ritorna dunque assai attuale, e di fronte
alle grandi trasformazioni industriali registrate in Europa, che
assumono spesso la forma di una riduzione degli effettivi, e
comportano delle gravi crisi economiche, sociali e politiche nelle
comunità, torna a rifulgere la storia della Ing. C. Olivetti e C. “Prima
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fabbrica nazionale di macchine per scrivere”. Nonostante la sua
misera e, per il Canavese e le sue genti, immeritata fine, ancora oggi
ha qualcosa da insegnare a chi tuttora crede che il territorio non sia
una risorsa da sfruttare e poi abbandonare al proprio destino.
S’intende che non possiamo esaminare tutti gli aspetti della politica
sociale aziendale olivettiana, in quanto la sua vastità non
permetterebbe di coglierne gli aspetti più profondi, soprattutto quelli
legati allo sviluppo della comunità in generale e non necessariamente
legati alla fabbrica.
Ci concentreremo precisamente su un punto di forte attualità: le
politiche (trasferimenti e servizi) per l’infanzia.
Occorre precisare, per non dare luogo a fraintendimenti, che ogni qual
volta si farà riferimento alla comunità, si intenderà non il concetto di
Comunità politicamente inteso da Adriano Olivetti, bensì il Canavese,
territorio nel quale l’azienda operava e verso il quale sapeva di avere
delle responsabilità sociali. Altra cosa il Movimento Comunità, che
per le proprie finalità politiche era distinto dalle logiche di
funzionamento dell’azienda e semmai ne costituiva una sorta di
proiezione sul territorio.
La tesi si svolgerà così:
• il primo capitolo delinea le politiche per l’infanzia in una
situazione di “welfare in transizione”, dove gli Stati, per
incentivare l’occupazione femminile, propongono misure
orientate a responsabilizzare le imprese stesse a farsi carico dei
bisogni delle famiglie.
• Il secondo capitolo delinea la concezione d’ impresa, lavoro
operaio, comunità, nel sistema Olivetti, in relazione al
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paternalismo industriale diffuso in quegli anni; e analizza il
welfare system Olivetti, nel passaggio da una forma personale
di assistenza ad una istituzionalizzata, affidata ad un organismo
di gestione elettivo.
• Il terzo capitolo è interamente dedicato alle specifiche politiche
sociali per l’infanzia ed agli interventi forniti sotto forma di
trasferimenti servizi.
• Nel quarto capitolo sono descritti in dettaglio gli asili, le
colonie, i servizi sanitari, con particolare attenzione alla
caratteristica “pedagogia” del metodo Olivetti.
• Infine, il capitolo quinto è dedicato al rapporto tra azienda e
comunità, con attenzione alle diverse iniziative in favore
dell’infanzia.
Per svolgere questa tesi, oltre alle fonti pubblicate, mi sono avvalso
della documentazione archivistica, messa gentilmente a disposizione,
da parte dell’Associazione Archivio Storico Olivetti e
dell’Associazione dei C.E.M.E.A. Toscani, nonché di tre interviste
effettuate con i rappresentanti della direzione dei servizi sociali, degli
asili e delle colonie Olivetti.
Il testo di tali interviste, che configurano delle vere e proprie storie di
vita, è riportato in Appendice.
La tesi è stata infine corredata di illustrazioni e cartine elaborate
appositamente.
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NOTE ALLA PRESENTAZIONE
(1) La Corporate Social Responsability è ritenuta una delle più importanti priorità
da realizzarsi nel prossimo semestre di Presidenza Italiana dell’Unione Europea
(II°sem.2003). Priorità annunciata dal Ministro del lavoro durante la conferenza
di Helsingor (22/11/2002) “Mainstreaming C.S.R. across Europe”
(2) COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Libro verde,
Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese,
Bruxelles 2001. Materiale consultabile sul sito ufficiale della Comunità Europea,
www.europa.eu.int
(3) Sugli effetti e sulle aspettative in merito alla responsabilità sociale applicata
alle imprese, si vedano le oltre 250 risposte al “libro verde” apparse sul sito
http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-dial/RSI/RSI_responses.htm,
la maggior parte provenienti da datori di lavoro, associazioni di imprese,
sindacati e organizzazioni della società civile.
(4) UNICE, Liberér le potential d’emploi de l’Europe, Bruxelles 1999