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marginalizzazione dei Paesi Membri Mediterranei, in particolare
Italia e Spagna. Solo essendo promotrice di politiche che valorizzino
il ruolo del Mediterraneo nel contesto internazionale è possibile che
l’Italia riesca a prendersi lo status di leader che nel passato era
andata vicina dal conquistarsi.
Questo lavoro è diviso in quattro capitoli.
Nel primo si delinea il quadro di quello che rappresenta ed ha
rappresentato nel corso dei secoli il commercio internazionale, si da’
la definizione di sviluppo e l’evoluzione che questo concetto ha
subito nel tempo e a seconda delle diverse scuole di pensiero. Inoltre
si illustrano le differenti posizioni sul fenomeno della
globalizzazione e sul rapporto che ha caratterizzato gli scambi
commerciali tra Nord e Sud del mondo, sottolineando che tale
distinzione ai nostri tempi non ha più senso, in quanto sono andati
sviluppandosi nuovi livelli di crescita intermedi e trasversali a quelli
tradizionalmente presi a modello dagli economisti.
Nel secondo capitolo si fa innanzitutto una panoramica storica della
cooperazione internazionale, partendo dal Piano Marshall e dagli
accordi di Bretton Woods del secondo dopoguerra fino ad arrivare ai
Development Millennium Goals del 2000.
Poi si fa un breve passaggio sulla cooperazione allo sviluppo dell’UE,
in quanto rappresenta un riferimento essenziale per la cooperazione
italiana. Un terzo circa dell’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps)
italiano, infatti, è canalizzato tramite la Commissione europea.
Questi aiuti figurano sia come quota-parte nazionale dovuta al
Fondo europeo di sviluppo, sia come contributo dell’Italia per le
attività ordinarie sul bilancio comunitario a titolo di aiuto allo
sviluppo.
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Infine si analizzano le politiche italiane di cooperazione allo sviluppo
dagli anni ’70 ad oggi, il lungo processo di discussioni e dibattiti che
ha portato all’approvazione della legge 49 del 1987, denominata
“Nuova disciplina della Cooperazione allo Sviluppo”, e i vari
progetti di riforma presentati nel corso delle legislature in
Parlamento ma che non trovano terreno fertile per una discussione
seria che li conduca ad approvazione e relativa promulgazione.
Nel terzo capitolo si analizzano i dati riguardanti i rapporti di
cooperazione e scambi commerciali tra Italia e Tunisia nell’ambito
del contesto Mediterraneo, si illustrano le tappe della Dichiarazione
di Barcellona e i relativi punti di forza e di debolezza e gli strumenti
finanziari in essere, compreso il nuovo, ENPI, che dal 1° gennaio
2007 sostituisce i precedenti MEDA e TACIS.
Si espone il ruolo dell’Islam nella società maghrebina, i vari progetti
di potenziamento delle infrastrutture con la creazione dei cosiddetti
“Corridoi” e “Autostrade del mare” e qualche proposta di
integrazione mediterranea.
L’ultimo capitolo, infine, approfondisce i rapporti intercorrenti tra Italia e
Tunisia, partendo dalla loro storia, passando all’esame degli accordi e dei
protocolli firmati nell’ambito della cooperazione, degli scambi commerciali
intercorsi negli ultimi anni con particolare riferimento ai prodotti di
maggiore interesse per i due Stati e della presenza delle imprese italiane o
miste in Tunisia e relative suddivisioni territoriali (nei diversi
Governatorati). Infine si accenna ai crescenti accordi che negli ultimissimi
anni stanno fiorendo tra le Università italiane e quelle tunisine, a conferma
che la formazione è uno dei maggiori veicoli di promozione dello sviluppo
economico, sociale e culturale.
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I CAPITOLO
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE COME MOTORE DELLO
SVILUPPO ECONOMICO MONDIALE
<<In un mondo sempre più interdipendente, noi tutti dobbiamo
riconoscere che è nel nostro interesse propagare i benefici della
crescita economica quanto più ampiamente possibile ed allo stesso
tempo evitare il rischio di escludere individui o gruppi nelle nostre
economie o di escludere certi Paesi o Regioni dai benefici della
globalizzazione
2
>>.
Da sempre i popoli commerciano tra di loro, superando i confini di
stati e continenti, anche quando i mezzi di trasporto non erano quelli
che sono oggi, quando i treni non esistevano e gli oceani si
attraversavano con navi non sempre sicure e potenti e si rischiava di
perdere i carichi e con essi i futuri guadagni; si pensi a Marco Polo,
che con “Il Milione” ha messo al corrente l’umanità dei suoi
commerci con l’Oriente, e prima di lui di suo padre; e molto dopo
Cristoforo Colombo che per cercare una nuova rotta per raggiungere
le Indie ha scoperto un Continente; prima di loro le lotte per il
dominio del Mediterraneo tra Romani e Cartaginesi, per non parlare
degli scontri tra i Greci ed i Fenici…ma potrei continuare a lungo…
Tutte battaglie combattute nel corso dei secoli per la conquista di una
supremazia commerciale.
E’ con David Ricardo
3
(tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’’800) che si
inizia a studiare ed analizzare in economia il commercio come
fenomeno degno di attenzione ed interesse, considerandone i
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Comunicato del G7 del Summit tenutosi a Lione nel 1996
3
David Ricardo, Inghilterra, 1772-1823
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vantaggi e gli svantaggi per i sistemi economici dei diversi Paesi e
non solo per i singoli mercanti, con quella che è conosciuta come
“Teoria dei costi comparati”.
Nonostante sia trascorso molto tempo dalla formulazione delle teorie
di Ricardo, la tesi di base è tutt’ora valida: il reddito reale dei Paesi
scambisti (sia presi singolarmente che nel loro insieme) è maggiore
rispetto a quello che otterrebbero in una situazione di chiusura dei
mercati.
L’economista inglese però, considerava la sola mobilità delle merci;
le attuali teorie, invece, integrano quella di Ricardo con l’ipotesi della
mobilità dei fattori, essendo più attinente alla realtà.
Nel 1874 Caimes diceva: <<Conosciamo la natura del guadagno
[derivante dallo scambio]: esso consiste nell’allargare la cerchia delle
nostre soddisfazioni e nell’abbassare il costo a cui le cose che, in
mancanza di esso sarebbero irraggiungibili, possono da noi essere
ottenute; e sappiamo che l’utilità che ci apporta non può essere che
grandissima; tuttavia, oltre questa conclusione indefinita e vaga, i
nostri dati non ci permettono di andare>>.
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Qualche decina di anni dopo, i capitali stranieri costituivano circa il
5% dei redditi nazionali totali dei 15 paesi più industrializzati, negli
anni trenta del novecento la percentuale era scesa all’ 1,5%, negli
anni ’50 e ’60 tale cifra era scesa ulteriormente all’1% per poi risalire
al 2,5% alla fine degli anni ’90.
Fatto sta che comunque, con il passare del tempo, gli scambi
commerciali tra gli Stati cresce a ritmi sostenuti, ma ciò che aumenta
ancora di più è la circolazione più veloce e capillare delle
informazioni, dei capitali, della tecnologia e degli uomini, grazie ad
4
Caimes, Some leading principles of political economy newly expounded, New York, 1874
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Internet, alla telefonia, ai mezzi di trasporto più veloci (Treni ad Alta
Velocità, Aerei…) e all’apertura delle frontiere (anche se su questo
tema ci sono dei cambiamenti recenti dovuti ai timori di attacchi
terroristici dopo quelli avvenuti l’11 settembre 2001 negli Stati Uniti e
alle ulteriori minacce dei fondamentalisti islamici all’occidente).
I.1 Cessioni graduali di potere dallo Stato a strutture
sovranazionali
Il principio di sovranità dello Stato inizia a svilupparsi intorno al
1600/1700. Prima di allora, nel Medioevo, la sovranità spettava al
Signore feudale, nella complessa e intricata realtà della divisione
delle terre e quindi dei poteri tra i vari vassalli e valvassori. Nell’età
moderna, invece, si fa strada la concezione di Stato Nazionale, inteso
come compresenza di “Stato apparato, popolo e territorio”, quindi
un’entità, l’unica entità, avente il diritto di emanare le leggi,
garantirne il rispetto, dichiarare guerra, stipulare trattati.
Con il passare del tempo, con l’intensificarsi delle relazioni tra gli
Stati, tra le economie, tra le imprese operanti nei diversi settori,
dunque con l’internazionalizzazione dei prodotti e la
delocalizzazione delle produzioni delle diverse componenti di un
prodotto e successivo assemblaggio nel paese di origine delle
industrie, si è verificata una graduale deregulation delle normative
nazionali, per favorire l’armonizzazione delle regole internazionali al
fine di ridurre la confusione che creerebbe una pluralità di leggi nello
stesso settore che verrebbero ad accavallarsi bloccando i processi
produttivi e il relativo sviluppo delle economie.
L’Europa è un esempio di armonizzazione concreta delle regole e di
unificazione addirittura della moneta, per semplificare i rapporti
economici tra gli stati membri, e questo comporta un graduale
cambiamento del concetto di sovranità nazionale e cessione di
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sempre maggiori spazi di potere decisionale ed esecutivo ad
un’Entità Sovranazionale: l’Unione Europea.
Secondo qualcuno la Guerra Fredda, e quindi il timore di un conflitto
caratterizzato da scambi di testate nucleari, ha favorito la creazione
di una Grande Pace in Europa, che ha incoraggiato la cooperazione
economica e politica tra gli Stati, escludendo la possibilità per le
singole nazioni di entrare in guerra da sole e soprattutto contro uno
stato membro.
Immanuel Kant nel ‘700 diceva che per raggiungere una pace
duratura c’è bisogno di un “codice di regole internazionali unico,
universale, razionale e supremo.” Nel XXI secolo si tenta di
concretizzarlo, affrontando tutte le difficoltà che si presentano nella
consapevolezza dei limiti che si pongono al raggiungimento di tale
obbiettivo.
I.2 Gli effetti del libero scambio: creazione e diversione di
commercio
Gli effetti del libero scambio si rendono evidenti attraverso l’analisi
delle conseguenze relative l’introduzione o l’eliminazione di un
dazio, e questa è possibile con lo studio di un grafico.