3
Latina, trattati economici ed opere scritte direttamente dai protagonisti che
attuarono per primi quelle politiche, nonché articoli di giornali e riviste di
quegli anni.
Successivamente si sono considerate le varie opinioni che si
fronteggiano oggi nell’acceso dibattito. In questo caso si sono utilizzati,
come fonti, articoli di riviste specializzate, di opinione ed opere pubblicate
sia in America Latina che a livello internazionale e su vari siti web
specializzati utilizzando, come fondamentale strumento di ricerca, la rete
telematica dove si è riscontrata una grande vivacità nel dibattito.
Nel secondo capitolo si è affrontato il confronto, oggi molto attuale,
sulle questioni circa il neoliberalismo e la globalizzazione. Il terzo capitolo
è stato dedicato al problema istituzionale latinoamericano e al delicato
processo di democratizzazione. Per il quarto capitolo si sono analizzati i
dibattiti interni ad una sinistra ancora in crisi d’identità e i nuovi movimenti
alla ricerca di una nuova terza via latinoamericana alla crescita e allo
sviluppo. Successivamente (capitolo quinto) ci si è occupati dei temi
proposti da alcuni movimenti della critica radicale oggi particolarmente
presente in America Latina e in grado di influenzare il dibattito in corso.
Nel capitolo finale si sono tratte le considerazioni conclusive del lavoro
svolto e sulle possibili prospettive future dello sviluppo in America Latina.
Pur nella consapevolezza, che i temi proposti rappresentano una
porzione assai limitata del vasto panorama delle problematiche oggetto di
discussione ed analisi da parte di studiosi, intellettuali e movimenti politici,
si è cercato di sottolineare quelle che secondo l’opinione dell’autore sono
più attuali, che presentano spunti di riflessione più interessanti o mostrano
4
elementi nuovi, sintomo di un cambiamento che spesso trae origine e
vigore proprio dal costruttivo confronto di idee e di critiche differenti.
La presente ricerca presenta sicuramente il limite di non essere
supportata da fonti primarie ed inedite nonché di una successiva ricerca
sul campo. Seppure con questi evidenti limiti, la bibliografia consultata
(circa 150 titoli) è risultata di dimensioni sufficienti a consentire un’analisi
ed un approfondimento del dibattito odierno sui temi proposti che, si
spera, sapranno suscitare l’interesse del lettore.
Si porgono infine i più sinceri ringraziamenti al Relatore per la
cordiale collaborazione e per gli utili consigli dispensati durante la stesura
di questo lavoro.
5
CAPITOLO I°
DALLA CRISI ALLA SPERANZA
L’America Latina negli ultimi vent’anni ha subito una rapida
accelerazione del profondo processo di trasformazione iniziato dalla fine
del secondo conflitto mondiale e proseguito fino ai giorni nostri,
trasformazione che ha riguardato pressoché tutti i settori, politico,
istituzionale, sociale e soprattutto economico e che si è sviluppata in modo
tutt’altro che graduale e lineare, anzi spesso incalzata da profonde crisi
che hanno rischiato di portare il continente sull’orlo del baratro di una
grave recessione.
Fu principalmente negli anni ’80 che cominciò a delinearsi l’urgenza
di un cambiamento radicale dopo la “sbornia” delle politiche economiche
populiste che unite alla situazione finanziaria internazionale avevano
portato all’abnorme crescita dell’indebitamento implicando ristagno e
notevole disarticolazione economica.
1
Per circa un decennio si sono susseguiti tentativi di ridurre gli
squilibri da parte dei diversi paesi dell’area, ma in genere hanno
1
L’eccessivo indebitamento estero dell’America Latina è un fenomeno relativamente recente,
risale infatti agli anni ’60 – ’70. Le cause sono da ricercarsi principalmente nella grande
disponibilità di capitali a livello internazionale offerta da istituzioni di credito internazionali (ad es.
World Bank e la Banca Interamericana di Sviluppo) e numerose private attratte dalla chimera della
crescita latinoamericana nonché , nei programmi di assistenza che, specialmente gli U.S.A. (ad es.
Alleanza per il Progresso lanciata da Kennedy) iniziano a fornire onde evitare e prevenire
l’estendersi di rivoluzioni secondo il modello cubano in un clima mondiale di guerra fredda.
Un’altra importante causa va ricercata nei tassi di interesse che in termini reali furono negativi per
tutti gli anni ’70 rendendo così vantaggioso l’indebitamento per finanziare una poderosa spesa
pubblica messa in atto da politiche economiche protezionistiche e di stampo populista.
6
comportato una caduta della crescita oltre che ad un quadro economico
dominato da crisi di inflazione incontrollata, tanto che gli anni ’80 sono
stati definiti da molti studiosi di storia latino americana come il “decennio
perduto”. Si deve però puntualizzare che questo periodo è stato
comunque foriero di insegnamenti, per cui se il senso negativo di tale
termine è da intendersi prevalentemente riferito ad un punto di vista
economico e sociale, ha segnato comunque un punto di svolta per quanto
riguarda la consapevolezza dei problemi e la determinazione dei
protagonisti a liberare nuove risorse, l’apertura di nuovi mercati finanziari
e in generale una maggior propensione alla democrazia.
Gli anni ’90 hanno visto riprendere la crescita dell’area, seppure
secondo l’ormai tradizionale modello di “stop and go”, di andamento a
strappi che pare aver caratterizzato la storia economica dell’intero secolo.
Infatti quando il peggio sembrava passato e le riforme economiche attuate
a costo di immani sacrifici, compiuti soprattutto da parte dei più deboli,
sembravano sortire gli effetti sperati, di diffondere cioè maggiore sviluppo
e benessere , arrivava una nuova e grave crisi economica, che nel 1995 si
diffuse dal Messico e si propagò a tutta l’area latinoamericana. Seppure di
più breve durata di quella precedente, costituì un monito per i governi e
accese maggiormente il dibattito tra economisti e politici, tra i fautori di un
maggior riformismo in senso neoliberalista e aperto alla globalizzazione
emergente e quanti invece si oppongono a questa logica, a quanti infine si
appellano ad una terza via latinoamericana di crescita e di sviluppo.
In questo capitolo si è cercato di riassumere a grandi linee
l’evolversi della situazione dalla crisi debitoria alle soluzioni adottate , ai
7
risultati ottenuti e ai processi di integrazione regionale in atto. Nei prossimi
capitoli si esamineranno più dettagliatamente le opinioni che
caratterizzano il dibattito odierno in tema di sviluppo economico, sociale e
politico-istituzionale dell’America Latina.
8
I.1 DEBITO ESTERO E RINEGOZIAZIONE
La crisi debitoria si aprì formalmente nell’agosto del 1982
allorquando il Messico dichiarò la moratoria del debito estero essendo
ormai prossimo ad una situazione di collasso finanziario che impediva sia
il pagamento del debito che del servizio. Improvvisamente il flusso di
capitali esteri si interruppe e le istituzioni finanziarie dei paesi
industrializzati invertirono le loro ottimistiche previsioni sui paesi dell’
America Latina. Molte delle maggiori banche internazionali registravano
alti livelli di esposizione in quell’area, e quelle che vantavano i crediti più
cospicui erano soprattutto statunitensi. Il governo U.S.A. temeva
soprattutto un aumento notevole della immigrazione clandestina e una
significativa instabilità politica (che sempre accompagna quella
economica) di uno stato ai propri confini e di un’area, quella
latinoamericana, da sempre considerata zona di influenza. Anche in
seguito alla pressione delle banche creditrici, l’amministrazione Reagan si
impegnò a favorire la formazione di cartelli di creditori; politica che fu
appoggiata anche dalle maggiori Istituzioni Finanziarie Internazionali. I
creditori ufficiali invece si riunirono in un comitato, il cosiddetto Club di
Parigi, che divenne l’organo di riferimento dal quale i paesi creditori
avanzarono le loro proposte per una possibile soluzione del problema.
Queste istituzioni, tramite la mediazione del Fondo Monetario
Internazionale, decisero di rinegoziare parte del debito contro la garanzia
di rigide e strutturali riforme economiche dei paesi interessati a pervenire
ad un accordo.
9
I governi latinoamericani, che incominciavano ad intravedere una
dignitosa uscita dalla crisi debitoria e con la speranza di ottenere
comunque nuovi aiuti, almeno dai creditori ufficiali, attuarono degli sforzi
per migliorare la situazione economica applicando politiche di tipo
ortodosso volte cioè a migliorare la bilancia delle partite correnti e a
risanare il bilancio pubblico riducendo la spesa. Venne abbandonato il
rigido protezionismo che aveva caratterizzato l’economia latinoamericana
nel dopoguerra e in generale si avviarono processi di apertura ed
integrazione verso i mercati internazionali. Verso la metà degli anni ’80 fu
chiaro che queste politiche da sole non avrebbero funzionato, così che
paesi come Argentina, Brasile, Bolivia e Messico decisero di intraprendere
programmi di stabilizzazione che, a differenza dei pacchetti tradizionali,
combinavano misure fiscali e monetarie con controlli sui prezzi e sui salari
e si impegnarono maggiormente nelle riforme strutturali. Queste politiche
di tipo eterodosso, costituirono un cambiamento importante poiché
incominciò a farsi largo l’idea che l’inflazione contenesse un impulso
inerziale e che per combatterla si sarebbero dovute mettere in atto
soluzioni volte a correggere le aspettative degli attori economici, tramite
politiche credibili di cambiamento. Come sostenne Pedro Aspe ministro
delle Finanze messicano il quegli anni:
la desaparición de las causas monetarias y fiscales de la
inflación no es condición suficiente para que la inflación baje,
ya que las instituciones pueden crear inercia.Se interpreta la
inflación en sus dos componentes: un impulso inicial y un
mecanismo de propagación : el impulso inicial puede
provenir de politica monetaria y fiscal expansionarias,
mientras que la inflación que se presenta es puramente
inercial una vez que se completa el ajuste de tipo de cambio
y de finanzas pùblicas.
10
La lección que se deriva es clara: para estabilizar no basta
corregir los desequilibrios fiscales o el estrangulamiento
externo: también hay que corregir las fuentes o causas de la
inercia inflacionaria.
2
Anche i governi dei paesi debitori si riunirono più volte per ricercare
soluzioni comuni alla difficile situazione. E’ importante ricordare a tal
proposito il “Consenso di Cartagena” tenutosi nel 1984, al quale
parteciparono undici paesi dell’America Latina e che comunque negò
esplicitamente di volersi trasformare in un “cartello dei debitori”.
Quest’ultimo non venne mai creato a dispetto degli accorati appelli di Fidel
Castro per una moratoria unilaterale del debito:
bastaria con que la deuda fuese cancelada. Esto puede
ocurrir porque Estados Unidos se persuada de que no hay
otra alternativa o porque los paìses de America Latina
decidan hacerlo unilateralmente, que serìa lo màs
probable.
3
Temendo soluzioni di questo tipo i paesi creditori si videro costretti
ad intraprendere un’azione più decisa in favore dell’accordo tra le parti.
Furono gli U.S.A. che nel 1985 proposero il Programma di Crescita
Sostenuta chiamato Piano Baker
4
. Con questa iniziativa si mirava a
favorire una crescita economica nei paesi debitori per mezzo di nuovi
prestiti volti ad appoggiare le riforme attraverso la partecipazione al
capitale sociale delle imprese. Per quanto riguarda il debito accumulato,
gli interessi venivano sostanzialmente ricapitalizzati, e il debito ristrutturato
mediante l’emissione di buoni con scadenza prorogata.
2
Pedro Aspe, Estabilizacion macroecomica y cambio estructural. La experiencia de Mexico
(1982-1988), in AA.VV., Mexico: auge, crisis y ajuste , vol.2: Macroeconomia y deuda externa
1982-1989 a cura di Bazdresch Carlos ,Mexico, Fondo de cultura economica, 1992, pag. 73-74.
3
Fidel Castro, No hay otra alternativa: la cancelacion de la deuda o la muerte politica de los
processo democraticos en America Latina, intervista del 29 Marzo 1985, Editora Politica, La
Habana, 1985, pag. 30.
4
Dal nome del Segretario del Tesoro James Baker che lo propose.
11
Il Piano Baker fallì ben presto, perché i paesi debitori, che si
auspicavano più una riduzione del debito, rispetto ad un semplice
riscadenzamento , si trovarono di lì a poco nuovamente in difficoltà nel
pagamento degli interessi e nel 1987 la crisi finanziaria brasiliana
5
gli
assestò il definitivo colpo di grazia. Incominciò così a farsi largo tra le
banche private altamente esposte (la Citicorp fu la prima) l’idea di inserire
a bilancio le perdite previste, di quei crediti verso i paesi latinoamericani ,
ormai inesigibili.
E’ per venire incontro a questa necessità che venne, sempre dagli
Stati Uniti, una proposta più incisiva per risolvere l’annosa questione del
debito: il Piano Brady.
Con questo programma, lanciato nel marzo 1989 dal Segretario al
Tesoro americano sotto l’amministrazione Bush, si giunse finalmente alla
decisione di operare sostanziali tagli al debito, rifinanziandolo mediante
l’emissione di “bonds” (Brady Bonds appunto).
Questa soluzione venne negoziata paese per paese a condizioni
variabili (seppur favorevoli per tutti) agevolando maggiormente quei
governi che più si erano impegnati in rigorose politiche di risanamento
economico e strutturale come Cile, Messico e Venezuela.
L’effetto benefico del Piano Brady , si fece presto sentire
richiamando i capitali fuggiti in precedenza, che vennero attratti sia dai
Brady Bonds negoziati sul mercato secondario (Debt to Equity Swaps)
6
e
5
Nel 1987 il Brasile (maggior paese debitore) dichiarò una moratoria degli interessi del debito
estero. Questa manovra comportò una generale depressione delle borse mondiali a cominciare da
quella statunitense.
6
Mercato dove vengono scambiati titoli di credito rappresentativi del debito estero a sconto
variabile da paese a paese che permise, alle istituzioni finanziarie private una garanzia di
liquidabilità , ai fondi internazionali di acquistare titoli speculativi e, ai governi di sostituire parte
12
ricercati dai fondi speculativi mondiali alla ricerca di investimenti ad alto
profilo rischio-rendimento, sia da investimenti esteri diretti in attività
produttive e industriali dell’area latinoamericana.
Il Piano Brady seppure riguardando il solo debito estero privato,
riuscì nell’intento di alleviare gli sforzi dei paesi debitori e a conferire
maggiore credibilità alle loro politiche macroeconomiche.
7
All’inizio degli anni ’90 dopo un decennio di buio si incominciava
dunque ad intravedere un po’ di luce:
By 1992, a decade after the debt crisis first erupted, it was
clear that debt would cease to be such a dominant issue.
Debt-service ratios had improved, and capital flight was in
reverse in many republics. A formidable debt burden
remained in all republics, but it was no longer a debt crisis.
8
del debito estero con debito interno. Venne sperimentato dapprima in Cile e poi si diffuse anche
agli altri paesi.
7
I Creditori Ufficiali , riuniti nel Club di Parigi non ridussero che in rari casi il debito e
dimostrarono al massimo maggiore flessibilità permettendo in alcuni casi proroghe.
8
V. Bulmer-Thomas, The Economic History of Latin America Since Independence , Cambridge,
Cambridge University Press, 1994, pag. 376-377
13
I.2 GLI ANNI ’90: UNA CRESCITA A SINGHIOZZO
Gli anni ’90 in America Latina iniziarono con grandi aspettative.
Dopo il decennio di crisi degli anni ’80 la crescita era ripresa; la buona
performance economica di un paese come il Cile, il primo ad intraprendere
una serie di profonde riforme strutturali iniziate già dalla metà degli anni
’70 sotto il regime di Pinochet e proseguite con l’avvento della
democratizzazione, e i premiati sforzi del Messico nella soluzione della
questione del debito e dell’apertura ai mercati, avevano fornito i modelli di
riferimento che anche tutti gli altri paesi cercarono di seguire. L’inflazione
venne imbrigliata con misure drastiche suggerite dalla scuola economica
di Chicago
9
alla quale si erano conformati economisti come Cavallo
(Argentina), Aspe (Messico) e Malan (Brasile). Le misure che vennero
adottate furono molteplici; principalmente una politica di cambi rigidi con le
valute nazionali ancorate al dollaro U.S.A. ( in Argentina addirittura con
una legge del ’91 voluta dal Ministro delle Finanze Cavallo, in Messico, e
dopo qualche tempo anche in Brasile col piano Real del 1994). Questa
misura veniva adottata per dare credibilità al sistema economico
latinoamericano e per favorire gli investimenti stranieri in attività
produttive. D’altro canto, creando una sopravvalutazione delle divise
nazionali, provocava inevitabilmente uno squilibrio della bilancia
commerciale (le importazioni erano incentivate e le esportazioni soffrivano
della scarsa competitività dovuta al cambio). Questo squilibrio venne
9
fondata dagli economisti Milton Friedmann e Friedich von Hayek sostenitori del neoliberismo.
14
finanziato dall’afflusso di capitali stranieri attratti dalla politica di massiccia
privatizzazione che venne messa in pratica a partire dai primi anni ’90 da
pressoché tutti i governi dell’area (principalmente Argentina, Messico e
solo assai più tardi dal Brasile) mentre vennero eliminate buona parte
delle indicizzazioni (soprattutto quella dei salari).
Seppure con alti e bassi ed in modo disomogeneo si ebbero discreti
tassi di crescita fino al dicembre 1994, allorquando il Messico conobbe
una nuova grave, quanto inaspettata crisi.
Al fine di risollevare la delicata situazione finanziaria dovuta allo
squilibrio della bilancia commerciale, il governo messicano decise il 20
dicembre del 1994 di svalutare il peso con l’intenzione di abbassarne il
valore nei confronti del dollaro di circa il 15%. Questo produsse una
improvvisa fuga di capitali che, alimentata dalla speculazione, provocò in
un paio di giorni un grave salasso delle riserve valutarie della Banca
Centrale Messicana, che alla fine dovette cedere: il peso venne fatto
oscillare liberamente scatenando una serie di nuovi e più preoccupanti
ribassi.
L’uso degli alti tassi di interesse e delle riserve per sostenere il
peso ebbe conseguenze disastrose. In più era viva la preoccupazione che
questi tassi avrebbero trascinato verso il fallimento molte imprese che, a
loro volta, avrebbero provocato anche il dissesto di un sistema, quello
bancario, già messo a dura prova. Come se non bastasse, la situazione
peggiorò a causa della scadenza dei cosiddetti Tesobonos, obbligazioni a
breve termine emesse dal governo con valore nominale in dollari, che
avevano trovato grande successo tra gli investitori esteri soprattutto
15
statunitensi, a causa del loro elevato rendimento e che, alla scadenza,
non vennero più rinnovati, provocando una grave crisi di liquidità che il
Messico non avrebbe mai potuto fronteggiare da solo.
Immediatamente la crisi si propagò verso tutta l’area
latinoamericana, “l’Effetto Tequila” , come venne chiamata questa
improvvisa fuga di capitali alimentata dal panico di un ripetersi della
situazione del 1982, creò grandi difficoltà a tutti i paesi, soprattutto a quelli
che, come l’Argentina si erano maggiormente impegnati in una politica di
cambi fissi.
A differenza della crisi degli anni ’80 questa fu di breve durata
(appena qualche mese) grazie soprattutto ai tempestivi finanziamenti
provenienti dagli U.S.A. (assai esposti in Messico) con l’amministrazione
Clinton e il Fondo Monetario Internazionale. In cambio i paesi
latinoamericani vararono maggiori riforme improntate all’austerità e al
sacrificio:
Il piano di austerità concepito dal governo messicano
comporterà la perdita di 500mila posti di lavoro nella prima
metà del 1995 che si aggiungeranno ai 235mila già persi
dopo l’esplosione della crisi finanziaria in dicembre.
Ma il rialzo delle tasse, l’aumento del 35% del prezzo del
carburante, il rincaro del 20% dell’elettricità la
liberalizzazione della contrattazione salariale e il radicale
taglio dell’8% alla spesa pubblica (una misura che punta a
far scendere il rapporto deficit/Pil dal 4% a zero) sarà il costo
da pagare per favorire la creazione di nuovi impieghi nei
prossimi anni e il ritorno degli investimenti in Messico.
10
Questa crisi colse di sorpresa molti operatori economici; ma
un’analisi più attenta rivela la debolezza di fondo di un sistema, quello
messicano , non ancora pronto a sostenere la politica di alti tassi di
10
Giovanni Padula, “Il Messico vara una ‘stangata’ per il salvataggio dell’economia”, Il Sole
24ore, 11 marzo 1995, sezione Economia Internazionale.
16
interesse, bassa inflazione e tassi di cambio fissi. Questa politica, avrebbe
richiesto un massiccio afflusso di capitali destinati ad investimenti
produttivi e rivolti alla modernizzazione del sistema, avrebbe altresì
richiesto la formazione di un sufficiente risparmio interno (malattia cronica
sia del Messico che degli altri paesi dell’America Latina) capitale
quest’ultimo assai meno volatile e più affidabile di quello straniero.
Proprio qui sta il punto, gli investimenti che affluirono in Messico erano in
maggioranza investimenti finanziari di breve termine (perciò speculativi)
piuttosto che investimenti in attività produttive.
The Mexican peso crisis made painfully clear that, in spite of
the reforms, many of the Latin American economies
remain vulnerable. A number of analysts have even
questioned the sustainability of the Latin American reforms
and have pointed out that the mismanagement of the
Mexican macroeconomy during 1994 – the piling up of short-
term debt and the acute overvaluation of the currency – is an
indication that Latin American countries are not yet ready for
the rigors of a market-based system. Although it is too early
to know whether the reforms will be cemented , or whether,
in some countries, disappointment and nostalgia will bring
back populism, statism, and control, it is clear that the crisis
has brought to the fore of the policy debate the need to
consolidate the modernization process. Because of the crisis,
all of a sudden it is clear to policymakers, intellectuals, and
the public at large throughout the region that there are some
urgent unfinished tasks. The complacency, self
congratulation, and triumphalism, observed toward mid-1994
have given way to a sense of urgency and an understanding
that, indeed , the reform process never ends.
11
Messi dunque da parte i facili trionfalismi , con moltissime difficoltà,
la crescita ha ripreso il suo corso mostrando più che mai il volto
contraddittorio del sub-continente, capace in pochi anni di ottenere vittorie
eclatanti ed insperate (quella contro l’iperinflazione ad esempio) e subire
repentine crisi.
11
Sebastian Edwards, Crisis and Reform in Latin America From Despair to Hope , Oxford
University Press, Washington: World Bank, 1995, pag. 303.