VI
successo e, quindi, la performance aziendale si presta con sempre maggior difficoltà ad essere
letta e compresa rispetto a tale dimensione.
La presenza di nuovi fattori di evoluzione hanno messo in crisi i tradizionali modelli di
misurazione, come ad esempio il fenomeno della globalizzazione, l’innovazione tecnologica, i
nuovi assetti organizzativi… I continui mutamenti del contesto economico impongono alle
aziende, sia private, sia pubbliche, di gestire le risorse umane secondo la logica della flessibilità
e dello sviluppo delle competenze.
Gli attuali modelli di competitività globale richiedono una sicura padronanza degli orizzonti
finanziari, regolamentari e tecnologici. In questo scenario, i grandi gruppi multinazionali, al pari
delle piccole e medie imprese che devono esprimere tutte le loro potenzialità, devono realizzare
i propri obiettivi qualitativi e quantitativi, tramite il controllo continuo dei risultati e l’attenta
gestione dei rischi legati alle specifiche aree di attività.
Tale sfondo mette in luce come la capacità di gestire il personale rappresenti uno strumento
imprescindibile per il raggiungimento di reali vantaggi competitivi. Assumono un ruolo
strategico, quindi, le figure impegnate in quest’area, che devono non solo essere selezionatori e
valutatori, ma anche promotori della crescita, della motivazione e della formazione continua.
Norbert Wiener scriveva: “allorché le persone umane sono organizzate nel sistema che le
impiega non secondo le loro piene facoltà di esseri umani responsabili, ma come altrettanti
ingaggi, leve, connessioni, non ha molta importanza il fatto che la loro materia prima sia
costituita da carne e sangue (…); non avremo mai la risposta giusta alle nostre domande a
meno di non porre le domande giuste” (Wiener, 1966).
Il pensiero espresso dall’autore, ritengo sia carico di significato, in quanto non possiamo
esentarci dal credere che reputare gli esseri umani come degli strumenti input-output
comprometta sin dalle basi la relazione fra uomo ed organizzazione.
Le direzioni aziendali si domandano oggi se le risorse umane possano essere un terreno di
investimento e quali possano essere, in tal caso, i ritorni. Si afferma la consapevolezza di dover
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assicurare un contributo reale e visibile alla capacità dell’azienda di competere sul mercato. Tale
consapevolezza trova riscontro in una visione strategica condivisa dal management aziendale.
Da un punto di vista di strategia della funzione Risorse Umane, al fine di trattenere e sviluppare
il capitale umano aziendale, devono essere identificate quattro strade di intervento:
¾ opportunità di sviluppo professionale;
¾ sistema premiante sfidante e competitivo:
¾ ambiente di lavoro facilitante;
¾ cultura aziendale e stili manageriali stimolanti.
Quello che fa la differenza e che caratterizza il successo di un percorso di inserimento
professionale è spesso il bagaglio personale, le skills relative alla sfera del “saper essere” e
quelle relative alle motivazioni, veri e propri motori del cambiamento.
L’espressione “Risorse Umane” è ormai definitivamente decaduta a causa della sua affinità con
il termine Risorsa Economica intesa come elemento di base per la produzione del profitto in
ogni contesto aziendale.
Il termine “Persona”, invece, pone l’individuo non più al centro della realtà organizzativa, ma al
centro di se stesso come consapevolezza di sé all’interno di un determinato contesto.
Il contratto sociale e psicologico che il singolo soggetto può oggi stipulare con qualsiasi
organizzazione è totalmente differente da quello anche di soli pochi anni fa; ciò è dovuto alla
fine del posto di lavoro, agli effetti della globalizzazione e all’incremento della competizione
nel mercato.
In estrema sintesi, tre sono i punti-chiave da cui prende le mosse il presente lavoro di ricerca:
¾ lo scenario competitivo in cui le aziende si muovono in genere è caratterizzato da
crescente complessità e turbolenza;
¾ le aziende in maggior misura esposte a tal genere di situazione ambientale sono quelle
che operano a livello nazionale e multinazionale e sono quelle che stanno rivedendo
intensamente i propri sistemi manageriali;
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¾ i sistemi di valutazione e misurazione delle performance devono essere necessariamente
riconfigurati per non perdere la propria efficacia.
Nel corso della mia analisi, farò riferimento a tre aree che riguardano la gestione delle persone
nelle organizzazioni aziendali:
¾ la formazione, che non deve basarsi solo sui contenuti ma specialmente sui processi
toccando le aree del “sapere”, del “fare” e dell’“essere”;
¾ la motivazione, che stimola la partecipazione attiva dei soggetti;
¾ il clima organizzativo, che si riferisce ai costrutti propri di ogni organizzazione,
investendo dimensioni come la fiducia, il senso di appartenenza, la qualità delle
relazioni umane, lo stile di leadership, ecc.
Queste dimensioni hanno una grande influenza sulle attività lavorative dei dipendenti, poiché le
organizzazioni non sono costituite solo da strutture, tecnologia, leggi, ma sistemi culturali entro
i quali si confrontano idee, progetti, emozioni, tensioni, conflitti.
Date queste ipotesi di lavoro, esso è suddiviso in due parti: la prima pone le basi teoriche per
comprendere a fondo come la valutazione delle prestazioni nelle organizzazioni abbia
incontrato, col trascorrere del tempo, nuove dimensioni di analisi e spunti critici di
osservazione. In seguito sono presentati nuovi modelli di misurazione della performance, da
quelli più conosciuti come il management by objectives, lo Strategic Rewards, a quelli di
recente formazione quale la matrice di rilevazione “quantum performance” insieme ad
importanti contributi sui modelli quantitativi e qualitativi sulla valutazione delle Risorse Umane
nelle organizzazioni.
La seconda parte dimostra i risultati di quanto esposto in una situazione reale che fotografa,
nella realtà aziendale, quali sono i meccanismi e gi strumenti per la valutazione delle
performance a livello individuale. Il caso studio su cui è stata incentrata la mia analisi è quella
di un’organizzazione che ha focalizzato la propria attenzione verso i dipendenti modificando i
sistemi di misurazione e valutazione delle performance in base alle esigenze concrete che si
IX
riscontrano nella vita lavorativa quotidiana. L’azienda in oggetto è la Coca Cola Hellenic
Bottling Company Italia.
Infine, nell’ultimo capitolo saranno presentate le conclusioni delle mie ricerche, tentando di
osservare quello che ci aspetta domani riguardo a questo tema e nel capire se nuovi parametri,
nei prossimi anni, saranno il punto cardine delle future analisi.
Peter Senge, nel suo libro “La quinta disciplina” (1990), nel capitolo intitolato “La vostra
organizzazione è incapace di apprendere?”, pone un interrogativo provocatorio che deve far
riflettere: “Quando è stata l’ultima volta che qualcuno nella vostra organizzazione è stato
ricompensato per aver posto delle domande difficili circa le politiche attuali dell’azienda e non
per aver risolto dei problemi urgenti?”.
La risposta a questa domanda la si deve rinvenire nei sistemi di controllo e ricompensa ed,
eventualmente, ad una loro riorganizzazione. Come sottolinea Vaccani (1987), i modelli
cognitivi che caratterizzano in maggior misura il comportamento degli individui, derivano
principalmente da questi sistemi operativi. I sistemi di ricompensa e controllo costituiscono,
quindi, la variabile aziendale su cui tali fattori possono determinare cambiamenti sostanziali: ciò
che possiamo notare oggi è che la diffusione del management per obiettivi e della valutazione e
del controllo dei risultati ha come primo risultato il premiare risorse le cui performance sono
molto correlate a situazioni favorevoli penalizzando, d’altro canto, individui che, in altre
contingenze, hanno dato il massimo per l’organizzazione in situazioni meno fortunate.
Grandori (1984) propone, pertanto, di pensare alle logiche di controllo e valutazione nell’ottica
della qualità del processo, della metodologia utilizzata, della razionalità seguita.
Motivare la performance è senza dubbio, oggi, il primo e più importante obiettivo di ogni
organizzazione i cui risultati scaturiscono dall’impegno costante e dagli sforzi di ogni suo
partecipante. Dal punto di vista organizzativo, motivare la performance è solo uno dei fini di un
disegno generale per coinvolgere la persona nella vita e nei traguardi posti dall’impresa.
Le imprese, pertanto, necessitano di persone coinvolte adeguatamente motivate a portare a
termine il loro lavoro.
X
In tale visione, quindi, il sistema di ricompensa è utile per diverse motivazioni:
¾ consente il coinvolgimento delle persone agendo su ogni singolo individuo e non a
livello complessivo;
¾ le ricompense forniscono gli strumenti necessari per rispondere alle esigenze e alle
aspettative dell’impresa;
¾ permette di far comprendere a ciascuno la propria importanza all’interno
dell’organizzazione e della stima che questa nutre verso il proprio contributo.
Secondo alcuni studiosi (Vroom, 1964; Fontana, 1989; Lawler, 1994; 1992) la retribuzione è in
grado di agire direttamente su ogni individuo e ne aumenta la motivazione. La questione
principale, allora, è avere chiaro se la persona sia consapevole di cosa effettivamente l’impresa
si aspetta dal proprio lavoro (Locke, 1967; Locke, Bryan e Kendall, 1968).
Il sistema per poter essere motivante ed efficace (Lawler, 1994; Balkin e Gomez-Mejia, 1996)
deve avere una relazione determinata fra ricompensa e raggiungimento di chiari obiettivi di
performance. Il rischio, se ciò non avviene, è quello da parte dell’individuo di non percepire tale
relazione e, quindi, il sistema di ricompensa non avrebbe alcuna influenza sulla motivazione
individuale.
L’argomento da comprendere è che bisogna porre attenzione non alle singole pratiche, ma ai
sistemi di gestione del “capitale umano” cioè a quei sistemi di attività, funzioni e processi che
hanno l’obiettivo di attirare, identificare e sviluppare il personale dell’azienda e a motivarne il
comportamento in linea con gli obiettivi aziendali.
Il nesso esistente fra competenze aziendali e sistemi di gestione del “capitale umano”, inoltre,
possono essere un fattore di sviluppo delle competenze aziendali, ma anche essi si basano su
competenze aziendali ancora più critiche in quanto relativa ad una risorsa, il “capitale umano”,
che più di ogni altra è collegata a questioni di interpretazione e di monitoraggio.
PARTE I
GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
E
PERFORMANCE D’IMPRESA
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE STORICA DELLA
VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI
1.1 Presentazione delle principali scuole del XX secolo
La moderna impresa industriale è frutto di passaggi storici e di studi economico –
sociali che si sono succeduti nel tempo dando ciascuna una propria visione del rapporto fra
risorsa ed organizzazione.
La moderna impresa deve tenere conto della razionalizzazione del processo produttivo mediante
la specializzazione dei compiti e l’ottimizzazione dei tempi di processo, con una organizzazione
flessibile che sia in grado di rispondere in modo tempestivo ed efficace ai bisogni del mercato.
Nell’attuale società non assistiamo più ad una struttura di tipo verticale, ma orizzontale nella
quale essa coinvolge ogni stakeholders nei processi operativi e decisionali dell’azienda grazie ad
una efficace interazione fra il management e le funzioni aziendali.
La figura del lavoratore ha subito, negli ultimi 150 anni, una evoluzione costante che lo ha
portato a divenire in maniera graduale da mero esecutore di compiti rigidi e ben precisi, a
risorsa primaria per lo sviluppo e la crescita dell’intera organizzazione d’impresa. Il lavoratore,
oggi, è inteso come un insieme di abilità, conoscenze ed aspettative che avverte il bisogno di
affermarsi all’interno della società in cui vive e, di conseguenza, di valorizzarsi all’interno del
proprio ambiente di lavoro, tanto che si parla di “individualizzazione della prestazione
lavorativa”, per sottolineare che è proprio quell’individuo, con quelle conoscenze e spinte
interiori a rappresentare il fattore critico e determinante per il successo dell’impresa nel proprio
mercato di riferimento. In ogni contesto aziendale è necessario, però, che vi sia una corretta e
continua determinazione sia della mansione lavorativa, sia del suo monitoraggio.
Per comprendere pienamente l’evoluzione storica della valutazione delle prestazioni, si è reso
necessario operare una scelta, sia in termini quantitativi, che qualitativi, utilizzando come
3
criterio la significatività maggiore dello studio esaminato sia dal punto di vista descrittivo che
esplicativo.
Fra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900, Taylor sviluppò una teoria che aveva il fine di
incrementare l’efficienza dei metodi di produzione ipotizzando un modello di organizzazione
che aveva le sue basi sull’attribuzione di compiti predeterminati e ben circoscritti: all’interno di
un tale sistema, era necessario che il lavoratore svolgesse solamente il compito che gli era stato
assegnato dal suo superiore.
L’applicazione di tale sistema scientifico provocò una mutazione nel rapporto uomo – lavoro,
poiché si crearono nuove mansioni con funzioni ben precisate che discernevano dalla
programmazione e dalla esecuzione. A differenza del campo di azione di Taylor, Henry Fayol
presenta una teoria più completa dell’amministrazione d’impresa. La dottrina tayloristica
registrò il primo punto d’arresto con la psicologia del lavoro che affermava l’inesistenza di un
solo metodo ottimale per giungere agli obiettivi prefissati e si pose l’attenzione sulle capacità
professionali delle singole persone. In particolare, essa aveva l’obiettivo di comprendere se
l’attenzione, una volta spostata sull’individuo, potesse coinvolgere anche le organizzazioni
adattando le loro strutture alle necessità delle persone.
Ma se le imprese devono adeguare i propri modelli ai bisogni delle persone, è necessario capire
come queste possano svolgere la propria attività lavorativa se racchiuse in schemi di
comportamenti predefiniti.
Gli studi di Parsons si muovono in questa direzione in quanto ogni risorsa organizzativa svolge
una prestazione essenziale per il mantenimento dell’intero sistema.
Se ogni persona è fondamentale per il successo di business dell’organizzazione, è basilare che il
suo comportamento sia orientato alla responsabilizzazione e cooperazione per raggiungere i
risultati desiderati. La logica di fondo del Total Quality Management è proprio questa, poiché
esso è un modello di conduzione aziendale che, in seguito ai mutamenti della società, ha spinto
le imprese a modificare sia le loro strategie sia il loro modo di produrre.
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È da comprendere, comunque, perché i comportamenti delle persone, sia all’interno di ogni
ambiente di lavoro sia nella società in generale, non sempre sono i più idonei alle scelte in cui ci
si viene a trovare.
Herbert Simon elabora la teoria della “razionalità limitata” che stravolge le analisi economiche
precedenti, in quanto non si ritiene più che gli individui agiscano sempre in modo ottimale, ma
secondo criteri di razionalità limitata non solo nella sfera prettamente economica, ma anche in
quella sociale.
La mia ricerca non si è voluta fermare solo sulle teorie economiche, ma ha voluto esplorare
nuovi modelli per capire come gli individui si comportano quando sono di fronte a una scelta
importante.
Sul fronte dello studio psicologico della decisione, la teoria che ha avuto la maggiore influenza
è stata senza dubbio la Prospect Theory (Teoria del Prospetto) presentata da Kahneman e
Tversky (1979). Si tratta di un modello il cui obiettivo è quello di rappresentare nella maniera
più efficace il comportamento reale delle persone: essa si fonda sulla osservazione che le
persone sembrano determinare ogni probabile esito di una decisione sulla base di un punto di
riferimento, come può essere, per esempio, la loro situazione al momento in cui è assunta la
decisione.
Infine, sarà analizzata la visione di fondo dello Human Resource Management, termine che
sostituisce a metà degli anni ottanta quello di Personnel Management. Le attività praticate dal
Human Resource Management non solo devono essere connesse solo con gli obiettivi di
business d’impresa, ma devono possedere anche una loro logicità interna. Esso è inerente
all’organizzazione e alla divisone dell’attività lavorativa e alle scelte sul reclutamento, la
programmazione e la gestione delle persone.
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1.2 La valutazione delle prestazioni: ieri e oggi
1.2.1 La scuola scientifica
Nei maggiori Paesi industrializzati tra la fine del secolo scorso e l’inizio del novecento,
lo “Scientific Management” trae la sua origine dalla necessità di migliorare l’efficienza
aziendale, cioè di ridurre i costi di produzione.
In genere, per “Scientific Management” si recepisce un movimento di pensiero iniziato da
Frederick Taylor (1856-1915), il quale è costruito sulla profonda esperienza pratica elaborata
nel lavoro di officina più che sul controllo empirico di date ipotesi. La nascita della direzione
moderna del processo lavorativo avviene negli Stati Uniti agli inizi del novecento, si sviluppa e
si consolida nei due decenni successivi, affermandosi durante la prima guerra mondiale.
Verso la fine del secolo scorso, a far nascere lo scientific management, contribuirono quattro
diverse correnti storiche.
La prima fu lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, con le sue caratteristiche di
accumulazione e di efficienza concorrenziale, quindi il necessario ottenimento di elevati margini
di profitto e la tendenziale egemonia dei propri prodotti sul mercato per le imprese.
La seconda fu la fondazione delle grandi società industriali integrate che avevano sotto il
proprio controllo l’intero processo produttivo, che si potevano avvantaggiare delle economie di
scala per ammortizzare i costi dei notevoli investimenti tecnologici.
La terza si presentò in seguito all’integrarsi delle prime due componenti e fu il “fattore umano”,
cioè l’urgenza di dare motivazioni ai dipendenti in seguito al rischio compreso di una
inefficienza produttiva.
La quarta fu la continua ascesa di ingegneri con una formazione scientifica verso cariche
aziendali direttive, soprattutto nelle industrie a basi scientifiche e altamente meccanizzate.
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Frederick Winslow Taylor fu un ingegnere industriale statunitense, iniziatore della
ricerca sui metodi per il miglioramento dell'efficienza nella produzione. I primi studi sulla
riorganizzazione dell'organizzazione della produzione furono condotti da Taylor presso la
"Midvale Steel Company" nel 1883 e presso la "Bethlehem Steel", impresa che dovette
abbandonare nel 1901 per le cattive relazioni venutesi a creare con il resto del corpo dirigente.
Al termine di questa esperienza egli scrisse il suo primo libro "Shop Management", che ebbe un
discreto successo e che fece di lui il massimo esperto statunitense di direzione di stabilimento.
Nell’opera The Principles of Scientific Management (Frederick Winslow Taylor, 1947), Taylor
individuava chiaramente il punto debole dell'industria americana del primo 900: non le
macchine, tecnicamente idonee al lavoro in serie, ma il lavoro e la sua organizzazione.
Taylor, attraverso la teoria della divisione del lavoro in tante fasi del ciclo produttivo, ha
proposto una nuova organizzazione del lavoro in cui ogni piccola fase del processo produttivo
fosse affidata ad un operaio o ad una squadra.
Egli ha chiamato tale sistema di produzione one best way, il modo migliore di produzione,
perché basato su un’organizzazione scientifica del lavoro. Il risultato migliore si ottiene
attraverso la parcellizzazione, la specializzazione dell’operaio e la produzione deve essere
massimizzata. L’alta produttività è uguale alla quantità di produzione nell’unità di tempo; essa
deve essere alta il più possibile per abbassare i costi. Il sistema tayloristico porta alla
sostituzione dell’operaio qualificato con l’operaio-massa.
Tale organizzazione scientifica del lavoro, eliminando ogni dispersione di tempo ed imponendo
all’operaio l’esecuzione rigorosa e automatica del lavoro comporta un’alienazione dell’operaio
rispetto al proprio lavoro; con il termine alienazione intendiamo il rapporto di estraneità tra gli
oggetti e l’operaio che li produce poiché l’operaio non è mai proprietario, in nessuna delle fasi
del ciclo produttivo, di ciò che produce.
Da tale scuola si evince che:
¾ l’obiettivo principale dell’impresa è il raggiungimento del massimo benessere
dell’imprenditore e del lavoratore che non hanno interessi antagonistici;
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¾ per massimizzare il benessere è fondamentale il miglioramento dei rendimenti dei
lavoratori;
¾ il sistema tradizionale di organizzazione del lavoro si basa sull’iniziativa personale e
sull’esperienza dei lavoratori, con lo stimolo di un incentivo monetario (sistema
dell’“iniziativa e dell’incentivo”);
¾ per oltrepassare le inefficienze di tale metodo bisogna adottare un rigoroso sistema
“scientifico” che poggia le sue fondamenta nello studio rigoroso dei tempi e dei metodi
di lavoro da parte della direzione nella persuasione che esista per ogni attività un
metodo “ottimo” di organizzazione (“one best way”);
¾ è necessario, quindi, distinguere il lavoro di studio e di programmazione da quello di
esecuzione affidando le conseguenti mansioni a lavoratori differenti;
¾ i salari devono essere proporzionati ai rendimenti ottenuti con adeguati modelli di
incentivazione;
¾ lo schema organizzativo più idoneo per il corretto funzionamento del sistema non è più
l’ordinamento gerarchico, ma quello funzionale in quanto il lavoro direttivo di fabbrica
è suddiviso fra un certo numero di persone di cui alcune sono assegnate alla
programmazione ed altre all’istruzione e alla guida degli operai.
Henry Fayol (1841-1925) progetta una teoria più generale dell’amministrazione d’impresa a
differenza di Taylor che si occupa per la maggior parte del lavoro di officina.
I maggiori spunti critici rintracciabili nella sua teoria, possono essere così schematizzati:
¾ tutte le operazioni che si svolgono all’interno di qualsivoglia impresa possono essere
suddivise nei seguenti gruppi: funzioni tecniche (produzione), funzioni commerciali,
funzioni di sicurezza (protezione dei beni e delle persone), funzioni finanziarie (ricerca
e gestione dei capitali), funzioni contabili, funzioni direttive (programmazione,
organizzazione, comando, controllo…);
¾ la funzione più rilevante è quella direttiva e la capacità direttive sono essenziali ai livelli
superiori della gerarchia. Quindi, sono fondamentali qualità specialistiche sempre
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minori o qualità direttive sempre maggiori man mano che si passa dai livelli inferiori a
quelli superiori della scala gerarchica;
¾ la capacità direttiva dei capi è tanto più indispensabile quanto più grandi sono le
dimensioni aziendali;
¾ la funzione di direzione si basa su determinati principi: ripartizione del lavoro, autorità e
responsabilità, disciplina, unità di comando e di direzione, subordinazione degli
interessi particolari all’interesse generale, gerarchia, equità, stabilità del personale,
iniziativa, coesione del personale;
¾ la funzione di direzione si esplica nelle seguenti attività: programmazione,
organizzazione, comando, coordinamento, controllo.
Tra gli altri punti cardine della teoria di Fayol possiamo rintracciare la superiorità
dell’ordinamento gerarchico più che quello funzionale proposto da Taylor che può mettere in
crisi il principio dell’unità di comando.
Fayol ammette che non esistono capi in possesso di tutte le conoscenze fondamentali per
dirigere un’impresa e, pertanto, suggerisce di ricorrere ad organi di “stato maggiore”, cioè di
staff affinché si aiuti il capo nel lavoro corrente, vi sia una corretta programmazione e
coordinamento e per l’ausilio in studi e ricerche.
Gli studi di Taylor, Fayol e numerosi altri autori della corrente classica degli studi
organizzativi (Mooney, Gulick, Davis, Urwick, ecc.) modellano una teoria alquanto omogenea, i
cui presupposti fondamentali, al di là delle posizioni individuali di determinati studiosi,
verranno ora esaminati sotto un profilo più sistematico.
Come esaminato in precedenza, i contributi degli autori classici provengono dalla loro
esperienza maturata direttamente sul luogo di lavoro e, soprattutto, nelle imprese industriali e
del settore meccanico. Ci riferiamo ad aziende governate come sistemi chiusi nei confronti
dell’ambiente esterno con processi non ancora automatizzati, con prevalenza di manodopera
poco qualificata e poco sindacalizzata, con una marcata supremazia della produzione sulle altre
funzioni aziendali.
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In tale quadro ambientale, la teoria classica predispone una serie di principi al fine di definire la
struttura organizzativa, tra cui:
¾ specializzazione del lavoro intesa come sinonimo di “parcellizzazione dei compiti”;
¾ coordinamento del lavoro costruito sui principi dell’ordinamento gerarchico.
La parcellizzazione è riferita alle mansioni esecutive di livello più basso e vuol significare
individuazione ed assegnazione di compiti elementari destinati a ripetersi per lunghi periodi di
tempo in modo tale da restringere i tempi di apprendimento dei lavoratori ed incrementare
l’idoneità nella realizzazione dei compiti, quindi, col fine di aumentare la produttività del
lavoro.
Alla base della maggior parte delle strutture organizzative possiamo sottolineare la presenza
dell’ordinamento gerarchico che è costituito da determinati principi:
¾ principio scalare o gerarchico;
¾ principio dell’ampiezza del controllo;
¾ principio dell’unità di comando;
¾ principio dell’eccezione;
¾ principio del bilanciamento fra autorità e responsabilità.
Il principio scalare sta a indicare che l’autorità e la responsabilità devono essere
corrispondenti alle posizioni occupate dai lavoratori nella scala gerarchica, cioè vi devono
essere una scala di posizioni fatta di superiori e di subordinati ed ogni informazione non deve
saltare i livelli intermedi. Il limite è che il passaggio per ogni livello della scala gerarchica può
gravare il flusso delle informazioni e limitare l’efficienza dell’organizzazione, per cui si
consiglia di ridurre il numero dei livelli gerarchici in base alle dimensioni dell’impresa.
Un principio correlato al problema del numero dei livelli gerarchici è quello dell’ampiezza
del controllo che vuole simboleggiare la necessità di limitare il numero dei subordinati soggetti
all’autorità di uno stesso capo, poiché quest’ultimo avrebbe notevole difficoltà nel controllarli
tutti non avendo il tempo occorrente per assumere in maniera ragionevole i provvedimenti che
gli spettano.