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sia la politica, che la pubblica amministrazione e il “Pacchetto Treu”,
nato dalla concertazione tra governo, imprese e sindacati, che riforma
e rimodella altre norme per la promozione dell’occupazione, oltre che
introdurre il lavoro interinale, sembra essere l’arma giusta.
La tesi sviluppa tre momenti distinti. Una prima parte dedicata al
lavoro in generale. E’ necessario, infatti, analizzare com’è cambiato il
suo significato dall’antichità ad oggi, vedere tutte le trasformazioni
che ha subito e che ci hanno direttamente coinvolto, fino ad arrivare a
dire, come dice De Masi, che ci sarà uno sviluppo senza lavoro. Ci
siamo soffermati, quindi, sulla patologia del lavoro: la
disoccupazione. L’abbiamo vista attraverso gli studi su di essa e le sue
cause, fino ad arrivare alla situazione italiana, che ci porta al secondo
momento della tesi: come il governo italiano risponde a
quest’importante problema.
Si è, quindi, cercato di ricostruire l’evoluzione delle politiche del
lavoro dagli inizi del secolo fino ad oggi, cercando di dare una
valutazione, cosa sicuramente non facile, per arrivare a parlare
dell’importante riforma del mercato del lavoro attuata con il
“Pacchetto Treu” e, nello specifico, con l’introduzione del lavoro
interinale. Si è tentato di spiegare come funziona, chi interessa, e,
infine, si è cercato di fare un bilancio di questi primi due anni di
interinale in Italia, cercando di capire l’impatto che ha avuto nel
sistema occupazionale italiano.
L’ultimo momento della tesi fa riferimento ad una ricerca empirica
da me condotta sull’impatto del lavoro interinale nel territorio
legnaghese.
Contattate le Società di fornitura di lavoro temporaneo presenti nel
territorio e individuate quattro aziende disponibili, si è cercato di
capire, per le agenzie, com’è il bilancio di un anno di lavoro interinale
6
in un territorio di provincia, anche se abbastanza sviluppato, come
quello legnaghese. Mentre per le aziende si è principalmente cercato
di comprendere l’opinione che hanno dell’interinale, le luci e le ombre
di questa nuova tipologia di lavoro a tre.
Ho riportato come “Allegati” la scaletta delle interviste e il testo
registrato delle stesse.
7
Capitolo 1
IL LAVORO: COS’E’ STATO, COME CAMBIA E
DOVE VA
1.1 IL SIGNIFICATO DI LAVORO DALL’ANTICHITA’ AD OGGI
Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte
intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici
agli agricoltori del Neolitico, all’artigiano medievale, all’addetto alla
catena di montaggio dell’età contemporanea, il lavoro è stato una
parte integrante della vita quotidiana. Nelle società moderne è normale
che gli individui abbiano una grande varietà di occupazioni diverse,
anche se non è sempre stato così, non sempre il “lavoro”, infatti, ha
avuto valenza positiva.
Per Aristotele, ad esempio, dignità incomparabile aveva la vita
dello spirito, il lavoro era un’attività meramente strumentale, solo il
sapere filosofico era degno di rispetto. Allo stesso modo i romani e
Cicerone vagheggiavano l’otium e davano carattere negativo al
negotium, la vita attiva, considerandola un’interruzione fastidiosa del
raccolto isolamento tra agi signorili e dotte conversazioni
accademiche. Una nuova dignità al lavoro la dà col passare del tempo
San Tommaso d’Aquino, il quale distingue nel lavoro quattro finalità:
la prima è quella di procurarsi il sostentamento; la seconda eliminare
l’ozio, matrice di molte perversioni; la terza macerare il corpo con la
fatica frenando la concupiscenza; l’ultima guadagnare un di più che
consenta di fare elemosina. Nel Quodlibet aveva poi meglio precisato
che il lavoro è necessario e imposto dal dovere sociale, ma chi ha di
8
che vivere non è obbligato al lavoro manuale, il quale non perde,
comunque, valore di fronte ai lavori intellettuali. Un’affermazione
ancora più forte della rispettabilità del lavoro, si ha durante la
rivoluzione francese. La rivoluzione vera non fu l’abbattimento
dell’ancien régime e la conquista di diritti politici, bensì la proclamata
dignità del lavoro, quale apporto positivo, doveroso e nobilitante alla
personalità di ogni singolo cittadino e al bene comune (Firpo, 1991
pp. 6-22).
In passato quindi le diverse attività lavorative, dalla falegnameria
alla produzione di cibo, occupavano a tempo pieno soltanto una
minoranza della popolazione. Il lavoro era inteso come un’attività
intenzionalmente diretta, mediante un certo dispendio di tempo e di
energia, a modificare in un determinato modo le proprietà di una
qualsiasi risorsa materiale o simbolica onde accrescerne l’utilità per sé
o per altri, col fine ultimo di trarre da ciò, in via mediata o immediata,
dei mezzi di sussistenza (Gallino, 1978 pag. 391).
Non possiamo negare che anche oggi il lavoro sia così concepito,
ma nell’era industriale questo termine assume un significato ed
un’importanza particolare. Per lavoro non si intendono genericamente
tutte le attività faticose e utili, ma soltanto quelle che comportano un
reddito monetario, si identifica il lavoro con l’occupazione dipendente
che genera salari o stipendi. Si ritiene, quindi, che il lavoro costituisca
la fonte principale dell’identità sociale, gli individui occupano
nell’organizzazione della società ranghi differenti a seconda delle
attività che svolgono per ottenere un reddito. La regola dell’identità
socio-lavorativa è ritenuta talmente potente da estendersi
indirettamente: chi non ha reddito si riferisce all’identità sociale della
persona che lo mantiene, per esempio nei nuclei familiari la figura più
rappresentativa a livello lavorativo è ritenuta il padre.
9
La visione moderna del lavoro riflette due diversi ordini di
trasformazioni sociali: cambiamenti nelle reali condizioni di vita
dovuti allo sviluppo industriale; ma anche una rivoluzione ideologica
che, attraverso il dominio del paradigma del mercato, ha
sistematicamente oscurato l’importanza economica di molte attività
che hanno registrato significativi cambiamenti proprio all’interno
della storia delle società industriali (Mingione, 1997 pag. 153).
Giddens (1994), nei suoi studi sul lavoro ha individuato sei
caratteristiche del lavoro retribuito:
1. Il denaro: un salario o uno stipendio è la risorsa principale da cui
la maggior parte degli individui dipende per soddisfare le proprie
necessità.
2. Il livello di attività: un’occupazione fornisce spesso una base per
l’acquisizione e l’esercizio di determinate competenze e capacità.
In mancanza di lavoro possono ridursi queste competenze e
capacità.
3. La varietà: il lavoro garantisce l’accesso ad ambiti di vita che si
discostano da quello domestico. Nell’ambiente di lavoro gli
individui possono apprezzare lo svolgimento di attività diverse
rispetto a quelle casalinghe.
4. La struttura temporale: è organizzata in base al ritmo di lavoro,
questo può essere a volte oppressivo, ma fornisce d’altra parte un
orientamento per le attività quotidiane.
5. I contatti sociali: l’ambiente di lavoro offre l’opportunità di
stringere amicizie e di condividere con altri una serie di attività.
6. L’identità personale: il lavoro viene di norma apprezzato per il
senso di stabile identità sociale che offre, specialmente per gli
uomini la stima di sé è spesso legata al contributo economico dato
al mantenimento della famiglia (Giddens, 1994 pag. 437).
10
Possiamo quindi dire che oggi tempo e denaro sono diventati
parametri discriminanti per tutti e hanno soppiantato la tradizionale
tirannia della natura con i suoi ritmi lenti, le sue leggi climatiche e le
sue calamità.
La realtà del lavoro va quindi capita in termini integrali, tenendo
conto delle interazioni e tensioni con le aree oscurate che hanno
accompagnato i diversi regimi storici e locali del lavoro. Per regime
lavorativo si intende, quindi, un insieme coerente e duraturo di regole
di vita sociale che consente di mobilitare le energie lavorative in
forme tipiche. Perciò per poter leggere un numero elevato di possibili
combinazioni storiche e locali servono dei modelli teorici. Una
classificazione analitica preliminare delle possibili attività umane che
contribuiscono alla sopravvivenza e al tenore di vita nell’ambito di
convivenze così come sono variamente strutturate e organizzate in
tempi e località diversi e presso gruppi sociali differenti può essere
quella descritta nella tabella 1. Questa tabella parte dalla divisione tra
attività formali, informali e domestiche, proposta da Gershuny e Pahl
(1979) che è stata ulteriormente disaggregata da Mingione, per
mettere meglio a fuoco i diversi significati delle attività lavorative.
Il lavoro formale è interamente trasparente in termini di condizioni
di impiego e di reddito; è legato alla formalità del lavoro e si è
sviluppato contestualmente alla crescita della sua regolazione,
1
TABELLA 1
Formale Informale
Informale Illegale Non
regolamentato
Monetario Non
monetario
Pubblico Privato
I II III IV V VI VII VIII
Attività Attività miste Attività che Attività Attività Attività non Auto- Lavoro
formali
pure
formali/ eludono la criminali retribuite per retribuite di produzione domestico
informali legislazione transazioni reciprocità o (all'interno "normale"
fiscale, non volontarie del nucleo
previdenziale regolamentate familiare)
o sul lavoro
ESEMPI
Tutte le Attività Secondo la- Furto Baratto; Lavoro Orti per Pulizia;
attività formali che voro (in ne- traffico lavaggio auto basato su l'autocon- cura dei
produttive contengono ro); assun- di droga da parte di rapporti di sumo; atti- figli;
realizzate elementi zione senza frode bambini reciprocità; vità fai-da- preparazio-
nel rispetto informali: ad contratto; aiuto di vici- te ne dei
delle rego- es.
retribuzio-
autoccupa- nato; vari ti- pasti
lamentazio- ni
parzialmen-
zione pi di lavoro
ni esistenti te "in nero" informale volontario o
sociale
(Mingione, 1997 pag. 160)
1
regolazione che lo rende costoso. La regolazione è meno efficace per
il lavoro autonomo e nelle piccole imprese dove i controlli risultano
difficili sia per quanto riguarda il reddito prodotto sia per quanto
riguarda le condizioni di lavoro. Lo scarto di efficacia lavorativo è
più netto dove sono più numerosi i lavoratori autonomi o le piccole
imprese, ma se la produttività ufficiale è molto alta, questa riesce a
tenere sotto controllo il proliferare delle forme non ufficiali più di
quanto non riescano gli apparati repressivi e fiscali degli stati
nazionali.
Le attività criminali vanno distinte dalle altre forme di lavoro
perché sono molto eterogenee e producono redditi particolarmente
stratificati; sono però importanti da valutare perché hanno seguito la
crescita dell’economia. Il quinto tipo di attività lavorativa fa già parte
del quadro delle economie complementari di sussistenza, dove più che
la consistenza monetaria entrano in gioco le strategie familiari, come
per le strategie non monetarie alla destra della tabella.
Le differenti combinazioni influenzano il livello di vita e il costo e
la qualità di riproduzione di diversi tipi di capacità lavorativa che poi
si riflettono in differenti potenzialità lavorative strutturate e rigenerate
nei contesti sociali. Perciò l’attenzione degli economisti si concentra
principalmente sul costo del lavoro che simbolicamente va a costituire
la capacità di spesa monetaria per beni di consumo di massa, e di qui
sono costruite tutte le connessioni del ciclo economico (Mingione,
1997 pag. 162).
“L’economia”, dice Luhmann (1980 pag. 240), “non segue la logica
intrinseca dei bisogni, sono i bisogni a seguire una logica intrinseca
all’economia”. La visione economica è, infatti, una visione limitata,
perché si fonda sull’idea che il mercato del lavoro sia il mercato di
una merce qualsiasi. Invece il lavoro è parte del più generale processo
2
di riproduzione della società. Non ne è il centro, né il luogo da cui
venga propagata una qualche spinta originaria, bensì è uno dei
momenti che, tra gli altri, contribuiscono a questo processo. Il lavoro
non coincide con il sistema economico: in primo luogo perché la
nascita e lo sviluppo di un sistema economico che si definisce come
categoria separata e autonoma dal resto della società è l’esito di uno
specifico percorso storico e non un dato universale, mentre il processo
di riproduzione sociale è un momento indispensabile alla
sopravvivenza di qualsiasi società. Poi il processo di riproduzione va
al di là di quella particolare sfera dell’agire sociale che è il sistema
economico, costituendone semmai un presupposto indispensabile,
essendo al tempo stesso ciò che rende possibile e ciò che legittima la
forma dell’agire in esso pertinente.
Da ciò deriva che il lavoro, a sua volta, - inteso sia come l’attività
specifica dei singoli individui, sia come il complesso prodotto
risultante dal coordinamento e dalla regolazione dell’insieme di tali
attività – non può essere compreso esclusivamente come l’esito finale,
meccanico, di una sorta di “percorso obbligato”, i cui vincoli
sarebbero individuabili, una volta per sempre, nell’interesse, e
nell’universalità di bisogni e domande sostanzialmente riconducibili
alle esigenze materiali di esseri fisiologicamente simili (Borghi,
1995).
Questo è ancor più evidente nel momento in cui, da più parti, è
stato messo in luce come il sistema economico stesso, in generale, sia
embedded (Granovetter, 1992) (embeddedness dell’agire economico,
cioè il suo radicamento nel sistema sociale, nelle pratiche sociali e nel
sistema relazionale), e come, più in particolare, anche quando il lavoro
viene pensato come merce, vale a dire come qualcosa che può essere
3
astrattamente e omogeneamente simbolizzato da un prezzo, esso
rimane comunque una merce anomala, differente dalle altre.
1.2 IL MERCATO DEL LAVORO
Una merce, di qualsiasi merce si tratti, viene scambiata in un
mercato. Il concetto di scambio e quello di mercato hanno una lunga
storia in sociologia.
La metafora dello scambio, in forza della sua astrattezza, si presta,
in effetti, ad un uso flessibile, come una sorta di meta-regola del
comportamento sociale. Applicata al lavoro, la categoria dello
scambio può essere assunta, genericamente, come transazione “forza-
lavoro/remunerazione”. Dietro questa definizione ci sono molti nodi
da sciogliere: il termine remunerazione, infatti, farebbe coincidere la
contropartita dell’erogazione di forza lavoro esclusivamente con il suo
pagamento in denaro, mentre in questo polo dello scambio dovrebbe
essere descritto ciò che consente alla forza lavoro di essere riprodotta.
E se sicuramente l’aspetto monetario ha un ruolo centrale nella
determinazione della natura e del significato dello scambio, è anche
vero che ciò che consente alla forza lavoro di riprodursi, oltre al
denaro, è un insieme di altre condizioni, di istituzioni sociali,
l’accesso alle quali è direttamente o indirettamente correlata alla
partecipazione allo scambio stesso. Quindi pare corretto parlare del
lavoro, in quanto scambio, come fatto sociale totale, come di un agire,
cioè, che eccede la dimensione economica (Borghi, 1995 pag. 109).
Anche il “mercato esiste solo in quanto è condizionato da diverse
combinazioni specifiche di socialità e il suo impatto è mediato dalla
ricostruzione dei legami di cooperazione e organizzazione da parte
delle istituzioni sociali” (Mingione, 1997 pag. 25). Applicato, perciò,
4
al concetto di lavoro, il mercato viene comunemente ad indicare “i
meccanismi che regolano l’incontro tra i posti di lavoro vacanti e le
persone in cerca di occupazione e che determinano i salari pagati dalle
imprese ai lavoratori” (Reyneri, 1996 pag. 18). Questa interpretazione
si fonda sull’assunto che la popolazione adulta non abbia altra
alternativa per sopravvivere se non quella di trovarsi un lavoro
dipendente. Questo è perlomeno fantasioso, vi sono molte alternative
al lavoro salariato come i lavori autonomi, le attività domestiche, le
attività di self-provisioning, che contribuiscono a differenziare il
mercato del lavoro. Mercato che, quindi, “esiste solo in contesti
complessi caratterizzati dalla divisione e dalla molteplicità delle
alternative lavorative e tutto quello che non è immediatamente offerta
di lavoro ha un’influenza non trascurabile sui meccanismi del
mercato” (Mingione 1997 pag. 165).
1.2.1 I diversi approcci
Nello studio del mercato del lavoro alla consueta presenza degli
economisti si è ormai aggiunta quella dei sociologi. Forti di una teoria
più elaborata sul piano formale e di metodi quantitativi più raffinati,
gli economisti tendono ad ignorare il lavoro dei sociologi; mentre i
sociologi polemizzano con gli economisti accusandoli di fondarsi su
ipotesi non realiste o di concentrarsi su problemi secondari. Gli
economisti pongono maggiore attenzione ai rapporti del mercato del
lavoro con gli altri mercati e la domanda, mentre i sociologi
preferiscono affrontare quelli con il sistema sociale e politico e
l’offerta di lavoro.
5
Secondo England e Farkas
1
gli assunti dell’analisi economica
neoclassica del mercato del lavoro sono cinque:
a) Il comportamento degli individui deriva da scelte razionali dirette
a conseguire la massima utilità.
b) Ciò che si mira a massimizzare è essenzialmente il guadagno
pecuniario.
c) Le preferenze sono esogene ai modelli interpretativi e le loro
variazioni o possono essere ignorate perché limitate o vanno
studiate da un’altra disciplina. Questa visione nega che su tali
preferenze possano influire le culture di gruppo, le reti di
comunicazioni e relazioni sociali e le strutture di potere nelle
istituzioni economiche.
d) Il mercato del lavoro è concorrenziale, perché vi sono molti
compratori e venditori, e in equilibrio, perché il prezzo svolge la
funzione di uguagliare domanda e offerta.
e) Le relazioni di scambio avvengono su un piano di parità, perché
non esistono differenze di potere tra lavoratori e datori di lavoro.
A questa stilizzazione del mainstream dell’economia del lavoro
England e Farkas contrappongono il punto di vista della sociologia,
che è meno compatto per la consueta mancanza di un paradigma
dominante. Alcuni assunti sono però condivisi:
a) Il rifiuto della visione dell’uomo come ottimizzatore atomistico.
L’analisi sociologica del mercato del lavoro pone l’accento sulla
struttura dei gruppi nella società, perché ogni individuo agisce in
un contesto in cui le posizioni lavorative, gli interessi materiali, i
valori culturali e le reti personali creano situazioni di
1
La citazione è tratta da Reyneri op.cit. pag.14 e riguarda Farkas G. e England P. (a cura
di) Industries, firms and jobs.Sociological and economic approaches, New York-London,
Plenum Press, 1988
6
contrapposizione tra gruppi solidali. Inoltre la collocazione di un
individuo nella struttura sociale ha profonde implicazioni sulle sue
preferenze e sulle sue strategie di azione, in aperto contrasto con
l’assunto di preferenze esogene ai processi economici.
b) I sociologi studiano i legami esistenti tra tutti i settori della società
e quindi vedono il mercato del lavoro come una parte della più
vasta società, con le sue disuguaglianze e i suoi rapporti di potere.
c) Infine la sociologia non può che negare la possibilità di ridurre
l’azione umana soltanto a motivazioni pecuniarie, anche quando
sono in gioco essenzialmente questioni economiche come nel
mercato del lavoro.
“Pur condividendo questi tre assunti, gli approcci microsociologici,
minoritari in Europa, ma non negli Stati Uniti, sono più vicini a quelli
propri degli economisti, poiché ne accettano sia l’individualismo
metodologico, sia l’enfasi sulla razionalità delle azioni. Tuttavia la
teoria sociologica delle scambio ammette non soltanto il confronto tra
le utilità personali e quindi le differenze di potere, ma anche la
possibilità che la razionalità non sia sempre presente, poiché
preferenze e costumi possono persistere a situazione mutata”
(Reyneri, 1996 pag. 16).
Ad esempio secondo l’interazionismo simbolico sono gli individui
che creano e negoziano simboli e definizioni della situazione, che
portano a stabilire ruoli sociali e visioni culturali. Perciò gli attori non
rispondono passivamente ai ruoli imposti loro dalla struttura sociale o
dalla tradizione culturale, ma piuttosto contribuiscono a definirli e a
creare gli stili di vita, le identità e le lealtà di gruppo che
accompagnano le diverse posizioni sociali. In questo caso il mercato
del lavoro può essere visto come costruzione sociale, per cui
7
lavoratori e imprese costruiscono in termini cognitivi l’ambiente in cui
operano.
A quest’approccio micro si contrappone appunto la
macrosociologia di impronta durkheimiana, quindi secondo il modello
sociologico dei vincoli sociali nel mercato del lavoro l’individuo non
sceglie liberamente, ma i suoi comportamenti sono determinati dai
sistemi di posizioni e di rapporti economici e sociali in cui è inserito.
La versione meno deterministica che sembra gettare un ponte verso
la microsociologia, è quella di Granovetter (1992 pag. 233). La sua
teoria dell’inserimento (embeddedness) dei comportamenti individuali
in reti di relazioni interpersonali, che condizionano preferenze, lealtà e
risorse dei soggetti, è compatibile con una visione non atomistica
dell’individualismo metodologico. Nella sua teoria assume peso
notevole la successione storica degli avvenimenti: il modo in cui il
passato influenza i processi decisionali è cruciale nella nuova
sociologia economica.
Rientrano nel solco dello strutturalismo olistico due opposte
accezioni della visione determinista dei comportamenti sociali, quella
culturalista e quella economicista. Secondo l’approccio culturalista un
individuo non sceglie, ma è sospinto a compiere certe azioni dai valori
o dalle norme della cultura del gruppo sociale a cui appartiene o con il
quale si identifica. Vi appartengono le teorie del conflitto e della
riproduzione sociale, che attribuiscono alle classi dominanti il potere
di imporre a quelle dominate una “falsa coscienza” che tende a
legittimare gli squilibri esistenti nella distribuzione delle risorse
economiche e lavorative. I processi di socializzazione diventano
essenziali per comprendere comportamenti e percorsi nel mercato del
lavoro.