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Introduzione
Il lavoro, oggetto di questa tesi, nasce e prende corpo dalla mia gratitudine
alla vita per avermi insegnato ad affrontare le difficoltà via via incontrate,
per essere stata capace di ristrutturarle e vederle come sfide.
Questa consapevolezza nasce dalle esperienza vissuta fin da piccola con
uno zio paterno,ormai novantenne, disabile grave dall’età di tre anni, che
coabita con i miei genitori fin dal loro matrimonio, che mi ha aiutato a
trovare un ordine interno , rassicurante, facendomi sentire meno “sperduta”
nell’apprezzare la sofferenza, in quanto propria dell’essere umano. È un po’
come se avessi capitalizzato il dolore e trasformato in occasione di crescita,
grazie ai modelli genitoriali ricevuti che hanno incluso lo zio nel contesto
familiare al pari degli altri membri, con pari dignità ed opportunità,
facendomi interiorizzare che i suoi bisogni sono prevalenti e prioritari
perché dotato di minori capacità funzionali e di partecipazione sociale.
Per fortuna vivere è difficile , e questo mi ha reso determinata nel mettermi
in gioco con il massimo impegno a partire dalla mia esperienza lavorativa.
Questo lavoro vuole affrontare le molteplici difficoltà che le persone affette
da disabilità, in modo particolare quella psichica, incontrano durante la
propria vita e ho dato priorità alla dimensione del lavoro come uno degli
ambiti maggiormente favorenti la propria autorealizzazione.
Nel primo capitolo analizzo il passaggio dal sistema di welfare fordista a
quello della globalizzazione con la conseguente ricaduta sulle politiche
sociali dalla cui attuazione conseguono le risposte differenziate ai bisogni
della popolazione e l’eventuale riconoscimento del diritto di cittadinanza
proprio di ogni individuo. In particolare si analizza il mondo del lavoro che
ha subito una forte ristrutturazione dove la parola chiave è diventata la
flessibilità, portando con sé precarietà e disoccupazione. Compaiono nuovi
rischi sociali con la conseguente “destrutturazione delle biografie
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lavorative” (1), e quindi l’area della disuguaglianza sociale si sposta a quella
della vulnerabilità e dell’esclusione sociale.
Segue quindi un’analisi delle normative utili all’implementazione delle
politiche attive del lavoro in Europa, in particolare a quelle riguardanti
l’inclusione sociale per favorire l’inserimento al lavoro di coloro che hanno
maggiori fragilità. Si entra poi nel merito della ricaduta a livello sub-
nazionale, in Italia e conseguentemente a livello regionale, nelle Marche
entrando nel merito del suo livello di governance.
Il secondo capitolo entra nel merito della multidimensionalità
dell’esclusione sociale attraverso la descrizione della sua complessità che
rende l’individuo sempre più immerso in una società caratterizzata
dall’incertezza e dal rischio, in cui la mancanza di un lavoro o la perdita
dello stesso rappresenta il primo fattore di rischio di marginalizzazione ed
esclusione.
Segue poi un’analisi delle politiche che promuovono l’inclusione sociale,
rivolte al benessere delle persone, nei loro contesti di vita, all’interno di una
logica di rete, concertata e comunitaria. Infine viene trattato il concetto di
empowerment come strumento per dare capacitazioni alle persone, con
riferimento all’uso dell’ICF come nuovo paradigma di valutazione della
disabilità.
Il terzo capitolo prende in esame la strategia dell’empowerment per favorire
un percorso di inserimento lavorativo nelle politiche che includano
socialmente le persone con disabilità, in modo particolare quella psichica.
Vengono inoltre riportati e commentati i dati statistici di una ricerca
commissionata dal Ministero della Salute, relativi agli inserimenti lavorativi
delle persone in cura ai Dipartimenti di Salute Mentale della Regione
Marche negli anni 2006-2007 e 2008 al fine di evidenziarne le criticità e per
concludere poi con un approfondimento delle ragioni antropologiche e
sociali che contribuiscono al difficile superamento dello stigma verso coloro
che hanno una sofferenza psichica.
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Il quarto capitolo analizza le buone pratiche operative nella rete dei servizi
del territorio marchigiano che si occupano d’ inserimento lavorativo a
partire dalle linee guida che la stessa Regione ha normato nel 2008 per
favorire l’integrazione sociale attraverso la partecipazione al lavoro delle
persone con disabilità, con particolare riferimento alla metodologia proposta
con successivo corso di formazione rivolto a tutti gli operatori sociali e
sanitari coinvolti nel sistema di rete per l’integrazione lavorativa, in cui la
scrivente ha prestato attività di docenza, Si descrive infine un modello di
inserimento al lavoro delle persone con disabilità psichica in cura al
Dipartimento di Salute Mentale dell’Area Vasta n. 2 di Senigallia che si
avvale della metodologia di cui sopra e che supera le logiche
assistenzialistiche e favorisce l’ingresso nel mercato del lavoro competitivo
di lavoratori.
Infine nel quinto capitolo, dopo un’analisi comparata con i Servizi di Salute
Mentale della Regione Emilia Romagna si conclude che sia il laboratorio
osservativo delle abilità sociali del lavoro realizzato a Senigallia che il
programma IPS in fase di sperimentazione a Bologna sono da ritenersi
strumenti di politica attiva del lavoro.
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Note bibliografiche all’introduzione
(1) YURI KAZEPOV,DOMENICO CARBONE ,Che cos’è il welfare
state, Carocci, luglio 2007, pag.111
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Capitolo 1
Le ragioni di un nuovo assetto del welfare in Europa
1.1.Introduzione
In molti paesi europei, compresa l’Italia, i sistemi di welfare bismarckiani
sono profondamente cambiati e si trovano ad affrontare una situazione di
crisi. Le politiche sociali, il cui obiettivo è sempre stato quello di gestire le
dinamiche dell’industrializzazione per massimizzare e diffondere i benefici
sociali e ridurre i costi sociali, nell’attuale processo di globalizzazione,
devono diventare politiche sociali globali, nazionali e regionali.
Un governo multilivello, quindi, che distribuisce il potere appunto in una
molteplicità di livelli interessando le stesse politiche di welfare, comporta
una progressiva erosione della sovranità statale verso l’alto, nella sua
dimensione sovranazionale, ma anche verso il basso nelle dimensioni
regionali e locali. Nel suo processo storico di “individualizzazione”, questo
governo costituisce “l’epicentro della modernizzazione” occidentale.
“La capacità concreta di fare o di essere dell’individuo nel corso della
propria vita”, cioè “…I funzionamenti dell’uomo possono variare da cose
elementari come essere adeguatamente nutriti, essere in buona salute,
sfuggire alla morbilità prevenibile e alla morte prematura …ad acquisizioni
più complesse come essere felici, avere rispetto di sé, prendere parte alla
vita della comunità secondo Amartya Sen, (1) necessita di politiche che
sappiano conciliare la sicurezza sociale con la libertà individuale, come
possibilità di autorealizzazione sociale e professionale dell’individuo.
L’autorealizzazione ,dopo anni di lavoro frammentato e parcellizzato dalla
catena di montaggio in fabbrica, alimenta la possibilità di una cultura del
lavoro meno strumentale di quella fordista e maggiormente autorealizzativa
dell’individuo. L’individualizzazione è ulteriormente alimentata da nuove
opportunità per l’individuo, quali l’istruzione, la comunicazione,
l’informazione, i nuovi diritti di cittadinanza che hanno consolidato
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l’immagine dell’individuo come molecola essenziale di connessione sociale.
Le aspettative sociali non riguardano più la sopravvivenza, ma la qualità
della vita che oggi offre una vasta gamma di valori, scelte, alternative.
L’occupazione è un elemento essenziale perché diventa fattore di
collegamento tra una buona economia e buone politiche sociali. Diventa
strumento di sviluppo per ridurre la povertà e per la protezione sociale delle
persone in età lavorativa, costituendo quindi la spina dorsale per la
riduzione della povertà in ogni paese.
Poichè la sicurezza sociale è un diritto umano affermato nella
Dichiarazione dei diritti dell’uomo (art.22), è obbligo dei soggetti forti nella
società di provvedere alla protezione sociale dei più deboli.
La protezione sociale è un investimento nel capitale umano di ogni società
che avrà bisogno di dialogo sociale per costruire sostenibilità per il
progresso sociale ed economico.
Nel complesso rapporto tra welfare state e diritti sociali occorrono sistemi
pubblici di produzione ed erogazione di prestazioni di servizi a carattere
universalistico, rivolti indistintamente a tutti i cittadini così da renderli
concretamente esigibili.
Il welfare della globalizzazione è soprattutto un welfare selettivo, in grado
cioè di rispondere ai bisogni mediante percorsi di inclusione e cittadinanza,
ma anche un welfare flessibile, capace cioè di valutare e articolare,
differenziando gli interventi, la loro priorità e temporalità. Un welfare
capace di lavorare per progetti calibrati sulle domande di cittadinanza
provenienti dai cittadini, attraverso la costruzione di percorsi di cittadinanza,
di inclusione necessita dell’integrazione degli interventi e di quella
operativa dei soggetti erogatori di tali interventi.
Solo attraverso politiche integrate si possono misurare i risultati, si può
verificare se certi cambiamenti sono stati prodotti, se la qualità sociale da
cui dipende il benessere dei singoli è aumentata da politiche, servizi,
interventi. Le persone sono il perno dell’integrazione perché in gioco c’è il
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trattamento della persona nella sua totalità e nel suo contesto di vita. Ne
consegue che ciò può essere possibile solo nel principio della
personalizzazione delle prestazioni, dei programmi di intervento, di matrice
europea,che esca dalla logica della settorialità.
Le politiche sociali in prossimità dei cittadini, devono assumere la presa in
carico dei contesti di vita delle persone, anche come contesti fisici: così
come le persone esistono, con la loro soggettività e con i loro diritti, anche
là dove le politiche si integrano, i territori diventano contesti di vita delle
persone e vengono riconosciuti come patrimoni di risorse da valorizzare. Il
benessere di un territorio è fatto dal benessere delle persone, il quale è
costituito dalla dotazione di risorse per abitare, per avere legami sociali, per
lavorare, per avere una vita attiva.
1.2.Cambiamento e crisi
Nel Rapporto 2004 sull’esclusione sociale realizzato dalla Fondazione
Zancan si afferma “…i vuoti sono i rottami, le cose usate e scartate, i
contenitori un tempo pieni, con un valore riconosciuto, e che ora non lo
hanno più, e dunque se ne può fare a meno” (2).
I vuoti di cui si parla nel rapporto non sono soltanto coloro che storicamente
rappresentano gli ultimi della fila, ma sono affiancati sempre più da
persone, famiglie, interi gruppi sociali su cui la società ha dapprima
investito, magari in termini formativi, per poi lasciarli scivolare nell’area
della marginalità. Sono i nuovi poveri della società dell’incertezza
condannati a vivere nella precarietà e in un disagio sociale crescente.
Stiamo sempre più assistendo a cambiamenti radicali che interessano la
famiglia che, perdendo la sua aura di naturalità, diviene una istituzione
elettiva legata agli affetti e alle scelte volontarie dei suoi membri, non
costituendo più il pilastro del sistema di welfare fordista.
Il mondo del lavoro,con la globalizzazione dei mercati e l’innovazione
tecnologica, ha subito una profonda ristrutturazione della produzione
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facendo registrare un aumento della disoccupazione e della precarietà del
lavoro. La parola d’ordine diventa la flessibilità, che racchiude il duplice
aspetto di precarietà ma anche di libertà e realizzazione di sé con effetti
ambivalenti sulla condizione di vita delle persone: si presentano maggiori
rischi ma anche più opportunità d’azione sui mercati del lavoro, aumenta il
potere dei soldi e quindi la capacità di autonomia dell’individuo, del
cittadino, queste sono le due facce della stessa medaglia chiamata
modernizzazione.
Il nuovo contesto sociale rileva un iperconsumismo che alimenta una
società accessoria al mercato e una dimensione di cittadinanza come bussola
dei fenomeni di inclusione/esclusione. Ne deriva un aumento della
insicurezza e della precarietà che comporta un forte cambiamento nella
natura dei rischi sociali, cioè dei nuovi stati di bisogno .
Per comprendere come si strutturano le disuguaglianze e i rapporti in un
mondo sociale in rapida trasformazione, bisogna riferirsi al modo in cui i
gruppi sociali hanno accesso alle diverse risorse disponibili nei vari ambiti
economico, culturale, sociale, simbolico e di come ciò determina i destini
sociali delle persone e la loro capacità di interpretare se stessi e il mondo
circostante.
Da ciò ne deriva che nella società contemporanea si è passati da una
subordinazione gerarchica tipica della grande fabbrica, dove l’operaio aveva
una precisa identità sociale con la conseguente ’accettazione o contestazione
della logica della produzione, ad una più implicita basata anche su
differenziazioni di ordine culturale. Esiste pertanto una profonda differenza
tra l’individualizzazione come destino e le possibilità concrete di realizzarla
quanto più le risorse culturali, economiche e relazionali a disposizione
scarseggiano.
Per poter godere appieno delle possibilità offerte da una società, in cui i
consumi hanno il ruolo di regolatori della quotidianità, occorre disporre di