II
ha portato alla creazione dell’Unione Monetaria Europea ed all’integrazione dei
mercati finanziari europei, in particolare quelli del debito pubblico, i tassi
d’interesse, nominali e reali, sono andati convergendo lentamente ben aldilà dei
rispettivi quadri .In un contesto del genere lo studio della relazione tra
variabili fiscali e tassi d’interesse risulta di particolare interesse.
Nella trattazione che segue, si è analizzato il legame nel corso del ventennio
1985 – 2005, guardando ai tre Stati Membri dell’Unione Europea considerati tra
i più rilevanti sotto molteplici fattori: Italia, Germania e Francia.
La tesi si articola in tre parti.
Nella prima parte si discute sui principali contributi, sia teorici che empirici, sul
legame tra variabili fiscali e tassi d’interesse.
A livello teorico, tale relazione è stata affrontata dalle tre principali scuole
macroeconomiche: la scuola Neoclassica Tradizionale, la scuola Keynesiana e la
scuola dell’equivalenza Barro-Ricardiana. Le prime due scuole, pur partendo da
differenti premesse, giungono entrambe alla conclusione che una politica fiscale
espansiva, finanziata in deficit, provoca un aumento dei tassi di interesse; i
sostenitori dell’equivalenza Barro-Ricardiana, invece, ritengono che una tale
politica fiscale non provochi alcuna variazione nei tassi di interesse.
L’accumulazione del debito pubblico influenza i tassi d’interesse attraverso il
premio per il rischio. Aumenti del debito possono alterare le aspettative degli
investitori circa lo solvibilità del paese, a fronte del quale viene richiesto un
rendimento maggiore, in sede di sottoscrizione di nuove emissioni di titoli del
debito pubblico, per compensare il maggior rischio sopportato.
III
Sul piano empirico, gli studi effettuati possono essere compresi in due tipologie:
l’una che include le prime analisi , dalla fine degli anni Ottanta fintagli anni
Novanta; l’altra che accoglie i lavori di nuova generazione, i cosiddetti “modelli
macro-finanziari”, che fondono i modelli utilizzati negli studi finanziari con
quelli più propriamente macroeconomici; in tali analisi, l’effetto delle variabili
macro-economiche (tra cui quelle fiscali) sui tassi d’interesse è analizzata in
modo sia diretto che indiretto.
Alcuni autori riscontrano effetti significativi delle variabili fiscali sul premio per
il rischio: aumenti dei deficit e dei debiti pubblici generano incrementi dei tassi
d’interesse ,con un’intensità variabile. Altri ritengono invece che le variabili
fiscali non siano fattori rilevanti nella determinazione del premio per il rischio
richiesto dagli investitori: le variazioni del tasso d’interesse sembrano, in questo
caso, determinate da fattori estranei alla dinamica dei deficit e dei debiti pubblici.
Nella seconda parte della trattazione si analizza il quadro generale riguardante la
politica economica europea: dal Trattato di Maastricht alla BCE ed al Patto di
Stabilità e Crescita.
Il primo gennaio 1999, con la creazione dell’ EMU ( European Monetary
Union), è stato finalmente completato il processo di unificazione monetaria, con
il passaggio di competenza a favore della Banca Centrale Europea in materia di
politica monetaria. Inoltre, a partire da tale data, le parità centrali tra le singole
valute nazionali e l’Euro sono divenute irrevocabilmente fisse. Successivamente,
dal primo gennaio 2002, l’Euro è effettivamente e materialmente entrato in
circolazione all’interno degli Stati Membri dell’EMU, parallelamente alle singole
valute nazionali che, invece, hanno cessato di circolare il 31 marzo del 2002.
IV
In appendice alla seconda parte, è stato inoltre analizzato l’iter storico del
Sistema Monetario Europeo, con particolare attenzione alla crisi intervenuta nel
biennio 1992-1993
Nell’ultima parte della tesi, infine, si affronta lo studio delle relazioni tra variabili
fiscali e tassi d’interesse utilizzando il modello del VAR( Vector
AutoRegressive) di cointegrazione, il quale permette di analizzare eventuali
legami di cointegrazione nel lungo periodo tra le variabili. La nozione di
cointegrazione, intorno alla quale ruota questa figura di modelli consente di
associare il concetto, economico, di lungo periodo, con quello, statistico, di
stazionarietà. L’obiettivo delle analisi di cointegrazione si incentra
sull’individuazione di (eventuali) con i caratteri della stazionarietà tra due o più
variabili che, invece, se prese singolarmente, sono non stazionarie.
Il campione è stato costruito con i dati forniti dall’ IMF Financial Statistics (IFS
CD-Rom, Febbraio 2005) e Datastream. Come indicato nelle pagine precedenti,
Il periodo di riferimento, se da un lato è idoneo ad essere utilizzato nei modelli
VECM, nei quali è richiesto un periodo sufficientemente ampio, dall’altro
potrebbe presentare problemi in relazione al fatto che in esso è compreso il
passaggio all’EMU.
Tenuto conto di questi problemi, nell’analisi sono state utilizzate sei variabili: il
tasso d’interesse (nominale) a dieci anni sui titoli di Stato, il tasso d’interesse
(nominale) monetario con scadenza trimestrale, il tasso d’inflazione, il tasso di
crescita del PIL, il rapporto Deficit-PIL e il rapporto Debito-PIL. Tali variabili
permettono di studiare, oltre all’impatto delle variabili fiscali, anche l’impatto di
fattori macroeconomici (tasso d’inflazione e tasso di crescita del PIL) e di fattori
V
inerenti alla politica monetaria (tasso d’interesse a tre mesi) sulla dinamica del
tasso d’interesse a lungo termine. Attraverso tali variabili è possibile verificare,
inoltre, il complesso intreccio di relazioni macroeconomiche esistenti , in modo
tale da fornire un quadro economico più completo per i tre paesi. L’analisi
empirica è stata effettuata prendendo spunto dal lavoro svolto da Caporale –
Williams (2002).
La procedura seguita nell’analisi si compone di tre fasi: un’analisi univariata, una
multivariata di cointegrazione ed un’analisi del modello completo.
L’analisi univariata, nella quale viene studiato il livello di integrazione delle
serie storiche delle singole variabili, permette di verificare l’idoneità delle stesse
ad una loro potenziale utilizzazione nell’analisi di cointegrazione.
In relazione all’analisi multivariata di cointegrazione, sono stati costruiti dei
sottosistemi, contenenti ogni legame possibile tra le sei variabili, col fine di
studiare le singole relazioni tra queste intercorrenti. Per ogni paese, sono stati
elaborati quindici sottosistemi bivariati, un sistema trivariato e due sistemi a
quattro variabili, per un totale di cinquantaquattro sottosistemi. In presenza di
cointegrazione nei sottosistemi, è stato utilizzato nella stima un modello VECM;
quando invece la cointegrazione non è stata riscontrata, è stato stimato un VAR
sulle differenza prime delle variabili, al fine sempre di trovarne eventuali
relazioni, seppur non di cointegrazione.
Nell’analisi del modello completo, infine, la stima è stata effettuata utilizzando le
sei variabili contemporaneamente.
In seguito alle risultanze complessive dello studio effettuato, sia in relazione ai
contributi teorici che ai risultati dell’analisi empirica, sono state evidenziate
VI
similitudini e differenze tra i tre Paesi oggetto dell’analisi, anche in funzione del
sistema Europa e del suo impatto sui risultati ottenuti, cercando di attribuire
valenza teorica ai legami riscontrati.
In particolare, per i tre paesi in questione, non è stato trovato un impatto
significativo di lungo periodo del rapporto deficit/PIL e debito/PIL sul tasso
d’interesse. L’assenza di tale influenza indica come la convergenza verso
l’Unione Europea, intrapresa nel periodo di riferimento dai tre paesi oggetto
dell’analisi, abbia portato dei benefici in termini di credibilità nei confronti della
disciplina fiscale. A tali vantaggi va unito la progressiva diminuzione e
convergenza del tasso d’inflazione, sia nominale, sia atteso, che ha permesso una
sostanziale riduzione dei tassi d’interesse, a beneficio della spesa per il servizio
del debito. Tali fattori sembrano aver contribuito alla diminuzione del premio per
il rischio.
1
1
Politica fiscale e tassi d’interesse:
teoria e rassegna della letteratura
empirica
1.1 Introduzione
L’impatto della politica fiscale sui tassi d’interesse è da tempo oggetto di un
vivace dibattito. L’importanza di analizzare i legami tra la situazione della
finanza pubblica e il tasso d’interesse è giustificato dalla centralità di questa
variabile nel sistema economico. In questo capitolo verranno esposti i principali
contributi forniti dalla letteratura economica sia dal punto di vista teorico sia dal
punto di vista empirico.
Tre sono le teorie economiche fondamentali in materia di legame tra politica
fiscale e tassi d’interesse:la teoria Neoclassica tradizionale,la teoria Keynesiana e
la teoria dell’Equivalenza Ricardiana. Le prime due confermano un impatto
positivo delle variabili fiscali sui tassi d’interesse. Nel secondo paragrafo viene
analizzato il contributo dei neoclassici.. Nel terzo paragrafo viene esposta la
critica keynesiana alla ipotesi neoclassiche e la considerazione del tasso
d’interesse come variabile sia reale che monetaria. Il quarto paragrafo è dedicato
alla scuola dell’Equivalenza Ricardiana.. I sostenitori della cosiddetta
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“equivalenza Ricardiana” rinnegano gli effetti della politica fiscale sui tassi.
Deficit pubblici ed accumulazione del debito influenzano solamente la
distribuzione tra consumo e risparmio tra i vari periodi, lasciando inalterato il
livello dei tassi d’interesse. Tuttavia le ipotesi sottostanti sono considerate molto
forti e l’evidenza empirica ha smentito la possibilità di neutralità dell’azione
fiscale.
La politica fiscale inoltre influenza i tassi d’interesse attraverso un’altra via.
Accumulazioni eccessive di stock di debito pubblico possono infatti generare
aspettative negative circa la capacità di rimborso dei governi. Gli investitori
potrebbero infatti percepire un aumento della rischiosità dei loro investimenti in
titoli di stato a seguito di una rapida accelerazione del debito pubblico e
conseguentemente sarebbero indotti a richiedere un premio per il rischio
maggiore. Il legame tra accumulazione del debito pubblico, rischio d’insolvenza
e premio per rischio è accolto nel quinto paragrafo.
Gli studi empirici hanno riscontrato nella maggioranza dei casi una correlazione
positiva tra le variabili fiscali e i tassi d’interesse. Nel sesto paragrafo sono
raccolti i principali risultati empirici.
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1.2 IL PENSIERO NEOCLASSICO
1.2.1 Il tasso d’interesse come fenomeno reale
I modelli neoclassici si basano su alcune ipotesi principali:
1. Gli agenti economici sono soggetti razionali.
2. I mercati sono competitivi
3. I prezzi sono perfettamente flessibili
4. L’economia si trova sempre in uno stato di piena occupazione
Per comprendere meglio le ipotesi sottostanti al pensiero neoclassico e gli effetti
della politica fiscale sui tassi d’interesse è utile sviluppare un semplice modello
che racchiuda in sé le varie implicazioni economiche.
Nel modello sono presenti tre mercati: il mercato dei beni, quello della moneta e
quello del lavoro. Il mercato dei beni è rappresentato da un sistema di due
equazioni:
(1.1) ( )+= rsS
E
(1.2) ( )−= rII
S è la curva di offerta di risparmio. Essa è funzione crescente del tasso
d’interesse r. L’ipotesi di base riguarda le preferenze temporali degli operatori
che rivelano un minore apprezzamento del futuro rispetto al presente. Gli
operatori sono disposti a trasferire risorse dal presente al futuro solo a fronte di
un compenso. Il loro problema è quello di distribuire un reddito dato tra consumo
presente e futuro. Il mezzo per compiere questa redistribuzione è il risparmio. La
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distribuzione tra consumo e risparmio avviene in modo tale da massimizzare la
funzione di utilità dei suddetti operatori
1
.
La soluzione del problema di ottimizzazione si avrà quando il tasso d’interesse
percepito da questi operatori sarà pari al saggio marginale di preferenza
intertemporale che essi manifestano.
Dall’altra parte del mercato abbiamo unità economiche in deficit di risorse che
chiedono reddito presente in cambio di reddito futuro. Essi chiederanno prestiti
per finanziare gli investimenti privati in beni reali. Se si considera il tasso
d’interesse come il costo del capitale per finanziare l’investimento, il volume
degli investimenti(privati) e quindi la domanda di prestiti sarà spinta fino al
punto in cui la produttività marginale del capitale sarà uguale al tasso d’interesse.
Se si ipotizza la produttività marginale decrescente, la curva I avrà
un’inclinazione decrescente rispetto al tasso d’interesse. Il punto d’intersezione
tra le due curve definisce il punto d’equilibrio del mercato dei beni.
1
King (1983) pone l’attenzione sulla derivazione e la stima della condizione di primo ordine per
l’ottimizzazione delle scelte di consumo da parte del consumo nell’ambito del modello del ciclo
vitale;descrive le premesse sotto le quali tali condizioni possono essere utilizzate per derivare la funzione
aggregata di consumo; puntualizza la relazione tra vincoli presenti nel mercato del lavoro e nel mercato
dei capitali; fornisce una definizione di “consumatore rappresentativo”.
Hayashi (1985) testa le ipotesi sull’ equazione di Eulero, sostenendo che per una significante frazione
della popolazione la pianificazione intertemporale del consumo è influenzata da diversi vincoli come il
razionamento del credito e la presenza di differenti tassi sui prestiti.