5
aprioristico nei due giornali in esame è stata una delle ragioni che ha spinto ad
intraprendere questa analisi.
Venendo più specificamente al lavoro svolto è determinante sottolineare che non si è
trattato della ricostruzione storica della prima guerra del Golfo, ma bensì del modo in cui i
due quotidiani presi in esame hanno raccontato e vissuto questa vicenda. Ciò risulta
fondamentale in quanto si tratta di due metodi di lavoro completamente diversi. Nel nostro
caso si è infatti lavorato analizzando direttamente le copie dei due quotidiani per i sette
mesi della crisi, stabilendo nell’analisi delle priorità che spiegheremo a breve. Ciò che è
significativo ribadire è che in questo modo si è limitato il campo alla sola analisi delle
interpretazioni dei giornalisti e collaboratori de La Repubblica e L’Unità, ottenendo un
risultato che non pretende di essere una valida ricostruzione storica di quell’avvenimento
ma bensì si limita a riprodurre, in questo caso in modo fedele ed esaustivo, il modo in cui i
due giornali e di riflesso parte dell’opinione pubblica italiana ad essi vicina hanno vissuto
questo drammatico evento.
Entrando più nello specifico è opportuna una giustificazione delle due testate scelte.
L’obiettivo era evitare di prendere in considerazione due testate appartenenti ad aree
politiche decisamente diverse. In quel modo ci saremmo imbattuti di fronte ad una scontata
contrapposizione. Viceversa si è scelto di mettere in relazione due quotidiani riferibili ad
una stessa area politica, la sinistra, come La Repubblica e L’Unità. Il risultato ha il merito
di mostrare come quel conflitto abbia davvero lacerato le coscienze anche all’interno di una
stessa area di riferimento, nella quale possiamo incontrare l’interventismo di Craxi e De
Michelis e il pacifismo incondizionato d’Ingrao. Sorprende comunque constatare come due
quotidiani che rispetto alla politica interna avevano un simile atteggiamento, critico con il
governo, si contrappongano in modo netto di fronte alla crisi internazionale. Il giornale di
Eugenio Scalfari appoggerà infatti pienamente l’azione americana, con o senza l’ONU,
criticando in maniera energica le teorie dei pacifisti. Viceversa L’Unità criticherà molto
duramente l’azione americana in un’accusa che assumerà con il tempo toni sempre più
drammatici.
Si tratta insomma anche della descrizione di un conflitto all’interno di due sinistre, divise
sostanzialmente dall’idea di pacifismo ma anche e soprattutto sul ruolo e l’immagine degli
Stati Uniti.
Occorre tuttavia tenere a mente il diverso target verso il quale si rivolgevano i due
quotidiani. Mentre L’Unità è un giornale di partito e quindi la sua linea editoriale è
prettamente legata alle scelte di quest’ultimo, La Repubblica è invece da questo punto di
vista più indipendente. Inoltre, sebbene possiamo collocare il giornale di Eugenio Scalfari
in un’area di sinistra, i suoi lettori sono in realtà politicamente molto meno marcati e
probabilmente abbracciano l’intero arco dello schieramento politico. Viceversa i lettori de
6
L’Unità sono inevitabilmente più militanti ed ascrivibili nelle quasi totalità al bacino legato
al partito. Tuttavia, come confermeranno Gian Giacomo Migone
1
e Renzo Foa, il
particolare momento storico di trasformazione da partito comunista a partito riformista
determinerà nel giornale una maggiore indipendenza, come mostra molto bene l’utilizzo di
diversi commentatori esterni al partito, come ad esempio lo stesso Migone o Nicola
Tranfaglia.
Occorre ricordare che L’Unità era in quel particolare momento storico diretta da Renzo Foa
mentre La Repubblica dal fondatore Eugenio Scalfari.
Riassumendo possiamo dire che in ottica nazionale tale lavoro si propone di raccontare il
dibattito italiano di fronte alla tragedia storica, focalizzando l’attenzione allo scontro
interno alla sinistra. E’ inoltre un’analisi di come gli Stati Uniti vengano visti nel nostro
paese e di come la loro immagine divida anche all’interno di uno stesso bacino politico.
E’infine un momento di riflessione su come a distanza di 14 anni molti problemi che ci si
proponeva di risolvere sono stati trascurati ed abbiano assunto dimensioni preoccupanti.
Passando al metodo di lavoro occorre sottolineare che le strumentazioni attraverso le quali è
possibile consultare le vecchie copie dei quotidiani rendono il lavoro decisamente difficile.
Nonostante si sia entrati da molto tempo nell’era dell’informatica è necessario ricorrere
all’utilizzo di microfilm manuali. Essi risultano di difficile consultazione sia per la
difficoltà fisica di osservare per lunghe ore le proiezioni su schermo della pellicola, sia
perché spesso risultano danneggiati, riprodotti in dimensioni eccessivamente piccole ed in
alcuni casi alcune edizioni sono risultate mancanti. Tuttavia dopo una laboriosa ricerca è
stato possibile ottenere un quadro d’insieme decisamente chiaro. La mancanza in alcuni
casi di alcune copie non ha di fatto scalfito la visone d’insieme su come il singolo giornale
ha affrontato i mesi di crisi.
Una volta ottenuti i risultati cercati il lavoro è consistito in un confronto giornaliero delle
copie dei due quotidiani. In alternativa si sarebbe potuto affrontare separatamente l’analisi
dei due giornali e proporre infine un confronto finale. Tuttavia si è preferito optare per un
rapporto diretto perché solo in questo modo si è potuto mostrare chiaramente il contrasto tra
i due quotidiani di fronte anche alle più piccole sfaccettature. In questo senso si è diviso il
lavoro in sette grandi capitoli, rappresentanti sette diverse fasi della crisi, a loro volta divisi
in paragrafi. Questi paragrafi descrivono segmenti di tempo e sono più o meno lunghi a
seconda dell’ intensità delle notizie riferite a quei giorni. Nelle fasi più delicate e concitate
un paragrafo racchiude al massimo 3 giorni, mentre nei momenti di grande stallo ci
troviamo di fronte a paragrafi che descrivono anche più di una settimana. Inoltre occorre
ribadire come la cronologia di questi sette mesi sia stata quotidiana tranne che nel terzo
1
Si veda intervista in appendice.
7
capitolo. In quel capitolo, intitolato “la lunga fase di stallo prima dell’ultimatum”, si è
scelto di occuparci solamente dei momenti in cui giungevano notizie rilevanti, dal momento
che l’attenzione e le novità dal Golfo erano in quella fase molto scarne. Per il resto la crisi è
stata coperta in tutto il suo arco di tempo.
Occorre infine dire che dal momento che la ricerca è stata svolta alla Biblioteca Civica di
Torino le edizioni dei due quotidiani sono quelle giunte a Torino. E’ evidente che in alcuni
casi, specie per La Repubblica, è possibile che le copie romane riferiscano le ultime notizie
della notte che quelle torinesi non riportano e che quindi vi possano esservi modifiche
sostanziali nella prima pagina.
Dopo aver premesso che metodo di lavoro è stato usato occorre ribadire che è comunque
impossibile offrire un panorama completo delle analisi che i due giornali hanno proposto in
quei mesi. Risulta ovviamente impraticabile l’approfondimento di tutti gli innumerevoli
articoli che sono stati scritti in quel periodo. E’ stato quindi necessario limitare il campo di
analisi.
Il primo punto ha riguardato l’estensione temporale del lavoro. Il quesito era se limitarsi al
periodo di guerra, durante i quali è stato scritto moltissimo, oppure affrontare anche i lunghi
mesi di trattative. Una scelta limitata alla fase guerra avrebbe privato l’analisi di una fase
fondamentale che ha formato in modo definitivo le posizioni che sono poi state difese
durante i 45 giorni di conflitto. La scelta è stata quindi quella di affrontare in modo snello i
sette mesi di trattative, approfondendo in modo maggiore la fase della guerra. In questo
modo è chiara la parabola che hanno seguito i giornali in questa crisi e di conseguenza
risulta più comprensibile la loro posizione al momento dello scontro armato.
Il secondo punto era quello di selezionare gli elementi da prendere in considerazione nelle
singole edizioni. La scelta è ricaduta sostanzialmente su quattro aspetti. In primo luogo
abbiamo preso in considerazione la collocazione delle notizie provenienti dal Golfo. Essa
rappresenta infatti il termometro dell’attenzione con la quale il paese guarda alla crisi. In
questo senso si sono riportati in neretto i titoli di apertura delle singole edizioni. Ciò stava a
significare che l’attenzione per il Golfo era in quella fase molto alta. Viceversa qualora
l’apertura non sia stata dedicata a tale tema si è quasi sempre riferito il modo in cui la
notizia è stata presentata in prima pagina (titolo a centro pagina, trafiletto...) o se è stata
collocata addirittura nelle pagine interne.
Il secondo elemento sono state ovviamente le titolazioni. E’ evidente che il titolo è ciò che
colpisce il lettore in quanto è l’immagine che il giornale dà di sé. In alcuni casi ci siamo
imbattuti in titoli simili ma nella stragrande maggioranza delle volte le titolazioni sono state
molto diverse. Vi sono stati casi in cui la scelta del tema di apertura è stata differente,
sottolineando quindi una differente scala d’importanza delle notizie, ed altri in cui le stesse
notizie sono state riportate in modo opposto. Il titolo è stato quindi l’elemento immancabile
8
della nostra analisi e in molti casi sarebbe stato sufficiente a spiegare profonde differenze
ideologiche. Tuttavia oltre al titolo abbiamo preso in considerazione anche occhiello,
sottotitolo e catenaccio, i quali, seppur con minor forza del titolo, catturano l’attenzione del
lettore.
E’ opportuno insistere sulla rilevanza che si è dato a questo aspetto del giornale. Il titolo,
che non può certo mostrare con completezza l’idea di un giornale, ma che può al massimo
lasciarla intravedere, è ciò che attira maggiormente il grande pubblico. Viceversa elementi
più caratteristici e rilevanti, come lo sono gli editoriali, spesso sono ignorati dal grande
pubblico ai quali preferisce la facile lettura delle titolazioni.
Il terzo elemento che abbiamo preso in considerazione è appunto quello che al nostro fine
risulta il più interessante, ossia l’editoriale. Esso rappresenta l’anima del giornale,
determina la posizione del quotidiano, chiarificando ciò che attraverso la lettura dei titoli si
poteva soltanto ipotizzare. Per questo si è ritenuto opportuno riferire di tutti gli editoriali
scritti in quei setti mesi, riassumendo fedelmente il pensiero dei vari giornalisti. I vari
editoriali sono poi stati molto spesso confrontati, evidenziando le differenze di fondo, ed in
alcuni casi le similitudini dei diversi pensieri.
Infine ci siamo occupati anche delle pagine interne. Ovviamente si è in questo caso trattato
di una visione d’insieme dove ci si è soffermati sugli spunti più interessanti, specie se non
emersi in prima pagina. L’analisi delle pagine interne è risultata invece fondamentale
soprattutto per l’analisi delle corrispondenze da Washington, proprio per delineare
l’approccio dei due quotidiani verso gli Stati Uniti.
Infine una volta terminato il lavoro di confronto si è ritenuto opportuno intervistare alcuni
dei giornalisti che avevano raccontato quelle drammatiche giornate. In questo modo si è
voluto ottenere una chiarificazione su alcuni punti che non sono risultati chiari e una
riflessione a distanza di 14 anni sulla posizione presa dai vari commentatori in quel
periodo.
9
LO SCOPPIO DELLA CRISI DEL GOLFO
3-7 Agosto 1990 - L’aggressione e l’occupazione del Kuwait
L’invasione del Kuwait da parte delle truppe di Saddam Hussein ebbe l’effetto, nelle stanze
del potere di mezzo mondo, di un fulmine a ciel sereno. L’estate del 1990 era stata fino a
quel momento un periodo di grande speranza caratterizzato da un’ulteriore distensione nei
rapporti tra le due superpotenze. In particolare Gorbaciov aveva avuto la meglio
sull’opposizione interna, guidata da Ligaciov, e si accingeva a proseguire sulla strada delle
riforme. Inoltre i vincitori della seconda guerra mondiale avevano sancito il ritorno all’unità
della Germania, evento che si sarebbe verificato nell’ottobre di quello stesso anno. La
caduta dei regimi comunisti dell’est Europa aveva segnato il trionfo della democrazia, tanto
che in molti ritenevano che ormai la storia era giunta al punto per cui tale forma governo,
priva di modelli alternativi, si sarebbe estesa ad ogni angolo del pianeta.
Il blitzkrieg di Saddam Hussein rompeva invece l’idillio di quell’estate, mostrando al
mondo come l’asse delle tensioni internazionali si era spostato in direzione Occidente-Islam
o ancor meglio nord-sud del mondo. Per questo motivo la guerra del Golfo rappresenta la
prima di una nuova era, dove, venuto meno l’equilibrio del terrore, si erano creati enormi
vuoti di potere pronti ad essere colmati da dittatori trasformatisi in paladini delle più
svariate cause. Saddam Hussein in questo caso si mostrava come leader del risentimento
arabo, proponendosi di modificare la geografia del petrolio.
Venendo ai giornali, notiamo come nasce l’esigenza di capire le regole e gli scenari del
nuovo ordine mondiale. Più che la palese violazione del diritto internazionale, talmente
macroscopica da non richiedere grandi commenti, l’elemento chiave nelle diverse analisi
che troveremo è proprio la necessità di capire e migliorare l’ordine nel quale si sta
entrando, dopo aver compreso che non ci si era imbattuti nella “fine della storia”.
Ovviamente oltre ad un’ottica di relazioni globali non sfugge ai commentatori l’ottica
regionale, dove risultano due variabili fondamentali: il petrolio e la questione palestinese.
Riguardo a quest’ultima vedremo successivamente come assumerà una valenza simbolica e
politica fondamentale nella gestione della crisi.
Passando ad analizzare i due quotidiani presi in esame, occorre subito sottolineare come
l’attacco iracheno non sia stato affatto una sorpresa per gli osservatori. Infatti, sempre
facendo riferimento alle due testate, notiamo come negli ultimi dieci giorni Saddam
Hussein aveva più volte accusato il Kuwait di “rubargli” il petrolio estratto in una zona di
confine del sud. In realtà i contrasti tra i due vicini si protraevano da tempo e vertevano
sulla politica di Kuwait ed Arabia Saudita che avevano aumentato la produzione del
petrolio. Ciò si traduceva in crollo del prezzo del greggio con gravi conseguenze per
l’economia irachena. La conferenza di Gedda tra i due contendenti, conclusa senza un
10
accordo e lo spostamento di truppe irachene verso sud erano chiari segnali di una possibile
guerra.
Tuttavia lo scarso peso che i quotidiani danno alla crisi, se si eccettua il giorno 25 luglio in
cui Saddam Hussein ordina un significativo spostamento di truppe al sud, rileva che
comunque non si aveva grande sentore di una possibile escalation. L’idea dominante tra i
commentatori era che Saddam con la sua aggressività puntasse a farsi condonare un debito
contratto con Kuwait ed Arabia Saudita stimato in 30 miliardi di dollari. La condanna del
Senato americano, avvenuta il 27 luglio, che bloccava i prestiti all’Iraq sembrava un
ulteriore freno alla politica aggressiva del Rais.
Tuttavia è con il fallimento della Conferenza di Gedda che la questione del Kuwait entra in
prima pagina, restandoci per i successivi sette mesi. Il 2 agosto sui giornali si parla di
pessimismo e di rischio di guerra, ma nessuno poteva immaginare che in quella stessa
giornata Saddam avesse risolto la controversia passando alle vie di fatto. La prima guerra
del nuovo ordine mondiale aveva quindi inizio.
Il 3 agosto 1990 le prime pagine dei due quotidiani sono infatti monopolizzate dall’attacco
iracheno al piccolo emirato. Nei due titoli di apertura ,“L’Iraq spazza via il Kuwait
2
” su
L’Unità e “Guerra lampo nel Golfo
3
” su La Repubblica, emergono pienamente le due
caratteristiche fondamentali di questa guerra: rapidità e disparità delle forze. Al di là della
questioni militari, conclusesi con una disfatta per i kuwaitiani, il dibattito sui giornali
s’incentra su tematiche di carattere politico. In primo luogo ci s’interroga sulle
responsabilità dell’Occidente rispetto all’avanzata di Saddam Hussein ed in secondo luogo
si guarda già a Washington e Mosca, unici attori in grado di riportare Saddam alla ragione.
Riguardo al primo punto faremo riferimento agli editoriali di Bernardo Valli
4
su La
Repubblica e Dacia Maraini
5
su L’Unità i quali concordano sul fatto che Saddam Hussein è
stato creato e rafforzato dall’Occidente. Di fronte a questa verità inconfutabile i due però
offrono opinioni antitetiche. Per Valli infatti la scelta di sostenere Saddam è stata legittima
in quanto tra Khomeini e Saddam Hussein non c’era scelta. Il fondamentalismo iraniano,
scrive, era una minaccia per tutti. Lo temeva l’Arabia Saudita che non voleva perdere il
ruolo di guida spirituale della Nazione Araba, l’Egitto ed i paesi arabi moderati che
rischiavano una destabilizzazione al loro interno, l’URSS che voleva evitare rivolte nelle
sue sei repubbliche a maggioranza islamica e l’Occidente che paventava un’offensiva
terroristica nelle proprie città. Insomma Bernardo Valli ribadisce come necessaria la scelta
dell’Occidente. Viceversa Dacia Maraini non ha giustificazioni per la politica occidentale
nei confronti dell’Iraq. Secondo l’editorialista la strategia fallimentare sarebbe stata quella
2
“L’Unità”, 3 agosto 1990, pag. 1.
3
“La Repubblica”, 3 agosto 1990, pag. 1.
4
“Il ladro di Bagdad”. “La Repubblica, 3 agosto 1990, pag. 1.
5
“E il gatto si mangiò il topo”. “L’Unità, 3 agosto 1990, pag. 1.
11
di assecondare le volontà di Saddam Hussein affinché lasci in pace gli altri. In realtà,
scrive, “più la iena si rinforza e più avrà fame”, paragonando la storia di Saddam Hussein
con quella di “un altro uomo con i baffi”.
Fin dai primi due editoriali emerge già una netta differenza tra i due quotidiani, che si
protrarrà per tutta la crisi. Aver armato Saddam Hussein non rappresenta per La Repubblica
una colpa tale da non permettere una reazione forte alla sua invasione, mentre per L’Unità
toglie qualsiasi credibilità agli occidentali.
Riguardo alle reazioni nel resto del mondo notiamo come ovviamente gli sguardi si
rivolgano verso il Cremlino e la Casa Bianca. La Repubblica parla di generico richiamo del
mondo ai due grandi affinché facciano desistere Saddam Hussein dai suoi intenti bellici,
mentre L’Unità, fiutando l’eventuale conflitto come esclusivamente americano, rivela come
il piccolo emirato si sia rivolto solamente a Washington. Tuttavia l’unica cosa certa era
l’immediata condanna dell’ONU che, attraverso la risoluzione 660, condannava l’invasione
chiedendo il ritiro senza condizioni. Saddam era effettivamente solo contro tutti.
Passando alle corrispondenze dalla capitale americana, affidate a Siegmund Ginzberg per
L’Unita ed Ennio Caretto per La Repubblica, notiamo come emergono le prime ipotesi
riguardo alle prossime mosse di Bush. In realtà si fa notare come il Presidente abbia già
velocemente mosso la flotta e pensi ad un’escalation di sanzioni che andrebbero dal blocco
economico fino all’intervento multinazionale. I contrasti tra i due giornali riguardano
proprio la natura di tale intervento. Se La Repubblica enfatizza le affermazioni di Bush che
mirano a coinvolgere l’URSS, “USA ed URSS sono sulla stessa barca”, Ginzberg sottolinea
invece il paradosso tra le affermazioni teoricamente tese a coinvolgere i sovietici, e la
decisione di muovere unilateralmente a tutta velocità la flotta verso il Golfo.
I giorni successivi sono scanditi da ore drammatiche. In molti vi è infatti la convinzione che
Saddam voglia attaccare l’Arabia Saudita per diventare il signore assoluto del petrolio. La
prospettiva richiederà un’energica presa di posizione degli Stati Uniti, disposti ad un
attacco immediato qualora le truppe del Rais fossero entrate nel paese saudita. In questo
senso la prima fase di questa lunga crisi si chiuderà con il semaforo verde ai marines
affinché sbarchino in Arabia.
E’ proprio in questo periodo che Saddam Hussein sperimenterà una delle sue tattiche che
ricorreranno per tutta la durata della crisi, ossia il costante ricorso al bluff. I mezzi
d’informazione solo successivamente inizieranno ad avere dimestichezza con le finte
promesse di Saddam. Infatti il Rais, per mezzo di Radio Bagdad, annuncia dopo un solo
giorno dall’attacco, a seguito della dichiarazione comune Baker-Shevarnadze, di volersi
ritirare dal Kuwait.
12
Il 4 agosto i due quotidiani escono dedicando l’apertura all’annuncio. Tuttavia L’Unità
mostra maggiore freddezza giustificata dal fatto che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, i
combattimenti erano continuati e gli iracheni avevano completato l’occupazione di tutto il
paese. Inoltre il movimento di truppe verso il confine saudita e le affermazioni forti degli
americani non lasciavano intravedere nulla di positivo. In questo senso anche l’editoriale
del giorno, affidato a Gian Giacomo Migone
6
, riflette il clima di forte preoccupazione.
Migone in particolare sottolinea l’incertezza degli eventi dovuta al cambiamento delle
regole del gioco, non più determinate dalla capacità di accordo tra le due superpotenze. Il
rischio che Migone intravede è quello di una risoluzione unilaterale americana, o al
massimo occidentale a guida americana, che non tenga conto dell’interesse delle piccole e
medie potenze. Per questo egli sottolinea che l’unica risposta efficace, sintesi della volontà
di tutti, possa essere l’ONU, al quale deve quindi essere affidata la gestione della crisi.
Inoltre egli si dimostra sospettoso verso gli americani non solo per gli intenti unilaterali ma
anche per la possibilità che, come aveva fatto Nixon nel 73’, gli americani sfruttino la crisi
petrolifera per avvantaggiarsi su Giappone e Germania.
Proprio quelle regole del gioco, basate sulla capacità di accordarsi delle due potenze, che
Migone ritiene ormai superate, sembrano dominare l’apertura de La Repubblica. Qui il
ruolo delle due potenze sembra ancora rilevantissimo, come leggiamo fin dal titolo “I
grandi fermano l’Iraq
7
”. In questo caso l’enfasi sulla dichiarazione congiunta tocca livelli
altisonanti. Quella che L’Unità aveva definito una semplice dichiarazione al fine di dare
impulso alla mediazione, diventa per Fiammetta Cucurna
8
una “svolta storica nei rapporti
tra Stati Uniti ed URSS e nell’intero panorama delle relazioni internazionali”. Ella
attribuisce quindi alla dichiarazione un alto livello simbolico e politico, sebbene non era
ancora stata suffragata dalla notizia dell’inizio delle operazioni di ritiro.
Le illusioni cadranno ben presto e da quel momento Saddam Hussein non parlerà più di
ritiro, se non associandolo a condizioni pesantissime che verranno giudicate
inevitabilmente inaccettabili.
Nei giorni dal 5 al 7 agosto sui due quotidiani si riflette una sensazione di rischio di guerra
imminente. Il bluff di Saddam si sposa con un ulteriore invio di truppe nell’emirato
occupato, la quale ha generato l’ira della Casa Bianca. A dispetto della svolta tra Stati Uniti
ed URSS del giorno precedente la guerra inizia ad assumere i contorni di una sfida
personale tra Bush e Saddam Hussein. Il ruolo dell’URSS inizia ad assumere una valenza
sempre più interlocutoria, mentre è chiaro come gli Stati Uniti siano pronti a tutto pur di
difendere l’alleato saudita. L’Unità apre il 5 agosto titolando “L’Iraq non si ferma
9
”,
6
“Se non si danno poteri all’ONU”. “L’Unità, 4 agosto 1990, pag. 1.
7
“La Repubblica”, 4 agosto 1990, pag. 1.
8
“L’appello USA-URSS”. “L’Unità, 4 agosto 1990, pag. 2.
9
“L’Unità, 5 agosto 1990, pag. 1.
13
mentre La Repubblica riprende la frase di Bush “Fermatevi o è guerra
10
”. I due titoli
sembrano l’uno la risposta all’altro e confermano come già al terzo giorno di crisi il duello
riguardi ormai due soli interlocutori.
La situazione da Washington è dipinta a tinte fosche con Caretto e Ginzberg che
interpretano l’ambiguità del Presidente come un segnale che la guerra possa essere alle
porte. In particolare Caretto parla di strane omissioni del Presidente riguardo alla notizia
della cattura di una petroliera americana, ed in modo particolare alle conseguenze di un
ulteriore attacco in Arabia Saudita. Tuttavia la conclusione di Caretto è che dopo
drammatiche consultazioni di Bush con i suoi più stretti collaboratori
11
, la relazione meno
pessimistica del Direttore della CIA Webster avrebbe convinto il Presidente a prendere
tempo. Viceversa L’Unità rivela di una Casa Bianca “furiosa” e pronta a prendere in
considerazione tutti gli scenari, non ultimo un piano già pronto di bombardamento a tappeto
dell’Iraq.
Ma davvero vi era la reale minaccia che Saddam Hussein allargasse la sua azione all’Arabia
Saudita? Secondo Bernardo Valli
12
, Saddam Hussein sa bene che un tale atto
rappresenterebbe un punto di non ritorno. In realtà, profetizza Valli, è probabile che il
dittatore punti a spaventare i nemici condizionandone la politica petrolifera. Nel suo
editoriale Valli parla anche dell’assenza dell’Europa in queste prime fasi, affrontando un
tema che ritornerà spessissimo fino alla fine della guerra.
Anche nelle date del 6 e 7 agosto vengono confermati i toni gravi delle precedenti edizioni.
E’ evidente che la situazione è ormai critica e si attendono delle novità. La guerra infatti è
considerata ormai come probabile di fronte alla sfacciataggine di Saddam Hussein. La
nuova mossa del Rais consisteva nella creazione di un governo fantoccio nel Kuwait. Il
Rais modificava di fatto la sua posizione motivando il suo intento con la volontà di
destituire il monarca kuwaitiano e non di occupare il paese. In realtà la reazione americana
è energica nel reputare inaccettabile anche l’ipotesi di un governo fantoccio. I due giornali
in questo senso ripropongono le stesse titolazioni degli ultimi giorni parlando di un Bush
ormai pronto all’intervento. In particolare lunedì 6 è L’Unità a scrivere “Non c’è alcun
ritiro, Bush dà l’ultimo avviso
13
”, parlando di “tensione internazionale alle stelle” e di
“pericolo immediato per l’Arabia Saudita”, mentre il giorno successivo sarà La Repubblica
a titolare “Bush pronto ad intervenire
14
”. Restava tuttavia difficile decifrare il modo in
cui il Presidente intendeva reagire. Se come detto L’Unità non considerava improbabile
l’intervento armato, Ennio Caretto gettava nuovamente acqua sul fuoco. Il corrispondente
10
“La Repubblica”, 5 agosto 1990, pag. 1.
11
Si tratta del Consigliere Scowcroft, del Capo di Gabinetto Sununu, del Segretario di Stato Baker,
del Ministro della Difesa Cheney, del Capo di Stato Maggiore Powell e del Direttore della CIA
Webster.
12
“La strategia del dittatore”. “La Repubblica, 5 agosto 1990, pag. 1.
13
“L’Unità, 6 agosto 1990, pag. 1.
14
“La Repubblica, 7 agosto 1990, pag. 1.
14
de La Repubblica ribadiva come Bush si fosse convinto che l’opzione militare fosse
prematura e sconveniente e quindi avrebbe optato per un intervento volto esclusivamente a
difesa dell’Arabia Saudita ed a sostegno dell’opposizione irachena. Nel concreto il piano di
Bush avrebbe previsto l’embargo economico totale, come in effetti era avvenuto in data 6
agosto tramite la risoluzione ONU 661, l’invio di Caccia bombardieri, navi e truppe in
Arabia Saudita ed un forte appoggio ad opposizione irachena, dissidenti e minoranze curde.
Riguardo a quest’ultimo tema anche Ginzberg rivela la volontà della Casa Bianca di
rovesciare il dittatore iracheno. Tuttavia la sua analisi diverge sui mezzi, in quanto egli non
esclude la possibilità che Saddam sia eliminato attraverso un golpe targato CIA o
addirittura con un intervento militare mirato. Al di là delle diverse previsioni occorre notare
come nei pensieri del Presidente inizia ad emergere quel grande dubbio legato al destino di
Saddam. Fino agli ultimissimi giorni del conflitto l’intera comunità internazionale dibatterà
sulla necessità o meno di deporre il Rais, un dubbio che lo stesso Bush si porterà dietro fino
a marzo.
In realtà riferendoci alle edizioni del 7 agosto notiamo come per la prima volta i giornali
presentano un’impostazione della prima pagina abbastanza differente. Mentre come
abbiamo visto La Repubblica ribadisce l’intenzione americana di intervenire con quelle
particolari misure riportate da Ennio Caretto, L’Unità opta per due aspetti collaterali
all’invasione del Kuwait di grande rilevanza. In primo luogo l’apertura è dedicata al crollo
delle borse, “La guerra del Golfo sta travolgendo le borse
15
”, sottolineando come gli
eventi drammatici di quei giorni abbiano determinato il tracollo dei mercati finanziari di
mezzo mondo. Inoltre al cospetto di una situazione economica preoccupante si aggiungeva
la decisione di Saddam di chiudere l’oleodotto che trasportava il greggio in Turchia,
attraverso il quale veniva poi successivamente servito il mercato europeo. Una miscela di
eventi che sottolinea il giornale avrebbe avuto conseguenze gravissime sulle tasche degli
italiani, con un aumento della bolletta petrolifera stimato in 800 miliardi di lire. Ecco
dunque emergere un altro aspetto negativo della crisi che andava ad influire direttamente
sulle famiglie italiane.
Inoltre a centro pagina L’Unità si poneva una domanda inquietante: che ne sarà degli
occidentali bloccati in Iraq e Kuwait? Le prime indicazioni giustificavano le preoccupazioni
in quanto il giornale riporta di occidentali arrestati e deportati dal Kuwait a Bagdad. Il
sospetto, che molto presto si rivelerà realtà, è che Saddam li voglia utilizzare come ostaggi.
A quattro giorni dall’inizio della crisi occorre notare come i due giornali abbiano già
sollevato un numero significativo d’interrogativi. In primo luogo ci s’interroga su come
intervenire. Tra le opzioni oltre all’uso della forza hanno preso quota l’embargo economico,
varato dall’ONU, il sostegno all’opposizione interna a Saddam e l’invio di truppe nei paesi
15
“L’Unità”, 7 agosto 1990, pag. 1.
15
confinanti ed in particolare in Arabia Saudita. Inoltre qualunque sia la strategia adottata ci
si è interrogati sulle finalità da perseguire, che come hanno fatto notare i due corrispondenti
dagli Stati Uniti sembrano volte alla destituzione del Rais e non soltanto alla liberazione del
Kuwait. Si è poi affrontato il tema delle relazioni internazionali nel loro complesso
nell’epoca post guerra fredda, focalizzando l’attenzione sul nuovo ruolo delle due
superpotenze e sull’assenza dell’Europa. L’Unità riflettendo sul ruolo decadente dell’URSS
e sulla mancanza di un’unica voce europea ha sottolineato con preoccupazione i rischi di un
unilateralismo americano.
In questo senso si è notato come gli enormi vuoti di potere creatosi abbiano aperto la strada
a dittatori spregiudicati come in questo caso Saddam Hussein. L’immagine che è subito
emersa del dittatore iracheno è stata quello di un uomo disposto a sfidare apertamente
l’Occidente con appositi bluff e pronto a giocarsi la carta degli ostaggi e del petrolio.
Si tratta insomma di una situazione complicata che abbraccia delicate questioni politiche,
militari, giuridiche, economiche ed umanitarie. Una situazione complessa per la quale
Bernardo Valli
16
prova a dare una prima risposta in un editoriale del 7 agosto. Valli come di
consueto prende apertamente posizione, ritenendo necessario intervenire. L’attuale
situazione è ritenuta come inaccettabile in quanto caratterizzata da una profonda incertezza
politica ed economica e sarebbe il preludio ad un mondo fondato su pesanti violazioni del
diritto internazionali. La risposta, necessaria, può, secondo Valli, concretizzarsi secondo
due direzioni. La prima , quella delle sanzioni economiche, non solo è ritenuta difficile da
applicare, ma potrà sortire effetti solo a lunga scadenza. La seconda, l’azione militare, è per
Valli l’unica realmente efficace, ma può avvenire solo tenendo in conto del poderoso
esercito iracheno. L’uso della forza è quindi legittimo ma rischioso, mentre le sanzioni
economiche difficilmente potranno ottenere il risultato sperato. La conclusione è che la
comunità internazionale, ed in particolare gli Stati Uniti si trovano di fronte ad un dilemma
di difficile soluzione.
In questo clima di grande incertezza, l’invio di truppe americane in Arabia Saudita avrà il
merito di scongiurare l’attacco iracheno al paese saudita e di conseguenza evitare una
guerra imminente. Tuttavia la militarizzazione del Golfo non risolverà alcuna delle
questioni fondamentali per le quali si darà vita ad un’intensa trattativa diplomatica.
16
“Il dilemma del deserto”. “La Repubblica, 7 agosto 1990, pag. 1.
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8-15 Agosto 1991 – Si forma la coalizione internazionale
I giorni che precedono il ferragosto del 1990 si riveleranno tra i più importanti dell’intera
crisi. Il grave rischio di un’invasione dell’Arabia Saudita verrà scongiurato dal rapido
sbarco americano, mentre successivamente si formerà una coalizione internazionale
composta anche da paesi arabi.
I giornali in questi giorni si occuperanno sostanzialmente di tre temi: lo sbarco americano
in Arabia Saudita, l’ingresso di truppe arabe nella coalizione anti-Saddam, ed infine la
partecipazione dell’Italia. Riguardo alla nostra finalità di comparazione tra i due quotidiani,
notiamo come in questa fase emerge netta la contrapposizione tra due scuole di pensiero
diverse. Mentre L’Unità criticherà la militarizzazione del Golfo, ritenuta dannosa ai fini di
un esito diplomatico della crisi, La Repubblica si rallegrerà non solo dell’intervento
americano ma anche della dimensione internazionale della coalizione, ritenuta
fondamentale affinché il conflitto non venga inteso come una scontro tra Islam ed
Occidente.
Riprendendo la nostra analisi dall’8 agosto 1990, il giorno in cui i giornali aprono con la
notizia dello sbarco americano in Arabia Saudita, è opportuno sottolineare come i
quotidiani riconoscano l’impatto straordinario a livello politico, militare e simbolico di
questo avvenimento. Non poteva passare inosservato che centinaia di migliaia di soldati
americani sarebbero sbarcati nella terra dove ebbe i natali Maometto. Proprio questa
duplice possibile interpretazione sarà il centro di due editoriali di Renzo Foa e Bernardo
Valli, i quali ribadiranno la doppia lettura che, a seconda che si guardi da Occidente o dal
mondo arabo, verrà data alla mossa americana. Tuttavia prima di passare agli editoriali è
opportuno occuparci di come i giornali hanno titolato nelle giornate dell’8 e 9 agosto. In
particolare l’8 agosto entrambe le testate aprono a grandi caratteri riportando la notizia della
svolta. L’Unità scrive “Via libera ai marines
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”, mentre La Repubblica personalizzando la
faccenda apre con “Bush sbarca in Arabia
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”. Gli elementi dominanti che traspaiono nelle
pagine dei due giornali sono la spettacolarità e l’importanza numerica dello sbarco ed i toni
allarmanti del Presidente Bush. Riguardo al primo aspetto L’Unità paragona nelle
dimensioni tale sbarco addirittura al D-day, ritenendo questo il primo passo verso una
escalation mirata ad una controinvasione del Kuwait. In questo senso Ginzberg sembra dar
poco credito alle parole di Bush secondo cui l’intervento è solo finalizzato alla difesa
dell’Arabia Saudita, mentre qualunque altro intento sarebbe subordinato al formarsi di una
coalizione multinazionale. La Repubblica invece mette in evidenza il successo
dell’operazione inquadrata nel piano chiamato “oil war”. Il piano che Caretto aveva esposto
già nei giorni precedenti avrebbe previsto infatti un massiccio sbarco in Arabia Saudita al
quale avrebbe dovuto seguire la formazione di una coalizione multinazionale.
17
“L’unità”, 8 agosto 1990, pag. 1.
18
“La Repubblica, 8 agosto 1990, pag. 1.