quelli strutturali, volti a dismettere alcuni assets delle imprese coinvolte nella
concentrazione, e quelli comportamentali, che mirano ad una collaborazione tra la
neonata merging firm e le imprese rivali per il tempo giudicato sufficiente a renderle
competitive (cap. 4). Il bouquet di rimedi presentato dalle imprese che intendono
fondersi non appare, molto spesso, sufficiente a ristabilire la concorrenzialità di un
mercato; è necessario che questi vengano prescritti da agenzie indipendenti e composte
da esperti del settore. Punto focale di questa parte teorica e liaison indispensabile con la
seconda parte è proprio la presentazione delle autorità antitrust europea e statunitense,
volta a compararne gli orientamenti, specie in materia di valutazione dei guadagni di
efficienza, che molto spesso rappresentano un ostacolo sulla strada della collaborazione
(cap. 5).
La seconda parte è interamente dedicata all’analisi del caso forse più eclatante
della divergenza d’atteggiamento delle due authority, ovvero la mancata fusione tra
General Electric e Honeywell. L’obiettivo è quello di mettere a confronto le due
sentenze, ripercorrendo le fasi che hanno portato ai verdetti (cap. 6) per capire quale
siano la natura e le cause della disparità che divide la Commissione Europea e il
Dipartimento di Giustizia statunitense. Il focus d’indagine sarà maggiormente spostato
sull’Antitrust comunitaria, artefice della decisione che ha segnato una rottura con la sua
omologa d’oltreoceano, che precedentemente aveva avvallato l’operazione (cap. 7).
Seguono le considerazioni sugli effetti che un tale rifiuto ha comportato per l’economia
globale ed un’analisi sulle posizioni delle due agenzie, alla ricerca della traccia di un
possibile percorso di avvicinamento che, in un mercato ormai senza frontiere, appare
indispensabile (cap. 8).
2
PARTE I
LA COMPETITION POLICY NELLE FUSIONI ORIZZONTALI
3
Mettersi insieme è un inizio, rimanere
insieme è un progresso, lavorare insieme
è un successo
Henry Ford
CAPITOLO 1
SUL CONCETTO DI FUSIONE
Due imprese che mettono in comune i propri beni (tangibili e intangibili), le
proprie attività e il proprio know-how originano una nuova entità compiendo una
fusione. Essa rappresenta una modalità, alternativa all’investimento, con cui un’impresa
può espandersi. La natura delle imprese fuse rappresenta spesso un criterio guida di
categorizzazione, secondo il quale si possono verificare tre tipi di fusione:
ξ verticali, mediante le quali un’impresa si integra con un suo fornitore oppure con
un suo acquirente; a seconda dei casi la concentrazione viene definita
rispettivamente a monte o a valle;
ξ orizzontali, che consistono nell’aggregazione di due imprese concorrenti che
operano nello stesso settore;
ξ conglomerali, che avvengono tra imprese che operano in mercati differenti.
La teoria dei diritti di proprietà [Hart O., 1995] tenta di definire costi e benefici
dell’integrazione, valutando come differenti strutture proprietarie stimolino un’impresa
ad investire nella produzione e come esse espongano le parti al rischio di
comportamenti opportunistici del partner. I contratti che legano due imprese sono per
loro natura incompleti, in quanto non possono prevedere e regolare le molteplici
evenienze che potrebbero verificarsi, in particolar modo nel caso si tratti di relazioni di
lunga durata. L’incompletezza contrattuale espone, però, al rischio di hold-up [Klein B.,
Crawford R., Alchian A.A., 1978]: le imprese che effettuano investimenti specifici per
la relazione commerciale sono più vulnerabili alla cattura da parte del partner (il quale
4
potrebbe minacciare, ad esempio, di non dar luogo ad una fornitura in tempi utili) che si
approprierebbe così di una fetta del surplus dell’impresa catturata. Un’impresa che
invece ha la proprietà di tutti gli assets necessari a produrre possiede anche il diritto
residuale di controllo di questi beni, che consiste nella facoltà di impiegarli come
meglio crede, nei limiti ovviamente della legalità. È chiaro che il diritto residuale di
controllo è applicabile solamente al capitale non umano (macchinari, brevetti, capitali,
contratti, impianti ecc.) mentre resta esclusa la proprietà dei lavoratori, bene non
alienabile. Senza scendere nei dettagli è possibile illustrare i risultati ai quali la teoria
dei diritti di proprietà perviene:
ξ gli assets complementari dovrebbero ricadere sotto la stessa proprietà. È più
efficiente, infatti, che beni che amplificano la propria produttività combinati tra
loro appartengano al medesimo proprietario. Conseguentemente si presume che
rendimenti di scala crescenti portino alla formazione di imprese di grandi
dimensioni;
ξ gli assets indipendenti, per la ragione esattamente opposta, dovrebbero
appartenere ad imprese distinte. Non c’è motivo, infatti, perché due beni
incapaci di influenzare reciprocamente la propria redditività si trovino sotto la
stessa proprietà. Si consideri, ad esempio, un mercato in cui siano presenti molti
compratori e molti venditori: se un generico compratore non integrato e un
generico venditore non integrato non riuscissero a raggiungere un accordo per
scambiare un bene, essi potrebbero facilmente rivolgersi ad altri partners
presenti sul mercato. D’altro canto, qualora le imprese fossero integrate, il
compratore sarebbe nella condizione di appropriarsi di parte del surplus del
venditore, disincentivandolo così ad investire in attività innovative;
ξ l’impresa che ha maggiori possibilità d’investimento dovrebbe avere la proprietà
degli assets. È evidente che all’aumentare della crescita dell’impresa si registrerà
una progressiva diminuzione della produttività, che renderà via via meno
profittevole l’integrazione.
Il motivo principale che porta due imprese a fondersi risiede nella volontà di
aumentare i propri profitti congiunti. Questo risultato può essere raggiunto mediante un
5
aumento dell’efficienza, ossia con un guadagno di produttività rispetto alle imprese che
operano separatamente. Le principali ragioni per cui una fusione può risultare efficiente
sono il raggiungimento della dimensione ottimale, la realizzazione di sinergie e gli
incentivi al miglioramento del management.
Dimensione ottimale
Due imprese che si uniscono possono eliminare le strutture in eccesso, evitando
così duplicazioni inutili, ed allestire una configurazione più leggera affidando, ad
esempio, la gestione della neonata impresa ad un unico gruppo di managers per ridurre i
costi di gestione. Un incremento delle dimensioni può permettere di abbattere i costi
medi per prodotto, i quali decrescono fino a che l’impresa non raggiunge la propria
dimensione ottima, ovvero il livello di output che consente di minimizzare i costi medi
di produzione.
Grafico 1.1: andamento dei costi per unità di produzione al variare della dimensione
dell’impresa (Fonte: Carlton, Perloff [2005])
6
Sinergie
Due attività diverse, ma complementari, possono essere svolte più
economicamente da una sola impresa piuttosto che da due separatamente. Le stesse
risorse, (impianti, know-how, brevetti ecc.) possono, infatti, essere utilizzate per la
produzione di outputs differenti generando economie di scopo. Poniamo che esista
un’impresa che produce moquette per abitazioni e tappetini per auto ed immaginiamone
un’altra che fabbrichi campi da calcio sintetici. Poiché questi prodotti condividono un
tipo di sottofondo simile su cui viene tessuto il filo, le imprese del nostro esempio
potrebbero trovare conveniente unire i propri assets: mettendo in comune il know-how
produttivo e facendo lavorare a pieno ritmo gli impianti eliminando le duplicazioni, si
otterrebbero un risparmio dei costi medi di produzione e un conseguente guadagno di
efficienza.
Efficienza gestionale
Un cambiamento ai vertici di un’impresa mal gestita può condurre ad un
notevole incremento della produttività e ad un miglioramento della condizione degli
shareholders. Non sempre, infatti, sono sufficienti le pressioni degli azionisti affinché il
CdA vigili sui managers, propensi talvolta a dissipare gli utili in progetti che
consolidano il loro prestigio, ma che non distribuiscono accettabili dividendi. In
quest’ottica un’impresa investitrice potrebbe individuare altre imprese mal gestite allo
scopo di acquisirle a basso prezzo e rimuovere il management inefficiente; gli
amministratori dell’impresa target, preoccupati per contro della possibile acquisizione,
potrebbero essere incentivati ad operare nell’interesse degli azionisti. Questi ultimi
vedranno migliorare la propria condizione qualora:
ξ abbia luogo una fusione che migliori la profittabilità dell’impresa ed essi
abbiano conservato le proprie azioni;
ξ cedano le proprie quote ad un prezzo superiore al valore dell’impresa, cosa che
potrebbe accadere se l’investitore offrisse una cifra cospicua per garantirsi il
pacchetto di maggioranza;
7
ξ il rischio di fusione e della conseguente perdita del posto di lavoro incentivino il
management a migliorare la gestione dell’impresa.
Non tutte le fusioni conducono, però, ad un miglioramento dell’efficienza.
Alcune di esse, anzi, pur aumentando la redditività delle imprese coinvolte, riducono il
benessere sociale risultando, così, complessivamente indesiderabili. Queste
concentrazioni, che avvantaggiano esclusivamente le imprese partners, avvengono per
motivi fiscali, per accrescere il potere di mercato o, infine, per sfruttare nel breve
periodo le imprese acquisite.
Ragioni fiscali
Due imprese possono decidere di unirsi per pagare meno tasse aggirando le leggi
fiscali. Sebbene questo tipo di fusioni non avvenga spesso, vale la pena di illustrare il
meccanismo che ne sta alla base. Supponiamo, ad esempio, che l’impresa M
1
abbia
realizzato, nell’anno, dei profitti sui quali deve pagare le imposte secondo un’aliquota
predeterminata; l’impresa M
2
, invece, ha chiuso il suo esercizio in perdita per lo stesso
valore degli utili conseguiti da M
1
. Se le imprese restassero indipendenti, dunque, M
1
pagherebbe un’imposta calcolata in base all’aliquota assegnatale, mentre M
2
, essendo in
perdita, non dovrebbe nulla all’erario. Nel caso invece le imprese si unissero, l’utile
congiunto risulterebbe pari a zero e la merging firm non dovrebbe versare alcuna
imposta allo stato, realizzando un guadagno pari alla cifra dovuta da M
1
.
Incremento del potere di mercato
Un numero cospicuo di imprese, fondendosi, darebbe vita ad un’entità di
notevoli dimensioni in grado di esercitare un certo potere di mercato, anche in
considerazione dell’assottigliamento della concorrenza. In questa situazione la merging
firm potrebbe far salire il prezzo di mercato al di sopra di quello concorrenziale,
limitando l’output del settore e quindi appropriandosi di una parte del surplus dei
consumatori. Anche qualora la nuova impresa non riesca ad influenzare direttamente i
8
prezzi di mercato, grazie alle sue dimensioni potrebbe acquisire un peso politico
consistente, tale da orientare una modifica della legislazione a proprio favore.
Sfruttamento delle imprese
Un’impresa potrebbe venire acquisita solamente per estrarne dei profitti
immediati, malgrado una prospettiva di perdita nel lungo termine. L’esito di una
concentrazione di questo tipo dipende dalla valutazione, fatta dall’impresa acquirente,
dei profitti attuali rispetto alle perdite future: tanto maggiore sarà il peso dato ai primi,
tanto più considerevoli saranno gli incentivi a fondersi [Shleifer, Summers, 1988].
Ipotizziamo che un’impresa M
2
abbia contrattato con i sindacati dei salari più bassi della
media nazionale, a patto che non venga licenziato alcun lavoratore. Nel caso l’impresa
M
1
acquisisse M
2
, essa potrebbe adottare un comportamento opportunistico licenziando
parte dei dipendenti ritenuti in esubero e conseguire, così, maggiori profitti fino al
successivo rinnovo contrattuale, quando la redditività dell’impresa ritornerà su livelli
normali data la perdita di credibilità agli occhi dei sindacati.
Questa breve carrellata introduttiva ha permesso di definire genericamente il
concetto di fusione e di presentare motivazioni ed interessi che spingono due o più
imprese ad unirsi. Nel seguito, salvo eccezioni funzionali alla trattazione, verranno
analizzate le fusioni orizzontali. La scelta di questo focus d’indagine risiede nella
tendenza di questo tipo di concentrazione, più spiccata che nelle altre, alla creazione di
una posizione dominante nel mercato. Proprio a tal ragione le fusioni orizzontali
suscitano particolare interesse presso le autorità antitrust, tanto europee quanto
statunitensi, impegnate nella valutazione del potenziale impatto di questi fenomeni
economici sul benessere sociale.
9
Dire che il prodotto netto odierno è
maggiore, ma il livello dei prezzi è più
basso, di un anno o dieci anni fa è press'a
poco come dire che la regina Vittoria fu,
come regina, migliore della regina
Elisabetta, ma non più felice come donna;
proposizione non priva di significato né di
interesse, ma inadatta a fornire materia
per il calcolo differenziale
John Maynard Keynes
CAPITOLO 2
EFFETTI DELLE FUSIONI
Nell’analizzare le variazioni sul benessere sociale a seguito di una fusione
orizzontale e, di conseguenza, nel valutare la desiderabilità di quest’ultima è bene
mettere l’accento su quelli che sono gli effetti dovuti alla presenza di una nuova impresa
sul mercato; in particolar modo è necessario accertare il verificarsi o meno di due
circostanze che possono pregiudicare la concorrenza nel mercato. Da una lato la nuova
impresa potrebbe trovarsi ad occupare una posizione che le consente di aumentare
unilateralmente i prezzi: in questo senso possiamo parlare di effetti unilaterali.
Dall’altro lato è necessario valutare gli effetti procollusivi (o effetti di coordinamento)
di una concentrazione che, molto spesso, si verificano nei casi in cui la nuova impresa
non sia in grado, da sola, di influenzare i prezzi di mercato. Il nuovo contesto che viene
a crearsi, però, può diventare terreno fertile per le imprese che vogliono colludere,
trascinando così il mercato da una situazione di oligopolio competitivo ad una
caratterizzata dalla presenza di veri e propri cartelli.
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