7
Introduzione
Cosa significa avere il Morbo di Alzheimer (AD)? Un malato ha risposto dicendo “noi
siamo grandi, ma siamo piccoli”. Un altro ha risposto ponendo una domanda “e se i
vostri ieri scomparissero fino a perdersi?”. Questo è il Morbo di Alzheimer,
una“doppia-morte”; perché non solo si assiste ad un decadimento fisico durante questa
malattia, ma ci si trova davanti ad una lenta perdita della personalità. Significa
dimenticare, non essere sicuri di ciò che c’è intorno, avere difficoltà a comunicare, non
riconoscere un volto familiare, non avere più certezze. Praticamente è come ritrovarsi in
un luogo sconosciuto, mai abitato. La persona colpita da Alzheimer subisce degli shock
anche nei luoghi a lei più familiari. Fino a qualche anno fa, non si disponeva quasi di
alcun tipo di conoscenza sulle cause della malattia; tuttavia le recenti scoperte nei campi
dell’epidemiologia, della genetica, della biologia molecolare e cellulare e di altre
discipline stanno finalmente fornendo le chiavi per identificare alcuni dei meccanismi
che sono alla base del morbo.
“Abbiamo imparato di più sulla malattia di Alzheimer negli ultimi 15 anni di quanto
avessimo scoperto negli 85 precedenti” dice il dottor Bruce Yanker della Harvard
Medical School. Negli ultimi due anni gli scienziati hanno fatto delle scoperte di
straordinaria importanza sul come la malattia di Alzheimer distrugge il cervello e i
risultati del loro lavoro li portano sempre più vicini a trovare delle terapie.
L’AD è la più comune forma di malattia neurodegenerativa ad esordio prevalentemente
senile e prognosi infausta [1]. È caratterizzata dalla perdita delle capacità cognitive
(pensiero, memoria e ragionamento) in misura tale da interferire con la vita e le attività
quotidiane della persona. Oggi è quasi banale affermare che le demenze e la malattia di
Alzheimer rappresentano un fenomeno dalle dimensioni drammatiche; basti pensare che
nel mondo sono circa 35 milioni le persone colpite, 4,6 milioni di nuovi casi l’anno, uno
ogni sette secondi.
Non si conoscono con esattezza quali siano le cause del morbo di Alzheimer, ma
sappiamo che i danni al cervello iniziano a comparire già 10 o 20 anni prima che i
sintomi diventino evidenti nel comportamento. Tra le caratteristiche neuropatologiche
della malattia compaiono grovigli di fibre (ammassi neurofibrillari) e placche amiloidi
[2]. Inoltre, la malattia è caratterizzata da un consistente deficit del neurotrasmettitore
acetilcolina (ACh) e problemi nella neurotrasmissione colinergica, riguardanti in
particolare i neuroni colinergici nel nucleo basale. Nel cervello l'acetilcolina, coinvolta
8
nella comunicazione tra le cellule nervose, invia messaggi da una cellula all'altra.
L’enzima, chiamato acetilcolinesterasi (AChE), distrugge l’ACh dopo che questa è stata
usata, in modo che non si accumuli tra le cellule nervose e non causi complicazioni. Le
ricerche hanno dimostrato che non c'è sufficiente acetilcolina nel cervello dei malati di
Alzheimer, perciò, inibendo l'enzima che distrugge l'ACh, gli scienziati sperano di
mantenerne nel cervello una più elevata concentrazione e di migliorare la memoria
aumentando la comunicazione tra le cellule nervose.
La ricerca è attivamente in corso nel tentativo di sviluppare interventi efficaci che
possano ritardare l’insorgenza della malattia, ridurne l’incidenza e migliorare la vita dei
pazienti e dei loro caregivers
1
. Diversi trattamenti e strategie sono oggetto di indagine,
molta attenzione è rivolta ad un possibile intervento preventivo della demenza. Studi
recenti confermano che il consumo di polifenoli, conosciuti per le loro proprietà
antiossidanti, possa essere utile per la prevenzione e per contrastare il declino cognitivo
che accompagna lo sviluppo del morbo di Alzheimer. Frutta, verdura, bevande (tè, vino,
succhi di frutta) e piante sono ricchi in polifenoli. Nonostante la loro ampia
distribuzione, gli studi sugli effetti benefici che hanno sulla salute umana sono iniziati
soltanto nella metà del 1990 [3]. Oggi c’è un crescente interesse da parte di consumatori
e produttori vista l’associazione tra il consumo di alimenti ricchi in polifenoli e la
prevenzione di malattie croniche, come cancro, malattie cardiovascolari e malattie
neurodegenerative [4]. La ricerca sugli effetti neuroprotettivi dei polifenoli della dieta
si è sviluppata considerevolmente negli ultimi anni. Inoltre, si ritiene che il meccanismo
d’azione di questi polifenoli vada oltre la sola attività antiossidante a l’attenuazione
dello stress ossidativo.
Il morbo di Alzheimer e altre forme di demenza possono essere trattate con agenti che
ripristinano l’uso di acetilcolina attraverso l’inibizione delle due forme maggiori di
colinesterasi: acetilcolinesterasi e butirrilcolinesterasi (BChE).
L’inibizione dell’acetilcolinesterasi riveste un ruolo chiave non solo per aumentare la
trasmissione colinergica nel cervello, ma anche per ridurre l’aggregazione di β-amiloide
(Aβ) e la formazione delle fibrille neurotossiche nel morbo di Alzheimer. Gli inibitori
reversibili delle acetilcolinesterasi (IACh) sono gli unici farmaci approvati in Italia per
il trattamento del morbo. Attualmente le molecole presenti in commercio sono
donepezil, rivastigmina e galantamina. L’aumento di malattie neurodegenerative ha
1
Dall’inglese, persona che presta le cure. Donatori di assistenza.
9
fatto si che la ricerca concentrasse la sua attenzione sui trattamenti preventivi e sullo
studio di piante medicinali o sostanze fitochimiche per i quali esiste una promettente
evidenza clinica, ma che necessita di ulteriori ricerche.
10
1. La malattia di Alzheimer
Per molti anni l’atteggiamento generale nei confronti della demenza è stato
caratterizzato dalla rassegnata impotenza di fronte ad una malattia per la quale non
esisteva, e non esiste, una cura risolutiva. Attualmente l’interesse e l’attenzione sono più
spiccate e riguardano tutti gli ambiti: dalla ricerca genetica e più strettamente
neurobiologica alla terapia farmacologica, ai disturbi del comportamento, alla
comorbilità
2
, al ruolo familiare caregiver. In altre parole, si è sviluppata una cultura
della cura al malato di demenza in cui per cura si intende “la presa in carico”,
l’intervento allargato teso ad affrontare tutte le problematiche dell’universo demenza.
L’obiettivo non è quello, ad oggi non realistico, della guarigione, ma quello di
occuparsi del malato attenuando la sofferenza, ottimizzando le risorse cognitive,
funzionali e relazionali, realizzando un ambiente (fisico ed umano) sufficientemente
flessibile e attento ai bisogni, nel pieno rispetto della dignità della persona.
Di tutte le malattie associate all’invecchiamento, il morbo di Alzheimer è una delle più
temute e per buoni motivi. È un male assolutamente devastante, che svilisce ogni
aspetto della vita. È caratterizzato dalla perdita irreversibile della memoria, del pensiero
razionale e della capacità di comunicare. Mentre il male progredisce, le sue vittime
perdono coscienza di sé e del loro ambiente, non riescono più a provvedere a se stesse, e
spesso necessitano di assistenza per svolgere i compiti più semplici.
Che cosa accade realmente nel cervello di un malato di Alzheimer? Il primo a
rispondere fu Alois Alzheimer (da cui prende il nome la malattia), un neuropatologo
tedesco che nel 1906 esaminò al microscopio il tessuto cerebrale di una donna
cinquantacinquenne che aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita in un istituto
psichiatrico, soggetta a paranoia e attacchi d’ira [5]. Alzheimer individuò due sostanze
nel suo cervello che si rivelarono poi associate alla malattia: dense placche formate
dalla proteina β-amiloide esternamente alle cellule cerebrali, e grovigli filamentosi (gli
ammassi neurofibrillari) al loro interno. È ancora da stabilire con certezza se tali placche
e grovigli siano la causa della demenza di Alzheimer [2]. Sappiamo però per certo che
la demenza senile provocata da insufficienza cardiovascolare e ictus, e quella associata
alle placche e ai grovigli del morbo di Alzheimer, coincidono in larga misura. Inoltre,
questa malattia mostra meccanismi relativi a tutte le principali teorie
2
Presenza in un unico soggetto di uno o più disturbi di natura psichiatrica e una o più dipendenze.
11
dell’invecchiamento: inefficienza mitocondriale nella produzione di energia, alterazione
dell’omeostasi del calcio, generazione di ROS (specie reattive dell’ossigeno) e
l’accumulo dei suoi prodotti dannosi, squilibrio ormonale, disfunzione immunitaria e
dell’infiammazione. Il morbo di Alzheimer ha anche una componente genetica: questo
però non significa che se in famiglia c’è un malato anche altri debbano soffrirne. Ad
oggi sono state identificate mutazioni su tre geni diversi.
Le funzioni cerebrali sono multifattoriali, vale a dire subiscono l’influenza di svariati
aspetti della nostra vita, dalla quantità di verdure ricche di antiossidanti che mangiamo,
fino al nostro livello di istruzione; esse vengono anche modellate da eventi e
comportamenti che originano dalla nostra infanzia e proseguono nel corso della vita. Per
questo motivo non avremo mai a disposizione un ormone o una pillola magica in grado
di prevenire le malattie cerebrali in vecchiaia. Possiamo comunque contribuire alla
salute del nostro cervello optando sempre per un corretto stile di vita; la moderazione è
fondamentale per la prevenzione.
1.1 Epidemiologia
È difficile fornire dati precisi per quanto riguarda l'incidenza di questa patologia che
può essere definita come l’epidemia silente del secolo. Essa può colpire senza
distinzioni di nazionalità, di razza, di gruppo etnico o di livello sociale; interessa uomini
o donne indifferentemente. In generale esistono due sottotipi di demenza di Alzheimer
in base all’età di insorgenza della malattia: precoce se inizia entro i 65 anni, tardiva
dopo i 65 anni. Sulla base di studi condotti in Italia, Giappone, Gran Bretagna e Olanda,
si stima che il numero di malati oscilli dal 4,1 all' 8,4% nelle persone con più di 65 anni.
Il World Alzheimer Report indica che, in tutto il mondo, le persone affette da demenza
nel 2010 siano state 35,6 milioni. Secondo le previsioni, questo dato raggiungerà i 65,7
milioni nel 2030 e addirittura i 115,4 milioni nel 2050. Considerando solo il livello
Europeo, attualmente sono circa 6 milioni le persone affette da demenza (Wimo e
Prince, 2010) mentre l’ISTAT (2011) ritiene che in Italia sono circa 600 mila i malati e
si tratta di un numero destinato ad aumentare.
La malattia di Alzheimer è la quarta causa di morte tra gli anziani dei paesi occidentali
e, più in generale, ha un effetto negativo sulla sopravvivenza. La sopravvivenza dopo la
diagnosi del morbo dipende dall’età del paziente ed è mediamente di 9 anni per coloro a
12
cui la malattia è stata diagnosticata intorno ai 65 anni, mentre è solo di 3 anni per coloro
a cui la malattia è stata diagnosticata intorno ai 90 anni. Ancora, l’aspettativa di vita si
riduce di circa il 60% con una diagnosi a 65 anni e del 40% con una diagnosi a 90 anni.
Dunque, con la mancanza di interventi e l’invecchiamento della popolazione il morbo
di Alzheimer potrebbe diventare un enorme problema, di salute pubblica, a livello
mondiale.
L'Alzheimer è principalmente un problema sanitario e sociale, ma è anche un “fardello”
economico: l’associazione Alzheimer's Disease International ha pubblicato un rapporto
in cui analizza in che modo tale malattia incide sul servizio sanitario nazionale. Secondo
lo studio, nel 2010 i costi relativi alla demenza senile si sono aggirati attorno ai 460
miliardi di euro, corrispondenti all'1% del PIL mondiale. Volendo rapportare tale cifra
ad uno Stato, si avrebbe la diciottesima economia del mondo, mentre, se fosse
un'impresa, sarebbe la compagnia più ricca del pianeta. Purtroppo tale cifra non serve a
debellare la malattia, che resta tutt'ora incurabile nonostante la ricerca si impegni da
anni per comprenderne le cause e trovare potenziali cure. Il rapporto ha lanciato quindi
un appello ai governi, invitandoli a collaborare con l'OMS
3
per porre al centro
dell'attenzione la malattia. Inoltre, i costi sono destinati a crescere anche nei prossimi
anni, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito.
1.2 Decorso clinico
La demenza di Alzheimer ha un decorso infausto che si articola in tre fasi:
1. Fase iniziale: compaiono i disturbi di memoria principalmente a breve termine
(cioè capacità di registrare e/o rievocare nozioni di recente acquisizione) con
disorientamento spazio-temporale.
2. Fase intermedia: è caratterizzata dalla comparsa di deficit delle cosiddette funzioni
simboliche:
la perdita del linguaggio (afasia) con iniziale incapacità di denominazione fino
alla compromissione di una valida e concreta comunicazione anche per
interessamento del versante della comprensione;
la perdita della capacità di compiere gesti (aprassia), cioè movimenti finalizzati
sia senza che con l’utilizzo di oggetti;
3
Organizzazione Mondiale della Sanità, agenzia specializzata dell'ONU per la salute.
13
la perdita delle capacità di riconoscimento (agnosia), cioè l’incapacità a
riconoscere figure astratte, oggetti e volti noti.
3. Fase terminale: è caratterizzata dalla comparsa di deficit delle capacità di
astrazione e di giudizio, dalla comparsa di modificazioni della personalità con
sintomi psichiatrici e anomalie del comportamento (aggressività, deliri,
allucinazioni), e dalla perdita del linguaggio verbale fino al mutismo.
Il quadro finale è quello di una totale dipendenza per ogni attività della vita quotidiana,
con allettamento, incontinenza sfinterica e impossibilità a nutrirsi per via naturale. La
velocità di progressione è variabile; la durata della malattia è di 10-12 anni dal
momento della diagnosi e la morte sopravviene solitamente per complicanze
broncopolmonari e cardiache [8].
Il processo diagnostico avviene secondo un “algoritmo a cascata” (Hans Spinnler, 1996)
in tre tappe:
la prima tappa (orientamento diagnostico) ha per obiettivo quello di arrivare a
un sospetto diagnostico ed è basata essenzialmente sul colloquio col paziente e
con i familiari (anamnesi).
La seconda tappa (diagnosi sindromica di demenza) ha per obiettivo quello di
verificare il sospetto diagnostico di demenza ed è basata essenzialmente
sull’utilizzo di test neuropsicologici.
La terza tappa (diagnosi nosografica) ha per obiettivo quello di identificare la
particolare malattia che causa la demenza. Essa si basa sulla valutazione
integrata dell’anamnesi, dei test neuropsicologici, dell’esame obiettivo (in
particolare quello neurologico) e sugli esami di laboratorio e strumentali.
In pratica nell’Unità di Valutazione di Alzheimer (UVA) il neurologo inizia con
un’anamnesi generale e specialistica ed esegue un esame obiettivo neurologico. Se
emerge il sospetto di malattia di Alzheimer, richiede una serie di esami standard: TAC
(o risonanza magnetica) dell’encefalo, elettroencefalogramma, esami del sangue fra cui
il dosaggio della vitamina B12
4
e degli ormoni tiroidei e i test anticorpali per la sifilide.
Un test specifico per la valutazione delle demenze più comunemente usato è il Mini
Mental State Examination (MMSE), un test utile per un primo orientamento che però
non può individuare quadri patologici iniziali [6]. È costituito da trenta domande che
4
Vitamina B12 o Cobolamina il cui deficit può causare disturbi del Sistema Nervoso.