5flessibiltà, grazie al cui potere sarebbe possibile, entro il 2010, pervenire al miracolo della
piena occupazione, coniugando il concetto di flessibilità con quello di sicurezza (Trattato di
Lussemburgo,1997). Molti studiosi si sono occupati del processo di flessibilizzazione su scala
globale del lavoro. Da un lato gli ottimisti, di parte neoclassica (ad es. Wagner,2000),
auspicano la rimozione di ogni barriera al libero mercato, dall’altro i pessimisti, come ad es.
Beck (2000), Rifkjn (1995), Hobsbawm (2000), sottolineano lo stato di profonda precarietà in
cui sono sprofondati i lavoratori, “derubati” dei propri diritti, nel corso dell’ultimo decennio.
La dinamica evolutiva delle politiche del MDL nei contesti prescelti, viene spiegata
utilizzando il modello del policy transfer, il quale ben rappresenta l’influenza che i principali
attori transnazionali coinvolti nel “gioco” delle reti politiche globali esercitano sui policy
makers nazionali. Gli attori transnazionali, infatti, forniscono agli stati nazionali le proprie
strategie di politica del MDL, aderenti alle nuove dinamiche economiche globali fondate sul
libero mercato e sull’ideologia neoliberista. Definito da Dolowitz&Marsh (1996) come
"l'evento e insieme il processo per cui la conoscenza di politiche, piani amministrativi,
istituzioni ecc. presenti in un arco temporale o in un luogo, è utilizzata nello sviluppo di
politiche, piani amministrativi, istituzioni ecc. in un altro arco temporale o luogo", il policy
transfer è dunque il ponte che collega il policy making nazionale alla conoscenza politica
veicolata nelle “global public policy networks” (Reinicke&Deng,2000).
Parallelamente al concetto di policy transfer, la dottrina politica ha indagato su concetti
quali “lesson drawing” (Rose,1991), convergenza politica (Bennet,1992), trapianto istituzionale
(De Jong,2002). Diversamente da essi il termine policy transfer non sottende un legame
esclusivamente volontaristico tra i soggetti coinvolti, per cui un paese “ricevente”,
volontariamente, adotta una specifica soluzione politica da un agente “donante”, bensì accoglie
in sé anche una variante coercitiva, per cui un paese si trova costretto, da un altro paese o da
un’agenzia transnazionale verso cui è obbligato, ad adottare specifiche soluzioni politiche. Il
principio della condizionalità politica giustifica, in tal senso, un transfer politico di tipo
coercitivo.
Attori quali IMF, WB, OECD, ad esempio, esercitano una forte influenza sulle politiche
nazionali, utilizzando la condizionalità per imporre agli stati economicamente debitori
soluzioni politiche che garantiscano sia le ri-compensazioni a breve e medio termine, sia il
perpetuarsi nel tempo di rapporti di sudditanza.
6 Interessa dunque indagare sulla misura in cui le politiche del MDL italiana e russa, siano
state condizionate dai principali partners transnazionali dei due paesi in discussione. Ciò sarà
possibile confrontando le strategie dei partners transnazionali con gli assetti, recentemente
riformati, di politica del MDL vigenti in Italia e in Russia. Fondamentale sarà anche indagare
sul ruolo dei principali gruppi di interesse nazionali, assunti come “gatekeepers” e quindi
principali fonti di attrito al policy transfer. Il grado di influenza esercitata dagli attori
transnazionali, e quello di attrito opposto dai gruppi di interesse nazionali, determineranno
l’output politico finale, e, dunque, il tipo di politica del MDL vigente nei paesi considerati.
La presente ricerca è stata condotta utilizzando una metodologia basata sull’attenta
consultazione delle fonti a disposizione. Oltre allo studio approfondito dei più importanti testi
in tema di policy transfer, è stato necessario quello riguardante le politiche, passate e presenti,
dei MDL italiano e russo. Si è fatto ricorso a testi legislativi, documenti ufficiali,
raccomandazioni dei principali attori transnazionali o working papers da essi commissionati.
Proficua è stata la ricerca on line, che ha fruttato molti dei documenti citati ed ha permesso la
frequentazione di forum informatici, cosa assai utile ai fini della accumulazione del materiale e,
dunque, della conoscenza.
La struttura del testo si compone di quattro capitoli.
Nel primo capitolo si introducono le nuove forme del lavoro, basate sul concetto di
flessibilità; si individuano gli attori transnazionali più influenti all’interno delle global policy
networks, tratteggiandone le rispettive strategie di politica del MDL; si presentano i modelli del
policy transfer e del policy transfer network, sostenendone sia l’applicabilità in tema di
politiche del MDL, sia la funzionalità nell’interpretare i rapporti di inter-dipendenza, ma anche
di attrito, esistenti tra gli stati nazionali oggetto della ricerca e le strategie di politica del MDL
dei principali attori transnazionali presi in considerazione.
I capitoli 2 e 3 condividono il medesimo schema analitico.
Il capitolo 2 tratta della politica italiana del mercato del lavoro, approntandone anzitutto una
breve ricostruzione storica, dal 1919 al 1997, anno dell’entrata in vigore della legge 196/97,
meglio nota come “Pacchetto Treu”. Viene analizzata la EES (European Employment
Strategy), anche tramite l’utilizzo di indicatori quantitativi, rapportandone i contenuti al
contesto italiano. Dopo la presentazione delle forze politiche nazionali partecipanti al processo
7concertativo, e di quelle transnazionali, particolarmente influenti in Italia in tema di politica del
MDL, viene analizzata la “Legge Biagi” (L.30/2003 di riforma del MDL) alla luce del
modello del policy transfer. E’ stato in tal senso necessario individuare le soluzioni di politica
del MDL di matrice transnazionale adottate dal legislatore italiano, prima di trarre le dovute
conclusioni. L’interesse verso il caso italiano è motivato dalla constatazione di una notevole
ripresa economica del paese a partire dalla sottoscrizione del trattato di Maastricht, il che
potrebbe far pensare ad un vero e proprio “salvataggio” operato dall’Europa a gloria del nostro
paese. In realtà:- “L’aggancio all’Europa è stato il frutto di un consapevole progetto ideale e
politico di matrice interna, che ha visto impegnati per anni ampi settori della classe dirigente
del paese e che ha richiesto un faticoso gioco a due livelli: quello domestico e quello
comunitario” (Gualmini&Ferrera,1999).
Nel terzo capitolo sono considerate le politiche russe del MDL alla luce del modello del
policy transfer. L'interesse verso il caso russo nasce dalla considerazione di un Paese che a
partire dal 1991 ha radicalmente modificato la sua struttura politica, lasciandosi alle spalle 70
anni di regime comunista, aprendosi al modello economico capitalista e a una gestione liberal-
democratica del paese. Interesse suscita anche il fatto che fino al dicembre 2001 in Russia non
sia stata implementata una reale politica di riforma del mercato del lavoro, che per un decennio
si è sostanzialmente autoregolamentato, a differenza di quanto accaduto in altri paesi dell'ex
blocco sovietico. Viene tralasciata una pur interessante ricostruzione del MDL e delle politiche
ad esso correlate nel periodo sovietico, dedicandovi solo brevi accenni e delimitando piuttosto
il principale “focus di attenzione” al periodo della transizione russa, a partire appunto dall'anno
1991.
Vengono poi presentati gli attori transnazionali maggiormente influenti in Russia, insieme alle
loro raccomandazioni e progetti, rivolti esplicitamente alla nazione, in tema di politica del
MDL. Viene inoltre analizzata la L.197-fz/2001 di riforma del Codice del Lavoro, al fine di
scorgere in essa sia “aperture” alle soluzioni di politica del MDL di matrice transnazionale, sia
“chiusure”, determinate dal ruolo di agenti di attrito al policy transfer svolto da particolari forze
politiche nazionali. In questo capitolo viene infine applicato il modello del policy transfer
network di Evans&Davies.
8 Il quarto e ultimo capitolo è una breve comparazione conclusiva sui due casi di studio
prescelti. Qui vengono riepilogate le strategie di politica del MDL offerte dai più influenti attori
transnazionali, le quali sono poste a confronto con le politiche implementate rispettivamente in
Italia e in Russia; ciò al fine di rinvenire, tra le posizioni transnazionali e quelle nazionali
(eventualmente rinvigorite dall’attrito opposto al transfer dai principali gruppi di interesse), un
certo grado di convergenza, e tra le posizioni dei due stati in esame, similitudini e differenze.
9 CAPITOLO PRIMO
LE NUOVE POLITICHE DEL MDL
Premessa
“La globalizzazione impone nuovi parametri all'odierno concetto di occupazione, attraverso la
tendenza alla creazione di un mercato globale del lavoro. Noi viviamo e lavoriamo in una
sempre crescente economia globale integrata" (Munch,2002). Questa affermazione sottolinea
come i profondi mutamenti che hanno coinvolto le strutture sociali, politiche ed economiche a
partire dai primi anni '90 del '900 su scala mondiale, siano stati cruciali per la ridefinizione
dell'occupazione. Le dinamiche globali contemporanee hanno permesso la creazione di
networks politici transnazionali in cui il libero mercato è assunto come fulcro di qualsiasi
attività politica e sociale e, relativamente alla sfera della occupazione, in cui la sua definizione
sfugge al pieno controllo del vecchio Stato- Nazione, per forgiarsi in una sintesi dialettica nella
quale intervengono molteplici attori internazionali. Ci si trova cioè di fronte a un sistema di
Governance, in cui lo Stato è solamente uno degli attori del policy change e non più l'attore
esclusivo. Come puntualizza D'Albergo, peraltro, ci si trova nella fase in cui il policy change
imbocca una "terza via" giddensiana, connubio tra una tendenza neoliberista, in cui al mercato
è affidata la guida della mutazione politica, e una tendenza verso la sostenibilità, volta a lenire
le conseguenze negative e i costanti rischi della globalizzazione, a tutela dei gruppi sociali più
a rischio (D'Albergo,2002). L'irrinunciabile bisogno di restare competitivi a livello globale,
unita ad una altrettanto necessaria urgenza di protezione sociale, genera d'altronde la necessità
di "riorganizzare intorno al mercato i sistemi di welfare, per renderli compatibili con le nuove
dinamiche economiche, e nello stesso tempo dare vita a nuove forme di protezione sociale in
grado di contrastare i processi di disgregazione che inevitabilmente si presentano”
(Fedele,2002, p.87-88). In tal senso Polanyi, qualche decennio fa, affermando che un sistema
fondato esclusivamente sull'economia di mercato avrebbe rappresentato un reale “attacco alle
fondamenta della società”, definì i sistemi di protezione sociale come basati su “principi
miranti alla conservazione dell'uomo e della natura”(Polanyi, 1957).
Quella del mantenimento di una qualche rinnovata forma di protezione sociale è, ad
esempio, la via imboccata dall'Unione Europea a partire dal cosiddetto "processo di
Lussemburgo" del 1997, in cui si delineano le linee programmatiche di una riforma del mercato
del lavoro (MDL) il più possibile accettabile da tutti i membri dell'Unione, e fondata sul nesso
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tra flessibilità e sicurezza sociale. In tal senso si mira da un lato a predisporre gli strumenti
funzionali alla logica competitiva, dall'altro a non tradire la tradizione sociale del vecchio
continente, non abbattendo ma ridefinendo il concetto e la struttura del welfare. Come si vedrà
più avanti, secondo quanto affermato nel "processo" e, più recentemente, nel Consiglio di
Barcellona del 2002, una tale strategia per il lavoro dovrebbe portare, entro il 2010, al risultato
della piena occupazione.
§1.1 Flessibilita' del lavoro e insicurezza.
Il concetto di flessibilità è stato coniato per fronteggiare le trasformazioni che hanno
interessato, negli ultimi decenni, l'economia e, di riflesso, la politica globale. Applicato
originariamente alla sfera del labor market, il concetto di flessibilità è stato in seguito correlato
all'organizzazione della società più in generale; in tal senso è possibile contrapporre tale
concetto a quello di sclerosi burocratica, inerzia politica, etc. In relazione alla sfera del mercato
del lavoro, che è l'unica ad interessare in questa sede, Bo Strath afferma che il concetto di
flessibilità nasce dalla evoluzione dei principi della dottrina economica degli anni '70 del '900,
la quale inizia ad orientarsi "verso il mercato"; parallelamente emergono nuove tipologie di
relazione tra le organizzazioni e i lavoratori, dovute alla globalizzazione dei mercati e
all'utilizzo crescente delle tecnologie dei media. In particolare il lavoratore salariato diviene
"attore nel mercato", il membro di una organizzazione si individualizza, esponendosi in prima
persona alla competizione. Necessariamente la sicurezza del posto dell'occupato viene meno,
nascono nuove tipologie lavorative, rispondenti alla nuova esigenza di flessibilità, invocata a
gran voce dall'Impresa e dal suo bisogno di competitività e, quindi, di contenimento dei costi:
part-time, contratti a tempo determinato, sub-contratti di lavoro, ecc.(Strath,2000). E' ancora
Strath ad affermare che: "Il trionfo delle priorità dei datori di lavoro è dovuto al successo che
essi hanno ottenuto nel trasmettere una immagine dell'individuo come attore separato,
nell'ambito del mercato del lavoro, dai suoi colleghi e dai suoi superiori....si può dire in tal
senso che lo slogan "tutti per uno" è venuto a mancare" (Op Cit:24).
Fino alla fine degli anni '70 il concetto di flessibilità del lavoro riguardava essenzialmente il
salario; solo a partire dalla metà degli anni '80 del 1900 il termine prese a includere ulteriori
aspetti dell'occupazione: tempi di lavoro, condizioni lavorative, trattamento di fine rapporto
ecc. -"....Lentamente, inoltre, il concetto di deregolazione, prima difficilmente correlabile alle
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"issues" proprie della sfera occupazionale, comincia a diventare quasi un sinonimo della
"flessibilità del mercato del lavoro"..."(Wagner,2000,p.38). Discutendo circa la semantica del
concetto di flessibilità Wagner individua il suo naturale opposto nel concetto di "rigidità"; -
"rigidità significa sostanzialmente "stabilità", termine che a sua volta, in senso estensivo, può
pronunciarsi "sicurezza". Per tali implicazioni, dunque, "flessibilità" acquista il significato
addizionale di "insicurezza"" (Op.Cit:41).
Proprio il concetto di "insicurezza" è al centro di numerosi studi del versante più sociale e
critico della globalizzazione, e delle sue profonde implicazioni con il mercato del lavoro. A tal
proposito Ulrich Beck paventa l'ipotesi di una "Brasilianizzazione" dell'occidente, nell'ottica di
una economia politica dell'insicurezza, o società mondiale del rischio. Tanto maggiore è,
secondo l'autore, il numero dei rapporti di lavoro deregolamentati e flessibilizzati, tanto più
rapidamente la società del lavoro si trasforma in società del rischio (Beck, 2000): -"Flessibilità
significa anche: scaricamento dei rischi dallo Stato e dall'economia sugli individui. I posti di
lavoro disponibili diventano a breve termine, le persone sono più facilmente licenziabili, cioè
rinnovabili. Flessibilità significa: Gioisci, le tue conoscenze e le tue capacità sono obsolete, e
nessuno è in grado di dirti cosa devi imparare perchè in futuro qualcuno abbia bisogno di te"
(Op.Cit.:5-6).
Allo stesso modo si è sottolineato come la precarietà del lavoro spinga verso "un mondo più
pericoloso", soprattutto per le generazioni più recenti: -"Lo spiazzamento tecnologico e la
perdita di opportunità di lavoro ha condizionato, più di tutti, i giovani, contribuendo a
diffondere una violenta subcultura del crimine" (Rifkin,1995,p.238).
Insomma, l'insicurezza che contraddistingue il mondo del lavoro, determinata dalle esigenze
di flessibilità dell'impresa globale, può essere percepita come il risultato di una strategia volta a
massimizzare i profitti, svalorizzando o negando il fattore lavoro (Hobsbawm,2000). In altre
parole la liquidazione delle quote statali che ha aperto il ciclo della sconfitta dello Stato
keynesiano ad opera del grande capitale privato e delle multinazionali, ha permesso ai nuovi
attori di operare seguendo una linea meramente economica, massimizzando cioè i profitti, e
muovendosi in tal senso nella direzione dell'abbattimento dei costi di produzione, tra cui il più
oneroso è proprio quello del lavoro. La flessibilizzazione del lavoro, è dunque la nuova legge
imposta dalla logica del mercato globale, al fine di proteggere la produzione. Poco importa se
la sicurezza del lavoro viene meno; l'unica stabilità che conta è quella di impresa. Un rischio di
medio periodo tutt'altro che remoto, potrebbe essere quello di “iniettare nelle generazioni
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future non solo una cultura del lavoro intimamente flessibile, ma anche un sentimento di
assoluta normalità di fronte a una tutela del lavoro profondamente instabile”
(Accornero,2000).
Dal versante opposto, quello degli "entusiasti" della globalizzazione, Paul Samuelson, in un
articolo de "Il Corriere della Sera", afferma che le nuove dinamiche del mercato del lavoro, su
scala mondiale, non costituiscono di per sé motivi di allarmismo e di insicurezza sociale;
sottolineando come il know-how tecnico possa essere utilizzato all'estero impiegando
lavoratori a basso costo, Samuelson accusa: "Il commercio sleale è dannoso, non il libero
commercio"1.
Quale che sia il punto di vista degli autori è innegabile che la trasformazione del mercato del
lavoro in senso flessibile, sia stata determinata dallo spostamento graduale di quello che si
potrebbe definire "asse d'interesse": dalla tutela dell'interesse del lavoratore, propria della
passata fase storica del welfare state di stampo keynesiano, si passa alla tutela neoliberista
dell'impresa, che si basa sulla ipercompetitività e sulla massimizzazione dei profitti. Ciò sarà
chiarito analizzando le diverse risposte fornite dalla letteratura e dai principali attori
transnazionali sul perchè il mercato del lavoro si è mosso verso il modello della flessibilità.
1 "Corriere" 17-07-2001
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§1.2 Perché il mercato del lavoro si sta trasformando? Il ruolo degli attori transnazionali
nelle reti politiche.
-"Tuttora le società occidentali vanno incontro a grandi trasformazioni che trovano il loro
nucleo principale nella sfera del lavoro, ma le cui implicazioni coinvolgono l'intera
organizzazione sociale e l'orientamento degli individui... le trasformazioni non sono peraltro
esenti da profonde ambivalenze... è il caso dell'opposizione tra i concetti di equità ed
efficienza, sicurezza e impiego" (Wagner,2000,p.45). Nella sua ricostruzione storica del
mercato del lavoro, Wagner mostra come la dinamica evolutiva del labor market abbia
condotto ad una alternanza ciclica di due modelli fondamentali, e come sia sempre apparsa
complessa la costruzione di una alternativa tra tali due modelli. Uno di essi, quello "flessibile"
risponde a una logica di individualismo liberale, l'altro, quello "inflessibile" si basa su una
logica organizzativa- collettivistica; la loro alternanza ciclica è stata sempre motivata dal
bisogno occidentale di "modernità" (Op.Cit.Cfr.).
Una prospettiva condivisa nella teoria politica basa la propria comprensione dell'attuale
politica democratica sul liberalismo individualista, e assume le economie dell'occidente come
economie "di mercato", analizzabili con gli strumenti della tradizione neoclassica. Questa
auspica la più ampia libertà del mercato attraverso l'eliminazione di quei fattori "non-market"
che ne possano ostacolare l’espansione. La fattibilità del mercato aperto, e di tutti quegli
strumenti che possano condurre alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro, è assicurata
dalla costituzione di reti di politiche (policy networks) in cui attori politici nazionali e
transnazionali stabiliscono delle relazioni di interdipendenza, al fine di dare luogo a de-
regolamentazioni o ri-regolamentazioni della materia in senso normativo, nel contesto di un
dato sistema politico.
A tal proposito è utile dare uno sguardo alle issues poste da tali attori transnazionali circa la
ridefinizione in senso "flessibile" del mercato del lavoro. Ciascun attore partecipa alle
dinamiche di rete portando con sé specifiche motivazioni e interessi che, combinandosi con
motivazioni e interessi di attori altri, danno luogo allo sviluppo di nuove forme condivise di
conoscenza le quali, attraverso specifici meccanismi di diffusione politica, possono essere
“inseminate”, in tutto o in parte, nelle agende politiche nazionali. Gli attori transnazionali
operano dunque come agenti della diffusione politica; il loro obiettivo ideale è quello di
giungere alla omogeneizzazione delle politiche e delle normative per il lavoro nel più vasto
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numero di Stati. Si avrà modo di approfondire questo argomento nel proseguo della ricerca.
Ci si chiede adesso: perché il mercato del lavoro si muove verso il modello della flessibilità?
Una possibile risposta a tale domanda sarà fornita dall'analisi delle posizioni, in tema di
politiche per l'occupazione, assunte dai principali attori transnazionali, operanti all'interno dei
policy networks e coinvolti inevitabilmente nel processo del policy change.
• L'Unione Europea e la nuova organizzazione del lavoro
In un paper commissionato dall'European Work Organisation Network (EWON) si legge:
"nuove forme di organizzazione del lavoro stanno emergendo come elementi chiave nello
sviluppo delle capacità di innovazione e di produzione proprie delle organizzazioni
tradizionali, in Europa" (Savage,2001). Dunque, la Commissione Europea e gli Stati Membri,
al fine di combattere la disoccupazione e stimolare la competitività, devono perseguire la strada
del rinnovamento dell'organizzazione del lavoro .
Tralasciando una lunga e pur utile ricostruzione storica della definizione che l'Unione
Europea nel corso del tempo ha dato dell'organizzazione del lavoro, si può far risalire all'anno
1997 il primo decisivo passo della Commissione verso un rinnovamento del MDL su scala
comunitaria. Ci si può limitare alla semplice menzione di tre eventi precedenti a questa data,
che ne hanno comunque permesso la rilevanza storica: il trattato di Maastricht (1992), Il "Libro
bianco sulla crescita economica, competitività e impiego" (1993), e l' "Employment Summit"
tenutosi a Essen nel 1994.
Nel 1997, immediatamente dopo il "Trattato di Amsterdam", la Commissione Europea
pubblica il Libro Verde "Partnerariato per una Nuova Organizzazione del Lavoro", in cui si
sottolinea come nell'organizzazione del lavoro si tenda verso il sistema della "impresa
flessibile", che rimpiazza i tradizionali sistemi di produzione rigidi. Questa trasformazione è
spiegata nel "Green Paper" del 1997, tramite il ricorso a tre fattori principali: 1) Risorse
umane: le imprese devono ridurre i costi del lavoro, assumendo personale specializzato che
possa garantire la migliore competitività a livello mondiale.
2) Mercati: Le imprese, per poter competere nel mercato, devono soddisfare le richieste dei
consumatori e anzi provare ad anticiparle. In tal senso la competitività e il successo di
un'impresa sarà determinato dalla sua capacità innovativa e dalla sua adattabilità al mercato, il
che significa mantenere un alto grado di flessibilità nella produzione e nella gestione della
forza lavoro.