stato considerato per lungo tempo come il risultato “naturale”
2
dei modelli di crescita con accumu-
lazione di capitale. Tuttavia, può agevolmente dimostrarsi che tale risultato si verifica solo se il
mercato non presenta alterazioni rispetto ad una situazione di “perfezione”: non appena, invece, fe-
nomeni come esternalità, rendimenti crescenti, etc. si manifestano, dinamiche ben più complesse,
come equilibri multipli, indeterminatezza, instabilità locale e fluttuazioni transitorie o persistenti,
hanno la possibilità di verificarsi. Particolare rilevanza, nella letteratura più recente ha avuto il fe-
nomeno dell’indeterminatezza dell’equilibrio. Quando si ha indeterminatezza, esiste un continuum
di equilibri, ciascuno dei quali associato a determinate condizioni iniziali
3
. Questo significa che, da-
ti i livelli iniziali delle variabili di stato, esistono infiniti valori delle variabili di controllo (di solito
consumo e tempo di lavoro dedicato alla produzione) in grado di condurre l’economia verso il suo
equilibrio di lungo periodo. In questo caso, i fattori socio-culturali dominanti nei diversi paesi agi-
scono come “meccanismi di selezione” delle variabili di controllo determinando, in ultima analisi, il
livello di benessere in stato stazionario. Degna di nota è, a questo proposito, l’utilizzazione delle
possibilità offerta dai modelli a due settori con imperfezioni di mercato ipotizzata da Benhabib e
Perli (1994) all’interno del modello di Lucas (1988). I due autori, chiedendosi quali potessero essere
i fattori che influenzano le divergenze nell’esperienza di crescita di paesi con livelli di dotazione
simili, arrivano ad affiancare alle tradizionali spiegazioni che si rifanno, di solito, alle diverse poli-
tiche macroeconomiche, proprio la possibilità dell’indeterminatezza.
Esistono, tuttavia, diverse obiezioni, anche teoriche, ai modelli che esibiscono indeterminatezza.
Una prima possibile obiezione riguarda il fatto che essi non hanno potere di previsione e perciò non
possono essere d’aiuto per capire quale traiettoria di sviluppo sarà seguita dal sistema economico.
Questa obiezione non è rivolta a sindacare la validità dei modelli, ma al contrario è rivolta alla natu-
ra dei loro risultati i quali implicano che, in determinate circostanze, fattori come la tecnologia, le
preferenze e le dotazioni iniziali, potrebbero non essere sufficienti a determinare l’equilibrio eco-
nomico.
Come precedentemente affermato, la possibilità di ottenere indeterminatezza dell’equilibrio dipende
strettamente dall’esistenza di imperfezioni di mercato. In particolare, Boldrin e Rustichini (1994)
individuano un continuum di equilibri in una versione modificata del modello di Uzawa (1965) con
esternalità, mentre Benhabib e Perli (1994), Chamley (1993), e Xie (1994) ottengono analoghi risul-
tati nel modello di accumulazione di capitale umano di Lucas (1988) con esternalità. A partire da
Romer (1986) e da Lucas (1988), infatti, le esternalità costituiscono un elemento privilegiato per
generare contesti dove lo studio dell’indeterminatezza dell’equilibrio possa effettuarsi.
2
Vedi Mattana e Venturi (1997).
3
Vedi Benhabib-Perli-Xie (1994), Benhabib e Farmer (1994), Boldrin e Rustichini (1994), Chamley (1993).
Nell’ambito di questa letteratura, lo scopo di questa tesi è quello di verificare se esiste la possibilità
di arrivare a equilibri indeterminati che non dipendano esclusivamente da forme di esternalità su
configurazioni “medie” di capitale. Con tale obiettivo si utilizza una versione semplificata del mo-
dello generale a due settori studiato da Mulligan e Sala-i-Martin (1993). L’elemento che si intende
approfondire consiste nella differenziazione dell’elasticità della frazione del tempo di lavoro dedi-
cato da ciascun individuo alla produzione nel settore finale rispetto al fattore capitale associato.
Lo schema seguito da questo lavoro è il seguente. Nell’introduzione del primo capitolo si inizia con
una sommaria descrizione della generalizzazione del modello di Lucas On the Mechanics of Eco-
nomic Development (1988), studiata da Mulligan e Sala-i-Martin (1993). Di seguito inizia il lavoro
di ricerca vero e proprio; si introduce una differente elasticità, rispetto al prodotto, della frazione del
tempo di lavoro spesa per produrre reddito e si procede alla risoluzione del modello stesso. Tale
modifica va a introdurre point-in-time tecnologies il cui impatto sulle dinamiche di lungo periodo si
intende valutare. La metodologia seguita per determinare le proprietà della dinamica attorno allo
stato stazionario è quella tipicamente utilizzata in molti lavori di questo genere. I risultati, discussi
nella parte finale del capitolo, sono piuttosto interessanti. In particolare si dimostrerà che la dinami-
ca di equilibrio risultante dalla massimizzazione è strettamente connessa alla forma di tali point-in-
time tecnologies. Nelle conclusioni, i punti salienti del lavoro saranno ripercorsi.
CAPITOLO 1
UN MODELLO CON POINT-IN-TIME TECHNOLOGIES
1.1 - Introduzione
Mulligan e Sala-i-Martin (1993) hanno ipotizzato una versione generalizzata del
modello di ottimizzazione a due settori, nella quale le funzioni di produzione utilizzate
sono del tipo Cobb-Douglas e presentano rendimenti di scala costanti. I settori produtti-
vi considerati si riferiscono a quello del bene “finale” e a quello della “conoscenza”. Le
due funzioni di produzione sono:
y Auhvkhk
t
f
ttttt t
uhv k h k
=
αααααα
$$
$$
()()
yuhvkhk
t
e
tt tttt
u
h
v
khk
=− −φ
β
β
β
β ββ
11
$$
$$
dove si pone 1=+
hk
αα e β
k
+ β
h
= 1 per garantire che la funzione di produzione esibi-
sca rendimenti costanti di scala. I parametri A e φ rappresentano il livello della tecno-
logia in ognuno dei due settori produttivi. I termini
f
h ,
f
k ,
e
h e
e
k sono gli stock di ca-
pitale utilizzati per la produzione nei due settori con elasticità pari, rispettivamente ad
h
α ,
k
α ,
k
β e
h
β . Le variabili
t
u e
t
v , inoltre, rappresentano la frazione del capitale
umano e del capitale fisico utilizzata nel settore del capitale fisico all’istante t, mentre
()
t
u−1 e ()
t
v−1 rappresentano le corrispondenti frazioni utilizzate nel settore della co-
noscenza: ciò significa che sia i lavoratori, sia le “macchine”, sono dotati di una unità di
“sforzo” che può essere allocata fra i due settori. Particolare importanza rivestono, per i
fini di questo lavoro, le elasticità
u
α ,
v
α , β
u
e β
v
che rappresentano le elasticità, rispetto
al prodotto, delle “frazioni” del tempo complessivo dedicate al primo o al secondo setto-
re produttivo.
k
~α ,
h
~α ,
k
~β , e
h
~β , inoltre, misurano l’intensità delle esternalità sul pro-
dotto finale dipendenti dalle “configurazioni medie” di capitale
$
h
t
e
$
k
t
. Mulligan e Sa-
la-i-Martin non arrivano allo studio della soluzione di stato stazionario del modello ge-
nerale da essi proposto, ma si limitano a discutere alcuni risultati ottenuti attraverso si-
mulazioni numeriche.
L’aspetto originale che questo lavoro intende approfondire riguarda la presenza di elasticità,
per così dire “autonome”, della variabile “sforzo” rispetto alle configurazioni di capitale cui essa si
riferisce. In particolare i due autori definiscono le cosiddette Point-In-Time Technologies (PITT)
per i sector specific capital stock, in questa forma:
huh
t
f
tt
uh
=
αα
tt
f
t
kvk
kv
αα
=
()
tt
e
t
huh
hu
ββ
−= 1
()
tt
e
t
kvk
kv
ββ
−= 1
Se l’esponente sulla variabile “sforzo” è inferiore all’unità, allora sono presenti PITT decrescenti.
Viceversa se l’esponente sulla variabile “sforzo” è uguale ad uno sono presenti PITT costanti. Nel
caso in cui si riscontrino per tutti i settori produttivi PITT costanti le variabili
t
u e
t
v possono esse-
re considerate la frazione aggregata del capitale umano e del capitale fisico utilizzata nel settore del
capitale fisico all’istante t , mentre ()
t
u−1e ( )
t
v−1 rappresentano le corrispondenti frazioni utiliz-
zate nel settore della conoscenza.
In questo lavoro si intende approfondire l’impatto delle PITT sulle modalità con cui avviene
la transizione verso lo stato stazionario. Lo studio avverrà in una versione semplificata del modello
di Mulligan e Sala-i-Martin suesposto. Si nota che tale versione semplificata, come verrà dettagliato
in ciò che segue, può anche considerarsi come una versione più generale del modello di Lucas
(1988). La metodologia seguita per determinare le proprietà della dinamica di transizione è quella
tipicamente utilizzata in molti lavori di questo genere
4
. In particolare, una volta definite le caratteri-
stiche del modello, si procederà alla costruzione dell’Hamiltoniano in valore corrente e
all’individuazione delle condizioni del prim’ordine. A questo punto si procederà allo studio della
proprietà del sentiero di crescita bilanciata (SCB) del modello ipotizzato. Affinché il lavoro possa
apparire più chiaro sono state introdotte alcune rappresentazioni grafiche.
4
Tale metodologia è ormai molto diffusa ed è stata utilizzata, tra gli altri, da Benhabib e Perli
(1994), Xie (1994), Boldrin e Rustichini (1994), Benhabib, Perli e Xie (1994).