39
commercio, quindi in questa definizione rientrano indifferentemente la
canzone, il pop, il rock, la musica del cinema, della televisione, della
pubblicità. Contrariamente a quanto lascerebbe supporre, questa
denominazione non include le musiche popolari intese come musiche
tradizionali o folkloristiche, che infatti non hanno motivazioni
commerciali né visibilità mediatica. La derivazione anglosassone di
questo termine è motivata da una tradizione di studi seri riguardanti
queste musiche che è nata e si è sviluppata soprattutto in Inghilterra e
che attualmente è organizzata come associazione internazionale che
prende il nome di IASPM (International Association for the Study of
Popular Music). Dell’associazione fanno parte anche, fra gli oltre
seicento iscritti, Richard Middleton, Philip Tagg e Franco Fabbri (cfr. §
2.3.).
Con il termine musica leggera si restringe decisamente il campo,
visto che con esso ci si riferiremo esclusivamente a canzoni. Canzoni
leggere; dunque non rock, punk o quant’altro. Al più, con questo
termine si può indicare anche la musica pop di matrice internazionale.
Comunque, nel nostro caso lo useremo soprattutto per la musica
italiana.
Parlando di canzone d’autore entriamo un po’ più nel dettaglio,
visto che la canzone d’autore è ancora musica leggera, ma con finalità
artistiche maggiori, soprattutto dal punto di vista letterario. Però,
Roberto Vecchioni fa notare giustamente che «”canzone d’autore” è un
termine infelice e ambiguo, derivante dall’ancor più infelice eponimo
“cantautore”. Un termine dovrebbe per sua natura circoscrivere e
quindi segnare dei limiti: qui invece i confini restano aleatori e
indefiniti. Autore di che? Di canzoni belle, serie, colte, impegnate,
sociali, stilisticamente nobili. E chi lo dice? Quando possiamo
veramente esser certi che tutto ciò si verifichi?»
2
. Pur con tutte le sue
2
VECCHIONI ROBERTO, La parola tra canzone d’autore e poesia, in: COVERI
LORENZO (a cura di), Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d'autore
italiana, Novara, Interlinea 1996, p. 9.
40
ambiguità useremo comunque questo termine, che ci sembra valido nel
senso in cui chiunque sa a cosa esso si riferisce. Confidiamo dunque
sulla sua popolarità e sull’uso convenzionale che se ne fa.
Nelle prossime pagine la nostra attenzione si concentrerà soprattutto
sulla canzone d’autore italiana. Questo perché un’indagine nel campo
della popular music sarebbe troppo vasta: avendo deciso di occuparci
di parole e musica, dovremmo indagarne gli intrichi tanto nella musica
italiana quanto in quella straniera, tanto nel rock quanto nelle sigle
televisive, e così via. Impresa impossibile. Restringiamo dunque il
campo alla musica leggera italiana, privilegiando la canzone d’autore
per una questione di stile e, diciamolo, di amore per il genere. Quanto
verrà detto sarà valido comunque anche per la musica leggera, di cui la
canzone d’autore, lo si è appena fatto notare, fa comunque parte.
Lorenzo Coveri ci offre uno schema che è utile tenere presente
come introduzione al nostro discorso
3
, secondo cui l’evoluzione
linguistica dei testi di canzoni è rappresentabile graficamente con
un’iperbole.
In una prima fase, che va dalla nascita della canzone fino al 1958,
quando Modugno canta al Festival di Sanremo Nel blu, dipinto di blu, il
linguaggio è strettamente imparentato con quello del melodramma e
dominato da arcaismi (come la clausola cor : amor) che non sono più in
linea né con il linguaggio correntemente parlato, né con il linguaggio
poetico novecentesco. La canzone dunque si adegua ad un linguaggio
più moderno con circa cinquant’anni di ritardo.
La seconda fase, di rinnovamento, comincia appunto con Modugno
e prosegue con i cantautori. Nell’ipotetica iperbole di cui sopra
vediamo che dalle canzoni della prima fase si scende man mano verso
il basso, con un linguaggio che diventa sempre più vicino al parlato, al
quotidiano, raggiungendo il punto zero con la coppia Mogol-Battisti.
3
Cfr. COVERI LORENZO, Per una storia linguistica della canzone italiana, in: COVERI
LORENZO (a cura di), Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d'autore
italiana, Novara, Interlinea 1996, pp. 15-17.
41
La terza fase risale in una fuga dal quotidiano, con esperienze che
dagli anni ottanta vanno alla ricerca di una maggiore dignità formale in
diversi modi. Emblematiche sono, in tal senso, le canzoni di Paolo
Conte, Franco Battiato, Pino Daniele, dell’ultimo Battisti o dell’ultimo
Baglioni.
Ma adesso non resta che avvicinare maggiormente la canzone, a
partire da quel fenomeno che ne ha istituito la modernità.
2.2. La canzone moderna
Al festival di Sanremo del 1958, quando tutti danno per vincitrice
Nilla Pizzi con L’edera, si presenta un cantautore che non solo vincerà
il festival, ma diventerà con la sua canzone un fenomeno mondiale.
Questo cantautore è Domenico Modugno (Polignano a Mare, BA, 1928-
Lampedusa, AG, 1994). La canzone si chiama Nel blu, dipinto di blu,
subito ribattezzata a furor di popolo Volare, e in un attimo spazza via
tutti i luoghi comuni che avevano mummificato fino a quel momento la
canzone italiana
4
. Oltre alla grandezza della canzone c’è la follia
dell’interprete, che azzarda un movimento ampio delle braccia quando
intona il ritornello, a sottolineare il gesto del volo mentre lo racconta.
Fino a quel momento i cantanti si esibivano in una immobilità
pressoché assoluta, aprendo tutt’al più un braccio e facendolo tornare al
petto per poi muovere anche l’altro. Modugno invece alla fine del
secondo ritornello compie addirittura una giravolta, come se planasse.
E il piede batte il ritmo.
4
Per una analisi della canzone cfr. § 2.3.
42
È un trionfo. L’entusiasmo in sala è incontenibile. «Il pubblico, i
giornalisti, i critici tirano fuori i fazzoletti bianchi e li agitano come in
una liberazione collettiva. Ed è la nascita del mito di “Mister Volare”»
5
.
Nonostante rappresenti un punto di svolta per la canzone italiana,
Modugno non farà scuola. Dice Vecchioni: «Nessuno prese
direttamente da lui. Ma tutti ne colsero lo spirito»
6
, quello spirito di
rinnovamento che forse era già nell’aria anche per altri motivi.
Nello stesso periodo, infatti, una canzone “diversa” nasce anche da
alcuni momenti di ricerca molto coraggiosi, che si manifestano
attraverso le esperienze del Cantacronache e del Nuovo canzoniere
italiano.
Nell’estate del 1957 si riunisce a Torino un collettivo formato da
giovani musicisti come Fausto Amodei, Sergio Liberovici, Margot e da
intellettuali come Emilio Jona, Michele Luciano Straniero, Giorgio de
Maria. Il gruppo prende il nome di Cantacronache e si propone come
obiettivo quello di dare vita ad una canzone che dia spazio al sociale,
alla politica e alla cronaca, in netta polemica con la canzone
“gastronomica” (ovvero di puro consumo; cfr. § 2.3.), in particolare
quella sanremese. Il 3 maggio 1958, nella sala dell’Unione Culturale di
Torino, il gruppo realizza i suoi propositi attraverso lo spettacolo
13 canzoni 13 in seguito al quale si affiancano le collaborazioni di
scrittori quali Franco Fortini e Italo Calvino. Le produzioni del
Cantacronache vengono incise anche su dischi, ma sono iniziative che
dal punto di vista finanziario sono fallimentari.
Nel frattempo a Milano Roberto Leydi e Gianni Bosio portano
avanti una originale ricerca sui canti politici e di protesta, ovvero su un
materiale che Ernesto De Martino lamentava essere trascurato dalla
scienza folkloristica tradizionale. Nel 1962 il Cantacronache si unisce
5
PIRITO NINO, «Cari amici vicini e lontani…», in: Tu musica divina. Canzoni e storia
in cento anni d’Italia, Torino-Londra, Umberto Allemandi & C. 1996, p. 87.
6
VECCHIONI ROBERTO, dispense per il corso di Forme della poesia per musica, corso
di laurea DAMS, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di
Torino, A.A. 2000-’01, p. 6 del capitolo dedicato all’analisi delle canzoni.
43
alle ricerche di Leydi e Bosio e nasce così il Nuovo Canzoniere
Italiano, che ha lo scopo di recuperare e poi riprodurre il patrimonio
della musica tradizionale. I risultati più importanti sono due spettacoli:
il primo, presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1964, è
intitolato Bella ciao e provoca enormi polemiche che sfociano in una
denuncia ai responsabili dello spettacolo per vilipendio delle Forze
Armate; il secondo, in scena a Torino nel 1966 con la regia di Dario Fo,
si chiama Ci ragiono e ci canto e raccoglie sia canzoni tradizionali che
canzoni politiche originali. Da questo momento i nuovi autori,
Giovanna Marini, Ivan della Mea, Paolo Pietrangeli, produrranno
composizioni originali da usare come strumento di battaglia politica.
Anche gli artisti del Nuovo Canzoniere Italiano incidono dischi, ma il
pubblico li ignora rendendo vana l’utopia di una canzone alternativa a
quella di consumo da cui tutto era cominciato.
Il fenomeno più rilevante degli anni sessanta è comunque quello dei
cantautori, che operano una vera e propria rivoluzione. Tutto nasce tra
il 1959 e il 1960, quando la casa editrice Ricordi decide di diventare
anche una etichetta discografica. I due illuminati discografici che se ne
prendono cura sono Nanni Ricordi e Franco Crepax, che decidono di
lanciare nuovi talenti, riuscendo a trovare in questo modo un gruppo di
autori molto originali
7
. I due tentano una mossa coraggiosa: fare
cantare quelle canzoni così eccentriche ai loro autori, che si trovano
così a doversi improvvisare interpreti. Questi artisti si chiamano
7
«Racconta Giorgio Gaber, testimone e protagonista dell’epoca: “Nanni puntava su
cavalli ai quali non avrebbe creduto nessuno, non erano il genere di prodotto che si
pensava potesse vendere: come Paoli, Tenco, Bindi, io”. Aggiunge Bindi: “Facevamo
canzoni imprevedibili e poi, come persone, eravamo proprio strambi. Ma ci fu
consentito di provare, sbagliare, riprovare. Nanni e i suoi […] ci diedero fiducia anche
quando facevamo cose mediocri”. E conclude Gino Paoli: “Tutti noi avemmo la
fortuna di imbatterci in Nanni Ricordi, che aveva carta bianca e che è uno dei quattro
o cinque discografici illuminati, non di più, che ho incontrato in trentacinque anni di
carriera”» (JACHIA PAOLO, La canzone d’autore italiana 1958-1997. Avventure della
parola cantata, Milano, Feltrinelli 1998, pp. 38-39).
44
Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Fabrizio De André, Piero
Ciampi, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, tutti liguri o
milanesi, sia pure alcuni di adozione. Per loro i giornalisti inventano il
termine cantautore, che indica appunto la loro doppia valenza artistica.
La grande novità di questi artisti è soprattutto nel linguaggio, che si
avvicina ai modi della lingua parlata, e anche se i temi continuano ad
essere spesso quelli amorosi, è la complessità dei sentimenti quotidiani
ad imporsi contro la retorica ancora dominante nelle canzoni del
periodo. L’amore è spesso problematico, non viene idealizzato e viene
descritto per quello che è nella vita di tutti i giorni:
Teresa, quando ti ho dato il primo bacio sulla bocca
mi hai detto adesso cosa penserai di me
Teresa, non sono mica nato ieri
per te non sono stato il primo
nemmeno l’ultimo, lo sai, lo so
ma Teresa, di te non penso proprio niente
mi basta restare un poco accanto a te, a te…
non devo perdonarti niente
mi basta quello che mi dai
8
La canzone finalmente si avvicina alla realtà, attraverso il
linguaggio ed il modo nuovo di trattare tematiche ormai consunte. Il
ritardo con cui avviene questa emancipazione è notevole; circa
cinquant’anni, quando invece «in letteratura questo “scarto”, questo
salto era già avvenuto con la poesia dei crepuscolari e di Gozzano in
particolare»
9
. Gianni Borgna imputa questo ritardo ad una scelta
politica del governo democristiano, che negli anni cinquanta avrebbe
usato la canzone «a fini di retroguardia, per allinearla alla concomitante
8
Teresa, Sergio Endrigo, 1965.
9
VECCHIONI ROBERTO, Op. cit., p. 8 del capitolo “La canzone d’autore”.
45
restaurazione economica e politica»
10
. Una motivazione a nostro parere
più convincente è fornita da Roberto Vecchioni, che così si esprime in
proposito: «di là dell’interpretazione di Gianni Borgna, mi vien da
pensare che ormai la canzone si stesse avviando ad essere una società
segreta impenetrabile, una specie di mafia intellettuale paga dei propri
sforzi che tra l’altro tra edizioni e riproduzioni elargivano soldi a
palate. Il pericolo era grandissimo. Spezzare questo cerchio e far
entrare il “nuovo” pareva quasi impossibile»
11
.
Dalla seconda metà degli anni sessanta la canzone italiana trova uno
dei momenti di maggiore felicità artistica nell’incontro fra Lucio
Battisti (Poggio Bustone, RI, 1943-Milano 1998) e Giulio Rapetti (in
arte Mogol, Milano 1938). Mogol, già affermato come autore di testi,
decide di tentare con Battisti un esperimento, ovvero quello di lasciarsi
andare a scrivere ciò che sente veramente senza i condizionamenti
commerciali che lo avevano fino a quel momento limitato. Nascono
così i primi brani, affidati a vari interpreti. Nel 1967 il gruppo leader
del beat italiano, l’Equipe 84, interpreta 29 settembre e diversi critici
hanno azzardato l’ipotesi che questa canzone abbia rappresentato per
l’Italia ciò che il contemporaneo album dei Beatles Sgt. Pepper’s
Lonely Hearts Club Band ha rappresentato per il mondo intero, ovvero
una rivoluzione.
In effetti il paragone non è poi così esagerato, se si pensa che dal
punto di vista della produzione in studio di registrazione Battisti
dimostra una mentalità da musicista internazionale, attentissimo com’è
alla cura degli arrangiamenti e alla realizzazione in generale. Anche la
struttura irregolare dei suoi pezzi può richiamare quella altrettanto
10
BORGNA GIANNI, L’italiano “cantato”, in: COVERI LORENZO (a cura di), Parole in
musica. Lingua e poesia nella canzone d'autore italiana, Novara, Interlinea 1996, p.
70.
11
VECCHIONI ROBERTO, Op. cit., p.8 del capitolo “La canzone all’italiana”.
46
libera dei Beatles ultimo periodo
12
. Gli arrangiamenti pop o rhythm &
blues, che rispetto a ciò che si sente in Italia in quel periodo sono
all’avanguardia, convivono perfettamente con quello che è comunque il
punto di forza di Battisti, ovvero la melodia, da sempre caratteristica
della nostra tradizione musicale.
Tuttavia la critica, soprattutto all’inizio, non è sempre tenera; né
con Battisti, accusato di non saper cantare, né con Mogol, responsabile
invece di non essere impegnato politicamente in un’epoca (siamo
intorno al ’68) in cui schierarsi è d’obbligo. La voce di Battisti, pur con
i suoi limiti, riesce invece con la sua “normalità” a cantare
perfettamente la quotidianità presente nei testi di Mogol, quell’impasto
di kitsch e sublime che rende indimenticabili le loro canzoni.
Dopo l’album Una giornata uggiosa (1980), che vede la fine della
collaborazione tra i due, il percorso artistico di Battisti continuerà lungo
una strada coraggiosissima in cui dominano ritmiche elettroniche,
scarne melodie a mo’ di recitativo e testi ermetici la cui stesura è
affidata inizialmente alla moglie Grazia Letizia Veronesi, sotto lo
pseudonimo di Velezia, e più tardi al poeta Pasquale Panella.
Intanto, sull’onda dei movimenti del ’68 la musica si fa portatrice di
ideali. Una nuova generazione di cantautori politicamente schierata a
sinistra – come Francesco Guccini, Antonello Venditti e Francesco De
Gregori – si fa carico di interpretare le ansie giovanili del periodo,
analizzando i problemi e le contraddizioni della società e tentando
anche di indicare delle soluzioni. I contenuti, rispetto ai primi
cantautori, diventano più profondi e mentre quelli cantavano l’amore in
modo insolito, più per andare controcorrente che per altro, questi danno
maggiore importanza al messaggio politico e sociale che, riluttante
delle faccende sentimentali, da un certo momento in poi sembra essere
l’unico modo per essere presi seriamente in considerazione. I testi
12
Per un’analisi dettagliata di tutte le canzoni di Mogol-Battisti, rimandiamo a
SALVATORE GIANFRANCO, Mogol-Battisti. L'alchimia del verso cantato, Roma,
Castelvecchi 1997.
47
diventano dunque più ricercati, al punto da mettere spesso in secondo
piano la musica.
A questo proposito Mogol attribuisce all’eccessiva importanza data
al testo da alcuni di questi cantautori il fatto che l’Italia non canti più:
«la canzone “impegnata” ha dei forti limiti: chi la canterebbe sotto la
doccia?»
13
. L’importanza attribuita al contenuto fa sì che in molti casi il
testo venga scritto prima della musica, invertendo l’abitudine che vede
comporre innanzitutto quest’ultima. Dunque Mogol ritiene
significativamente che la canzone riuscita si fondi sulla sequenza
musica-parole anziché parole-musica
14
.
Nel lessico dei cantautori cominciano ad entrare anche parole
volgari, in aderenza ormai totale alla lingua comunemente parlata. La
censura della Rai, non aggirabile fino a pochi anni prima, non può nulla
contro queste canzoni, che riescono a trovare comunque una via per
farsi conoscere grazie all’enorme diffusione delle emittenti radio
private. Inoltre si creano occasioni di consumo musicale nei concerti,
che diventano via primaria della comunicazione tra artisti e pubblico.
Intorno al 1977, con la contestazione che esaurisce il suo corso e il
terrorismo che fa le sue vittime, gli artisti, spaventati dagli eventi,
cominciano ad allontanarsi dai temi sociali per avvicinarsi a quelli più
quotidiani che avevano precedentemente demonizzato, anche perché
nel frattempo il loro enorme successo risulta in stridente contrasto con
la loro iniziale funzione di rottura ideologica di sinistra.
Il riflusso dopo gli anni dell’impegno è inevitabile. Terminato o
messo momentaneamente da parte il pericolo degli attentati terroristici,
in Italia si manifesta la voglia di ritornare ad occuparsi del privato, di
riacquistare la serenità messa in crisi dagli anni di piombo. Come negli
anni sessanta, di cui si celebrano i fasti con numerosi revival, c’è un
diffuso bisogno di evasione dopo un periodo buio. Come negli anni
sessanta c’è un’economia in fermento con la differenza che ora, dopo
13
BEHA OLIVIERO, MOGOL, L’Italia non canta più, Roma, Ediesse 1997, p. 13.
14
Ivi: p. 17.
48
l’epoca industriale, c’è il boom del terziario e lo sviluppo vertiginoso
dell’elettronica con la produzione dei primi personal computer. Sono
gli anni del consumismo e l’impegno sociale lascia il passo ad un
maggiore individualismo.
In un’epoca in cui vengono meno gli ideali, la canzone si adegua e
si svuota di contenuti: «gli emergenti, ben consapevoli di avere il nulla
intorno, il nulla cantano, ma inondandolo di quel rock di cui anche se
tardi si apprende la lezione»
15
:
Siamo solo noi
quelli che non han voglia di far niente
rubano solamente
siamo solo noi
generazione di sconvolti
che non han più santi né eroi
siamo solo noi
16
Oltre ad una originale miscela di rock e tradizione melodica, nella
canzone di questi anni si innestano anche influenze musicali
provenienti dal blues, dal jazz e dal rhythm & blues, basti pensare alla
produzione di artisti come Pino Daniele, Ivano Fossati o Zucchero.
La canzone italiana si apre dunque a suggestioni provenienti
dall’estero, come già era accaduto in passato del resto, ma stavolta ne
adotta anche i sistemi produttivi. Un primo passo in questa direzione
era già stato fatto da Lucio Battisti che, come si è visto, era attentissimo
al minimo dettaglio durante il lavoro in studio di registrazione. Adesso,
con lo sviluppo dell’informatica applicata alla musica, un po’ tutti gli
artisti si lasciano prendere dalla voglia di sperimentare le nuove
sonorità “sintetiche”, al punto che un manuale su come scrivere canzoni
del 1989 osserva: «si sentono, ancor oggi, dei campionamenti di strappi
15
VECCHIONI ROBERTO, Op. cit., p. 27 del capitolo “La canzone d’autore”.
16
Siamo solo noi, Vasco Rossi, 1981.
49
orchestrali [...] usati davvero a sproposito, da tutti, da De Gregori a
Toto Cutugno»
17
. Uno strumento che ottiene un enorme successo tra i
musicisti in questi anni è una tastiera della Yamaha, la DX7, che ha una
quantità enorme di strumenti virtuali in memoria e che per l’epoca si
presenta come rivoluzionaria. Essendo diffusissima finisce col
comparire in pressoché tutti i dischi degli anni ottanta, caratterizzando
il sound del decennio e rendendolo riconoscibilissimo.
Volendo fare un quadro generale degli anni ottanta non si può non
mettere in evidenza come siano anni piuttosto confusi, che affiancano
le influenze rock, jazz e popolari a fenomeni musicali di consumo,
come era già avvenuto prepotentemente negli anni sessanta. Non a caso
nasce in questo decennio il videoclip, che ha una funzione
prevalentemente promozionale. Bisogna pensare inoltre all’importanza
sempre maggiore che in questi anni ottengono le multinazionali del
disco che, pian piano, acquistano le maggiori case discografiche
nazionali e finiscono col proporre a livello mondiale una musica
standardizzata su un’unica politica dirigenziale. «Il coinvolgimento di
echi stranieri, la globalizzazione musicale, l’apertura allo spettacolo dal
vivo, al pubblico portano la canzone d’autore ad una fase di
concessione popolare più o meno obbligatoria. La canzone è sempre
più comunicazione cioè dare a seconda delle istanze giovanili e non
corrompere o disattendere le richieste, alzando di molto il livello della
preparazione e del professionismo»
18
. Tra i cantautori degli anni
settanta questa consapevolezza è ben presente e non è possibile non
farne i conti. Chi ha già conquistato la notorietà si trova dunque a
scegliere tra il compromesso con il commercio e la ricerca artistica.
Per quello che riguarda la canzone negli anni novanta e in questi
primi anni del nuovo millennio, possiamo constatare come l’aspetto
industriale abbia fagocitato quello artistico. Se è vero che la canzone ha
da sempre fatto i conti con il commercio, è anche vero che ultimamente
17
DE ANGELIS EDOARDO, BENIGNI GUIDO, Scrivere canzoni, Roma, Anthropos 1989.
18
VECCHIONI ROBERTO, Op. cit., pp. 29-30 del capitolo “La canzone d’autore”.
50
l’aspetto economico prevale in troppi casi a discapito della musica.
Quella che negli anni ottanta era una tendenza, nel decennio successivo
si concretizza in una solida realtà attraverso il completamento
dell’acquisto delle maggiori case discografiche italiane da parte delle
multinazionali, similmente a quanto accade contemporaneamente in
altri paesi del mondo.
Lo sviluppo continuo dell’elettronica spinge a cercare nuove
sonorità che, complice lo strapotere delle major, sono le stesse in tutto
il mondo. «Dopo un periodo in cui canzoni e produzione d’autore erano
dominate dall’intervento di talent scout e direttori artistici, ora
comincia a imporsi un suono che è spesso il prodotto del lavoro negli
studi di registrazione»
19
. Un brano musicale realizzato in una qualsiasi
parte del mondo diventa in questo modo più facilmente vendibile
ovunque. Anche i nostri artisti si sono adeguati e il risultato è che la
canzone italiana si avvicina molto al pop internazionale, diventandone
anzi parte integrante. Così si spiega il successo planetario di alcuni
nostri artisti (in particolar modo Eros Ramazzotti, Laura Pausini,
Zucchero e Andrea Bocelli), che hanno adottato sistemi di produzione
internazionale all’interno di una perfetta organizzazione discografica.
Una nuova politica produttiva condiziona dunque in modo
determinante la canzone italiana. «I responsabili delle strategie della
nuova musica “leggera” che ormai possiamo chiamare pop, hanno
investito quasi unicamente su artisti che fossero l’omologazione di ciò
che era giunto al successo a livello nazionale e, soprattutto,
internazionale. […] Così in contrasto con il compito primario delle
società discografiche che dovrebbe essere quello di creare nuove mode
e artisti, lo spirito prevalente diventa la ripetizione di ciò che ha già
successo. Tramontata definitivamente l’era dei produttori come Nanni
Ricordi, Ennio Melis, Vincenzo Micocci, in grado di anticipare e
comprendere le nuove idee musicali in atto, è da tempo cominciata
quella in cui trionfano manager attenti solo al budget e alla
19
LIPERI FELICE, Storia della canzone italiana, Roma, Rai Eri 1999, p. 471.
51
comprensione del pubblico dei consumatori per adottare la strategia
giusta al fine di lanciare il nuovo “prodotto musicale”, per lo più
raffinata imitazione di qualche altro artista di successo»
20
. Il risultato
più mostruoso di una simile politica è, a livello internazionale,
l’enorme successo di gruppi come i Take That, le Spice Girls o i
Backstreet Boys, costruiti a tavolino per giovanissimi consumatori.
La storia sembra dunque ripetersi, ma questa volta a livello
mondiale: la musica “gastronomica” delle canzonette di Sanremo non è
poi così diversa da quella dei gruppi appena citati. La buona musica,
per fortuna, circola comunque; ma sembra essere, sempre di più, frutto
di un caso.
2.3. La canzone come oggetto di studio
Sebbene la popular music abbia dominato nelle abitudini di ascolto
della maggior parte delle persone già dalla prima metà del secolo
scorso, grazie alla diffusione del disco prima e della radio poi
21
, solo di
recente la musicologia ha cominciato a dedicare attenzione a questo
fenomeno evidentemente non più trascurabile, anche se i pregiudizi
continuano ad esistere. Diversi studiosi, pur con una formazione “seria”
alle spalle, dedicano dunque all’analisi di canzoni la stessa serietà che
adopererebbero per l’analisi di un madrigale di Monteverdi o di una
20
Ivi: p. 480.
21
In Italia le prime incisioni sono dovute alla Fonit nel 1911, mentre la radio nasce
nel 1924 per iniziativa del ministro delle comunicazioni Costanzo Ciano e viene
gestita da un unico ente pubblico, l’Uri (Unione Radiofonica Italiana). Il programma
inaugurale viene mandato in onda il 6 ottobre 1924, mentre le trasmissioni iniziano
regolarmente dal 1˚ gennaio 1925, con poche ore di programmazione al giorno. Nel
1927 l’Uri diventa Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e da quel
momento gli abbonati aumentano rapidamente.
52
cantata di Bach. Anche al di là degli interessi personali di singoli
ricercatori la canzone sta entrando ufficialmente negli spazi
istituzionali della cultura, pure con docenti che non hanno
necessariamente una formazione musicologica tradizionale; basti
pensare ai corsi universitari di Roberto Vecchioni a Torino e a quello di
Gianfranco Salvatore a Lecce.
La produzione di scritti sulla popular music, anche al di là del
lavoro degli studiosi, è oggi piuttosto vasta anche solo rimanendo
nell’ambito italiano. L’ottica con cui viene indagata la materia è
ovviamente variabile, e quindi anche il livello di penetrazione analitica.
Così, sullo stesso argomento è possibile avere sguardi di tipo semiotico,
linguistico, storico o anche semplicemente cronachistico. Ci si rende
immediatamente conto della varietà della letteratura sull’argomento
entrando in una libreria ben fornita: lo studio rigoroso, magari testo di
esame per qualche corso universitario, è poco distante dalla biografia
dell’ultimo idolo discografico per adolescenti.
Per quello che è il nostro scopo, in mezzo a tanta varietà si impone
una selezione. Il criterio con cui avverrà è ovviamente pertinente
all’obiettivo della ricerca e quindi la nostra attenzione si soffermerà
soprattutto su lavori che già dal titolo sembrano occuparsi del rapporto
tra parole e musica, senza trascurare comunque anche studi di carattere
più generale sulla popular music e fondanti la materia. Verificheremo
l’esistenza o meno di una teoria su tale rapporto e alla fine trarremo
delle conclusioni.
Cominciamo da alcuni testi fondamentali di autori stranieri,
regolarmente citati da tutte le bibliografie inerenti la popular music. Il
primo di questi è il capitolo che Adorno dedica alla musica leggera
nella sua Introduzione alla sociologia della musica
22
, che tuttavia non
parla di ciò che ci interessa essendo più che altro una pesante denuncia
22
ADORNO THEODOR W., Einleitung in die Musiksoziologie. Zwölf theoretische
Vorlesungen, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag 1962 (trad. it.: Introduzione alla
sociologia della musica, Torino, Einaudi 1971).