IV
chiave dell’artista e non attraverso quella del personaggio. Lo stesso
Benigni afferma che:
Il comico, a differenza del tragico, è crudele, perché il tragico ci mostra la grandezza
dell’uomo, mentre il comico ci mostra le piccolezze, la miseria, proprio che siamo
esseri sciocchi, vulnerabili e ridicoli. I veri comici sono rarissimi. Ci sono tanti attori
brillanti, ma i comici come Charlie Chaplin, Keaton, Stanlio e Ollio o Eduardo nella sua
grandezza da presepe, veramente sono rarissimi. Totò nasce da una miseria […]e la sua
grandezza sta nel suo essere un personaggio lunare. […] Il vero comico è quello che va
nelle frontiere sconosciute, che va nelle zone a rischio, dove nessuno ha mai osato e lui
era uno che osava dappertutto. La grandezza di Totò è che dietro aveva la morte. Totò
era uno scheletro. Nei primi film come Totò le Mokò, bastava che si scansasse un attimo
e dietro di lui c’erano cinquanta morti di fame di Napoli, tutti gli scheletri dei morti di
fame del mondo. Per quello era inquietante, perché le cose che ti divertono non sono
solo quelle che ti fanno ridere, ma quelle che ti abitano, che ti restano dentro, che ti
inquietano, che ti smuovono una parte e ti fanno capire chi sei e le sue battute ci
divertono. Totò era così: la grandezza della morte nella risata. […] Totò era grande
come era grande Chaplin, che era cattivo e ci faceva vedere l’orrore. Ne Il monello sta
per buttare via il bambino e non lo fa solo perché un altro lo vede, lo guarda. Questo fa
il comico”.
2
Non solo Benigni adotta questo pensiero comico, all’interno della sua
poetica, come visione di un mondo ma lo percorre cercando di adottare
“una comicità amara che rimanda alla migliore tradizione comico-
poetica”.
3
Nel secondo capitolo verrà sviluppato l’argomento della poesia.
Inizieremo dalla sua carriera da giovane poeta, in cui si dilettava con l’arte
estemporanea: improvvisata ed esibita davanti ad un pubblico per lo più
popolare. Questa forma di poesia da lui praticata per molti anni viene
sostituita da un approfondito studio de La Divina Commedia di Dante. La
2
P. Bonolis (rilasciata a) , Il senso della vita, canale 5, 24/febbraio/2005 www.lamescolanza.com
3
V. Zagarrio, Cinema italiano anni novanta, Marsilio, Venezia 2001, p. 18
V
sua attenzione si dedica soprattutto al V canto dell’Inferno, proposto da
Benigni all’interno degli atenei universitari e al XXXIII canto del Paradiso,
proposto ed interpretato in una delle sue serate televisive su Rai uno. La
poesia si ripresenta in La Tigre e la Neve, dove il regista ci propone un’arte
poetica sotto due forme stilistiche, una in versi e l’altra basata su un
linguaggio poetico. La prima si presenta in vari momenti del film per
esempio quando Attilio-Benigni sta per rincasare e viene improvvisamente
colto dalla pioggia, lui anziché cercare riparo ricorda una poesia
riguardante appunto la pioggia. “Piove, piove sull’Tamerici, sulla favola
bella che ieri t’illuse che oggi m’illude o Ermione!”. La seconda forma
poetica si presenta sottoforma di espressioni trasportate dal sentimento
d’amore.
Nell’ultimo capitolo andremo ad affermare che il centro della poetica di
Benigni è nell’amore e che è proprio l’amore l’argomento su cui
s’incentrano i suoi film. L’amore è, almeno negli ultimi anni, da La vita è
bella, 1997, in poi, l’argomento fondamentale della sua produzione
filmica. Infatti, la sua poetica è affiancata dalle scaltrezze di Chaplin, ed il
paragone è stato spesso suggerito, finanche da lui.
4
E ciò che lo
contraddistingue è la sua particolare attitudine di presentarsi ad un
pubblico come un comico depositario di emozioni, manifestandole sia da
un punto di vista comico che dal punto di vista della poesia. In questo
capitolo, ci siamo occupati de La tigre e la neve, per svelare come la poesia
e la comicità confluiscono l’una nell’altra. Poesia e comicità che sono parte
integrante del carattere del protagonista e prendono vita nell’amore che
Attilio manifesta nei confronti di Vittoria Braschi.
4
G. Simonetti e G. Tramontana, Datemi un nobel, Edizioni Falsopiano, Alessandria, 1998, pp. 142
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
6
Capitolo 1
IL PERCORSO COMICO
1.1 Gli albori
I film di Benigni s’instaurano in una situazione socio-politica
contemporanea. Il suo modo di porsi nella società inizialmente satirico si
evolverà in un sentimentalismo appassionato con La tigre e la neve. Nei
suoi film prende rilievo una maturità poetica che lo porterà ad identificare
la sua comunicazione verso un unico sentimento: l’amore.
Benigni nel 1977 in Berlinguer ti voglio bene mostra il reale della
società attraverso la satira e vuol far prendere coscienza allo spettatore
della situazione che si viveva negli anni settanta. Attraverso il
protagonista, Cioni Mario, disegnava un personaggio che evidenziava i
comportamenti rivoluzionari della psiche di una società contadina ed
arcaica. “Tutti i personaggi sono come posseduti dall’astinenza. Vomitano
a raffica la loro sessualità parlata, in perenne stato di eretismo
parossistico”
5
. Il contesto a cui la pellicola si rivolge è quello ben descritto
dalla poesia in versi di Carlo Monni:
Eppure la natura ci insegna, sia sui monti, sia a valle
che si può nascere bruchi, per diventar farfalle,
Noi siamo quella razza che l’è tra le più strane
che bruchi siamo nati e bruchi si rimane.
Quella razza siamo noi, è inutile far finta
c’ha trombato la miseria e semo rimasti in cinta.
5
M. Martinelli, C. Nassini, F. Wetzl, Benigni Roberto di Luigi fu Remigio, Leonardo Arte, Milano, 1997
p. 94
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
7
Parole che risultano l’emblema di una comicità poetica generata dalla
visione pessimistica della vita. Il personaggio identifica la realtà della sua
classe sociale come un vivere fatto di speranze e di sogni che non si
potranno mai realizzare. “Una cultura arcaica contadina, chiusa e
tetragona, che sembra aprirsi solo quando l’atto si compie: nel finale,
quando Cioni baratta la madre con Bozzone per un debito di gioco”
6
. La
mattina seguente la mamma del protagonista, Alida Valli, aprendo le
finestre sul paesaggio toscano si mette a cantare: Non so più cosa son cosa
faccio di Mozart. Invece, Bozzone a tavola, brandendo con una mano un
pollo, si imbatterà in una poesia di Prevert. Solo il protagonista si chiuderà
per sempre nel suo isolamento acustico, metaforicamente simboleggiato
dalla chiusura delle porte causata dal vento. Benigni interpreta un
personaggio al passo con i tempi, come afferma Giuseppe Bertolucci
quando motiva la scelta delle frasi utilizzate dal protagonista:
Se un professore di sessuologia adopera un frasario ‘genitale’ durante una lezione,
questo non è affatto un turpiloquio, e allora perché dovrebbe esserlo se lo usa Cioni
Mario, un sotto proletario rimasto infantile, che non è maturato né psicologicamente né
socialmente? (…) Ho insistito su un linguaggio insolito, chiuso in se stesso, asfissiante,
per mostrare l’ossessività nella quale viveva il mio sottoproletario.
7
Questo rispecchiarsi nella realtà ha fatto assumere a Benigni una piena
consapevolezza del contesto in cui è integrato. Ciò gli ha permesso di
compiere un ulteriore passo in avanti, verso una maturazione meno
vernacolare ma più spirituale, senza, però, perdere quella caratteristica che
appartiene alla sua personalità. Infatti, ogni ruolo da lui interpretato adotta
le caratteristiche espressive personali più che le peculiarità del personaggio
6
Ivi, p. 95
7
Ivi, p. 94
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
8
come in Daunbailò (Down by Law): “Non sa una parola d’inglese e, a
lume di ragione, dovrebbe adattarsi a ciò che gli viene proposto. Accade
esattamente il contrario, è il film a piegarsi alla sua pirotecnica
personalità”
8
, e come afferma Moscati: “La sua innata incapacità
d’integrazione lo porterà in seguito ad affrontare temi che enfatizzano la
sua personalità difficilmente inquadrabile in schemi di comportamento
canonici”
9
.
Il passo successivo affrontato da Benigni nei suoi ruoli è stato quello di
rappresentare la realtà circostante attraverso un personaggio al di fuori dei
canoni standard. Un riferimento a questo ruolo da lui intrapreso ci perviene
già dal film del 1981 di Sergio Citti, Il minestrone. Benigni interpreta un
artista del furto che ingegna con destrezza fughe dai ristoranti per non
pagare il conto. Il suo personaggio risulta fuori dai canoni standard, il suo
abbigliamento è elegante, il suo modo di vivere la povertà è nobile, non
cerca l’elemosina né insegue gli animali per contendersi il cibo, come i due
futuri amici barboni, Giovanni-Ninetto D’Avoli e Francesco-Franco Citti,
che incontrerà nel penitenziario, incontro che rimanda a Daunbailò (Down
by Law), di Jim Jarmusch, quando un’allora Benigni in versione americana
si trova a legare un’amicizia con altre due vittime della società. In Il
minestrone, il suo atteggiamento è quello di un vero e proprio libero
professionista. Un mestiere che cercherà anche di insegnare ai due
“poveracci” appena conosciuti. Il Film assume anche un certo interesse da
un punto di vista personale, dato dall’incontro di Benigni con Vincenzo
Cerami, “determinante per la sua futura carriera di autore”
10
.
Anche in Tu mi turbi, film del 1983, composto da quattro sketch,
Benigni interpreta un personaggio estraniato dal contesto ma che induce lo
spettatore a riflettere sulla realtà della situazione da lui vissuta. Siamo di
8
M. Moscato, Benignaccio con te la vita è bella, Bur, Milano, 1999, p. 59
9
Ivi, p. 48
10
Ivi, p. 54
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
9
fronte ad alcuni contenuti religiosi, sbeffeggiati dalle battute dell’attore,
scene dove il protagonista si presenta con monologhi irriverenti, come
quando, riferendosi al suo angelo custode che lo abbandona per ritornare
da Cristo, lui arrabbiato gli dice: “cos’ha lui più di me? […] Cosa fa lui ti
appare?”. In Johnny Stecchino, film del 1991, Dante-Benigni, autista di
autobus, una sera si trova ad un party privato dove gli invitati sembrano
conoscersi da molto tempo, ma nessuno sembra essere amico del nostro
protagonista, il quale vaga, all’interno della casa, tra i vari gruppetti di
persone senza intromettersi nei loro discorsi, questo suo solitario
girovagare origliando sembra anche divertirlo molto. O in Il mostro, del
1994, quando Benigni interpreta Loris, un personaggio innocente che non
ha mai affrontato relazioni sessuali con l’altro sesso, non cede per nessun
motivo alle tentazioni della poliziotta, anzi chiede consiglio ad un amico
su come evitare il contatto fisico.
Questo modo di riproporre la realtà nei suoi film si affianca ad un'altra
forma di spettacolo che trova nella poesia la sua chiave principale. Enzo
Natta parlando del comico afferma: “Roberto Benigni, ovvero il mistero
del “doppio”, con il dottor Jeckyll da una parte e Mr Hyde dall’altra […]
provocatore e parolaccia l’uno: ingenuo e lunare l’altro”
11
.
Questo secondo lato di Benigni emerge dalle collaborazioni con dei
registi che gli assegnano dei ruoli non confacenti alle sue caratteristiche
attoriali. In queste pellicole s’immedesima nel personaggio, perché è il
personaggio stesso ad andare contro la società. Nel film Chiedo asilo, del
1979, di Marco Ferreri, dove interpreta un maestro di scuola elementare un
po’ lunatico che si trova alle prese con un approccio negativo nei confronti
della vita e che alla fine decide di morire perché considera la morte l’unica
salvezza dalla sua tetra visione del mondo. Anche in Daunbailò (Down by
Law), film del 1986, il personaggio interpretato da Benigni risulta essere
11
E Natta, Ritratto di un Fenomeno, la doppia anima di Benigni, “Rivista del cinematografo” Novembre
1994, p. 7
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
10
lunatico. Esso, però, adotta una visione di vita, a differenza di Chiedo
asilo, completamente ottimistica, infatti, decide di vivere per sempre con la
donna che abita nel bosco e che aveva conosciuto da poco come in una
favola per bambini. Questo interpretare ruoli non confacenti al suo
personaggio ha dato all’artista un senso profondo di intendere la vita
apportando in Benigni notevoli cambiamenti. Quello più evidente lo si
nota a seguito della sua collaborazione nel 1989 con Fellini, in La voce
della luna. L’attore interpreta un personaggio quasi onirico, alla ricerca del
senso della vita. Il film condanna l’uomo che non attua questa ricerca ma
che preferisce soffermarsi ad una semplice e materiale visione del mondo.
I personaggi principali del film, vivono la quotidianità cercando in tutto
ciò che li circonda la risposta alla motivazione della loro presenza sulla
terra. I loro comportamenti, però, pur inseguendo lo stesso obiettivo, si
manifestano in due modi completamente diversi. Salvini-Benigni è un
carattere sensibile, le sue parole e i suoi discorsi risultano essere
caratterizzati dalla poesia in prosa anche quando, deriso da un
motociclista, è visibilmente arrabbiato: “Qualcuno dovrebbe essere così
gentile da tenermi gli occhiali”; mentre Gonnella-Villaggio assume un
comportamento più rude e meno riflessivo, in antitesi all’atteggiamento di
Salvini. I due personaggi non riescono a relazionarsi con le altre persone e
non concepiscono neanche il loro modo di vedere le cose. I protagonisti
per dare un senso a ciò che li circonda si basano su quello che
percepiscono e non su vuoti modelli di pensiero e di comportamento. Gli
unici amici con i quali Salvini riesce ad avere un’amicizia sono il pozzo e
la luna, che lo consigliano sulla condotta da tenere con le persone. Solo
con loro riesce ad instaurare un rapporto vero e sincero, un rapporto con la
vita che difficilmente diviene comprensibile agli occhi della gente del
posto. Come quando davanti ad uno spogliarello visto in compagnia di
alcune persone, il protagonista Salvini riconduce l’immagine della donna
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
11
alla figura di Giunone, creatrice della via lattea, piuttosto che ad immagini
di tipo sessuale come invece fa il resto del gruppo, che pensa solo ai “soldi
e alla gnocca” come gli dice Gonnella successivamente. O come quando la
pioggia, imperversando sulla sua testa, lo rendeva pieno di felicità,
restituendogli delle reminiscenze, agitando flussi di coscienza, cambiando
il suo punto di vista sul mondo e portandolo a chiedersi, ad esempio, che
fine fanno le scoppiettanti scintille di fuoco, e se anche loro, come la
musica e le idee, vanno in qualche luogo preciso e se magari si possano
fermare. Solo nel finale Salvini riesce a raggiungere il suo obiettivo, cioè,
sentire quelle frasi che all’inizio gli venivano appena sussurrate dalla
Luna. In questo film la comicità si ritrova negli atteggiamenti delle
persone - come il barbiere che balla mentre fa la barba ad un cliente, nei
due “scemi” del paese che di notte ballano al centro della piazza senza
musica, o come il musicista che suonando crede di richiamare in casa degli
strani individui, tra cui il grande mangiatore e quando gli domanda: “chi
siete voi?”, il grande mangiatore sorpreso risponde: “Eh! Sono il grande
mangiatore, mangio tutto” e lui rimane lì fermo ad osservarlo -, mentre la
chiave poetica predominante risulta insita nella profondità del pensiero del
Salvini e del Gonnella.
Benigni dopo aver partecipato al film definisce Fellini una “grande
montagna”
12
e il suo nome per lui evoca l’immaginazione, il sogno, tutto
un mondo e ogni parola che pronunciava sembrava essere poesia:
Lui è proprio quello che fa la poesia […] Anche se mi parlava di un bicchiere, io ero
sempre emozionato con Fellini. È uno di quelli che creano sogni per uomini svegli.
13
In questa frase troviamo gran parte della poetica ricercata
successivamente da Benigni sia in La vita è bella e sia in La tigre e la
12
R. Benigni, P. Bonolis (intervista rilasciata a), Il senso della vita, canale 5, 24/febbraio/2005
www.lamescolanza.com
13
Ibidem
CAPITOLO 1. IL PERCORSO COMICO
12
neve, il quale ha cercato dal 1997 in poi, di riportare nelle sue pellicole una
narrazione che avesse un lato visionario e un lato provocatorio nei
confronti del mondo e cioè di affrontare un argomento in modo diretto, il
desiderio d’amore, e di irradiarne un altro indirettamente, la situazione
socio-politica. Tra le due tematiche sviluppate dal regista, l’argomento
principale è sempre associato al desiderio di felicità, mentre l’argomento
secondario critica lo stato sociale in vigore, sia esso politico o culturale.
Benigni ce ne dà una dimostrazione in La vita è bella, film del 1998,
quando Guido nel ricercare la moglie viene scoperto da una guardia e
condannato a morire, passa gli ultimi attimi di vita davanti agli occhi
innocenti di suo figlio che lo guarda sorridendo. Giosuè è stato nascosto
dal padre con la scusa che quella è l’ultima prova che deve superare per
potersi aggiudicare il carro armato e dovrà uscire solo quando sentirà il
silenzio. La scena se pur con uno sfondo tragico conduce al riso, così come
tutta la seconda parte del film. Guido assieme al figlio, durante la seconda
guerra mondiale, è deportato in un campo di concentramento. La moglie,
che era italiana, chiede ad un soldato di salire sul treno e viene vista da
Giosuè, il loro bambino. Una volta arrivati, Guido vede la moglie ma non
riesce ad avvicinarla. Il protagonista ogni giorno s’ingegna per farle capire
che sia lui che il bambino stanno bene. Inoltre, cerca anche di far credere a
suo figlio che la loro presenza in quel posto è dovuta al viaggio
organizzatogli come sorpresa di compleanno. Gli fa credere che si trovano
lì per partecipare ad un gioco dove il premio finale è un carro armato e si
vince al raggiungimento di mille punti. Le regole del campo di
concentramento, vengono tradotte da Guido, dal tedesco all’italiano,
quando un militare si presenta nella loro stanza per istruire i nuovi arrivati
sul comportamento da tenere all’interno del lager. Il protagonista inventa
la traduzione in base alle parole pronunciate dal militare tedesco.