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1.
INTRODUZIONE
L‟economia mondiale è stata caratterizzata negli ultimi anni da un forte
rallentamento della crescita. Tale contrazione dell‟attività economica sarebbe
attribuibile a una crisi strettamente finanziaria abbattutasi negli Stati Uniti a
partire dal 2008 che ha portato, nel biennio 2008/2009, ad una marcata riduzione
del prodotto lordo mondiale e dei traffici di beni e servizi. Quella che è nata come
una crisi finanziaria si è trasformata quindi ben presto in una crisi di sistema,
determinando un crollo della domanda internazionale e una conseguente crisi del
commercio mondiale.
Le conseguenze di tale andamento non hanno tardato a farsi sentire: i Paesi
industrializzati si sono arenati in una profonda recessione, mentre i principali
Paesi in via di sviluppo (soprattutto asiatici) hanno visto rallentare il ritmo della
propria fase espansiva. Logicamente, considerando le forti ripercussioni della crisi
finanziaria sulla domanda internazionale, chi ha visto rallentare in modo più
rapido e marcato la propria crescita sono quei Paesi trainati dalle esportazioni
quali Germania, Italia e Giappone. Come sottolineato infatti in un recente
rapporto del Ministero dell‟Economia e delle Finanze, nel 2009 la contrazione del
Pil tedesco, di quello italiano e di quello nipponico è stata pari a circa il 5%,
mentre negli Stati Uniti – dove sono state attivate politiche indirizzate al sostegno
dei consumi e all‟accumulo di scorte – si è registrata una flessione del Pil pari al
2,4%
1
.
Restringendo l‟attenzione al contesto italiano, bisogna sottolineare come la caduta
dell‟attività economica si sia abbattuta in un momento particolarmente delicato.
L‟Italia stava infatti attraversando una fase di espansione (+1,9%) che era
susseguita a un lungo periodo di stagnazione economica (iniziato a novembre
1
Ministero dell‟Economia e delle Finanze, Relazione Unificata sull’Economia e la
Finanza pubblica per il 2010, Roma 6 maggio 2010.
5
2001 e culminato a febbraio 2005
2
), periodo caratterizzato da una ristrutturazione
del tessuto industriale attivata al fine di modernizzare e rendere maggiormente
competitivo l‟intero apparato in modo da rispondere all‟aumentare delle pressioni
concorrenziali
3
.
Lo scenario economico internazionale è infatti radicalmente cambiato nell‟ultimo
decennio a causa di quelli che vengono definiti “shock esogeni”: il processo di
globalizzazione (ha determinato un‟integrazione mondiale dei mercati, con la
conseguente invasione di merci a basso costo e qualità spinte dalle economie
emergenti), il sostanziale cambiamento del paradigma tecnologico (come
sottolineato da Salvatore Rossi, direttore centrale della Banca d‟Italia per la
ricerca economica e le relazioni internazionali, il sostanziale riassetto dei processi
organizzativi rivolto all‟introduzione e all‟utilizzo estensivo delle ICT,
Information and Communication Technology, permette incrementi sia in termini
di produttività che di efficienza
4
) e il processo di integrazione europea con la
conseguente definizione della moneta unica (escludendo così la possibilità di
utilizzo della leva monetaria per dare sostegno all‟economia reale e ottenere
vantaggi in termini di competitività)
5
.
Tali shock hanno colpito con maggiore intensità il nostro Paese a causa delle
caratteristiche strutturali del sistema economico che tendono a limitarne la crescita
e la competitività. Tra queste pesano in maggiore misura:
lo scarso incremento della produttività nel settore industriale;
l‟enorme peso del debito pubblico;
il tardivo processo di liberalizzazione del settore energetico e dei servizi;
la scarsa propensione (sia pubblica che privata) a investire in attività di
ricerca e sviluppo;
la modesta dotazione di infrastrutture materiali e immateriali;
2
ISAE, L’Italia nella prima metà degli anni 2000: un anomalo ciclo economico, Roma
Nota Mensile novembre 2006.
3
Per approfondimenti consultare Montanucci M., L’industria italiana oggi:
caratteristiche salienti e cambiamenti strutturali, Tesi di laurea, Viterbo dicembre 2007.
4
Rossi S., La Nuova Economia: i fatti dietro il mito, Bologna 2003.
5
Banca d‟Italia, Rapporto sulle tendenze nel sistema produttivo italiano, “Questioni di
economia e finanza (Occasional papers)” n. 45, Roma aprile 2009.
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l‟enorme divario in termini di sviluppo economico-sociale tra le imprese
del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno.
Tutto ciò tende a sottolineare in maniera ancora più marcata quanto il nostro
sistema Paese necessiti di un pacchetto di sostanziali riforme strutturali che ancora
stentano ad essere avallate.
I ritardi della politica nell‟adozione di tali misure evidenziano come oggi la
“partita” della ripresa economica si giochi sempre più a livello di impresa.
Andando infatti a osservare quanto siano stati positivi i risvolti sulla congiuntura
del processo di innovazione e ristrutturazione tecnologica avviato spontaneamente
dalle aziende a partire dai primi anni del nuovo millennio, si potrebbe ipotizzare
che le imprese abbiano a disposizione già al loro interno importanti strumenti per
ritornare ad essere altamente competitive a livello internazionale (ricordiamo che
il processo di ristrutturazione è stato valutato come uno degli elementi che ha
contribuito nel 2006 alla fine della lunga fase di stagnazione economica).
Certamente questi strumenti dovranno essere nel tempo prima capiti e poi
implementati e per permettere che questo avvenga si dovrà creare una nuova
cultura aziendale in linea con il modello di sviluppo che sta caratterizzando il
nuovo millennio. L‟obiettivo finale sarà quello di permettere alle imprese italiane
di fare una sorta di “salto generazionale” che possa loro consentire di tornare a
crescere a ritmi sostenuti pari a quelli sperimentati dalle altre economie avanzate
nella prima fase di questo decennio.
Sulla base di quanto finora sostenuto, il lavoro intende porre l‟accento
sull‟importanza dell‟uso delle ICT nel nuovo modello di sviluppo che sta
caratterizzando gli anni Duemila. Oggi per poter crescere a tassi soddisfacenti ed
essere competitivi a livello internazionale è necessario cambiare modo di fare
impresa (anche in una realtà come quella italiana fatta di molte micro, piccole e
medie imprese), spingendo su un management qualificato in grado di
riorganizzare i processi sfruttando sistemi in formativi che rappresentino un valore
aggiunto rispetto alla semplice produzione.
L‟indagine partirà da un‟iniziale analisi del contesto macroeconomico, il cui
scopo sarà quello di fornire al lettore una panoramica sulle caratteristiche
strutturali del sistema produttivo italiano e sull‟andamento del mercato ICT. Ciò
7
permetterà di mettere in luce l‟importanza ricoperta dalle piccole e medie imprese
(PMI) nel nostro sistema Paese e la necessità di introdurre riforme che possano
spingerle a colmare il gap in termini di sviluppo e propensione ad investire in ICT
rispetto ai principali competitors internazionali. I riferimenti saranno soprattutto
alle indagini campionarie sviluppate dall‟Istat, dall‟OCSE e da Assinform /
Netconsulting.
Una volta definito il contesto macroeconomico, nei capitoli successivi si cercherà
di analizzare da vicino le PMI italiane al fine di presentarne le specifiche
caratteristiche e di definirne possibilità offerte loro dalle ICT in termini di
ottimizzazione dei processi e aumento della redditività.
Nel secondo capitolo verrà trattata l‟evoluzione della relazione che nel tempo ha
legato organizzazioni e tecnologia, in modo da far emergere quanto negli ultimi
settanta anni l‟innovazione tecnologia abbia più volte rivoluzionato il modo di
fare impresa. In contesti di mercato ormai sempre più caotici, saturi e turbolenti le
ICT vanno infatti considerate come quegli strumenti che permettono di
organizzare e condividere quella conoscenza utile per trovare un ordine all‟interno
della complessità. Le imprese, per riuscire a cogliere le opportunità offerte dalle
nuove tecnologie, avranno quindi la necessità di adottare figure specializzate nella
regolazione e nella gestione dei flussi comunicativi inter-aziendali e intra-
aziendali.
Nel capitolo successivo saranno invece illustrate le opportunità che i sistemi
informativi aziendali donano anche a quelle imprese di più piccole dimensioni. In
questo senso si cercherà di descrivere gli applicativi che permettono alle PMI di
essere competitive in mercati sempre più complessi, con investimenti
proporzionati alla ridotta scala dimensionale e senza rinunciare ad un‟alta qualità.
Tutto ciò segna un vero e proprio passaggio di paradigma poiché si passa dal
sostenere come la possibilità di investimenti in ICT sia fondamentalmente rilegata
solo alle medio-grandi imprese (quindi solo aumentando la propria scala
dimensionale le piccole imprese potranno riuscire a investire in soluzioni che le
permettano di ottenere miglioramenti in termini di produttività ed efficienza),
all‟affermare che ormai si stanno sempre più sviluppando soluzioni a basso costo
e altamente customizzate che abilitano le piccole e medie imprese ad investire
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senza necessariamente aumentare di dimensione. Esistono infatti oggi soluzioni
altamente integrate, informatizzate e innovative che permettono ai soggetti medio-
piccoli di stare sul mercato e di competere a viso aperto con le grandi imprese.
Il lavoro si concluderà con l‟esame di un case study sviluppato attraverso
un‟esperienza maturata all‟interno dell‟azienda Poste. Sfruttando l‟ausilio di
alcuni professionisti, mi è stato permesso di osservare come sia cambiato negli
ultimi anni l‟approccio dell‟azienda al mercato postale: successivamente alla
liberalizzazione del suddetto mercato è nata l‟esigenza di offrire agli utenti (sia
alle persone fisiche che alle persone giuridiche) nuovi prodotti che permettano una
gestione della corrispondenza più dinamica e al passo con l‟evoluzione
tecnologica. In questo percorso evolutivo l‟azienda ha prestato particolare
attenzione al mondo delle piccole e medie imprese.
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2.
IL LENTO CAMMINO DELL’IMPRESA ITALIANA
2.1. La normativa comunitaria per una corretta e omogenea
definizione di Piccole e Medie imprese (PMI)
Per comprendere al meglio l‟oggetto di analisi di questo lavoro è indispensabile
chiarire cosa si intenda con il termine PMI.
La Comunità europea ha affrontato per la prima volta il tema della dimensione di
impresa nel 1996 con la raccomandazione 96/280/CE, introdotta al fine di definire
chiaramente quali fossero i criteri comunitari per la categorizzazione delle
imprese e armonizzare così le diverse normative dei vari Stati membri che fino ad
allora avevano avuto l‟opportunità di decidere autonomamente cosa si intendesse
con il termine
6
. Nello specifico la raccomandazione sanciva che un‟impresa per
essere classificata come una PMI doveva soddisfare alcuni requisiti di capitale, di
struttura ed economico-finanziari.
In riferimento ai requisiti di capitale, la Commissione sanciva che: ‹‹L’impresa
deve essere indipendente ossia il suo capitale o i suoi diritti di voto non devono
essere detenuti per il 25% o più da una sola impresa oppure, congiuntamente, da
più imprese non conformi alla definizione di PMI o di piccola impresa. Tale
soglia può essere superata in due casi: se l’impresa è detenuta da società di
investimenti pubblici, società di capitali di rischio o investitori istituzionali a
condizione che questi non esercitino un controllo effettivo sull’impresa; se il
capitale è disperso e un’impresa può legittimamente dichiarare di non essere
detenuta per il 25% o più da una o più imprese non conformi alla definizione di
piccole e medie imprese››
7
.
6
Raccomandazione della Commissione 96/280/CE del 3 aprile 1996, relativa alla
definizione delle piccole e medie imprese (testo rilevante ai fini del SEE), GU L 107 del
30 aprile 1996, pp. 4-9.
7
http://europa.eu/legislation_summaries/other/n26001_it.htm
10
Per quanto concerne i requisiti di struttura veniva indicato il numero di dipendenti
definito in termini di Unità Lavorative Anno (ULA), ovvero il numero di persone
occupate a tempo pieno nell‟arco di un anno (il numero di lavoratori a tempo
parziale e quelli stagionali venivano invece considerati come frazioni di ULA).
Infine, in merito ai requisiti economico-finanziari da soddisfare, venivano
considerati il fatturato e il totale di bilancio. Nello specifico:
per piccole e medie imprese si intendevano quelle aziende indipendenti
che occupavano meno di 250 dipendenti ed avevano un fatturato inferiore
a 40 milioni di euro o un bilancio annuo non superiore ai 27 milioni di
euro;
venivano definite piccole imprese le aziende indipendenti che occupavano
da 10 a 49 dipendenti ed avevano un fatturato annuo inferiore a 7 milioni
di euro o un bilancio annuo non superiore ai 5 milioni di euro;
dovevano essere definite microimprese quelle aziende indipendenti che
occupavano meno di 10 dipendenti.
Andando ad osservare tale definizione si può notare come l‟interesse nella
classificazione delle microimprese non fosse ancora così imponente: non
venivano infatti menzionati i limiti in termini di fatturato e di totale di bilancio
(che esprimono in generale il peso dell‟impresa nel sistema produttivo,
rappresentandone rispettivamente le potenzialità di sviluppo ed il suo patrimonio
totale), ma venivano indicati solo quelli dimensionali (e quindi il livello di
complessità organizzativa). La raccomandazione era infatti fondamentalmente
riferita a definire le caratteristiche che un‟impresa doveva detenere per essere
generalmente classificata come una PMI in quanto ciò dava l‟opportunità di
accedere o meno a finanziamenti e agevolazioni erogati completamente o in parte
dall‟Unione europea.
L‟evoluzione che ha caratterizzato il contesto economico successivamente al 1996
(espresso in termini di crescita della produttività e aumento dell‟inflazione) e le
difficoltà da parte delle imprese e dei singoli Stati nel concepimento e
nell‟attuazione delle soglie precedentemente stabilite (specialmente in merito alle
microimprese, realtà in continuo aumento in ambito europeo), hanno spinto la
Commissione a promulgare la raccomandazione 2003/361/CE entrata in vigore a