Introduzione
Nel corso dei miei anni di formazione giuridica all’università
“Parthenope” di Napoli, mi sono ritrovata ripetutamente a contatto con
il diritto, ma l’esperienza di apprendere la storia del diritto romano mi
ha lasciato una conoscenza ricca di emozioni.
La consapevolezza di aver assorbito una cultura che ha preceduto
la nostra, mi consente, con presunzione di poter concludere il mio
primo traguardo con grande soddisfazione. Di questo devo ringraziare
soprattutto il prof. Elio Dovere, straordinaria ed eccellente guida, che
mi ha accompagnato in un viaggio diretto nel passato, alla ricerca
delle antiche ed originarie produzioni normative dell’età romana,
soprattutto del periodo che riguarda la caduta della monarchia e gli
esordi della repubblica, fino al suo tramonto.
La storia del diritto romano come ogni disciplina storica è basata
su un problema preliminare, che riguarda le fonti di cognizione. Per
buona sorte, le fonti che hanno interessato il periodo, da me trattato,
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sono sicuramente degne di fede. Nel periodo compreso tra il V e il Ι
secolo a.C., Roma fu caratterizzata dalla fase repubblicana, infatti
alcuni studiosi, tra cui Pietro Cerami e Gianfranco Purpura nel testo
“Profilo storico-giurisprudenziale del diritto pubblico romano”,
attribuirono alla città la connotazione di libera res publica.
Gli assetti organizzativi ed istituzionali della libera res publica
erano contrassegnati dall’intermediazione dell’assemblea popolare,
dal senato, e dalle magistrature. Questo intreccio di poteri si muoveva
all’interno della saldatura costituzionale, faticosamente raggiunta, tra
patrizi e plebei, la quale si concretizzò nella cosiddetta utilitas
communis. Infatti l’utilitas communis era caratterizzata dal preordinato
esercizio del potere in funzione dell’interesse comune di tutti e non di
una singola classe sociale.
La progressiva alleanza tra la classe patrizia e quella plebea
determinò, dal punto di vista politico-sociale, la costituzione di una
nuova classe dirigente patrizio-plebea (nobilitas), mentre dal punto di
vista giuridico, la classe plebea dovette impegnarsi molto per giungere
al riconoscimento di organo, le cui deliberazioni potessero avere
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efficacia nei confronti, non soltanto della casta plebea, ma di tutti i
cives romani.
In base alle fonti, soprattutto da quanto ci tramanda Gaio,
solamente nel 287 a.C. con la lex Horthensia, i plebisciti
(deliberazioni delle assemblee popolari) furono equiparati alle leggi,
legibus exaequata sunt. In realtà il plebiscito nacque molto prima
della legge comiziale e il termine exaequare fu un termine adoperato
soltanto da Gaio.
Invece Livio, il quale conosceva, a tal proposito due interventi
legislativi precedenti alla legge Ortensia: la legge Valeria-Orazia del
449 a.C. e la legge Publilia del 339 a.C., non solo non adoperò il
termine exaequare, ma evitò di fare qualsiasi accostamento alla legge.
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CAPITOLO І
DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA
Dal regnum alla res publica : radici di costituzionalismo
Il passaggio dall’età monarchica all’età repubblicana non fu
assolutamente un cambiamento nuovo, traumatico e rivoluzionario,
poiché le situazioni createsi nell’età repubblicana possono essere
considerate una continuazione delle istituzioni precedenti, sia pure con
modificazioni.
Secondo Charles Louis de Secondat, barone Montesquieu, uno dei
massimi teorici del costituzionalismo moderno e autore del capolavoro
lo Spirito delle leggi (1748), il passaggio dal regnum alla res publica
avrebbe determinato soltanto il cambiamento della forma di governo,
ma non il carattere della società, infatti lo spirito del popolo romano
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rimase intatto, assicurando certamente un miglioramento e garantendo
a quella piccola comunità di assoggettare tutto il mondo antico.
1
Seguendo la versione liviana nel 509 a.C., all’espulsione di
Tarquinio e della sua famiglia successe la repubblica, infatti nel diritto
pubblico romano fu introdotto, per la prima volta, il concetto di
magistratura (magistratus).
La novità essenziale che si verificò, oltre che a Roma, in molte
altre città fu che la magistratura venne organizzata in modo da
rappresentare la perfetta antitesi della regalità: non più monarchia, ma
diarchia, non più perpetua ma annua, tanto da attribuire subito il
potere supremo a due magistrati civili e militari, eletti da cittadini
convocati nell’assemblea centuriata, che per il fatto di marciare in
testa all’esercito portarono il nome di praetores e per il rapporto
collegiale che li univa furono poi detti consules.
I primi magistrati furono M. Giunio Bruto e L. Tarquinio
Collatino, ritiratosi quest’ultimo successivamente, e sostituito da P.
Valerio detto Publicola.
1
AMARELLI, DE GIOV ANNI, GARBARINO, MAROTTA, SCHIA VONE, VINCENTI, Storia
del diritto romano e linee di diritto privato, Torino, 2005, pag. 21
7
Il motivo dell’abdicazione di Collatino fu dato dal volere del
popolo romano di contrastare l’esercizio tirannico del potere regio,
rappresentato proprio dalla provenienza dello stesso console
2
. Tanto è
vero che in un giuramento fatto fare da Bruto emergeva il desiderio
dei Romani di non cedere, né di piegarsi ai Tarquini e di non tollerare
ma più un re (neminem Romae passorus regnare).
Questo giuramento era stato considerato una sorta di norma
costituzionale fondamentale della res publica.
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Lo stesso Montesquieu sostenne che l’equilibrio della res publica
dipese non dal conferimento del potere a numerose magistrature con
distribuzione e successione regolare, ma di accentrare lo stesso nelle
mani di uno solo o di pochi. Di fatti Montesquieu scrive: “ Il governo
di Roma fu straordinario, in quanto sia dalla sua origine, sia per lo
spirito del popolo che per la forza del senato o l’autorità di certi
magistrati, la sua costituzione rese sempre possibile l’eliminazione di
ogni abuso di potere”.
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2
Non ci sono fonti certe al riguardo, ma si presume che L. Tarquinio Collatino appartenesse alla
gente Tarquinia, nota a Roma per la loro inarrestabile tirannia.
3
GIULIANO CRIFÓ, Lezioni di storia del diritto romano, Bologna, 1996, pag. 52
4
AMARELLI, DE GIOV ANNI, GARBARINO, MAROTTA, SCHIA VONE, VINCENTI, op .cit.
pag. 22
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Per lui la pluralità dei magistrati risultò uno strumento efficace per
mantenere vivo il sentimento della libertà, poiché il popolo romano,
nonostante vide sfilare uno dopo l’altro tanti personaggi, non si abituò
mai a nessuno di essi. All’interno di questa visione si inserì la famosa
teoria della separazione dei poteri, che secondo Montesquieu
assicurava e garantiva un governo libero e moderato, all’interno del
quale non si abusava del potere, ma soprattutto dove “il potere
arrestava il potere”.
A mio avviso è importante inserire anche il giudizio dato da
Polibio, storico greco, in merito all’analisi svolta sulla costituzione
repubblicana tra il III e il II secolo a.C.
Polibio, infatti, aveva colto un esempio paradigmatico della
convivenza di tutte e tre le forme di governo, monarchica,
aristocratica, democratica ( già fatti presenti da Aristotele):
“ se si considerava il potere dei consoli, il regime sembrava
assolutamente monarchico e regio; se si considerava il potere del
senato sembrava invece aristocratico; se poi si considerava il potere
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del popolo, il regime sembrava essere inequivocabilmente
democratico”.
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Secondo le affermazioni di Polibio, la costituzione repubblicana
raggiunse la sua massima perfezione al tempo della guerra annibalica,
anche se già nel 449 a.C. si poté atteggiare come la migliore delle
costituzioni finora esaminate. Questa considerazione cozzava, però,
con la storia interna di Roma, giacché bisognava attendere circa un
secolo dopo per poter parlare di assestamento reale sul piano politico-
costituzionale, in ovvia dipendenza al piano economico-sociale.
Solo nel 367 a.C. fu approvata la legislazione Licinia Sestia, con
distinte leges, all’interno della quali furono adottate delle misure
necessarie per stabilizzare il sistema della res publica. Si trattava di
misure a favore dei debitori (lex Licinia Sextia de aere alieno: il debito
da pagare veniva da un lato diminuito di quanto era già stato versato a
titolo di interesse e dall’altro veniva rateizzato in tre annualità); di
misure la cui violazione veniva sanzionata con multa edilizia, relativa
alla quantità di ager publicus di cui si poteva avere possesso (lex
Licinia Sextia de modo agrorum: obbligo di adibire al lavoro non solo
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AMARELLI, DE GIOV ANNI, GARBARINO, MAROTTA, SCHIA VONE, VINCENTI, op. cit.
pagg. 21-22
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mano d’opera servile ma anche uomini liberi); di misure relative al
consolato (lex Licinia Sextia de consule plebeio: si stabilì la possibilità
per i plebei di essere consoli, cioè riservando una delle due cariche
consolari ad un plebeo). Bisognerà poi attendere il 172 a.C. per avere
due consoli plebei. Infine vi era un ulteriore disposizione Licinia
Sextia de decemviris sacris faciundis che stabilì in modo equo tra
patrizi e plebei, il numero degli incaricati di custodire i libri sibellini.
Le informazioni, attinte dalle varie fonti, fanno emergere un
quadro abbastanza chiaro del nuovo assetto consolare della libera res
publica, all’interno della quale si garantì il modo ordinario di
assunzione e di esercizio del sommo-potere di comando, non più
riservato soltanto ai patrizi, ma anche ai plebei.
Sulla scia di quanto detto, non bisogna tralasciare a mio avviso un
importante elemento che caratterizzò la libera res publica nel suo
assetto istituzionale, durante la seconda metà del ΙΙΙ e metà circa del ΙΙ
secolo a.C. fu riconosciuto, infatti, all’interno della Constitutio della
res romana come principio cardine, il principio della sovranità
popolare.
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Il principio della sovranità popolare consentì a tutto il popolo
romano, ovvero a tutti i cittadini inseriti nelle assemblee popolari
istituzionali: comitia e concilium, di poter svolgere l’elettorato attivo,
cioè il suffragio. Questo principio fu una conseguenza e un effetto
dell’emanazione della lex Horthensia nel 286 a.C. che riconobbe la
summa potestas ovvero la sovranità popolare. All’interno di questo
sistema repubblicano si inserirono due principi fondamentali del
regime democratico:
a) l’ effettiva partecipazione di tutti i cives, alla scelta dei
governanti, in quanto titolari del diritto al suffragio;
b) il temporaneo affidamento, quanto meno a maggioranza, di
poteri funzionali a coloro i quali accettano di servire il popolo.
Tutti questi elementi e soprattutto il principio della sovranità
popolare, garantirono alla libera res publica la connotazione di
“repubblica costituzionale” anche se emergeva dalle fonti, che tale
configurazione fu realizzata o comunque diventò concreta e definitiva
soltanto nel periodo dell’apogeo.
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