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INTRODUZIONE
L’interesse che ha animato la scelta dell’argomento della mia tesi di Laurea e
che ha motivato la voglia di approfondirlo, il più esaustivamente possibile, è
stato suscitato dall’importanza che, per noi futuri psicologi e appassionati di
neuroscienze, riveste il concetto di neuroplasticità, cioè la straordinaria
capacità del nostro cervello di adattarsi e di modificarsi quotidianamente
grazie alle esperienze, agli apprendimenti e alle sollecitazioni interne ed
esterne, rinforzando connessioni neurali, creandone delle nuove o
indebolendone delle altre.
La prima parte della mia tesi, più teorica, cercherà di fornire una panoramica
ampia del concetto di plasticità neurale a partire dalle sue basi biologiche,
evidenziando come questo concetto si sia evoluto nel tempo, passando
dall’essere considerato una peculiarità del cervello “giovane” ad una essenza
che rimane costante, seppur con delle modificazioni, per tutto l’arco di vita.
Questa evidenza è oggi alla base del nostro lavoro, sia clinico che di ricerca,
supportata da decenni di studi che forniscono certezze riguardo alla possibilità
di recupero e di riabilitazione di un paziente, ma anche riguardo ad un
possibile potenziamento cognitivo e ad un rinforzo delle connessioni neurali
in un soggetto sano, tramite un costante allenamento delle sue funzioni
cognitive.
Verrà inoltre approfondita la correlazione tra il concetto di plasticità neurale
ed i principi di neuromodulazione.
Questo dà ulteriore valore alla possibilità di generare modificazioni durature
dell’attività neurale e della connettività del sistema nervoso attraverso
metodologie che possono essere elettriche, elettromagnetiche, chimiche con
l'obiettivo di giungere ad un’attivazione, inibizione, modifica e/o regolazione
dell'attività cerebrale. Cercherò, pertanto, di definire il ruolo della
neuromodulazione come base per la riabilitazione, come possibilità di
giungere ad un potenziamento cognitivo, evidenziando come questa possa
essere anche correlata al controllo emozionale.
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Il secondo capitolo della mia tesi, mirerà ad un approfondimento specifico
delle metodiche di neuromodulazione: l’attenzione sarà focalizzata
soprattutto sulle tecniche di stimolazione cerebrale e neuromodulazione non
invasive (NIBS).
In particolar modo, descriverò la stimolazione magnetica transcranica (TMS)
e la stimolazione elettrica transcranica (tES), i loro meccanismi d’azione e le
applicazioni cliniche e terapeutiche che sono in costante evoluzione ed
approfondimento.
L’ultima parte della mia trattazione, sarà incentrata su uno studio
sperimentale svolto in collaborazione con il professore Massimiliano Oliveri,
che mira a mettere insieme le conoscenze sulla plasticità neurale e sulle basi
della neuromodulazione per valutare la possibilità di giungere a delle
modificazioni dell’attività elettrica cerebrale in grado di indurre un
miglioramento nella capacità di gestione e regolazione delle emozioni.
Il campione preso come riferimento per la conduzione di questo studio,
reclutato per via telematica, sarà costituito da una popolazione eterogenea di
soggetti sani.
Nello specifico, si cercherà di comprendere, tramite l’utilizzo quotidiano di
training cognitivi, prevalentemente di tipo prefrontale e della durata di una
settimana, se esista un emisfero cerebrale, tra il sinistro e il destro, che abbia
un ruolo critico e specifico nel controllo delle emozioni.
Ciò sarà supportato ulteriormente dall’uso, sia in una condizione di base che
in una fase finale dello studio, del Questionario sulla Regolazione Emotiva
(ERQ), che ci permetterà di comprendere, tramite un confronto delle risposte
dei partecipanti prima e dopo la settimana di training, se esista una possibile
differenza rispetto al ruolo dei due emisferi nella regolazione emotiva.
Ci si augura comunque che questo studio, condotto a distanza a causa della
condizione pandemica che ci ha coinvolti, sia ulteriormente approfondito ed
articolato, valutando e confrontando i risultati ottenuti, prendendo come
riferimento anche un contesto differente ed un campione più ampio.
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CAPITOLO 1
LA PLASTICITA’ NEURONALE E I PRINCIPI DI
NEUROMODULAZIONE
Negli ultimi decenni, i neurobiologi hanno fatto enormi progressi nella
definizione dei principi di base dello sviluppo del cervello, tanto che la
visione del modo in cui questo si evolve e cambia si è radicalmente
modificata.
Inizialmente, infatti, il modello dominante era fortemente deterministico: la
relazione tra cervello e comportamento era vista come unidirezionale, ciò
poneva in evidenza come la maturazione del cervello determinasse lo
sviluppo comportamentale (Stiles et al., 2012).
Fino ai primi anni ’50 del secolo scorso, inoltre, era convinzione comune
ritenere che il sistema nervoso umano fosse in grado di svilupparsi e
modificarsi solo nel periodo dell’infanzia e che una volta divenuto adulto,
fosse destinato ad una progressiva perdita di funzionalità ed efficienza che
culminava con la senilità. Questa prospettiva precludeva, in caso di lesioni
del sistema nervoso, la possibilità di recupero, di riparazione o comunque di
riadattamento dei sistemi rimasti integri (Boninelli et al., 2016).
Secondo questa concezione classica, le modificazioni sostanziali nella
microstruttura del cervello sarebbero possibili in fasi precoci dello sviluppo
cerebrale, durante il cosiddetto “periodo critico”, periodo temporale
circoscritto dello sviluppo post-natale, in cui è necessario un input specifico
per stabilire un particolare comportamento, presumibilmente perché l’input è
necessario per supportare la creazione del sistema neurale (Stiles et al., 2012).
La maturazione cerebrale normale, si verifica lentamente e non interessa
contemporaneamente le diverse regioni corticali: si assiste infatti ad una
maturazione più precoce delle aree filogeneticamente più antiche e ad una
maturazione più tardiva delle aree corticali, comparse più recentemente nella
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storia evolutiva dell’uomo, come nel caso delle aree frontali, da cui dipende
lo sviluppo delle funzioni esecutive, che sono le più elevate (Làdavas, 2014).
Le metodiche sperimentali di neuroimmagine hanno, in tempi più recenti,
ampiamente contraddetto questa classica convinzione, documentando la
grande capacità riorganizzativa del cervello adulto, anche in seguito a
soppressione di input sensoriali (deafferentazione) e a lesioni corticali
(Hubener & Bonhoeffer, 2014; Làdavas, 2014).
Si è potuta sempre più evidenziare così l’importanza dell’interazione tra
fattori genetici ed esperienze e come questa bidirezionalità sia alla base dello
sviluppo cerebrale: non soltanto le strutture cerebrali quindi modulano i
comportamenti, ma anche il modo in cui ci si comporta, le esperienze e gli
apprendimenti influenzano la strutturazione del nostro sistema cerebrale
(Làdavas, 2012).
Il cervello, quindi, esposto a diversi eventi ambientali, tra cui stimoli
sensoriali, stressor, eventi patogeni, droghe e relazioni sociali mostra una
traiettoria evolutiva unica.
Tali cambiamenti, in termini di modificabilità cognitiva, hanno così
accompagnato la concezione di un differente modello di sviluppo che non
concepisce la dimensione genetica e quella ambientale in opposizione, ma
piuttosto si concentra sulle loro possibili interazioni (Kolb et al., 2013).
Il cervello è quindi un organo non solo dinamico, ma anche plastico, capace
di modificarsi sia strutturalmente che funzionalmente: le diverse strutture
neurali interagiscono tra loro e con l’ambiente esterno per tutta la vita.
Questo aspetto adattivo del cervello è stato definito “plasticità neuronale”
(Stiles et al., 2012; Boninelli et al., 2016).
La possibilità di una modulazione cognitiva è così estesa a tutte le fasi della
vita e dello sviluppo. Esistono molteplici evidenze empiriche a supporto di
come sia questa dinamicità a permettere l’efficacia dei trattamenti
riabilitativi, i quali sono così basati sul ruolo della riorganizzazione
funzionale e sull’importanza degli apprendimenti, che rappresentano la
migliore possibilità di rimodellamento a breve, medio e lungo termine delle
mappe neuro-sinaptiche (Fagherazzi et al., 2014; Làdavas, 2012).
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1.1 Basi biologiche della plasticità neuronale
Per plasticità neuronale si intende la capacità del sistema nervoso di andare
incontro a modificazioni strutturali e funzionali in risposta ad eventi
fisiologici, stimoli ambientali e ad eventi patologici, consentendo al cervello
di superare le restrizioni imposte dal patrimonio genetico (Làdavas, 2012).
I neuroni, dunque, vanno incontro a cambiamenti che riguardano tutto l’arco
di vita e sono vari i fattori responsabili di tale dinamicità.
Ruolo importante in tal senso hanno le pressioni ambientali e fisiologiche, gli
stimoli sensoriali o le condizioni di deprivazione, gli apprendimenti,
l’invecchiamento, le malattie neurodegenerative ed anche le lesioni cerebrali
(Fagherazzi et al., 2014).
Nel cervello sano si possono inoltre distinguere tre tipi di plasticità: una
plasticità indipendente dall'esperienza, una in attesa dell'esperienza ed
un’altra dipendente dall'esperienza.
La plasticità indipendente dall'esperienza è in gran parte correlata al processo
di sviluppo prenatale: questo tipo di plasticità, indipendente dall'input
sensoriale esterno, consente al sistema nervoso di essere più preciso nella
connettività senza che ci sia la presenza di istruzioni genetiche
straordinariamente complesse.
La plasticità in attesa dell'esperienza si verifica invece durante lo sviluppo.
Infine, la plasticità dipendente dall'esperienza si riferisce ad un processo di
cambiamento di complessi neuronali già esistenti (Kolb et al., 2013).
I fenomeni di plasticità neuronale prendono avvio da iniziali modificazioni
dell’efficacia della trasmissione sinaptica, indotte da precisi patterns di
attività nervosa.
Queste modificazioni funzionali sono seguite da processi di rimodellamento
strutturale che portano alla neoformazione o all’eliminazione di connessioni
neurali: riguardano quindi sia le modificazioni delle connessioni sinaptiche
esistenti ed il rafforzamento o indebolimento delle stesse, che la creazione di
nuove connessioni.
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Dunque, anche se la formazione iniziale delle sinapsi è determinata
geneticamente (Figura 1a), l’esperienza assume un ruolo fondamentale nella
maturazione e nella ridistribuzione dei contatti sinaptici (Belzung &
Wigmore, 2013).
Figura 1a. L’immagine mostra la creazione di una sinapsi.
(https://learnmuscles.com/blog/2017/08/30/neural-plasticity/).
Il neurotrasmettitore viene rilasciato dalle terminazioni sinaptiche del
neurone pre-sinaptico, attraversa lo spazio sinaptico e si lega ai diversi
recettori presenti nel neurone post-sinaptico.
Inoltre, in coincidenza alle attività del neurone pre e post-sinaptico, vengono
indotte delle modificazioni funzionali dell'efficacia della trasmissione
sinaptica, note come potenziamento (LTP) o depressione a lungo termine
(LTD). Questi fenomeni sono associati a modificazioni dell'espressione
genica nei neuroni coinvolti, seguite dal rimodellamento strutturale delle
connessioni: il numero dei contatti neurali aumenta in seguito a LTP e
diminuisce in seguito a LTD, processo in base al quale le sinapsi formate da
neuroni poco attivi o inattivi si indeboliscono e, infine, vengono disconnesse.
L’attivazione dei neuroni postsinaptici rappresenta quindi un requisito
necessario affinché possano avere luogo i normali fenomeni di plasticità.
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La costruzione dei circuiti corticali richiede dunque l’interazione tra precisi
patterns di attività dei sistemi afferenti e dei meccanismi postsinaptici.
Questi ultimi comprendono da un lato il riconoscimento dell’attività
presinaptica specifica, dall’altro la produzione di segnali capaci di indurre la
plasticità degli assoni afferenti selezionati (Belzung & Wigmore, 2013).
Molteplici evidenze, inoltre, indicano che i meccanismi funzionali alla base
della plasticità neurale e dei processi di modificazione a lungo termine della
trasmissione sinaptica, siano simili a quelli sottostanti ai fenomeni di
apprendimento e memoria, i quali rivelano la capacità del cervello di
apprendere dalle esperienze, favoriscono l’adattamento del soggetto e il
mantenimento dell’informazione nel tempo, garantendo la neuroplasticità
(Làdavas, 2012).
Questi meccanismi sono modulati da un gruppo di proteine chiamate
neurotrofine, considerate potenti mediatori molecolari della plasticità
sinaptica centrale. Tra questi, il fattore neurotrofico derivato dal cervello
(BDNF), ormone della crescita naturale e la neurotrofina-3 (NT-3) sono
emersi come aventi ruoli chiave nei meccanismi neurobiologici relativi
all'apprendimento e alla memoria.
Il BDNF (Brain-Derived Neurotrophic Factor) è una neurotrofina, una
proteina coinvolta nella sopravvivenza e nel differenziamento neuronale,
nella formazione delle sinapsi, nella loro plasticità e nella neurogenesi del
cervello adulto. Le azioni svolte dal BDNF comprendono la capacità di
contribuire alla stabilizzazione e alla maturazione di sinapsi già esistenti e la
possibilità di generare nuove connessioni sinaptiche. Una scoperta importante
che evidenzia la partecipazione di queste neurotrofine alla plasticità sinaptica
è l'osservazione che l'aggiunta di BDNF o NT-3 provoca aumenti drastici a
lungo termine della trasmissione sinaptica, simili al potenziamento a lungo
termine, soprattutto nell'ippocampo e nella neocorteccia dei mammiferi.